Il partito dell'opposizione

di Adelaide Aglietta

SOMMARIO: La relazione della segretaria del Pr Adelaide Aglietta al Consiglio federativo dopo la consegna delle firme per l'indizione degli "otto referendum contro il regime" (abrogazione del Concordato, dei Tribunali militari, dei reati d'opinione del Codice penale, di parte della legge manicomiale, della legge che attribuisce alla polizia poteri speciali in materia d'arresto, perquisizioni e intercettazioni telefoniche, del finanziamento pubblico dei partiti, della "Commissione inquirente") - La crisi finanziaria del partito e il rischio di scioglimento. (N0TIZIE RADICALI n. 164, 21 luglio 1977)

Compagni, compagne, questo consiglio federativo è il primo che si tiene dopo la consegna delle firme degli otto referendum. I dati complessivi li conoscete perché sono stati pubblicati da Lotta Continua e dalla stampa: sono dati che corrispondono alla realtà e che ci consentono di dire che il numero delle firme consegnate pone ciascuno degli otto referendum al sicuro da ogni possibilità di invalidazione rispetto ai controlli della Corte di Cassazione. Il partito ha quindi realizzato l'obiettivo centrale del mandato congressuale del novembre dello scorso anno, un obiettivo che c'eravamo già posti per due volte e che avevamo fallito nel 1974 e conseguito solo parzialmente, sull'aborto, nel 1975. Alcune brevi valutazioni su questo. I referendum: un programma alternativo. Innanzitutto una valutazione politica complessiva: quando dicevamo che senza i referendum il partito sarebbe stato schiacciato in una posizione di mera testimonianza, ininfluente e marginale, rispetto ai processi politici in corso, ci trovavamo in una situazione in cui potevamo ancora sperare che si aprissero forti contraddizioni negli schieramenti politici e nei rapporti fra sinistra e DC su cui fosse possibile agire e influire con lo strumento dei referendum. La chiusura che si è verificata con le scelte politiche degli ultimi mesi ci pone in una posizione politica che per un periodo probabilmente non breve è profondamente e qualitativamente diversa. Il prezzo pagato dai vertici politici del PCI e del PSI lo è stato soprattutto sui problemi della concezione dello stato, della compressione dei diritti costituzionali e delle libertà civili, esattamente come nel 1947. In questa situazione il programma rappresentato dal progetto referendario diventa un banco di prova rispetto al paese di un confronto alternativo, non più con il regime democristiano, con la possibile apertura di contraddizioni all'interno della sinistra, ma di un confronto alternativo fra due strategie della sinistra, la nostra, quella dell'alternativa, e quella comunista del compromesso. Solo a partire da questo confronto è possibile riaprire contraddizioni per noi determinanti e significativi. Altrimenti le uniche contraddizioni avverranno sul terreno proprio della strategia e della ideologia trentennale della sinistra, cioè sul terreno che per la sinistra si è rivelato fallimentare dell'economicismo e del rapporti di potere. Qual è il prezzo del "compromesso" Ne abbiamo avuti subito due esempi con l'equo canone e con la legge 382: contraddizioni destinate ad essere riassorbite e superate. Ma esse ci anticipano anche su quale terreno possono verificarsi in futuro le possibili rotture, un terreno cioè sul quale non è possibile una svolta reale nella politica del paese e un confronto vincente per la sinistra. Questo mi porta a concludere che con i referendum non solo siamo stati un grado di organizzare e raccogliere una risposta di massa, intorno ad un progetto alternativo, al nuovo corso politico, ma anche senza i referendum, cioè senza questo strumento di confronto con le altre froze politiche e con le istituzioni, saremmo oggi ridotti ad esercitare un ruolo di opposizione velleitaria e declamatoria. Il successo dei metodi libertari La seconda valutazione riguarda il partito e i meccanismi con i quali ha superato e