L'Europa non cade dal cielo

Nella mia storia politica ho imparato l'importanza delle istituzioni: la necessità che esse funzionino nel rispetto delle regole e delle leggi (che devono esistere ed essere certe); la necessità della lotta per il ripristino della legalità, come fonte di democrazia e di garanzia politica e civile per tutti. La mia esperienza politica radicale, pur avendo caratteristiche di movimento, mi ha portata a essere molto attenta alle istituzioni - giudicate un riferimento necessario della democrazia - e ho sempre lavorato per costruirle e farle funzionare. Con queste premesse, non dovrebbe essere difficile comprendere perché, appena giunta al Parlamento europeo, sono andata nella Commissione istituzionale: un'assise di parlamentari che si occupa di cosa devono essere le istituzioni europee, oltre che dell'accelerazione democratica necessaria per insediarle prima che la loro esistenza sia compromessa. Per chiunque misuri la commissione istituzionale dal di fuori, e cioè dallo scarso impatto che i suoi lavori hanno sulla realtà, può ritenerla arida e noiosa e, in un certo senso, inutile. Eppure, per chi è convinto che l'integrazione europea sia il cammino necessario perché gli Stati operino in comune, in una situazione di uguaglianza, garantita da un diritto sovranazionale, formale e obbligatorio, la Commissione istituzionale è un luogo dove si tenta di costruire l'Europa politica e democratica. Il luogo dove il Parlamento degli eletti dai popoli - 518 deputati per 342 milioni di cittadini - cerca di affermare il proprio ruolo naturale: fare leggi, vegliare sul rispetto delle norme fondamentali dei Trattati di Roma, dialogare in un rapporto politico definito e costante con le altre istituzioni europee. Ma il Parlamento si è dato anche un compito in più: essere il motore della riforma democratica delle istituzioni della Comunità e la sede in cui si elaborano i principi fondamentali della Costituzione dell'Unione europea. In questa legislatura, la Commissione istituzionale è stata al centro del tentativo del Parlamento di svolgere un ruolo di Assemblea costituente. Questo é accaduto tanto nella fase delle conferenze intergovernative che hanno portato a Maastricht, tentando di influenzare e di correggere le tendenze conservatrici e poco federali dei Governi, quanto nella fase successiva alla firma del Trattato sull'Unione. In questa fase la Commissione ha elaborato un vero testo di Costituzione che, partendo da Maastricht ne supera i limiti, definendo in termini più vicini alla teoria federalista le competenze dell'Unione, ed in modo più trasparente ed equilibrato le funzioni e i rapporti fra le istituzioni. Questo testo, fin'ora votato solo in commissione, è l'ultimo contributo che la Commissione istituzionale ha fornito al Parlamento, alle altre istituzioni, agli europeisti convinti, come strumento da cui partire per entrare in una vera fase costituente che porti all'approvazione della nuova Costituzione nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento europeo. E' una necessità per fare comprendere ai cittadini europei che cosa è l'Europa, quali ne sono le competenze e come interagiscono con i poteri nazionali e regionali, ed anche per fissare - alla vigilia dell'allargamento - un quadro definito e stabile della dimensione politica dell'Europa, per quei paesi che ne volessero fare parte. Opposta e antitetica a questa Europa politica e democratica, che pone un limite ai poteri dei singoli Stati e li armonizza a partire da esigenze sovrannazionali, c'è solo l'Europa degli Stati nazionali, basata sui rapporti di forza, dove si giocano pesanti compromessi a spese dei più deboli con rischi per tutti.

