Chi ha dimenticato Tian an men?

Dopo la strage degli studenti cinesi, la Comunità europea interruppe le relazioni con la Cina, subordinandone i rapporti al rispetto dei diritti umani e politici. Ancora oggi la Comunità europea mantiene alcune sanzioni che, sebbene nominali, rappresentano la volontà di non dimenticare iugno 1989. Mentre nei dodici paesi della comunità si celebrano i riti della democrazia e viene eletto il Parlamento europeo, in Cina è in corso la strage di Tian an men. Un'ondata di dolore e di rivolta si leva da ogni luogo, dove la televisione mostri la marcia dei carri armati sopra i corpi vivi degli studenti cinesi. Sembrano immagini di altri tempi. Quelli della mia generazione ricordano di avere già visto una scena uguale: l'invasione sovietica dell'Ungheria prima, e della Cecoslovacchia poi. Quando arrivo al Parlamento europeo, le relazioni con la Cina, iniziate nel 1980, sono state interrotte. Ma, a fronte di questa scelta di tutta la Comunità europea - che giustamente subordina le relazioni con la Cina al rispetto dei diritti umani e politici - i singoli Stati membri, già nel 1990, hanno ripreso rapporti commerciali improntati al più esplicito opportunismo nazionale. Ancora oggi, la Comunità europea mantiene verso la Cina alcune sanzioni: per esempio, l'interdizione alle visite dei capi di Stato e il blocco del commercio delle armi. Sanzioni essenzialmente nominali, che tuttavia rappresentano la volontà di non dimenticare e di offrire un argine alla violenza degli Stati. Certo, sarebbero state più significative se i singoli paesi membri - l'Italia e la Germania per primi - vi si fossero attenuti e non avessero normalizzato prestissimo le loro relazioni economiche con la repubblica cinese. L'assenza di un comportamento univoco ha permesso alla Cina di confrontarsi con le posizioni nazionali piuttosto che con le istituzioni europee, e di godere di una sostanziale impunità. Anzi, di avere la conferma che quello che conta è il potere economico. Capitalismo alla cinese e diritti umani La situazione della Repubblica popolare cinese è fra le più complesse che si possano immaginare. Si tratta di un paese geograficamente sterminato che, a causa del proprio sistema politico a controllo centrale e della ostinata vocazione a non cedere sul fronte di libertà elementari, deve gestire con violenza crescente contraddizioni interne sempre più forti. L'unico contrappeso, e ciò che sostanzialmente permette al regime di resistere dentro e fuori la Cina, è una situazione economica in enorme espansione, sebbene con un profondo divario fra le regioni contadine dell'interno e le regioni urbano-costiere. A uno sviluppo incontrollato dell'economia (la cosiddetta economia socialista di mercato) si aggiunge la mancanza di regole di protezione e di tutela sociale e dell'ambiente, con conseguenti catastrofi ecologiche. Quello che dovrebbe essere chiaro ai governi e agli uomini d'affari europei è che la mancanza di prospettiva di un'evoluzione democratica della RPC, rischia di dare come unico sbocco alle tante contraddizioni interne fra zone di povertà e di ricchezza, fra province e centro, fra minoranze etniche e maggioranza, fra decentramento e centralizzazione autoritaria, lo sbocco violento. Una simile tragedia, coinvolgerebbe tutta l'Asia e l'intera comunità internazionale, con effetti inimmaginabili. Se esiste una regione del pianeta nella quale è possibile constatare che il legame fra sviluppo e diritti umani, includendo fra questi i diritti dell'ambiente, non è un opzione sentimentale, ma una necessità impellente dei mercanti come dei cittadini, questa è la Cina. Essa si avvia a diventare una delle tre più grandi potenze economiche, e anche nel 1993 (benché contro il parere iniziale del congresso americano, che subordinava gli accordi alla non proliferazione delle armi e al rispetto dei diritti umani), ha goduto per il secondo anno di seguito della clausola di nazione più favorita. Intanto, mentre ha chiesto di essere ammessa al Gatt (cosa che le otterrebbe senza condizioni la clausola di nazione più favorita e che le permetterebbe di aprire stabilmente i commerci con l'America e i 116 paesi membri del Gatt) la Repubblica popolare cinese è impegnata in una politica di investimento, in programmi di modernizazione delle forze armate e di rafforzamento della propria forza militare, che rendono inquieti i suoi vicini asiatici. Ha inoltre investito nell'acquisto di armi nucleari dall'ex Urss, i cui tecnici, rimasti senza lavoro, sono disponibili ad offrire tutta la loro competenza. La Cina è attiva anche nella vendita di armi nucleari. Questo si accompagna alla drammatica situazione dei diritti umani, negati nel loro carattere universale così come è affermato nella Carta delle Nazioni unite sui diritti fondamentali, di cui la Cina è firmataria, repressi violentemente in nome del diritto - chissà perché "alternativo" - alla sopravvivenza. Non c'è incontro con i responsabili cinesi in cui l'incomunicabilità su questo versante non sia assoluta. I dati governativi più recenti dichiarano la presenza di 680 prigioni e di 1,1 milioni di detenuti, ma la realtà, come denunciano anche le Ong internazionali è molto superiore. Le prigioni cinesi secondo Harry Wu - ex prigioniero politico e autore del libro Laogai - non sono inferiori a tremila; e i detenuti variano fra i dodici e i sedici milioni. Ci sono differenti tipi di prigioni e differenti motivi di detenzione: la detenzione preventiva; per i reati comuni; per i dissidenti; per gli stranieri; luoghi di detenzione per condannati a morte, (1981 condanne solo nel 1992, e 1079 esecuzioni nello stesso anno); per i condannati a pene superiori a dieci anni; per i condannati a meno di cinque anni; campi di lavoro. Nei luoghi di detenzione è praticata abitualmente la tortura, benché la Cina abbia aderito alla convenzione contro di essa. Ci sono poi i Laogai, o campi di rieducazione attraverso il lavoro forzato, dove è possibile che i prigionieri vengano detenuti a tempo illimitato, discrezionale, comunicato solo a fine pena: un ricatto insopportabile, lesivo di ogni diritto umano. I prodotti dei "campi di rieducazione" costituiscono un enorme introito economico per la Cina: si parla di centinaia di milioni di dollari ottenuti con la loro vendita. Attualmente solo gli Stati uniti e l'Inghilterra vietano la loro importazione, sia pure incontrando ovvie difficoltà di applicazione.