vinto questa prova enorme, che tutti pensavamo e pensavano sproporzionata alle nostre forze e che ha lasciato molti di noi prostrati fisicamente e psicologicamente. Abbiamo avuto due momenti di crisi nella raccolta delle firme: uno è stato subito prima del congresso straordinario, il secondo nella fase finale della campagna quando sembrava che avessimo rischiato il fondo dei consensi possibili, la raccolta sui tavoli era ormai smobilitata e la maggioranza dei militanti delle associazioni e dei comitati ormai impegnata nelle operazioni tecniche di certificazione. In entrambi i casi abbiamo superato la prova soltanto con la lotta politica, proiettandoci all'esterno, riuscendo a forzare le strozzature e le censure rigorose e pressoché totalitaria dell'informazione di regime. In mezzo alla gente, come pesci nell'acqua. Chi temeva che gli episodi del 12 maggio alterassero l'immagine del partito e ne limitassero i consensi è stato smentito dall'aumento delle firme che si è verificato in tutta Italia nei giorni successivi. Lo stesso è avvenuto dopo il 26 maggio, cioè dopo il provocatorio intervento di Marco Pannella e lo scontro con Cossiga e con la commissione di vigilanza. Chi temeva che lo scandalo del contraddittorio Pannella-Almirante si traducesse in perdita di firme, deve ammettere che nonostante e anche grazie a questo scandalo, oltre agli investimenti pubblicitari aggiuntivi decisi nell'ultimo consiglio federativo che siamo stati costretti a fare, abbiamo salvato il progetto referendario: perché proprio in quei dieci giorni abbiamo raccolto le 40-50 mila firme in più nelle grandi città che hanno fatto superare il margine di sicurezza assoluta di 700.000 firme che ricercavamo. In quei giorni a Roma le firme che erano scese ad una media di poco più di mille sono risalite a 2.500, a Milano dove erano scese a 2-3 per cento sono risalite a 1.300-1.400. Questo significa che eravamo riusciti a trasmettere alla gente l'informazione che rischiavamo di non farcela. Non avremmo potuto far fronte alle minuziose ed enormi operazioni di raccolta e di controllo, dieci volte più accurate di quelle fatte per l'aborto, se non avessimo potuto contare sulla mobilitazione e sul lavoro volontaria di una media di 800 persone al giorno divise in sei sedi di lavoro, la cui presenza si è ottenuta soprattutto grazie ad una corretta gestione di radio radicale, alla costante preoccupazione di farne non una radio ghetto, ma una radio ascoltata dal maggior numero di persone possibile. Ma anche grazie ai numerosi quadri e militanti del partito di molte regioni che si sono precipitati a Roma per collaborare con noi alla direzione ed alla organizzazione di questo enorme lavoro. Il partito non burocratico, non organizzato centralisticamente, che si affida ai meccanismi libertari e in massimo grado all'iniziativa autonoma e alla capacità di autogestire le lotte, è solo così che riesce a superare queste prove, non chiudendosi in sé stesso, rivolgendosi alla gente, presentandosi e confermandosi come un partito di lotta, non avendo paura della propria diversità e della propria eccezionale capacità di apertura. Questo vale non soltanto per le scelte politiche di chi ha avuto responsabilità di direzione e di gestione politica nazionale del partito e della campagna dei referendum, ma vale per tutto il partito. Lì dove le associazioni e i comitati sono usciti con capacità di lotta politica e con capacità non burocratica e ripetitiva ma creativa di mobilitazione e di propaganda, lì i risultati sono stati vistosi. Cito i risultati di città come Reggio Emilia, Brescia, Bergamo, Lecce, Pordenone. Lì dove invece il partito è rimasto chiuso in se stesso, non ha saputo legare la raccolta delle firme allo scontro politico più generale, l'ha affrontata sul piano della routine, lì i risultati sono stati più scarsi e il partito non ha saputo trovare nuovi consensi, da cui nascono anche nuovi militanti. Credo che questa valutazione debba essere