Mariateresa Di Lascia
Mariateresa Di Lascia era nata a Rocchetta Sant'Antonio in provincia di Foggia il 3 gennaio 1954. Dagli inizi degli anni Ottanta era stata militante del Partito Radicale: ricoprì la carica di vicesegretario nazionale nel 1982, durante la segreteria Pannella, e fu anche deputato al Parlamento durante la nona legislatura.
Particolarmente impegnata sul fronte dei diritti umani e dell'ambiente, aveva partecipato a numerose manifestazioni in paesi dell'Europa orientale prima della caduta del muro di Berlino del 1989 e, in Italia, aveva coordinato la campagna contro il nucleare in occasione del referendum del 1987. Fondatrice della lega "Nessuno tocchi Caino" per l'abolizione della pena di morte nel mondo, nel 1993 aveva coordinato con Adriano Sofri la campagna "Io digiuno" in favore delle vittime di guerra nella ex Yugoslavia. Nel frattempo Mariateresa Di Lascia aveva anche iniziato la sua attività di scrittrice: la stesura del romanzo "Passaggio in ombra" durò quattro anni di lavoro, dal 1988 al 1992. Subito dopo, scrisse anche quattro racconti uno dei quali, "Compleanno", ha vinto il "Premio Millelire", prescelto dalla giuria composta da Gore Vidal, Angelo Guglielmi, Irene Bignardi, Gianluigi Melega, Paolo Mauri. L'anno scorso aveva cominciato a lavorare a un nuovo romanzo, "le relazioni sentimentali", del quale ha lasciato la prima stesura dei primi capitoli. Ancor prima, nel 1988, aveva concluso un altro romanzo, "La coda della lucertola" che però non volle pubblicare.
L'autrice di "Passaggio in ombra", il romanzo-rivelazione recentemente uscito da Feltrinelli, è morta a Roma dopo breve malattia lo scorso settembre, a soli quarant'anni. ( Dal Corriere della Sera del 22 febbraio 1995)
Adriano Sofri ricorda Mariateresa su "Cuore" del 17 settembre 1994.
"E' morta a Roma Mariateresa Di Lascia. Aveva quarant'anni, da sempre aveva trovato nel Partito radicale il luogo in cui dedicarsi alle cause buone, le grandi e le minuscole. Era, col suo compagno Sergio D'Elia, la più ammirevole promotrice della Lega contro la pena di morte; gli amici di "Cuore" possono averla incontrata per questo alle feste del giornale. Non so dire quante persone in tutto il mondo siano state soccorse da Mariateresa quando ce ne era bisogno, tempestivamente, appassionatamente e scontrosamente. A Sarajevo ci sono dei ragazzini che girano fieri del loro Swatch colorato, e non sanno che è stata lei a regalarglielo. Si era ammalata da poco, e da pochissimo aveva saputo che aveva il cancro. Mi aveva detto, pochi giorni fa: "Io faccio tutte le cose molto bene". Mariateresa Di Lascia conosceva ed era conosciuta da un gran numero di persone. Era stata parlamentare. Ma aveva un segreto prezioso e gelosamente custodito. Era una scrittrice, una grande scrittrice. Un suo romanzo avrebbe dovuto uscire fra qualche mese. Era il primo riconoscimento del suo valore di scrittrice fuori da una cerchia molto stretta di persone. E' un romanzo lungo e sicuro di sé, che non ha paura di parlare di ciò di cui bisogna parlare, della gloria e della caduta, dell'amore fra cugini, dei sortilegi e delle menzogne. C'era in Mariateresa una intuizione misteriosa e sovrana, il lato segreto dell'efficacia sbrigativa delle sue buone azioni politiche e private. Il suo romanzo è bellissimo, ed è scritto con una forza di sentimenti, di parole e di stile che può avere solo chi non cerca riconoscimento nel giudizio altrui e nella pubblica opinione. Il genio di narratrice di Mariateresa faceva i conti solo con se stesso. D'altra parte, come avviene in molti esempi grandi, dalla scrittura Mariateresa si attendeva che gli altri la conoscessero meglio e le volessero bene. Non ne ha avuto il tempo. Queste poche righe sono un provvisorio tributo di riconoscenza personale e di riconoscimento di una personalità speciale".
