Commemorazione di Adelaide Aglietta

Intervento di Gianfranco Spadaccia

Roma, Campidoglio, 22 Maggio 2000

Io sono molto restio a prendere la parola a cerimonie funebri perchè so che parlando delle persone scomparse - come è inevitabile - si finisce sempre per parlare di se stessi. E allora consentitemi di correre fino in fondo questo rischio, e di parlare di me. Dei miei sentimenti per Adelaide, delle cose belle e grandi che abbiamo insieme vissuto, nella vicinanza, e poi da ultimo nel distacco, non solo da noi ma anche da altri amici, nella nostra vita degli ultimi tempi. E allora io non fingerò di non parlare o di dimenticare la coicidenza che questo giorno di dolore grande rende a me - e sarebbe stata triste anche lei - più triste la sua morte e l'addio che le rivolgiamo, dopo il mancato raggiungimento del quorum, di ieri.

La nostra vita e la nostra morte è stata sempre intrecciata di vita privata e vita pubblica, e anche nella forzata lontananza e nel distacco imposti per lei anche dalla malattia, questo intreccio c'è sempre stato. La sua vita è stata intrecciata con le vicende referendarie e con le lotte nonviolente di questo paese. Da quel 24 maggio in cui decise che, dopo l'impegno per l'obiezione di coscienza e per il divorzio, i suoi convincimenti non potevano rimanere l'hobby di una donna borghese, che continuava a vivere chiudendo con una parentesi la sua vita di sempre. E quella era una occasione, una opportunità da cogliere, per cambiare questo paese, e cominciò una vita dura, difficile. Lei appartiene ad una generazione successiva, non solo dal punto di vista anagrafico ma da quello politico. La cosiddetta magnificata generazione del '68, che ha prodotto rivoluzionari senza rivoluzione, e femminismi declamatori. Tu, Adelaide, non hai predicato rivoluzioni, ma hai rivoluzionato te stessa. Hai rivoluzionato la tua condizione e il tuo destino di donna borghese, con i limiti e i privilegi che quel destino ti riservava. E hai cominciato un percorso duro, difficile. Non sei diventata la prima segretaria donna del Partito Radicale, l'organizzatrice e la militante di tante battaglie, dalla fame nel mondo alle tante lotte per le riforme di cui sei stata protagonista, per quote riservate o per promozioni maschili di donne "protesi", di donne "esecutrici". Lo sei diventata perchè hai speso semplicemente te stessa, al di là delle forze che all'inizio ritenevi di avere. Consentitemi di dire che nei suoi rapporti personali la sua liberazione - non userò la parola "gestita" - ha governato i suoi rapporti personali, nelle difficoltà e nelle rotture, con la responsabilità che una persona che crede nella libertà e nella liberazione deve avere. Questo è il rapporto forte che ha mantenuto con i suoi cari. E ringrazio Francesca e Alberta, perchè gli hanno consentito di affrontare l'ultima fase della sua vita accanto alle sue figlie, e di affrontare la sua morte a casa, un privilegio oggi quasi sconosciuto. Ho ricordato parlando con Radio Radicale nei giorni scorsi due episodi: quando nel 1976 - e qui si intreccia con altre vicende referendarie - io che avevo avuto tre anni di segreteria del Partito Radicale, e che credo di aver avuto molta fortuna e qualche merito, in quella segreteria, portando il partito a vincere alcune battaglie e soprattutto a rompere, a sconfiggere l'isolamento cui proprio dopo la battaglia per il divozio sembrava predestinato, e uscivo anche da due tentativi di raccolta di firme referendarie falliti, perchè avevamo vinto la battaglia sulle firme per l'abrogazione del reato di aborto, anche grazie ad alcuni arresti, ma il progetto referendario, quei tanti abusi referendari che oggi ci vengono rimproverati da tutti (questo è uno strano paese, Adelaide, dove c'è un articolo non scritto nella Costituzione che prevede che i diritti si scrivono purchè la gente non pretenda di attuarli) era fallito. E furono giorni - mesi, quando gli chiesi di sostituirmi, per rompere intanto i piccoli equilibri che in un piccolo gruppo si creano e diventano equilibri statici, furono mesi difficili, duri. Perchè sentiva che non si giocava più, bisognava assumere delle responsabilità, e le rotture familiari diventavano rottura con le figlie, che erano ancora piccole. E ho ricordato un altro episodio, minore. Gli altri giornali ricordano le cose più importanti, Marco ha ricordato l'impegno di giurata al processo delle Brigate Rosse, quando venivano tutti accusati di contiguità con le Br, e poi ci avrebbero rivolto l'accusa infame di essere contigui con la mafia... E combattendo contro una di queste norme delle leggi speciali (era stato introdotto l'isolamento prolungato, che coincideva quasi con i tempi dell'ergastolo) c'era un feroce assassino, Andraus, che si ribellò. Non mi ricordo in quale forma lo fece, certamente mettendo a repentaglio la sua vita, ma si ribellò a questa grave forma di isolamento cui era condannato per lungo tempo. E lei si partì per parlare con questo detenuto, che stava nelle stesse condizioni di tanti altri per i quali si era battuta, terroristi, perchè terroristi e politici per gli altri più meritevoli di attenzione. E nacque, per la prima volta, una cosa: uno trattato sempre come una belva feroce, inchiodato al suo destino di belva feroce, si è sentito trattare come persona. Lo voglio ripetere qui: come persona, perchè questo era il radicalismo di Adelaide. Oggi ho visto i giornali, ricordano gli impegni che ha preso, il suo copresidente del gruppo Verde europeo l'ha ricordata, e ricordano i meriti che ha avuto questa Adelaide, di quello e questo Partito Radicale. Poi sono venuti i momenti delle separazioni, che sono momenti difficili. Però io mi ribello sempre a questa classificazione, a questo modo di guardare dal buco della serratura, a questo chiederti anche nel momento della morte e del necrologio la rivalità con Emma, il rapporto con Marco, se era più o meno autonomo di questo o di quell'altro: tutte categorie prepolitiche. Quando poi è sotto gli occhi di tutti che ci sono separazioni, come un tempo ci furono contrapposizioni durissime...

