Su Giorgiana Masi
Istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle vicende che hanno determinato la strage avvenuta a Roma il 12 maggio 1977, nella quale è rimasta uccisa Giorgiana Masi e sono stati gravemente feriti numerosi cittadini e sulle responsabilità delle pubbliche autorità in relazione agli stessi fatti.
PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DEI DEPUTATI PANNELLA, AGLIETTA MARIA ADELAIDE, AJELLO, BOATO, BONINO EMMA, CICCIOMESSERE, CRIVELLINI, DE CATALDO, FACCIO ADELE, GALLI MARIA LUISA, MACCIOCCHI MARIA ANTONIETTA, MELEGA, MELLINI, PINTO, ROCCELLA, SCIASCIA, TEODORI, TESSARI ALESSANDRO Presentata il 20 giugno 1979
SOMMARIO - La proposta di istituzione di una Commissione d'inchiesta sulla strage del 12 maggio 1977 al fine di affrontare i seguenti problemi: legittimità del provvedimento con cui si vietavano, per due mesi, tutte le manifestazioni a Roma; individuazioni delle ragioni per cui si è voluto impedire in particolare una manifestazione finalizzata alla raccolta delle firme di referendum e quindi in attuazione di un istituto costituzionale; individuazione delle eventuali pressioni politiche realizzate al fine di danneggiare il Partito radicale; accertamento delle responsabilità di chi ha ordinato la carica delle forze di polizia contro chi passava nei pressi di Piazza Navona e, successivamente, ha dato l'ordine di uso delle armi; accertamento delle responsabilità di chi ha disposto l'impiego di agenti "travestiti" da "autonomi"; individuazione dei responsabili delle false dichiarazioni rese dal Ministro dell'interno; individuazione delle responsabilità della Magistratura in relazione alla mancata ricerca dei responsabili dell'uccisione di Giorgiana Masi e dell'omessa incriminazione dei responsabili di numerose azioni delittuose realizzate dalle forze dell'ordine. (CAMERA DEI DEPUTATI - VIII LEGISLATURA - DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI N. 104)
COLLEGHI DEPUTATI !
Il 12 maggio'977 a Roma, mentre era in corso la campagna per la raccolta delle firme per i referendum promossi, ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione, dal partito radicale, verso le ore 20 fu uccisa, all'imbocco del ponte Garibaldi, Giorgiana Masi e furono feriti Elena Ascione e il carabiniere Francesco Ruggiero. Giorgiana cadde, colpita alla schiena, da un proiettile calibro 22 che le trapassò la vertebra, mentre fuggiva ad una carica della polizia. Volgeva la schiena al ponte, alle forze di polizia che avanzavano. Nel corso della stessa giornata, fin dalle ore 13, altre decine di cittadini, tra cui alcuni parlamentari, furono malmenati, colpiti e feriti dalla polizia che non denunciò invece alcun ferito fra gli agenti. I 1.500 uomini della polizia, dei carabinieri, della guardia di finanza, della squadra mobile, avevano ricevuto l'ordine non solo d'impedire lo svolgimento della "festa" a piazza Navona e della raccolta delle sottoscrizioni ai referendum radicali, ma di coinvolgere tutto il centro storico di Roma, con un impressionante e sproporzionato impiego di forze, nella caccia di chiunque, "manifestante" o passante, circolasse a piedi, potesse essere sospettato di aver intenzione di recarsi a piazza Navona. In quelle circostanze la polizia fece largo uso delle armi da fuoco, degli artifici lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo, degli altri mezzi di coercizione, degli agenti in borghese travestiti da "autonomi" con bavagli, armi improprie e pistole non d'ordinanza. L'imprevisto comportamento sostanzialmente passivo dei "manifestanti" e dei passanti, il copioso materiale fotografico e cinematografico realizzato dai giornalisti che erano stati convocati per ben altra rappresentazione, ha consentito all'opinione pubblica, o almeno ad una sua parte, di partecipare indirettamente a quello che, secondo i programmi dei registi, doveva essere un bagno di sangue, una ritorsione per l'assassinio dell'allievo Passamonti, una "lezione" ai radicali e una vittoria della maggioranza d'ordine contro gli oppositori "sanguinari" e "violenti". Il risultato di questa "brillante" operazione di guerra è stato la privazione della vita ad una giovane, inerme, ragazza di 18 anni; la rabbia e la disperazione imposta anche a chi non voleva accettare la logica della vendetta; la riduzione dello spazio politico esclusivamente al confronto fra forze di regime e partito armato. Poi l'indecoroso comportamento di un ministro della Repubblica costretto, davanti alle prove fornite ogni giorno dalla stampa, a smentire giorno dopo giorno le menzogne che era costretto a riferire persino al Parlamento: i "manifestanti" avevano aggredito la polizia; non c'erano agenti in borghese travestiti