da "Il Corriere della Sera" 22 febbraio 1995:
LA GRANDE SCRITTRICE ENTRATA NELL'OMBRA
Di Raffaele La Capria
A volte ci capita di imbatterci in un libro che ci lascia pieni di stupore e ammirazione. E' un evento che si verifica di rado, sempre più raramente, e perciò quando accade ci domandiamo da dove ci arriva questo libro, cerchiamo di spiegarci le ragioni della sua improvvisa apparizione, di trovare ascendenze e possibili parentele. Ma questo libro di Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, sembra uno di quei casi così eccezionali ed unici che solo la morte, crudele e prematura, che il destino aveva riservato alla ancor giovane autrice, poteva sigillare. Perché questo è un libro definitivo, dove tutta la parabola di una vita sembra consumarsi. E potrei dire, usando le stesse parole di un suo personaggio: Mariateresa, "questo libro è il tuo canto, questa è la tua ribellione, è ciò che rimane delle tue aspirazioni. Questo libro sei tu".
Un libro nato dall'esperienza del dolore, ma patita fino in fondo, fino alle sue estreme conseguenze, fino alla malattia e all'annichilimento; e capita fino in fondo, analizzata lucidamente fino alla sua più intima struttura, fino alle sue fibre più nascoste. E così in questo romanzo si realizza una forma di "conoscenza fantastica", dell'intelletto che viviseziona il cuore e dell'anima che s'impossessa della mente, una forma di conoscenza più sottile e imprevedibile di quella appresa dallo studio o dalla vita, e che per essere espressa richiede un linguaggio particolare. Un linguaggio che, anche se rassomiglia - come quello della Di Lascia - al linguaggio comune, è fatto di parole, pensieri, e accostamenti di sintassi e sensazioni, dove predomina quel "raffinato spirito di scelta e quel delicato istinto di selezione coi quali l'artista - secondo Wilde - capisce per noi la vita, donandole una passeggera perfezione". Non sono molti gli scrittori che attingono a questo tipo di conoscenza. In Italia solo due scrittrici lo hanno fatto: sono Elsa Morante e Annamaria Ortese. Non voglio esagerare, ma non ho alcuna difficoltà a mettere adesso accanto a loro anche Mariateresa Di Lascia. Riconosco nelle sue pagine lo stesso "incantevole egotismo", la stessa vibrazione passionale, la stessa femminile energia, la stessa cognizione del dolore. Non è una questione di somiglianza, perché la scrittura della Morante è più sontuosa e quella della Ortese è più letteraria, è una questione di qualità e di livello dell'immaginazione.
Mentre leggevo 'Passaggio in ombra' pensavo che oggi le donne stanno portando nella narrativa italiana uno sguardo diverso, forse più libero, comunque più intenso, su temi come la famiglia, i rapporti tra le persone della famiglia, gli affetti, i legami d'amore, il dolore, l'attesa, su una realtà insomma vista dalla loro parte con occhio nuovo e meno convenzionale. Come appunto capita a chi è stato a lungo in silenzio e si sorprenda improvvisamente libero di parlare.
Certo è che con loro il romanzo ha riconquistato quel senso del romanzesco che stava perdendo; e quella voglia, quella capacità di raccontare, quella cadenza, quel modo di far lievitare man mano che emergono, i fatti e i personaggi, intrecciandoli insieme in modo fatale ed imprevedibile, che io chiamo "il passo del romanziere". E il "passo del romanziere" e tutto questo femminile risveglio si sente anche nel libro della Di Lascia. Si sente che anche questo libro è fatto di due romanzi sovrapposti che a tratti si fondono e a tratti divergono. Uno è un romanzo realistico, un po' all'antica e "ottocentesco", si direbbe, ed è il motore che manda avanti la storia. L'altro è un romanzo di introspezione intellettuale, e visionaria, fatto di geniali meditazioni e di quella conoscenza fantastica di cui ho detto.
Nel primo si racconta - quasi sempre dal punto di vista di una bambina, la storia dei rapporti con un padre che non ha ancora "regolarizzato la sua posizione", e con una giovanissima amatissima madre ragazza, che attenderà invano, insieme con la figlia e sotto gli occhi curiosi di tutto il paese (un paesino delle Puglie), l'arrivo in chiesa dello sposo e padre. Ma lui non viene, si rifiuta al matrimonio e alla paternità, più per connaturata irresponsabilità che per disamore, più per quell'abulia "che non permette di trasformare un proposito in cosa vera".
