DIBATTITO
PRECONGRESSUALE
di Maria Teresa Di Lascia
SOMMARIO: Intervenendo nel dibattito precongressuale (XXX Congresso del Pr - Roma - 31 ottobre/4 novembre 1984) Maria Teresa Di Lascia afferma che prospettiva di politica della vita condotta senza frontiere dal pr scaturisce dall'avere compreso che l'alternativa di sinistra alla quale il Pr aveva sempre lavorato stava naufragando e che bisognava rifornirla di ossigeno, di occhi per guardare lontano, di valori che, nella carneficina quotidiana della partitocrazia, stavano morendo. La lotta alla fame, ha preso il posto del vuoto lasciato dall'alternativa di sinistra. Noi abbiamo avuto la forza di consegnare la sconfitta della sinistra alla sinistra. Ma bisogna prendere atto subito e come premessa ad ogni possibile operare del Pr della stanchezza che, calata sul partito, lo rende impotente ed inefficace. Prendere atto cioè che è tempo che ogni radicale che lo voglia sia sciolto dal vincolo della mozione di perseguire l'obiettivo dei tre milioni di vivi entro l'anno successivo: ad ogni radicale deve essere consegnata alla responsabilità altissima della scelta personale rispetto alla politica che vuole promuovere. (NOTIZIE RADICALI N. 70, 24 aprile 1984)
Io credo che la prima cosa con cui dobbiamo fare i conti è che questo partito, nel suo complesso, è stanco dell'isolamento, della fatica, dell'imprendibilità, dell'obiettivo dei tre milioni di vivi nell'anno politico. Tutto questo accade anche se, a ben guardare la storia di 5 anni di politica contro lo sterminio, l'obiettivo coincide esattamente col partito da soli tre anni. Nel '79 e nell'80, infatti, mentre Pannella promuoveva dall'Europa l'appello dei Nobel, il partito raccoglieva le firme per i dieci referendum e li celebrava. Devo anche dire che, nella grande politica dei valori e dei diritti civili a cui sempre il Partito radicale ha dato vita, la lotta allo sterminio ci sembrò essere la tappa successiva obbligata che meglio esplicitava le grandi linee di tendenza della società e che meglio ne denunciava i processi di distruzione. Non un salto nel buio, dunque, non un passo nell'invisibile o nel mistico, ma semplicemente ciò che tutti vedono se il primo dei diritti da affermare è il diritto a vivere. Credo anche che questa prospettiva di politica della vita condotta senza frontiere scaturisse dall'avere compreso che l'alternativa di sinistra alla quale il Pr aveva sempre lavorato stava naufragando e che bisognava rifornirla di ossigeno, di occhi per guardare lontano, di valori che, nella carneficina quotidiana della partitocrazia, stavano morendo. E in realtà mi convince molto Pannella quando, rispondendo a Sanlorenzo sulla legge Piccoli, scrive che è il Pci che deve dare conto di 5 anni di politica internazionale sulla cooperazione e lo sviluppo ed anticipa in una "facile" profezia la caduta che il più grosso partito d'opposizione farà qualche giorno dopo su Andreotti. I mezzi, è vero, prefigurano i fini. Tutto questo per chiarire a me stessa prima che agli altri che la politica della vita, attraverso la lotta alla fame, ha preso il posto del vuoto lasciato dall'alternativa di sinistra. Noi abbiamo avuto la forza di consegnare la sconfitta della sinistra alla sinistra, tant'è che non abbiamo mai fatto un congresso sul fallimento dell'alternativa di sinistra come strettoia della politica radicale. Abbiamo, anzi, continuato, con alternanza di successi e di rallentamenti, a denunciare la politica della consociazione da un lato, e a preparare, avendola individuata ed esperendola con la politica della lotta allo sterminio, la strada del rilancio dei valori di sinistra. Con questo voglio dire chiaro che abbandonare la politica della fame significa scegliere un'efficace e unidirezionale azione di denuncia e di messa alle corde del fallimento