Per i diritti degli indigeni per i diritti degli animali
Occuparsi della regolamentazione del mercato degli animali da pelliccia, apre un orizzonte, anche doloroso, di riflessioni che riguardano il nostro sistema di vita: da un lato il consumismo e i lussi ai quali non vogliamo rinunciare; dall'altro la fatica e lo strazio a cui costringiamo una parte del pianeta e degli esseri viventi Nella prima metà della legislatura, come ho già detto, faccio parte della Commissione per le relazioni economiche esterne (Rex), e mi è accaduto di occuparmi della regolamentazione della importazione delle pelli degli animali da pelliccia pregiata e del relativo commercio. Non so se avete mai riflettuto sui diversi aspetti del mercato delle pellicce, e sui diversi gradi di necessità esistenziale che in esso si giocano. Per l'animale vuole dire perdere la vita; per certe popolazioni indigene, che vivono di caccia, vuole dire sopravvivenza; per coloro che acquistano le pellicce, vuole dire quanto ciascuno intende investire di status, di piacere, di esibizione o di bisogno personale. A me - a cui è toccato di dovere riflettere su tutti e tre questi elementi - la questione ha mostrato tutti i suoi lati oscuri e anche dolorosi. Per comprendere quello che voglio dire basta leggere le definizioni di trappola e di trappola al laccio, e di quest¹ultima soprattutto: "Un laccio infilato in un congegno ad arresto, inteso a formare un cappio che provochi lo strangolamento, restringendosi progressivamente, intorno al collo e al corpo degli animali".
Questo è solo uno dei modi in cui vengono catturati gli animali, e non solo quelli cacciabili, ma tutti quelli che - anche domestici - finiscono nelle tenaglie di ferro di una trappola dalla quale non possono più fuggire, se non strappandosi a morsi pezzi di corpo. E' stato mentre sostenevo l'abbandono di certi strumenti di cattura feroci e indiscriminati, e il ritiro dal mercato delle pellicce così ottenute, che ho cominciato a ricevere le prime visite e le lettere. Tralascio di raccontare gli incontri con i pellicciai; le loro raccomandazioni perché i vincoli al commercio e la regolamentazione sui sistemi di cattura slittasse di un anno o due: imporle prima sarebbe un inutile proibizionismo, dicevano. Tutto continuerebbe allo stesso modo, ma nella clandestinità. Quanto alle lettere, invece, a scriverle era l'International Work Group for indigenous affairs. In esse si sosteneva la causa degli indigeni della Groelandia e del Canada e il loro diritto a cacciare per sopravvivere. La loro esperienza, mi informavano, è tanto elevata e specifica da consentire loro di catturare solo certi animali, risparmiando quelli protetti, e riconoscendo finanche i maschi dalle femmine. Successivamente mi sono giunti i cataloghi con le facce degli indigeni: facce antiche, belle e terribili.
Our land, our culture, our future, si leggeva sulla copertina, mentre il depliant illustrava con le immagini la convivenza elementare di indigeni di ogni età - bambini, anziani, uomini e donne in forze - con animali vivi e morti. Trattati con affetto i primi, spellati con identico amore i secondi. E' indubbio che quella fosse la loro tradizione, così come per gli indiani d'America dare la caccia Bisonte (non a caso rappresentazione terrestre di Manitù), e cibarsi della sua carne, usarne la pelle e ogni altra piccola parte, senza buttare via nulla. Ma proprio per questo, non si può ignorare che gli indigeni, in tempi non lontani - cinquanta o settanta anni fa, al massimo -avevano con gli animali un rapporto di rispetto necessitato dalla loro stessa vita. C¹era fra loro un equilibrio delicatissimo, dove non era ammissibile lo spreco di nessuna esistenza. Niente a che vedere con l'uccisione incontrollata e inutile imposta dai ritmi frenetici della società dei consumi e delle vanità. Si è creato, ai danni degli indigeni (e degli animali) - un mercato del lusso, dal quale i primi non ricavano nulla o quasi nulla. Uccidono di più e più indiscriminatamente, ma nello stesso tempo guadagnano cifre ridicole; si arricchiscono, invece, i loro "protettori", i cosiddetti mediatori, e rivenditori. Le pelli finiscono spesso - come dimostrano tutti i nostri dossier - nei paesi dove non c'è nessun bisogno di indossare una pelliccia. Nel frattempo il loro habitat si impoverisce, le specie si estinguono, le loro tradizioni di caccia si perdono definitivamente: insieme scompaiono uomini e animali. Questo è un tipico esempio di modello di sviluppo che è necessario combattere: esso mette gli esseri umani contro gli altri esseri viventi, in una spirale distruttiva nella quale siamo destinati a perdere tutti.