Sempre lei, la bambina, racconta poi la morte della madre sopravvenuta a questa delusione atroce. Nella seconda parte del libro, l'amore assoluto e impossibile che nasce in lei, ormai giovinetta, per il cugino carnale, diventa il tema ossessivo del romanzo. Ma anche il cugino, così come aveva fatto il padre, nel momento decisivo fuggirà e la lascerà sola. Questo doppio abbandono determinerà in lei una specie di malattia, una lenta dissoluzione dell'anima e del corpo; ed è qui, da questa dissoluzione, da questa rovina di tutte le cose, che prende l'avvio 'Passaggio in ombra', è dalla voce di questa sopravvissuta senza più scampo, che il romanzo viene raccontato. Ed è un romanzo che precede perciò "in un modo un po' anarchico", come un sentir parlar di cose "che si sono impigliate con agio ai rami della memoria, e che si sono mescolate ad altre diversamente apprese", e mai come un racconto filato. Solo così, scrive chi narra, "ho potuto tessere la trama del mio disfacimento".
Di quale coraggio ha avuto bisogno questa intrepida indagatrice per scrivere il suo canto e la sua ribellione, per far sì che dal silenzio che era in lei nascessero le sue parole, e per trasformare la sua verginità di fronte all'atto di narrare e la sua inesperienza letteraria in uno straordinario romanzo! Anche lei deve aver temuto (come dice della madre) che "le parole le si rivolgessero contro", anche lei deve averle "trattenute a lungo, celandole agli altri", anche lei avrà dovuto "dibattersi sotto i colpi delle parole che non sapeva fronteggiare".
Perché si sente sempre questa lotta di una scrittrice alle prime armi con le parole, e si sente anche che, chissà a quale prezzo, l'ha vinta bellamente con un risultato sorprendente proprio dal punto di vista letterario.
Questa ancor giovane narratrice ha avuto il coraggio di creare (finalmente!) dei personaggi stretti in un nodo fatale, e di dipanare questo nodo con un'analisi stringente e "sui generis", fatta col bisturi della fantasia. Ha avuto il coraggio di scrivere un romanzo che sembra naturale e costruito, dove la costruzione, come avviene per i cristalli sembra dovuta ad una forza la cui provenienza ci sfugge.
Ha avuto il coraggio di inventarsi dei personaggi, soprattutto quelli femminili, che come tutti gli umiliati e offesi non hanno doti speciali se non la profondità degli affetti e dei sentimenti e che sembrano riscattare ignoranza e soggezione, e perfino la "stupidità", in una forma di superiore intelligenza.
Ha avuto il coraggio di ambientare la sua storia in un paesino del sud (in Puglia) senza mai "caratterizzarlo", senza mai far sentire la pesantezza (anche letteraria) della realtà meridionale. E ha avuto infine il coraggio di far raccontare gran parte della sua storia a una bambina che sa e vede e sente tante cose, a modo suo, ma in un modo articolato e complesso come quello di un'adulta. La sua "angelica astrazione" ha a che fare con un rifiuto istintivo della realtà, e con un mondo "in cui le cose cessano di essere unite", un unico mondo possibile "in confronto al quale tutti gli altri mondi, quelli che aveva sognato a quelli che l'avevano atterrita, scomparivano come nuvole spazzate dal vento, come fantasmi senza forza" e dove si aveva "la libertà di non avere nessuna forma".
Ma in "Passaggio in ombra" non c'è solo questo romanzo. Sovrapposto a questo, intrecciato con questo, c'è come ho detto un altro romanzo, un romanzo dell'ombra, appunto, che ha la forza visionaria di una Morante o di una Ortese, ma una voce intrepida e precisa, inconfondibile, che è soltanto sua, di Mariateresa Di Lascia.
In questo secondo romanzo regna una specie di mistero chiuso da una silenziosa cortina protettiva, e anche la scrittura nonostante l'eccesso di immaginazione e forse proprio per controllarlo, diventa densa e lucida, di una lacerante e violenta originalità espressiva, specie là dove indaga sulla malattia e l'angoscia e sulle cause più profonde del male di vivere. Da questa speculazione fantastica, spietata ed orgogliosa, è venuto fuori questo romanzo dove "il passato s'incarna nella fantasmagoria del sogno e attraversa la sconfinata regione della salvezza".
E' infatti un libro che quella "sconfinata regione" vuole attraversare risalendo dagli abissi di un dolore indicibile esplorato fino alle radici, fino alla spirale del suo Dna.