fatta perché i compiti che ci attendono esigono che siano battute nel partito e in noi stessi queste tendenza o queste tentazioni alla chiusura che ci riporterebbero alla logica non libertaria del minipartitino. Non c'è dubbio che la nuova situazione politica ci assegna infatti compiti e responsabilità sempre più gravi e impegnativi: il compito e la responsabilità di organizzare l'opposizione nel paese, a cui siamo gli unici in grado di dare espressione, consistenza e sbocco politico. Organizzare e rafforzare l'opposizione nel paese. Ho già detto degli accordi politici di vertice. Ma qualche considerazione si deve aggiungere sul loro contenuto è sulle conseguenze istituzionali che ne derivano. Le scelte qualificanti degli accordi sono sull'ordine pubblico. Su questo terreno la DC riesce ad ottenere dal PCI ciò che aveva sempre inseguito senza mai riuscire a raggiungere ed ottenere in otto anni di strategia della tensione: fermo di polizia, estensione indiscriminata della detenzione preventiva e delle misure di sicurezza, spesso sulla base del semplice sospetto, ricorso selvaggio alle intercettazioni telefoniche, repressione e chiusura delle radio libere. E contemporaneamente cedimento sul sindacato di polizia e la rinuncia a far luce sulle responsabilità dei servizi segreti nelle trame e nel terrorismo di stato, e a pretenderne una radicale riforma, soprattutto in materia di segreto di stato. E' la rinuncia alla politica delle riforme, è la scelta strategica della politica delle leggi speciali e delle misure di emergenza, è un attacco insensato e senza precedenti alla Costituzione e ai diritti dei cittadini, che ci riporta indietro in forme ancora più gravi al periodo precedente alla strage di piazza Fontana e alla morte di Pinelli. Il ruolo del PCI nei rapporti con la DC e con il regime. Si spiega così la polemica di Amendola contro Sciascia e il brusco invito agli intellettuali ed a tutti a mettersi in riga e a schierarsi nella difesa delle istituzioni che vengono identificate puramente e semplicemente con il regime. Questa operazione ha bisogno di Nap e Brigate Rosse, ha bisogno di un antagonista violento perché solo di fronte a un antagonista violento e criminale il PCI può dare credibilità democratica alla DC e al suo regime. Si chiarisce sempre meglio che il PCI anche all'interno della stessa strategia del compromesso storico ha scelto per sé non il ruolo del partito riformatore, portatore di una concezione alternativa dello stato e dell'ordine democratico, o almeno elemento di contraddizione riformatrice come era stato il PSI all'interno del centro sinistra, ma al contrario il ruolo di garante dell'ordine del regime, di normalizzatore del dissenso fino se necessario alla criminalizzazione della opposizione, di perno e di puntello della forza e del consenso democristiano. Un attacco alla Costituzione Le trattative e le procedure seguite portano inoltre alle estreme conseguenze il processo di svuotamento delle funzioni e delle prerogative costituzionali del governo e del Parlamento, con l'espropriazione sempre più marcata dei processi di formazione della volontà politica da parte delle segreterie dei partiti. Questa scelta dal parlamento si ripercuote ad ogni livello accentuando la trasformazione corporativa delle istituzioni democratiche, nella quale sono sempre più coinvolti anche i sindacati. E' chiaro che in questi equilibri politici i tentativi di sottrarre al paese gli otto referendum e il nono sull'aborto saranno messi in atto ad ogni livello. Io non credo che esista già oggi una precisa strategia della DC e del PCI per l'affossamento dei referendum, ma certamente sarà presto messa a punto e sarà articolata. Intanto registriamo che non è stato preso ancora nessun provvedimento per mettere in grado la Cassazione di far fronte agli adempimenti tecnici di controllo; dobbiamo registrare ancora l'accelerazione del processo di revisione del Concordato; possiamo prevedere tentativi di