Personale e Politico

La scoperta della malattia, e di una malattia che appartiene al nostro tempo, è un'esperienza insieme di disintegrazione e di compassione verso sé e verso gli altri. Ci si chiede come sia potuto accadere, in quale parte della coscienza qualcosa abbia continuato a soffrire a nostra insaputa; quand'è che il nostro corpo si è inceppato, o si è ribellato Una delle conseguenze più pesanti della delega in bianco al potere politico, è stata senz¹altro lo scandalo della "mala sanità". Scoprire che il ministro deputato alla salute pubblica e i massimi esponenti delle case farmaceutiche e dell'ordine dei medici, somigliassero piuttosto a Ceausescu che a liberi e responsabili individui di una società democratica, ha fatto infuriare e, credo, disperare milioni di persone. A parte le considerazioni moralistiche sulla qualità del reato, (lucrare sulla salute è davvero peggio che lucrare sul lavoro, sull'ambiente o sulle carceri?) è certamente vero che la salute è un ambito dell¹esistenza di ciascuno in cui a volte delegare diventa un'autentica necessità. Non solo perché la maggioranza di noi non ha studiato medicina, ma anche e soprattutto perché il divario sempre più profondo fra scienza e potere, si è trasformato nella scienza come potere. Potere di vita e di morte sulle persone; sulla malattia; sulla gestione dei farmaci; sulla loro sperimentazione... Se c'è una parte dell'esistenza dove si impone un'attenzione collettiva e individuale, nella quale sarebbe necessario rompere gli schemi del conformismo della scienza (che non è conformista di per sé, ma in quanto potere indiscusso), questa è la gestione della propria salute.

La visione ecologista dell'individuo, che condivide un unico destino con le altre specie viventi e con gli elementi che gli permettono di esistere, ha rimesso in discussione molte certezze scientifiche che hanno ormai tutta l'aria di essere dogmi, e tutta la pretesa di volere esistere in quanto tali. Che cos'è, per esempio la malattia? Come nasce in un individuo? E' giusto trattare tutti gli ammalati con la stessa terapia, invece che con un trattamento individuale, specifico per ciascuno? Oramai, a causa delle mutate condizioni ecologiche - l'aria inquinata, l'acqua contaminata, il sole meno filtrato dalla fascia di ozono, gli alimenti avvelenati dai pesticidi o i veleni prodotti dal consumismo alimentare, gli effetti iatrogeni di migliaia di farmaci distribuiti in ogni casa da una politica sprecona - in ogni famiglia c'è una persona che si ammala di patologie gravi. Anch'io sono stata male in questi due ultimi anni: un carcinoma mammario, una di quelle cose che colpiscono una donna su tre e che ti raggiungono come un colpo alla testa, sparato all¹improvviso. Una specie di epidemia sulle cui ragioni bisognerebbe indagare più a fondo, perché prevenire significa non smettere mai di interrogarsi sulle possibili cause, e avere il coraggio di intervenire su esse, piuttosto che sulle conseguenze. La scoperta della malattia, e di una malattia che appartiene al nostro tempo, è un'esperienza insieme di disintegrazione e di compassione verso sé e verso gli altri. Ci si chiede come sia potuto accadere, in quale parte della coscienza qualcosa abbia continuato a soffrire a nostra insaputa; quand'è che il nostro corpo si è inceppato, o si è ribellato.

Io ho potuto godere di un'assistenza buona, che non è stata quella degli ospedali italiani, ma di un efficiente ospedale belga. Ho fatto l'immersione angosciante nella chemioterapia, e mi sembrava di non riuscire a sopportarla. Ho attraversato tutto il triste percorso che tante persone conoscono, e mi sono chiesta molte volte se avevo fatto la scelta giusta, e se ne avevo un'altra. Ho goduto anche del terribile privilegio di conoscere passo per passo le condizioni in cui ero, la terapia che stavo facendo, e cosa sarebbe accaduto al mio corpo. Credo che di queste cose si discuta poco e si sappia pochissimo, benché tante pubblicazioni del mondo ecologista tentino di proporre degli interrogativi più dettagliati, tentino di aprire un varco su una riflessione di metodo, più che di tecnica. Non è facile, quando ci si ammala, scegliere di fidarsi, mentre negli ospedali circola il sangue infetto di HIV o di antigeni dell'epatite e i farmaci autorizzati sono quelli delle case farmaceutiche che pagano di più; quando si viene trattati male non più per cattiva intenzione, ma per banale abitudine: riflesso di un comportamento più generale. Io non dimentico di avere goduto, nella mia malattia, di alcuni privilegi che derivano dalla mia condizione di parlamentare, e di avere potuto scegliere strutture e assistenza che altri non avrebbero potuto avere. Ma so, credo di averlo sempre saputo, che insieme al privilegio mi compete la responsabilità verso gli altri: quella cioè di concorrere a creare le condizioni perché ciascuno possa scegliere e difendersi. Di sicuro, l'Europa politica serve anche a questo, a garantire con il minimo della fatica e dello spesa che un cittadino, in qualunque paese nasca, possa scegliere dove farsi curare e come.

Vorrei anche aggiungere che da diversi anni sono una paziente omeopatica, e che non ho smesso di vedere il mio medico e di assumere rimedi prima e dopo l'operazione chirurgica. Fra noi ecologisti e ambientalisti c'é una grande attenzione per le medicine cosidette "alternative", nella realtà non convenzionate e non riconosciute dagli Stati membri, ovvero sottoposte a legislazioni nazionali difformi. Il gruppo verde - io personalmente non potevo farlo perchè diversamente impegnata - ha organizzato numerosi riunioni con medici omeopati e di altre medicine, dando seguito all'indicazione dell'Organizzazione mondiale della Sanità che auspica il recupero in ogni paese delle proprie medicine tradizionali. Il Parlamento europeo ha fra i suoi compiti quello di uniformare le leggi nazionali che regolamentano il diritto di ciascun cittadino a curarsi secondo le proprie convinzioni e conoscenze, attraverso direttive chiare e applicabili. Il Gruppo verde, in particolare, sente questo impegno.