"Ho scritto questo romanzo", ha detto l'autrice prima di morire, "per essere amata da chi mi leggerà".
Da "LUnità" 27 febbraio 1995
DONNE A UNA DIMENSIONE
di Adriano Sofri
Qualche giorno fa, in via di Ripetta a Roma, è stato presentato un romanzo. Ero fra i presentatori, sono arrivato a Roma presto, ho gironzolato, sono passato da via dell'Oca, dove abitava Elsa Morante. Via di Ripetta è a due passi. L'articolo che vorrei scrivere comincerebbe così: "In un pomeriggio primaverile, benché di metà febbraio, l'anziana scrittrice Elsa Morante si è messa addosso uno scialle colorato ed è uscita, come le avviene raramente, per andare ad ascoltare la presentazione di un libro, cosa che non le avviene mai. Il libro si intitola 'Passaggio in ombra', l'autrice si chiama Mariateresa Di Lascia e ha quarant'anni. Qualcuno aveva detto a Elsa che una donna aveva scritto, mezzo secolo dopo, un romanzo bello e forte come 'Menzogna e sortilegio'. Elsa, che è scontrosa ma speranzosa, l'ha letto, ed ecco perché è andata a trovarsi un posto nella sala di via Ripetta, abbastanza avanti da lasciarle vedere in faccia l'autrice. la famosa scrittrice si è sorbita in una specie di dormiveglia i discorsi dei presentatori, in cui si faceva largo ricorso al suo nome, finché ha incontrato lo sguardo di Mariateresa Di Lascia, che le è sembrato un po' tranquillo e un po' ansioso. Allora le ha fatto un sorriso da incantatrice, ma anche da incantata. Mariateresa le ha sorriso a sua volta..."
Le cose non sono andate così, si sa. Elsa Morante è morta addirittura da dieci anni. Mariateresa Di Lascia è morta l'estate scorsa, senza vedere l'uscita del suo bellissimo romanzo.
Nel suo romanzo le persone hanno destini chiusi, sigillati in un solo carattere, in un unico evento. Giuppina poco più che bambina resta incinta, e vivrà sempre del figlio nascosto e negato. Peppina vive della sua domestica megalomania e del sequestro esaltato della nipote. Anita vive di sua figlia Chiara, e di un breve amore simile alla compassione, ravvivato quando Francesco è in carcere ingiustamente, umiliato senza rimedio quando lui l'abbandona sull'altare nuziale. Chiara è spettatrice e testimone bambina del destino di una stirpe: ne esce una volta, adolescente (si ha l'impressione che per la prima volta vada fuori casa da sola, senza le sue care donne, senza la balia Rosina, la madre Anita, la zia Giuppina; senza il padre Francesco) come per un'avventura intrepida, l'amore per il cugino, il riscatto dei bastardi, il compimento di ciò che è stato per generazioni soffocato. Ma è solo un malinteso: come la colomba mandata fuori a cercare il verde, e non lo trovò e tornò indietro, Chiara si annulla e si infagotta, perde sangue e sesso. Rinnega la propria identità muliebre, e anche la sorte di una madre che aveva cercato se stessa nel lavoro di ostetrica, prima di essere offesa a morte. Chiara resta come l'ospite per sempre bambina delle cose usate, e della memoria di chi non c'è più. I destini degli uomini, di maschi, sono spesso odiosi, sempre poveri. Nei destini delle donne, le vite che contano, c'è un episodio, un incontro, una passione, una disgrazia - e poi un 'mai più'.
Non c'è la Storia. Il libro di Mariateresa non ne ha bisogno. Le storie delle sue donne bastano a se stesse. La Storia mancava anche a 'Menzogna e sortilegio', pure scritto durante e subito dopo la guerra. Molto più tardi Elsa Morante contrappose la Storia alle storie, e imputò alla prima la rovina delle altre: si sarebbe visto poi, con 'Aracoeli', che si era ancora trattenuta sull'orlo della pena senza riparo. Nel libro di Mariateresa l'alzata di spalle verso la Storia colpisce singolarmente: perché Mariateresa è stata una persona pubblica e politica - un onorevole, perfino: miracoli della vecchia vicenda radicale - e febbrilmente dedita alla cura degli altri; e perché nel suo romanzo hanno una parte il consorzio agrario e il sottosegretario e la giustizia e gli intrighi del dopoguerra. Teatrino della vicenda antica e fatale di sangue, di "razza", di pudore violato e di bastardi insultati che attraversa il romanzo. Questa antichità, questa lunghissima durata, è una delle risposte alla domanda impressionante: come è possibile che un libro paragonabile a 'Menzogna e sortilegio', con un'ambientazione, un intreccio, uno stile perfino, paragonabili, venga scritto cinquant'anni dopo, e non sia un epigono soffocato, e splenda della propria luce?