Signori Presidenti e colleghi, il gruppo Verde, e i partiti e movimenti di cui è espressione, sono certamente la più giovane famiglia politica del nostro Parlamento dell'Europa. Quarant'anni fa, dunque, non eravamo fra quanti salutarono nella CECA e nella sua Assemblea l'embrione di quella solidarietà di fatto che, passando per la definitiva riconciliazione franco-tedesca, avviava il percorso dell'integrazione europea come nuova frontiera di pace e convivenza da conquistare per tutti i popoli europei. Oggi, nel quarantennale della nostra Assemblea, ricordiamo con rispetto il nucleo di precursori che seppe trarre dal fertile magma di quegli anni un progetto e un metodo capaci di scrivere una nuova pagina della storia; ma, in particolare, il nostro pensiero va a coloro che di quel magma furono gli instancabili animatori, agli utopisti che si battevano fin da allora per un'organizzazione europea democratica e federalista, rigettando lo schema realista dei piccoli passi. Voglio salutare anch'io per tutti il nome e la memoria di Altiero Spinelli, il cui contributo alla vita del Parlamento e della Comunità resta l'esempio più vivo della forza concreta dell'utopia. Ripercorrendo le origini, la polemica fra le varie scuole di pensiero che nutrirono il dibattito di quegli anni - federalisti, unionisti, intergovernativi, nazionalisti - è d'obbligo ricordare, signor Presidente del Consiglio, la dichiarazione dell'Orologio. Mentre a Maastricht, il Consiglio Europeo ha fatto sparire persino il timido accenno alla vocazione Federale dell'Unione, Robert Schuman, dal canto suo, affermava che "la mise en commun des productions de charbon et d'acier assurera immédiatement l'établissement de bases communes de développement économique, première étape de la féderation européenne". E' questa utopia che è venuta meno nel corso degli anni, nei quali il Parlamento ha conquistato qua e là qualche briciolo dei poteri e delle prerogative proprie di un Parlamento e l'illusione di un equilibrio istituzionale democratico, senza però riuscire a scalfire davvero il muro delle sovranità nazionali. Il progetto di trattato di Unione europea siglato a Maastricht, senza voler negare gli aspetti positivi che pure esistono e senza dimenticarne il significato simbolico che è venuto via via assumendo, costituisce da questo punto di vista un monumento alla visione di una Europa in cui gli interessi nazionali fanno premio sulle motivazioni ideali da cui nacque il percorso d'integrazione europea. E non è un caso che, oggi, assistiamo nel cuore stesso dell'Europa al rinascere dei fantasmi, ahimè quanto vivi e reali, del nazionalismo e al dilagare della violenza razzista e xenofoba. L'Europa di Maastricht è un'Europa che rischia di perdere per strada, signor Presidente della Commissione, i fini originari, prigioniera di un metodo e di costruzione non democratica, incapace di adeguarsi in tempi utili al corso della storia dopo la caduta del muro di Berlino, assumendo come propri obiettivi le grandi sfide del sottosviluppo, della democrazia e dell'ambiente. Tra pochi giorni i francesi si esprimeranno su Maastricht e sappiamo con quanta apprensione è atteso questo verdetto dagli addetti ai lavori, dai mercati finanziari, dalle élites economiche e dalla burocrazia europea. Mi pare che questa scadenza lasci perplessi e frastornati i cittadini che non riescono a trovare nell'impianto di Maastricht quelle garanzie di democraticità, di trasparenza, di vera sussidiarietà che uniche possono fare della costruzione europea, fino in fondo, affare della gente, dei lavoratori, dei più emarginati, di tutti. Non è un gran risultato, e lo dico con dispiacere, essere appesi al filo del 50 per cento. Parafrasando Clemenceau, potremmo dire che l'Europa è cosa troppo seria per farla fare solo ai diplomatici. Certo è che continuare ad escludere questo Parlamento, i Parlamenti, le regioni, dal processo negoziale di modifica dei trattati è a dire poco miope. Noi Verdi, certamente gli ultimi arrivati in questo Parlamento - ma proprio per questo, forse, più attenti e memori delle motivazioni da cui nacque il sogno europeo - siamo testardamente convinti che la costruzione dell'Europa sia una condizione necessaria per incidere sulle urgenze che ogni giorno ci richiamano alla necessità di concepire istituzioni e politiche adeguate. Per fare questo, non possiamo che richiamarci all'unico modello di Europa capace, a nostro giudizio, di coniugare democrazia, ambiente e solidarietà: l'Europa federalista, l'Europa delle regioni, l'Europa della convivenza. Nel 1952, l'Assemblea appena insediata fu investita del compito di redigere in sei mesi un progetto di comunità politica, dunque una costituzione. L'Europa urgeva unita, partecipata, fondata su principi democratici. Oggi, come allora, rivendichiamo al nostro Parlamento il compito di redigere la costituzione dell'Europa come passaggio necessario per dare chiarezza e trasparenza al progetto europeo e alla sua realizzazione. Per concludere, non imporremo dall'alto una costruzione sentita come estranea e come strumentale. Solo ritrovando i valori originali, gli obiettivi adeguati alle sfide dei nostri tempi, le motivazioni che consentiranno a tutti di essere protagonisti e partecipi nella costruzione dell'Europa, potremo riprendere nelle nostre mani il testimone facendo tesoro dell'esperienza di questi quarant'anni. Il sogno europeo non può più aspettare. Tocca ad ognuno di noi esercitare la propria responsabilità politica per farne una realtà.