I padroni dell'informazione chiamati a rendiconto?
10 anni di lotte radicali di Adelaide Aglietta
SOMMARIO: Il Partito radicale persegue sull'informazione una strategia che non si limita alla denuncia. Nel 1974 Marco Pannella arriva per la prima volta sui teleschermi solo in seguito ad un lungo sciopero della fame. Nello stesso anno raccolte 300.000 firme contro il monopolio pubblico dell'informazione: la spinta decisiva per il via libera a radio e tv private, nel giudizio di Bonifacio, a conclusione del suo mandato di Presidente della Corte Costituzionale. Nel 1976, in piena campgna elettorale, Pannella e Spadaccia intraprendono lo sciopero della sete per strappare alcuni minuti d'informazione televisiva; da allora, la battaglia sul "conoscere per deliberare" prosegue anche dalle istituzioni. La commissione parlamentare di vigilanza disarmata: i radicali propongono che sia dotata di strumenti conoscitivi e d'indagine, sul modello delle Commissioni senatoriali americane. Il Pr non entra a far parte del Consiglio d'amministrazione della Rai: come per il rifiuto di concorrere nelle elezioni amministrative, e' una precisa scelta politica. (NOTIZIE RADICALI N. 7, 1 giungo 1982)
Per la prima volta nelle cronache degli ultimi trenta anni, mercoledì 14 luglio il presidente della Commissione Parlamentare di vigilanza sulla Rai-TV ha convocato, in seduta pubblica la dirigenza della televisione di stato. Alla seduta erano presenti, oltre ai Commissari di tutti i partiti, il direttore generale De Luca, il presidente Zavoli, il vicepresidente Orsello e i direttori di rete e di testata. Si giungeva a questa convocazione dopo che per tre volte il presidente della Commissione - il democristiano Bubbico - aveva richiamato al loro dovere di "informazione" gli organismi della Rai senza ricevere risposta, nella forma o nei fatti. Ma in realtà queta convocazione è il frutto dell'iniziativa svolta dal Partito Radicale nella sua costante lotta contro la censura e la disinformazione del regime. Ecco come vi si è arrivati.) Quanto è avvenuto in questi ultimi due mesi e sta avvenendo in questi giorni altro non è - nella sua semplicità ma anche nella sua forza - che una tappa in più del percorso radicale verso un'informazione ordinata, al servizio del paese, rispettosa delle leggi e delle regole repubblicane. Da dieci anni, da quando (allora soli) intuimmo la centralità dell'informazione audiovisiva per una autentica democrazia, lavorando affinché l'einaudiano "conoscere per deliberare" prendesse corpo, ma ci è appartenuta la logica della lamentela o della sterile denuncia. L'iniziativa extraparlamentare dapprima e quella di convergenza delle nostre attività in Parlamento e al di fuori di esso in seguito, hanno impedito che alla violenta sterilità dell'occupazione, del saccheggio della Rai da parte dei potenti si rispondesse con l'aridità della denuncia. Una storia che vale la pena di recuperare, con il suo spessore, con la sua capacità di capovolgere muri e ostacoli, sino a scuotere in profondità il monopolio del servizio pubblico radiotelevisivo. 1972: Il partito non si presenta alle elezioni, bruciando addirittura le schede alle urne contro il "voto-truffa" determinato in primo luogo dall'espulsione delle forze politiche nuove dagli schermi televisivi. Il PSIUP disperde un milione di voti, il Manifesto e l'MPL di Labor sono spazzati. Nel 1974 la LID organizza grandi manifestazioni, rompe l'ostracismo di Bernabei, il divorzio "sfonda", entra nelle case. Con il lungo sciopero della fame di Pannella entra anche nelle case - è la prima volta - il partito radicale. E' un'Italia dal volto nuovo, quella che si rivela sul teleschermo: la Rai subisce l'urto, monta la richiesta di mutamento. Il 20 settembre del '74 una grande marcia chiede le dimissioni di Bernabei, che si decide a rassegnarle dopo pochi giorni. Alcuni mesi ed è subito un'altra svolta: prendendo spunto da un decreto dell'allora ministro delle poste, Togni, di attacco al diritto di seguire la TV Svizzera nel nord Italia, il PR pone la questione del monopolio pubblico depositando le 300.000 firme che si sono raccolte. A conclusione del suo mandato, il presidente della Corte Costituzionale Bonifacio dichiarerà al "Corriere" che questa mobilitazione era stata l'occasione scatenante per il varo della sentenza che consentì il passaggio dal monopolio al