L'abbiamo fin troppo citata, Elsa Morante, in questi anni. Del resto quella maga si fa viva continuamente. Un giorno, qualche anno dopo la sua morte, Lucia, la fedele, la sua "uccella di mare", alla domanda se avesse bisogno di qualcosa, rispose di no, che era ricca: "So' arrivati li sordi de li sortilegi di Elsa", e intendeva i diritti d'autore di qualche versione straniera di 'Menzogna e sortilegio'. Li sortilegi di Elsa. Quando dissi a Mariateresa che nel suo romanzo c'erano episodi che ricordavano la biografia di Elsa mi rispose che non ne sapeva niente. Però il paragone con Menzogna e sortilegio è obbligato, come è facile che noti ogni lettore che abbia orecchio Quando le scrissi, a proposito del libro ancor inedito, non avevo visto un appunto che Sergio, il suo compagno, mi ha dato poi. Lì Mariateresa aveva scritto: "Donna Peppina Curatore: la magica zia Peppinella e l'intreccio di Menzogna e Sortilegio (ricordare mi piace più ancora che vivere/Chiara)". Il paragone si fa prendere in parola dalle prime righe. In ambedue i libri, la narratrice è donna, e coincide con un personaggio femminile (per Elsa, se non sbaglio, è l'unica volta, fino alla catastrofe di Aracoeli, dove la prima persona ritorna per sfregio, in una voce maschile). Sono ambedue "l'ultima di tre generazioni". I due libri cominciano dalla fine, 'da quando tutti sono morti'.
Mariateresa: "Nella casa dove sono rimasta, dopo che tutti se ne sono andati e finalmente si è fatto silenzio...". "Hanno cercato in molti di convincermi a lasciare questa casa, perché è piccola e affogata...". Elsa: "Son già due mesi che la mia madre adottiva, la mia sola amica e protettrice, è morta...". "nessuno sale più a questo piccolo appartamento, dove sono rimasta io sola".
Mariateresa: "...gli sciatti vestiti che mi coprono il corpo". Elsa: "...infagottata nel solito abito rossigno...".
Mariateresa: "Quando donna Peppina, che mi ha amata più di ogni cosa al mondo...avevo dodici anni". Elsa: "la mia seconda madre, la sola cui piacque di lodarmi, e perfino di trovarmi bella...al giorno che mi vide, bambina di dieci anni, entrar qui per la prima volta".
Mariateresa: "La creatura sgraziata che mi viene incontro dallo specchio...sono io. La consistenza delle carni e la foggia confusa dell'abbigliamento mi sbalordiscono...". Elsa: "Il mio riflesso mi si fa incontro a tradimento; io sussulto...e poi, quando mi riconosco, resto immobile a fissare me stessa".
La Elisa dell'esordio di Elsa è, come Chiara, "fatta sensibile e morbosa da straordinarie commozioni". Ha una compagna: "La memoria...Non soltanto il 'mio' passato, e in particolare l'infanzia...ma anche il 'loro' passato, quello di mio padre e di mia madre, e della mia famiglia defunta".
Di una simile memoria, Chiara vive dopo la caduta della sua breve fuga verso la vita vera, fatta quasi schermo della fantasmagoria dei ricordi propri e altrui.