della sinistra, ma rinunciare a creare la carne, l'ànemos, della grande sinistra. Non intendo comunque enunciare proclami o nascondermi dietro ad un dito, e dunque prendo atto subito e come premessa ad ogni possibile operare del Pr della stanchezza che, calata sul partito, lo rende impotente ed inefficace. Prendo atto cioè che è tempo che ogni radicale che lo voglia sia sciolto dal vincolo della mozione di perseguire l'obiettivo dei tre milioni di vivi entro l'anno successivo. Credo che ogni radicale vada consegnato alla responsabilità altissima della scelta personale rispetto alla politica che vuole promuovere. Non sto parlando, a scanso di equivoci, dello scioglimento del partito. Anzi, sto parlando, se è possibile, del ritorno ad una responsabilità individuale all'interno di argini comuni. Mi sembra di essere abbastanza d'accordo con le cose che, sulla fame, dice Mellini. Sostanzialmente distinguerei due aspetti del nostro impegno. Il primo è quello dell'affermazione, irrinunciabile, del metodo: quante persone da salvare, in quanto tempo, con quanto denaro. Questo metodo è la bussola, il punto di riferimento contro le politiche di "sviluppismo", oltre ad essere il nostro oggettivo punto di forza e di differenziazione. Il secondo aspetto, ma solo in ordine di enunciazione, è: in che tempo dato il Pr deve perseguire questo risultato? Evidentemente, subito; meglio ancora se 5 anni fa. Ma così non sembra essere. Se, ora, devo scegliere fra l'abbandono della lotta allo sterminio, seppure sacralizzandola come impegno unico ed ultimativo del partito, e mantenerla come impegno permanente dei radicali fino a puntarla, scelgo questa seconda ipotesi. Per fare questo, il partito, i nostri tempi politici, le nostre scadenze, le nostre paure dell'isolamento, sono un vero e proprio strozzamento. Mi sembra che abbiamo bisogno di più ossigeno, di più mobilità, di maggiore spazio che l'arco obbligato di 12 mesi. Penso, dunque, che la lotta alla fame vada rilanciata ai comitati, alle associazioni, ai radicali che vogliono farla perché ci credono. Penso anche che il congresso debba proporsi di capire quale può essere lo strumento che consenta una scadenza democratica e partecipativa sulla lotta allo sterminio e che si ponga come tappa intermedia praticabile in un anno. Forse un referendum consultivo o una proposta di legge di iniziativa popolare sull'intervento straordinario, con il metodo radicale, per abbassare il tasso di mortalità in un luogo dato e in un tempo dato, in un comune fra quelli firmatari della legge dei sindaci (è possibile farlo a Napoli, dove Pannella è consigliere comunale e dove i tassi di mortalità infantile sono fra i più alti in Europa? e la Casmez non sta la Mezzogiorno come il dipartimento sta al Terzo Mondo?). Non so, credo comunque che sia questa la direzione in cui riflettere. Dette queste cose ben poco mi rimane da dire poiché credo che nel campo dei possibili interventi di "denuncia", le cose da fare siano molte e praticabili, dal canone Tv alla giustizia, ad altro. Un'ultima considerazione sulle elezioni amministrative. La grande intuizione radicale è stata quella di capire che la messa in crisi dei meccanismi partitocratici passa attraverso la crescita della "maggioranza silenziosa" e della negazione del "consenso" alla politica in corso. L'implosione del silenzio fa impazzire i politici. Rafforzare questa intuizione significa far crescere lo sciopero del voto da un lato, offrire un'alternativa di gestione, dall'altro. Per questo credo che lo slogan "fuori i partiti dai comuni" sia forte e può dare grossi risultati. Sarebbe imbecille da parte nostra ritenere che sia preferibile mandare qualcuno di noi a fare il consigliere, ostaggio dei partiti, piuttosto che promuovere quanto di diverso e di alternativo c'è nella nostra società.