servizio pubblico, dando via libera a radio e TV private. Con il '76 e in altre successive occasioni, grazie agli scioperi della sete di Pannella e di Spadaccia e all'iniziativa nonviolenta di decine di altri compagni si determina definitivamente il criterio della giusta ripartizione dei tempi in campagna elettorale o in caso di consultazioni referendarie. Nell'inerzia di DP e di LC, Pannella strappa regole del gioco più giuste, è formalmente ricevuto (come segretario di un partito non rappresentato nelle istituzioni) dalla commissione di vigilanza, allora presieduta dal democristiano Sedati, il PR è la prima forza politica nuova a fare ingresso in Parlamento dal dopoguerra. Correttezza del gioco democratico, libertà d'antenna, "rinnovamento" della Rai bernabeiana si conquistano senza presenza parlamentare: ma dal '76 incomincia il lavoro anche istituzionale contro l'informazione dell'unità nazionale e i suoi pilastri. Insieme ad essa, un'altra caratteristica rivelatrice della limpidezza dell'azione dei radicali: non c'è proposta che non si identifichi, sempre e comunque, anche con la crescita - di per sé - dell'istituzione. Appare immediatamente evidente che una commissione parlamentare di vigilanza disarmata e strutturalmente marginale è in realtà la prima delle strozzature di manipolazione al servizio del regime: di qui il costante (quasi pedante) tentativo di trasformare questa Commissione sul modello delle grandi commissioni senatoriali americane. L'obiettivo è quello di una commissione permanente dotata di strutture e adeguati strumenti conoscitivi e di indagine, con le dovute possibilità di utilizzo delle nuove tecnologie, legata a centri di ascolto e di analisi quantitativa e qualitativa dell'informazione, convenzionata con le agenzie demoscopiche e gli istituti universitari... Così come per i consigli comunali, i radicali non ritengono né utile né produttivo entrare a far parte di un consiglio di amministrazione della Rai dal quale non si può muovere alcuna seria azione contro un sistema che non può che essere perverso, contrapponendo invece una propria specificissima critica alla lottizzazione selvaggia. Contro l'ammucchiata che scheda ogni giornalista in base alla tessera del partito, sono solo i radicali a rinunciare alle prediche "anti-lottizzatrici" di facciata continuando a ritenere che chiunque - istituzione o non - debba o voglia muovere critiche alla gestione dell'informazione non possa che agire e intervenire analizzando il "prodotto finale" realizzato (poco importa da chi, e con quale tessera in tasca) piuttosto che inserirsi nella ragnatela inestricabile dei singoli uomini, che spinge le forze politiche a disputarsi le gambe e le braccia di un direttore di testata. Ancora, sono loro dal '76 in avanti a combattere l'umiliazione costante cui sono sottoposti tutti i luoghi deputati all'esercizio della democrazia politica e del pubblico controllo: dal Parlamento agli enti locali alle corti costituzionale e dei conti. L'azione di questi mesi ha ri-imposto invece un dibattito di verità; ha reso ancor più esplicito che il palazzo della Rai è oggi sempre più accostabile all'immagine pasoliniana del Palazzo che se non processato travolge se stessa e ciò che "governa"; ha consentito un recupero non marginale di informazione. Soprattutto, giorno dopo giorno, isola e porta alla luce nomi e cognomi di coloro che all'interno dell'azienda possono fare i padroni assoluti, autentica minaccia alla democrazia. Dopo anni di comoda subalternità, dopo essersi ridotta a organismo alibi, di copertura formale alla "costituzione materiale" dell'informazione, la commissione per la prima volta ha un moto d'orgoglio e convoca tutti i massimi dirigenti della Rai. Intanto, avanza l'ipotesi di una grande conferenza che ridefinisce il suo ruolo, la sua funzione, i suoi strumenti. Se è vero che ancora non si è fatto ricorso alla doverosa, necessaria sanzione (come in almeno dieci casi sarebbe stato indispensabile) e alla aperta sfiducia, che così come non c'è da nutrire soverchie illusioni o speranze per l'immediato futuro, è ben vero che i grandi manovratori sono stati seriamente disturbati. E non è detto che il disturbo non conduca a conseguenze assai pesanti. Per noi si tratta, adesso, di proseguire su questa strada mettendo sempre più a punto la capacità di analisi, di proposta, di iniziativa.