UN DIGIUNO DI OLTRE MILLE PERSONE
di Maria Teresa di Lascia
SOMMARIO: Considerazioni sul digiuno di 1.136 persone, proposto dal Partito radicale, con il quale si è voluto sollecitare la votazione della proposta di legge presentata da 116 parlamentari di tutti i gruppi politici che prevede "Interventi urgenti e straordinari diretti ad assicurare nel 1984, e comunque entro 12 mesi, la sopravvivenza di almeno tre milioni di persone minacciate dalla fame, dalla denutrizione e dal sottosviluppo nelle regioni dei Paesi in via di sviluppo dove si registrano i più alti tassi di mortalità". "I digiuni e la nonviolenza sono le armi delle situazioni "impossibili" e in questo risiede la loro necessità". (NOTIZIE RADICALI n. 64, 28 marzo 1984)
Abbiamo iniziato a digiunare in 243
alle 00.1 del 6 marzo. Abbiamo terminato in 1136 alle 24.00 del 22 marzo. Si
è trattato di un digiuno a termine di 15 giorni, che aveva lo scopo di mantenere
aperto il dialogo con quanti, potendolo fare, ancora non decidevano di intervenire
nella lotta contro lo sterminio per fame. Non intendo battere la grancassa del
"risultato eccezionale" di questo digiuno, anche perché conosco quante perplessità
ha generato in compagni che, non potendo essere accusati di non aver mai esperito
digiuni, anzi avendo fatto scioperi della fame, certamente sanno di cosa parlano.
E neppure sosterrò che avere fatto il digiuno in tanti abbia influito sulla
formazione e sulla evoluzione dei fatti politici che si sono determinati. E'
indubitabile, d'altro canto, che l'uso strategico ed opportuno che ne è stato
fatto, il tempismo con il quale lo si è fatto coincidere con alcune trasmissioni
televisive, con la presentazione del Parifa e della legge in Parlamento, lo
ha reso "vestito adatto alle circostanze". Personalmente non sono stata d'accordo
sui tempi, e dunque sugli scopi, del digiuno, ritenendo che dovesse farsi prima
e nel corso del Congresso della Dc e, successivamente, per sostenere la legge
nel suo iter parlamentare.
Pensavo che i segnali che giungevano dal mondo cattolico, per esempio attraverso
l'intervista a Padre Sorge su "Panorama", avrebbero preoccupato non poco i dirigenti
della Dc e che, forse, la fame poteva sembrare loro un terreno adatto "a far
scorrere quanto di sociale sta cercando nuove vie per esprimersi". Un digiuno
che avesse accompagnato le dichiarazioni di Piccoli sulla fame, nel Congresso
della Dc, sarebbe stato un serio ed autentico elemento di dialogo. Viceversa,
non trattandosi di questo e non credendo possibile che ciò possa determinarsi,
il digiuno diviene una ambientazione, interscambiabile con una qualsiasi altra
da immaginare, fino al paradosso della rappresentazione senza la volontà. So
bene che le cose che scrivo, e che non sono felice di pensare, riaprono (se
mai si sono chiuse) alcune obiezioni di fondo sulle azioni nonviolente e sul
digiuno in particolare. Talune le conosco, e posso enumerarle, andando esse
dal misticismo alla caduta secca di laicità, dal sentimento di espiazione al
moralismo. D'altronde il confine entro il quale un gesto conserva il proprio
segno e si muta, può - io credo - essere determinato solo a quel tanto o da
quel poco di scelta individuale che, ad ognuno, è dato di conoscere per sé e
di sé. Cosa c'è di serio, infatti, in un digiuno a termine fatto da centinaia
di persone che si arrabattano ad amministrare forze e chili, che trascorrono
i primi cinque giorni a pensare e a dirti che non ce la faranno ad andare fino
in fondo? Che ti chiedono e possono "mangiare" 435 calorie piuttosto che "berle"
con un cappuccino che non digeriscono e che individuano, ognuno per sé, la "ricetta
magica" (autentico sortilegio individuale) che impedirà loro di collassarsi
quando improvvisamente realizzano che non si nutrono da 72 ore? Niente di serio,
infatti, ché le cose serie non esistono, esistendo, invece, la serietà come
virtù che si può scegliere di sostenere. Per questo io non credo che il digiuno
possa diventare una circostanza senza pagare il prezzo che si trasformi in una
falsificazione (... simulator atque dissimulator) in cui ciò che è falso sembra
vero e ciò che è vero appare falso. Né credo che un digiuno possa giudicarsi
riuscito in ragione di cose che sono accadute e di altre che non accadranno
mai a prescindere dal fatto che qualcuno abbia cessato o no di nutrirsi. I problemi,
per me, sono i seguenti: Il digiuno è uno "strumento" democratico e nonviolento?
(e se è cosi è lecito usarlo solo strumentalmente?) e ancora, se è uno strumento
democratico e nonviolento (tale cioè da essere praticabile da chiunque voglia
mettere in gioco se stesso a "prezzo zero" per chi non lo condivida) ha la sua
forza soprattutto se si rivolge alla parte migliore del proprio avversario?
Se le mie domande dovessero essere giudicate appartenere alla sintassi della
retorica affermativa, allora più che mai mi convincerei che i digiuni e la nonviolenza
sono le armi delle situazioni "impossibili" e che in questo risiede la loro
necessità.