da "autonomi"; non erano armati; non avevano le P.38; non avevano sparato... A tre anni da quella data la magistratura, che aveva avviato due inchieste su quegli avvenimenti, una relativa all'assassinio di Giorgiana Masi e al ferimento di Elena Ascione e Francesco Ruggiero, l'altra sul comportamento delle forze dell'ordine nelle fasi precedenti a questi fatti, ha rinunciato ad individuare qualsiasi responsabilità, dopo aver omesso in questi anni di avviare qualsiasi indagine significativa sui fatti denunciati. Nonostante il copioso materiale messo a disposizione dalla parte civile (55 testimonianze, centinaia di fotografie, due filmati, perizie balistiche), dagli atti istruttori depositati in questi giorni emerge un fatto inquietante: i magistrati inquirenti si sono praticamente limitati a formalizzare alcune di queste prove, a raccogliere dichiarazioni, nella maggioranza rese per iscritto, da parte dei funzionari e degli ufficiali che avevano diretto le operazioni del 12 maggio 1977, senza neppure interrogare il Questore di Roma e gli estensori di questi mattinali così burocraticamente simili. I massimi livelli d'indifferenza, se non di spudoratezza, sono stati raggiunti nella mancata identificazione degli agenti ripresi nei filmati e nelle fotografie mentre fanno uso delle armi, nella mancata individuazione dei responsabili delle false dichiarazioni rese alla stampa, in Parlamento e alla Magistratura circa l'uso delle armi, nel rifiuto di procedere alle perizie richieste per determinare con precisione l'arma, il proiettile, la distanza dalla quale era stato sparato, la dinamica dell'assassinio. Ma nonostante la gravità dei fatti appena accennati, che hanno trovato ampia documentazione sui giornali e su "libri bianchi", il ricorso allo strumento parlamentare dell'inchiesta apparirebbe solo parzialmente giustificato se non concorressero altri motivi che configurano invece, pienamente, il "pubblico interesse", richiesto dall'articolo 82 della Costituzione, nell'accertamento autonomo da parte del Parlamento delle gravi responsabilità del Governo, dell'Amministrazione, della Magistratura non solo in relazione ai comportamenti messi in atto nel corso della strage del 12 maggio 1977, ma anche agli eventi che hanno preceduto, giustificato e seguìto quella tragica giornata. E non ci riferiamo solo a quei comportamenti che evidenziano emblematicamente l'uso distorto e illegittimo della polizia e delle armi da fuoco, l'effetto criminogeno delle norme fasciste del testo unico di pubblica sicurezza a cui si è appellato il Prefetto di Roma o quelle della legge "Reale", la "resistenza" della Magistratura nelle indagini che coinvolgano la responsabilità delle forze di polizia e del Governo. Intendiamo soprattutto riferirci a quella che a molti è apparsa come una precisa volontà del Governo dell'epoca di screditare, criminalizzare, di fronte all'opinione pubblica, l'iniziativa referendaria e l'opposizione nonviolenta del Partito radicale attraverso una preordinata azione di provocazione realizzata dalla questura di Roma che per l'intera giornata del 12 maggio 1977 ha "cercato" il morto, sia in divisa che "civile", per addossarne la responsabilità sui promotori della iniziativa politica. Il Questore di Roma è stato rimosso ma evidentemente a noi sembra che i promotori di questo disegno cinico quanto criminale non possano essere ricercati solo nella questura di Roma, ma ben più in alto, nei centri di potere e di direzione dello Stato. Questo accertamento consentirebbe anche di individuare nuovi Centri di provocazione sicuramente non estranei alle drammatiche vicende che sono seguite in Italia. L'inchiesta parlamentare su questi fatti presenterebbe inoltre non solo i caratteri di una "inchiesta politica" ma anche quelli di una "inchiesta legislativa" che possa accertare e definire i presupposti di una legislazione futura, anche abrogativa, atta ad impedire quei comportamenti anticostituzionali, quelle omissioni che, sotto le più diverse specie, sono stati rappresentati in quella vicenda. Ultima, ma non meno importante, ragione della nostra proposta d'inchiesta parlamentare è costituita dalla convinzione che in una "situazione aggrovigliata da un complesso di responsabilità pubbliche", qualunque possa essere l'esito dei due procedimenti instaurati davanti al Tribunale di Roma, non sarà possibile ottenere una risposta organica agli interrogativi prima posti. E' evidente del resto che le responsabilità che possono configurarsi potrebbero raggiungere livelli ai quali dovrebbe fermarsi l'iniziativa della magistratura non solo e tanto per le funzioni dei possibili "imputati" ma per il carattere politico delle responsabilità. Di qui