Altre, evidenti similitudini: le donne e il meridione, l'amore del cugino, il morbo fantastico della genealogia familiare di Elisa, il "sangue" dei D'Auria. Perfino nei nomi - i genitori Anna e Francesco di Menzogna e Sortilegio, Anita e Francesco di Passaggio in Ombra - c'è un rimando, come un saluto. E la più forte similitudine, almeno in apparenza: la lingua. In quest'ultima, un'affinità è vera e profonda, e ha a che fare con due qualità essenziali: l'adesione a un linguaggio femminile, di quelli che usano le madri e le balie e le nonne con le nipoti, e le bambine con loro; e uno stile regale, dotto ma noncurante di dottrina, e indifferente all'opinione altrui. Di questo, per Mariateresa, ho esperienza diretta, rispetto alle versioni del suo lavoro, all'accondiscendenza distratta verso certe correzioni, e al puntiglioso rifiuto di altre. Una padronanza senza sforzo e senza soggezione della propria scrittura. Ma la scrittura rigogliosa e lussureggiante che era di Elsa in Menzogna e sortilegio, che fece parlare di un barocco morantiano, questa è estranea a Mariateresa. Non le è estranea né una forza di eccitazione, né la magia delle parole dette e taciute: ma il vento che gonfiava e portava in altro le frasi di Elsa, costringendola di tanto in tanto a veri intermezzi poetici, filastrocche dissepolte o canzoni sue, solleva le parole di Mariateresa solo come un aquilone dal filo corto, tenuto stretto nella mano, e richiamato presto a terra. La lingua del racconto di Mariateresa ha bisogno di chiudersi a ogni capitolo su se stessa, facendosi laconica e secca: come, appunto, un coperchio che torni a calare, una porta che si richiuda. Di case chiuse, di una claustrofilia e reclusione monacale è fatto anche Menzogna e sortilegio; qui la bambina si muove fra una casa e l'altra, segrete tutte e nessuna davvero sua, e avventurarsi fuori, oltre il paese, fino sul treno e nella città vicina, è il sigillo della perdizione. Ne torna, Chiara, riportata indietro esanime. In quell'episodio la lingua cambia, e anche il tempo: Chiara sta parlando di sé, e di una sé che agisce; tuttavia nel suo slancio convulso e rovinoso è più distante che mai, più vista dal di fuori che in qualunque altro episodio. Altrove, la bambina che è stata era vista con gli occhi delle altre donne, ciò che toglie alle descrizioni di sé, della propria bellezza, della propria promessa, ogni compiacimento e leziosaggine, e le fa invece amare e pietose.
Lo scandalo che Elsa poi descriverà, soprattutto attraverso l'Useppe della 'Storia', quando il suo sguardo di madre non sarà più dissimulato, è lo scandalo inflitto ai bambini e alle creature animalesche - Bella o Ida. Lo scandalo cui non resiste Chiara, che se ne ripara, come Useppe col grande male, con gli occhi che si chiudono e il sonno che la invade, e poi con le crisi di soffocamento e la malattia e la rovina, è il suo proprio: uno scandalo di bambina che non accetterà più la vita, di bambina che ha visto i conigli ammazzati in quel modo, che ha visto il ragazzetto Saverio malmenato senza lamentarsi, che ha visto lo sguardo del padre coi ferri ai polsi, che ha visto Anita tradita mentre aspetta il suo sposo all'altare, e poi umiliata alla sua ricerca, e che l'ha vista morire. L'eccesso di passione della Elisa di 'Menzogna e sortilegio', e il finale delirio epistolare (e di scrittrice) è del tutto lontano da Chiara, e questo segna anche la distanza sempre più forte fra le lingue. La memoria e la scrittura di Chiara coincidono con la sua vita che si rattrappisce, e va incontro alla morte. E' la morte, infatti, il ballo fra la Memoria e il Futuro che chiude il libro in modo commovente.
Dev'esserci, fosse anche solo nell'immaginazione di noi ancora vivi, un posto in cui Elsa Morante abbia sorriso a Mariateresa Di Lascia, e Mariateresa a lei.
Da "Il Mattino" 3 marzo 1995
UNA SCIA LUMINOSA DI DONNA
di Goffredo Fofi
Il romanzo di Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, celebra "i riti incantati della memoria e del futuro" come vissuti nell'età d'oro della vita, nella favola dell'infanzia e dell'adolescenza. E narra il loro periodico scambiarsi di veste, e la loro rovina, che è il Tempo. Li celebra e li narra con magnificenza di prosa, con perfetto controllo di scansioni e simmetrie, con la sapienza di una narratrice di razza che ha letto e assimilato modelli più ardui. Essi sono quelli della linea femminile della nostra letteratura degli ultimi decenni, certamente più ricca di risultati sul versante delle scrittrici che su quello degli scrittori. Sentiamo le buone letture, le adesioni persuase, la corrispondenza di pulsioni e di aspirazioni, una lingua e degli occhi che nascono dai sentimenti, o meglio da un sentimento dell'esistenza come passione, destinata a non realizzarsi e a permanere sconfitta e tuttavia a riprodursi, a rigenerarsi. Di "madre" in "figlia".