Ricordo il congresso di Bologna del Partito Radicale, Massimo lo ricorderà... Eppure questi rapporti non hanno mai incrinato convinzioni profonde. E poi vorrei dire che ci sono separazioni e separazioni: ci sono quelli che se ne sono andati perchè non condividevano la scelta fatta nel 1989; Adelaide ed io avevamo condiviso la scelta - come definirla? utopia, speranza, illusione - di costruire una forza transnazionale, una forza internazionalista che consentisse una lotta politica per far passare l'ordinamento internazionale dalla legge della giungla ai diritti umani, al rispetto dei diritti di cittadini. Certo anche con realismo, anche tenendo conto della ragione dello stato e degli stati. Allora fatemi ricordare che ci scontrammo, in questo teatrino, con Adelaide, con Francesco, con Franco, e ci scontrammo duramente sulla guerra del Golfo, e poi qualche anno dopo, sulla Bosnia. Con Adelaide, insieme, abbiamo chiesto l'intervento sulla Bosnia, sul Kosovo, ci siamo incontrati di nuovo con Adriano Sofri, che operava finchè poteva in Bosnia... E così io non credo che sia giusto rievocare una mitica classe dirigente radicale, che ha preso le sue strade... E quello che vorrei, e che certamente con me Adelaide condivideva, è il rifiuto del piccolo settarismo che sembra affliggere i piccoli gruppi, per cui il compagno di ieri diventa il nemico di oggi. Questo Adelaide non lo aveva, credo abbia vissuto da radicale la sua esperienza verde, ed è diventata verde perchè pensava fosse un modo per dar corpo a quella utopia, a quella speranza, a quella illusione del partito transnazionale e transpartitico. E quando poi le scelte politiche sono diventate ancora più diverse, questo non le ha impedito di appoggiare il Tribunale per la Bosnia, di essere parte attiva nella associazione di Maria Teresa di Lascia "Nessuno tocchi Caino", di battersi con noi per l'istituzione di un Tribunale permanente contro la violazione dei diritti umani. E' una grandissima perdita, anche personale. Poi, certo, lo dico a tutti, ci sono stati anche i motivi di amarezza: e sono quelli - in questi ultimi anni - che la sua malattia, anzichè diventare motivo di dialogo e di amicizia, diventasse per tanti una sorta di diaframma, di rimozione. Credo che questo lo abbia sofferto, e questo, a nome di Adelaide, va detto.

Ciao Adelaide.