ricorso a leggi truffa come per l'aborto ed anche il tentativo di ampliare i poteri di sindacato della Corte Costituzionale nel suo giudizio sulla ammissibilità dei referendum. E' più difficile, mi sembra, che possano venire utilizzati il progetto Preti ed altri analoghi di riforma dell'istituto del referendum perché un loro valore retroattivo avrebbe il significato di un piccolo colpo di stato, ma neanche questo possiamo del tutto escluderlo. La nostra forza sta proprio nel numero dei referendum proposti per le difficoltà tecniche che avevamo previsto e per la lentezza dei meccanismi procedurali della Camera. Non possiamo però farci illusioni: la difesa dei referendum si presenterà difficile e non potremo pensare di affrontarlo e di vincerla solo con la nostra reazione alle iniziative affossatrici. Possiamo affrontarla e vincerla soltanto se sapremo farci carico e se sapremo legare strettamente la lotta per la difesa dei referendum alla lotta per la difesa della Costituzione e per la difesa dei diritti costituzionali dei cittadini. Come difendere i referendum Abbiamo dei gravi compiti da affrontare all'interno del partito, sia per il ripensamento delle sue strutture di organizzazione e di lotta, centrali, regionali e associative, sia per le pendenze che ci derivano sul piano finanziario per la campagna dei referendum. Ma questo è un partito che non può purtroppo pensare di affrontare e risolvere questi problemi attraverso una pausa delle sua lotta politica esterna. E' un grosso elemento di contraddizione, che non possiamo però pretendere di ignorare o di risolvere cancellando uno degli elementi della contraddizione. Esistono tempi politici che ci sono dettati dalle scadenze imposte dai processi in corso. La capacità del partito e la sua influenza sulla vita politica italiana è dipesa proprio dal fatto che ha saputo dare risposte politiche tempestive a ciò che avveniva nel paese e nella situazione politica generale. Questo non vale solo per il partito ma vale per ogni movimento radicale che si muova in direzione dell'alternativa. Nessuna pausa nella lotta politica Questa polemica dei tempi autonomi di crescita si è avuta proprio da parte dell'MLD o almeno all'interno dell'MLD, e credo opportuno riprenderla in questa sede per farla uscire dalla banalità e dalla polemica preconcetta. C'erano due scadenze fondamentali per l'MLD: ed erano la legge del 50 per cento e l'aborto. Sul primo punto il Parlamento ha portato avanti la legge sulla parità, determinata proprio da un anno di battaglie MLD sul 50 per cento, ma al momento conclusivo è stata assente la mobilitazione nel paese e non abbiamo avuto alcuno sbocco politico a livello parlamentare. Sull'aborto tutto il movimento femminista e anche l'MLD ha abbassato il tiro contro la legge truffa, con la conseguenza di un enorme recupero comunista attraverso l'UDI intorno a posizioni minimalistiche, rinunciatarie e soprattutto non libertarie. Aborto: un vuoto politico riempito dall'UDI e dal PCI Proprio le posizioni più falsamente radicali ed estremiste dei collettivi femministi del CRAC, quello della negazione delle istituzioni e dell'importanza della legge per privilegiare il sociale o il rapporto diretto con le donne attraverso i collettivi, l'autocoscienza, le esperienze separatiste, una pratica non politica e non di disobbedienza civile del selfhelp sono stati gli strumenti involontari di recupero, su un terreno politico lasciato scoperto, da parte del PCI e dell'UDI. In passato un MLD apparentemente meno autonomo dal partito non aveva lasciato scoperto questo terreno, era sempre riuscito in qualche misura ad affermare la propria caratteristica di movimento politico di liberazione delle donne, senza di che non c'è neppure liberazione. Perché o si creano condizioni e premesse di liberazione che valgano per tutti o non c'è liberazione, c'è solo l'illusione della liberazione che è in realtà la chiusura in qualche nuovo ghetto magari autogestito. I