La Di lascia si è scelta "madri" straordinarie, e straordinariamente solitarie come la Morante e la Ortese; soprattutto la prima, di cui, a inizio del romanzo, si sente il peso e si ha paura dell'imitazione, ma per vedere sciolta quest'impressione rapidissimamente, al calore di una visione e di una scrittura molto autonoma. Di madre in figlia si snoda anche la vicenda del romanzo (come in un'altra scrittrice di area napoletana recente, la Ferrante, che ha scavato con particolare crudeltà dentro questo rapporto), che è una storia di famiglia meridionale, eminentemente meridionale. E di altri tempi, non lontani, quando il Sud era ancora pienamente Sud, e le famiglie un nodo, vasto di membri e sorprese, di affetti e di conflitti, di esplicito e di nascosto che coinvolgeva tutta la vita, che proteggeva e opprimeva per tutta la vita. Raccontare 'Passaggio in ombra' è in un certo senso superfluo; la sua "trama" è semplice e complicata come quella di ogni storia di famiglia, e l'autrice sa muoversi con superba capacità d'intreccio nella semplicità, con essenziale richiamo alla nudità dei rapporti basilari nella complessità. Due cose non se ne devono però tacere, perché fanno il succo del romanzo. La prima sta nel rapporto che esiste - in questa famiglia non più eccezionale di tante, e tuttavia, come ogni famiglia, con la sua particolarità ed eccezionalità - tra le donne e gli uomini che vi si attraggono e fronteggiano. Siamo in una società dove gli uomini comandano, e però rappresentano loro l'instabilità, la difficoltà della durata, la superficialità dei rapporti, mentre le donne sono il legame, la fedeltà, la continuità troppo spesso frustrata e tradita dagli uomini. Della famiglia D'Auria, dice uno dei suoi membri traditi, un "bastardo": "No, non si può dire che siano cattivi... E' che sono ...Sono fatui, ecco! sono fatui e feroci!".
Vale per le donne (la massiccia donna Peppina, che mi sembra uno dei più riusciti "caratteri" femminili della nostra letteratura) ma vale soprattutto per gli uomini, e per i due che nel romanzo combinano e scombinano, con fatuità e con ferocia, padre e figlio, Tripoli e Francesco, la vita di Anita e della narratrice Chiara, che sono la mancata moglie e la figlia di Francesco.
La vita di Chiara è segnata dalla irregolarità della nascita, così come quella del cugino bastardo, di cui s'innamora ricambiata una volta adolescente. Del giovane Saverio tutti dovrebbero ignorare la parentela con i D'Auria e fin l'esistenza.
Ogni amore, in una società chiusa e in un clan rischia di essere incestuoso. Tra Chiara e Saverio non può esserci amore per la condanna - colpa non espressa, misteriosa, genetica e sociale - che pesa sull'incesto, ma ogni famiglia riproduce questa colpa, ne ha inciso nella sua fibra il segno occultato, un rischio che è quello della chiusura, e per questo è tanto più forte nelle società più chiuse. Il tradimento è tradimento dei padri, però, e la fedeltà è delle madri.
Ritratto di società meridionale e di famiglia meridionale, 'Passaggio in ombra', è raccontato in prima persona e in flash-back dalla protagonista Chiara dal basso, dall'infimo della sua caduta e della sua solitudine - rivendicata, scelta, e disperatamente rivoltosa contro i padri che però non si è osato "uccidere". (Non è una antica Beatrice Cenci, Chiara, e, non sa adempiere alla possibilità del parricidio perché è forse la complicità stessa delle altre donne ad impedirlo, è la complessità dei legami, è il laccio della famiglia). Dall'infimo della caduta, ma qui sta la grandezza del libro, dall'alto dell'esperienza aurea (D'Auria: il cognome non è certo casuale) dell'età felice, quella in cui anche la tragedia è vita, in cui il mormorare o il gridare della vita invade e travolge coi suoi fiati e le sue luci, i suoi sbalordimenti e una gamma di possibilità che paiono infinite.
Mariateresa Di Lascia sarebbe diventata, non fosse morta così precocemente, una grande scrittrice; ma lo è già così, con un solo romanzo compiuto. Si saluta l'apparizione di questo libro così intenso, ampio, trascinante, colorito, doloroso e vitale con un sordo rancore verso la sorte che ha strappato alla vita una donna di grandissimo talento e ci impedirà di seguirla in altre sue opere. Il "passaggio in ombra" è stato anche il suo, breve e però pieno di luce, il cui senso si è raccolto - motivo di gioia per il lettore che si allontana dalle sue pagine con la malinconia di un distacco finale - nella luminosità e nella gloria di queste splendide pagine.