l'iniziativa di una inchiesta che affronti gli eventi del 12 maggio 1977, quelli che li hanno preceduti e seguiti, da ogni aspetto e che rappresenti anche, per gli altri poteri dello Stato, uno stimolo a comportamenti adeguati. E' forse il caso di aggiungere che la Camera ha già avuto modo, in varie occasioni nella VII legislatura, di affrontare questi problemi e di rendersi conto dell'ampiezza delle responsabilità politiche che sono coinvolte dai fatti del 12 maggio 1977. Questa inchiesta rappresenterebbe quindi solo la naturale prosecuzione dello intervento ispettivo attivato dai gruppi di minoranza e che la maggioranza non può più eludere. La Commissione parlamentare d'inchiesta dovrebbe quindi affrontare principalmente i seguenti problemi relativi ai fatti del 12 maggio 1977: 1) legittimità del provvedimento del prefetto di Roma con il quale si vietavano, per un periodo di circa due mesi, tutte le manifestazioni nella Capitale; la compatibilità delle norme di pubblica sicurezza con il dettato dell'articolo 17 della Costituzione; le responsabilità politiche in relazione a questo divieto; 2) individuazione delle ragioni che hanno determinato la decisione di mantenere il divieto per la manifestazione di piazza Navona, in considerazione della finalità che aveva in attuazione di un istituto costituzionale, anche quando gli organizzatori avevano annunciato di rinunciare ai comizi e di volersi limitare a svolgere una "festa" musicale ed a raccogliere le sottoscrizioni referendarie; le ragioni della mancata presa in considerazione della richiesta dei segretari nazionali delle tre confederazioni sindacali e del presidente del gruppo socialista alla Camera di autorizzare almeno la "festa" e comunque di essere ricevuti per scongiurare la tragedia che si annunciava; 3) individuazione delle eventuali pressioni politiche realizzate al fine di danneggiare il partito radicale e l'iniziativa referendaria che in quei giorni si avvicinava al traguardo delle 500 mila firme, attraverso un piano di provocazione politica e poliziesca; 4) accertamento delle responsabilità di chi, sin dalle ore 13, ha diffuso tra le forze dell'ordine la notizia del ferimento di alcuni poliziotti da parte dei "manifestanti"; di chi ha dato l'ordine della prima carica contro pacifici passanti a piazza San Pantaleo; di chi ha dato l'ordine, attraverso la radio in dotazione della polizia, di far uso delle armi, come risulta dalla registrazione dei colloqui intercorsi tra la Questura e i responsabili di settore; 5) accertamento delle responsabilità di chi ha disposto l'uso di agenti "travestiti" da "autonomi", che imbavagliati, con mazze di ferro, con pistole non d'ordinanza hanno creato tra i poliziotti e i cittadini un clima di terrore e panico provocando reazioni sproporzionate da parte delle forze di polizia e l'uso generalizzato delle armi contro gruppi di persone inermi; 6) valutazione, anche alla luce delle disposizioni generali di polizia, dell'intero comportamento e dei movimenti dei reparti di polizia nel corso dell'intera giornata; 7) valutazione dell'attendibilità delle verifiche fatte sulle armi d'ordinanza, anche alla luce delle prove presentate dalla parte civile e che smentiscono le dichiarazioni di ministri e questori circa il mancato uso delle armi da fuoco nel corso della giornata; 8) individuazione dei responsabili delle false dichiarazioni rese dal Ministro dell'interno, nei giorni successivi al 12 maggio, sia sulla stampa che in Parlamento e che solo parzialmente sono state rettificate; 9) individuazione delle responsabilità della Magistratura non solo in ordine alla mancata ricerca dei responsabili della morte di Giorgiana Masi ma anche per l'omessa individuazione e incriminazione dei responsabili delle numerose azioni delittuose che sono state realizzate nel corso dell'intera giornata da parte delle forze dell'ordine; 10) censimento delle armi non d'ordinanza possedute singolarmente da appartenenti alle forze dell'ordine o dalle scuole di polizia e dei carabinieri; 11) accertamento della esistenza o meno di altri documenti e dati, in possesso dell'Amministrazione, che non siano stati rimessi alla Magistratura, in ordine allo schieramento delle forze di polizia, agli ordini di servizio, ai rapporti dei reparti operanti, nonché ai dati forniti al Ministro per la sua dichiarazione in Parlamento. Con la presente proposta di legge il gruppo parlamentare radicale, adempiendo all'impegno preso non solo nei confronti della famiglia di Giorgiana Masi ma di tutti i sinceri democratici, intende fornire a tutti i parlamentari di ogni gruppo politico una occasione per l'accertamento della verità su di una vicenda che ha gravemente inquinato la vita politica italiana e provocato conseguenze laceranti nel tessuto sociale del Paese, nella convinzione che solo su questi presupposti di certezza e di chiarezza gli istituti costituzionali della Repubblica possano affrontare positivamente gli attacchi e i tentativi di screditamento che sono messi in atto con allarmante violenza e determinazione da forze interne ed esterne dello Stato. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. E' istituita una Commissione parlamentare d'inchiesta con il compito di accertare l'operato delle pubbliche autorità in relazione: ai fatti accaduti in Roma il 12 maggio 1977, nella zona circostante piazza Navona fino a piazza Gioacchino Belli, dalle ore 13 alle ore 21,30; all'uccisione di Giorgiana Masi e al ferimento di Elena Ascione e del carabiniere Francesco Ruggiero nonché di altri numerosi cittadini; ai fatti e decisioni che hanno determinato quegli eventi; alle indagini condotte per scoprire gli autori, i correi ed i mandanti di tali fatti. La Commissione ha in particolare il compito di ricostruire tutti i fatti menzionati al primo comma del presente articolo al fine di accertare l'eventuale esistenza di una volontà in alcuni centri di potere di creare tensioni e violenze nella città di Roma e reazioni nel resto dell'Italia al fine di legittimare provvedimenti legislativi repressivi e condizionare le forze politiche ad accordi altrimenti non giustificabili dall'opinione pubblica; di screditare l'iniziativa referendaria e criminalizzare l'opposizione non violenta del partito radicale. La Commissione ha inoltre il compito di analizzare, alla luce della ricostruzione di cui al precedente comma, l'adeguatezza e l'efficacia dell'attuale legislazione relativa al mantenimento dell'ordine pubblico, delle disposizioni e regolamenti relativi all'impiego delle forze dell'ordine in divisa e in borghese, all'uso delle armi e degli altri strumenti coercitivi nel corso delle pubbliche riunioni, all'uso e possesso di armi non d'ordinanza e alle possibilità di accertare con sicurezza l'uso del]e armi da parte della polizia. La Commissione ha quindi il compito di individuare a chi debba essere ricondotta la responsabilità delle false dichiarazioni rese dal Ministro dell'interno dell'epoca alla stampa e al Parlamento. La Commissione ha infine il compito di valutare il comportamento delle pubbliche autorità in ordine alle indagini sui fatti di cui al primo comma del presente articolo al fine di accertare l'eventuale esistenza di carenze o pressioni politiche che possano aver determinato comportamenti omissivi. ART. 2. La Commissione è composta da venti deputati e venti senatori designati proporzionalmente dai Presidenti delle Camere tra i rappresentanti di tutti i Gruppi parlamentari. La Commissione è presieduta da un parlamentare nominato di comune accordo dai Presidenti delle Camere, al di fuori dei componenti la Commissione, ma della quale fa parte ad ogni effetto. ART. 3. La Commissione procede con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria, avvalendosi di ogni mezzo ed istituto procedurale, sia penale che civile o amministrativo e può avvalersi, nello espletamento dei propri lavori, della collaborazione di ufficiali di polizia giudiziaria di propria scelta. La Commissione potrà avvalersi delle risultanze di altre indagini, sia penali che amministrative già acquisite, nonché di ogni altro mezzo di accertamento ed alla stessa non potrà essere opposto né il segreto professionale, né il segreto bancario, né il segreto istruttorio, né il segreto militare, né il segreto di Stato. ART. 4. I componenti la Commissione, i funzionari ed il personale di qualsiasi ordine e grado addetti alla Commissione stessa ed ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda le deposizioni, le notizie, gli atti ed i documenti acquisiti al procedimento di inchiesta. Salvo che il fatto costituisca un più grave delitto, la violazione del segreto è punita a norma dell'articolo 326 del codice penale. ART. 5. La Commissione d'inchiesta conclude i suoi lavori entro sei mesi dalla data della costituzione. Conclusa l'inchiesta, la Commissione dà mandato ad uno o più dei propri componenti di redigere la relazione; i parlamentari che dissentono possono presentare una relazione di minoranza. La Commissione, a maggioranza dei propri componenti, delibera di pubblicare i verbali delle sedute, i documenti e gli atti. ART. 6. I Presidenti delle due Camere, di comune accordo, provvedono alla destinazione dei funzionari e dei servizi necessari al funzionamento della Commissione. Le spese per il funzionamento della Commissione sono a carico, in parti eguali, dei bilanci del Senato e della Camera dei deputati.