tempi lenti sono quelli della sconfitta. Se c'è stato e c'è volontà di confronto è su questi fatti, e non su altri. Come femminista e non come segretaria del PR io non accetterò mai la comoda teoria che contrappone i tempi lenti ai tempi stretti. Se i tempi lenti sono quelli della sconfitta come donna li respingo perché sono proprio i tempi lenti che vanno contro le donne. Così come non accetterò mai la scissione schizofrenica, teorizzata da Luciana Castellina all'interno del PDUP, fra il mio essere femminista e il mio impegno politico di militante radicale. Milito nel partito insieme a centinaia di altre compagne anche per accentuarne ed aumentarne il suo essere l'unico partito che possa dire femminista. Le scissioni schizofreniche sono anche quelle più opportuniste perché consentono alle tante Luciana Castellina di essere femminista nei convegni e negli articoli e portatrici del peggiore maschilismo all'interno dei partiti e delle istituzioni. Se anche compagne come Mercedes Bresso si vogliono mettere su questa strada sono libere di farlo. Io non ho scelto e mai sceglierò quella dinamica. Ma credo che se qualcosa si può rilevare nei rapporti che ho avuto con l'MLD è proprio l'opposto di quello che mi rimprovera Mercedes su "Argomenti radicali", e cioè il rispetto delle dinamiche interne dell'MLD e della sua autonomia. Mi sono mancati anche se li ho ricercati, e non solo per carenza mia, gli strumenti, la possibilità e il tempo di un confronto chiaro, quale sarebbe stato per tutti, per il partito e per l'MLD, utile e necessario, non per creare polemiche artificiose ma per contribuire attraverso il dibattito a giuste scelte politiche e a forme di unità, sia pure nelle rispettive autonomie, che altrimenti sono soltanto unità nominalistiche. Ma credo che al di là dell'MLD questo discorso, di farsi carico di sbocchi politici alternativi, di risposte politiche tempestive alla situazione politica generale valga per ogni radicale e per ogni realtà associativa radicale, di partito o federata. Devo registrare qui come un fatto positivo la nascita della nuova Lega antinucleare, che ha annunciato per l'autunno iniziative legislative di carattere popolare, oltre a iniziative di lotta sul piano amministrativo, parlamentare e giudiziario. Credo che la costituzione di organismi autonimi di lotta è la strada maestra dell'iniziativa radicale in campi e settori e su problemi nuovi che non siano stati maturati dal partito. Io ritengo che non solo la Lega antinucleare ma tutto il partito radicale debba tornare in autunno alla lotta politica, con quelle sezioni mobili che sono i tavoli, in mezzo alla gente nelle strade e nelle piazze, dentro e davanti i luoghi di lavoro con alcune iniziative semplici e scadenzate nel tempo, unitarie se di carattere nazionale e coordinate se di carattere regionale. A settembre di nuovo con i tavoli nelle strade e nelle piazze. Abbiamo da qui al 15 settembre per stabilire gli obiettivi di questo progetto di iniziativa politica autunnale, obiettivi che vanno ricercati su 4 punti: "1) tesseramento e costruzione di una rete nazionale di comitati del "sì"; 2) difesa della Costituzione e dei referendum e ordine pubblico; 3) lotta all'ipotesi di una legge truffa sull'aborto; 4) iniziative di carattere regionale in alcune regioni dove sarà possibile e opportuno (penso per Milano al problema di Seveso, a Roma al problema dell'urbanistica, a Napoli al problema dell'occupazione)." In questo quadro valuteremo con l'MLD e con la nuova lega se riprendere il progetto 50 per cento e se lanciare l'eventuale iniziativa legislativa annunziata al convegno di Roma. Gli obiettivi vanno precisati e dobbiamo valutarne la serietà e l'efficacia, ma penso a questo progetto come a uno strumento a mio avviso indispensabile di presenza e di proiezione esterna della lotta del partito. La lotta alla disinformazione di regime Durante la campagna dei referendum abbiamo dato un impressionante esempio di mobilitazione