LA POLITICA COME POESIA
di Generoso Picone
Bella, era bella Mariateresa di Lascia, che ora non c'è più e ci ha lasciato un libro a tenerla ancora in vita. Bella, era bella Mariateresa Di Lascia che aveva quarant'anni quando morì, a metà dello scorso agosto, per un cancro che l'annientò in un paio di settimane. "Quando faccio una cosa io la faccio per bene", disse al suo compagno, Sergio D'Elia, ironizzando su quella sua mania del rigore, della precisione. E nessuno potrà mai capire quanto le sia costato, a lei che amava la vita e le persone fino all'estremo, con voracità, con ineguagliata energia.
Era nata a Rocchetta Sant'Antonio, in provincia di Foggia, il 3 gennaio del 1954. La sua militanza nel Partito Radicale datava dagli inizi degli anni '80 e nel 1982 era diventata vice segretaria nazionale, alle spalle di Marco Pannella, e quindi deputata al Parlamento. Impegnata in campagne per la difesa dei diritti umani in Europa Orientale, nel 1987 aveva coordinato la campagna contro il nucleare e quindi fondato la lega "Nessuno tocchi Caino" per l'abolizione della pena di morte. Assieme ad Adriano Sofri, nel 1993, aveva animato l'iniziativa "Io digiuno" in aiuto alle vittime della guerra nell'ex Jugoslavia.
Anni di battaglie, di lotte, di politica.
"Era una persona politica nel senso alto del termine", spiega Emma Bonino: "Di grande intelligenza, arrivava subito all'essenza dei problemi con il suo linguaggio, evocativo ma non disordinato come quello di Marco Pannella. Mariateresa ha avuto la capacità di non essere mai né mediocre né conformista. E anche il suo carattere così insofferente e duro rendeva più difficile amarla, però anche più prezioso". "Il suo cattivo carattere era IL carattere. Intollerante, aggressivo, 'un litigio non si nega a nessuno' diceva, ma con l'aggressività voleva esclusivamente invitare l'altro a tirare fuori il meglio di sé", ricorda Sergio D'Elia, oggi segretario di "Nessuno tocchi Caino", la lega fondata con Mariateresa. D'Elia la conobbe alla fine dell'86, quando lui era ancora in carcere come militante di Prima Linea e si iscrisse al Partito Radicale.
"Mariateresa mi aiutò moltissimo, in carcere e dopo, a uscire dalla mia storia non da sconfitto e a recuperare la mia parte migliore".
'Passaggio in ombra', è il frutto di quattro anni di scrittura, dall'88 al '92. Prima Mariateresa Di Lascia aveva completato 'La coda della lucertola', romanzo che però non volle pubblicare. Dopo, con il racconto 'Compleanno' vinse il "Premio millelire" e l'anno scorso aveva cominciato a lavorare al romanzo "Le relazioni sentimentali", rimasto incompiuto. "Nel '90 mandò 'Passaggio in ombra' all'Adelphi - aggiunge D'Elia - Ena Marchi ne diede un giudizio ampiamente positivo mentre Pontiggia espresse qualche perplessità sulla struttura narrativa. Quindi niente. La Feltrinelli, invece, lo ha pubblicato in pratica come Mariateresa l'aveva scritto".
E 'Passaggio in ombra' ora è lì, a testimoniare di una narratrice già apparentata con Elsa Morante, Anna Maria Ortese, Marguerite Yourcenar. "Dal libro ho conosciuto una parte nascosta di Mariateresa" è il giudizio tutto umano di Emma Bonino. "Ne leggo le pagine e sento Mariateresa ancora con me, la sua visionarietà, la sua poesia", dice Sergio D'Elia. Il primo libro che Mariateresa gli regalò fu 'Il piccolo principe' di Antoine Saint-Exupéry, il libro che precisava un po' il suo punto di vista sul mondo, dalla parte dei bambini che lei amava e soprattutto rispettava.
"Ecco, Mariateresa intendeva la politica così, alla maniera del Piccolo principe, innocente, mai compromissoria, rigorosa. Questa era Mariateresa; questa è".
Nel giugno 1995 il libro "Passaggio in ombra" di Mariateresa Di Lascia riceverà il Premio Strega, il massimo riconoscimento letterario italiano.