e di iniziativa spesso anche capillare, che non può essere lasciata cadere. Dobbiamo impedire che l'unica opposizione a questo regime appaia essere quella dei Nap e delle BR; dobbiamo essere consapevoli che ogni spazio lasciato vuoto da una opposizione intransigentemente democratica e irriducibile ai riassorbimenti del regime, dalla nonviolenza e dalla disobbedienza civile, viene riempito da quell'altra opposizione che agisce nella clandestinità e con il terrorismo funzionale alla violenza del regime. E' chiaro che su questa come su ogni altra iniziativa ci scontreremo ancora con il problema dell'informazione, che è per un partito libertario lo strumento essenziale della comunicazione delle sue iniziative e delle sue lotte. Non credo che sia necessario soffermarmi con elementi di documentazione su questo punto, né di dover dimostrare che una informazione lottizzata uccide il dibattito democratico e impedisce l'esercizio dell'opposizione. La mozione congressuale del maggio scorso su questo punto, giusta nella motivazioni di principio è rimasta inefficace in pratica, anche se abbiamo attivato alcune iniziative che non hanno però dato risultati. La spesa sostenuta per la campagna dei referendum, e in particolare quella sostenuta nella fase conclusiva è addebitabile alla necessità di supplire alla mancanza di una corretta informazione. Abbiamo in definitiva sottovalutato la gravità di questo problema anche se avevamo previsto ciò che poteva verificarsi e in effetti si è verificato, cioè il linciaggio unilaterale e convergente di tutti gli organi di stampa dopo i fatti del 12 maggio, senza possibilità alcuna di recupero fino alla scandalosa smentita di Cossiga del 26 maggio alla tribuna politica di Pannella. Certo non smetteremo la lotta, anche se i fatti hanno dimostrato che i mezzi di cui disponiamo sono inadeguati ad affrontarla e dovremo cercare di utilizzare al massimo i ristretti spazi istituzionali ove abbiamo possibilità di accesso e che non ci possono negare. Ma ritengo che al prossimo congresso dovremo riprendere il discorso, accennato solo come ipotesi nello scorcio finale del congresso straordinario di maggio, di un progetto politico di utilizzazione del finanziamento pubblico completamento sottratto a qualsiasi gestione e utilizzazione di partito e finalizzato esclusivamente a campagne di controinformazione e di lotta contro la informazione di regime. Il Partito chiude: come reagire alla chiusura Esiste poi un problema di informazione interna di partito per i militanti ed i sostenitori che richiederebbe la regolarizzazione di una uscita periodica settimanale o almeno quindicinale di Notizie Radicali a stampa. Abbiamo in atto un progetto in questo senso che si scontra però con la situazione finanziaria del partito con la quale peraltro si scontra la possibilità di realizzare qualsiasi altra iniziativa. La questione è oggetto della relazione di Paolo Vigevano, ma non posso esimermi dal fare alcune valutazioni non solo perché ho condiviso le scelte di Paolo con Gianfranco e con quei compagni della segreteria che con me hanno collaborato alla gestione politica del partito e della campagna, in particolare Walter Baldassarri, Geppi Rippa, Peppino Calderisi, Enzo Zeno, ma anche perché questo è il problema centrale e pregiudiziale che dobbiamo affrontare e risolvere. Abbiamo mancato l'obiettivo dei 200 milioni Il congresso del maggio scorso sull'onda del dibattito e della reazione non solo emotiva che c'era stata nel partito, ha deciso la campagna di autofinanziamento di 300 milioni e la conferma della scelta congressuale precedente di non toccare il finanziamento pubblico neppure per i referendum. La segreteria e il tesoriere, prendendo atto di questa volontà del partito, proposero al consiglio federativo la scelta della campagna dell'autofinanziamento e le modalità tecniche di realizzazione, pur avvertendo dei pericoli e delle conseguenze di un possibile fallimento. E questa fu poi la soluzione scelta dal Congresso. Non si può dare un giudizio negativo dei risultati di quella campagna. Direi al contrario che se ne può dare "un giudizio positivo" soprattutto perché per la prima volta il partito a tutti i suoi livelli, a cominciare da quello congressuale, si è investito collettivamente del problema dell'autofinanziamento delle proprie lotte, dando vita a una campagna che ha dato risultati positivi, anche se parziali e insufficienti. Quei risultati positivi ci dicono di quali potenzialità il partito disponga, esattamente come nell'iniziativa politica a cui del resto è strettamente collegato, quando si rivolge all'esterno, alla gente e trova i mezzi per comunicare con la gente. Abbiamo pubblicato la prima parte di quella sottoscrizione. La risposta è stata di massa. Mezzo giornale non è stato sufficiente a comprendere e pubblicare la metà dei nomi. "Ancora una volta il grosso del finanziamento è venuto da migliaia e migliaia di persone non ricche", spesso anzi non agiate o addirittura povere. "Se ai 150 milioni di sottoscrizione aggiungiamo i 100-110 che valutiamo si siano raccolti direttamente ai tavoli per l'autofinanziamento dei cancellieri e degli adempimenti tecnici della raccolta delle firme, questi risultati ci dicono che il raggiungimento completo dell'biettivo congressuale con la raccolta di altri 150 milioni era alla portata pratica del partito. Invece l'abbiamo mancato". Le valutazioni positive non possono farci nascondere il fatto che a causa di questo insuccesso il congresso straordinario ha semplicemente dilazionato e rinviato un problema di fronte al quale oggi ci troviamo esattamente negli stessi termini di allora. Come avevamo previsto il partito è oggi paralizzato in ogni possibilità di attività politica nazionale, cioè proprio nel momento in cui dovremmo far fronte ai programmi, ai compiti, alle responsabilità che ho elencato, il partito chiude, chiude letteralmente, chiude i telefoni, chiude le sedi, chiude con la stampa di altri giornali, chiude probabilmente perfino il ciclostile di notizie radicali. E il consiglio federativo si trova più del congresso nella necessità di dover ancora rinviare e dilazionare. Formalmente il finanziamento pubblico non è toccato, sostanzialmente è ipotecato dal debito. Ma a parte il rinviare e il dilazionare, che fare? Entro settembre: 5.000 nuovi iscritti 150 milioni di autofinanziamento Possiamo gestire la chiusura in funzione di un ridimensionamento dell'attività politica nazionale che ci lascerebbe scoperti e disarmati, politicamente assenti e incapaci di risposta davanti agli sviluppi gravi della situazione politica e davanti ai compiti e alle responsabilità di opposizione, anzi essere l'unica opposizione democratica oggi esistente che questa situazione politica ci assegna? Oppure possiamo e dobbiamo gestire questa chiusura tentando di far fronte a queste necessità? Io credo che questa possibilità se sapremo assumercela tutta, cioè se sapremo far fronte insieme con un nuovo sforzo di mobilitazione collettiva. Si tratta di fissarci ancora una volta obiettivi e scadenze ambiziose e difficili ma realistiche: crediamo che essi possano essere indicati nell'obiettivo di: "portare a compimento entro settembre la parte mancata dell'obiettivo congressuale di maggio e di porci l'obiettivo di 5.000 nuovi iscritti al congresso di Bologna. Sarebbero 200 milioni che non risolverebbero la situazione ma che ci porterebbero al mese di ottobre, alle scadenze precongressuali" in una situazione molto meno drammatica, che ci consentirebbe di valutare la nostra capacità di mobilitazione collettiva sull'autofinanziamento delle nostre lotte e quindi fornirebbero al congresso indicazioni precise e valide e capacità di previsione sui programmi e le iniziative del prossimo anno. Io credo che uno sforzo che insieme possiamo compiere e di cui insieme in questo consiglio federativo dobbiamo valutare e precisare le modalità e i tempi di attuazione.