WB01337_.gif (904 bytes)
Cronologia del Partito Radicale - 1959

GENNAIO
Cuba Fuga di Batista dall'Avana mentre i rivoluzionari, guidati da Fidel Casto e Che Guevara entrano nella città.

GENNAIO

Italia: Roma (Teatro Eliseo) Convegno del Mondo "Verso il regime"
FEBBRAIO
Italia Dimissioni del governo Fanfani succeduto da un monocolore DC guidato da Antonio Segni, con l’appoggio di liberali, monarchici e missini

FEBBRAIO
MARZO

Italia: Roma (Sala dell’Associazione
artistica  internazionale, via Margutta)
Primo Congresso PR
MARZO
Tibet Insurrezione della capitale Lasha e del paese, repressa duramente dai militari cinesi.

MARZO

Italia Media, Nuova Sinistra

MARZO

Italia: Roma Media, Il Mondo

MAGGIO

Italia: Roma, Teatro Eliseo Lezioni di antifascismo
NOVEMBRE
Germania A Bad Godesberg il congresso dei socialdemocratici tedeschi sancisce la rottura con il comunismo totalitario ed afferma un modello occidentale, democratico parlamentare.

DOCUMENTI

Mozione approvata al I Congresso nazionale del Partito radicale - 1 Marzo 1959
La sinistra democratica e il PCI - Un intervento di Marco Pannella - Il Paese – 22 marzo 1959

LEGENDA TITOLI

rosso = transnazionale - blu = specifico nazionale -  verde = congressi o riunioni del PR


30/31 GENNAIO – Italia: Roma (Teatro Eliseo) – Convegno del Mondo "Verso il regime"

Relatori: Mario Boneschi, Piccardi, Rossi. Viene evidenziato il pericolo della trasformazione in regime di una parte politica che detiene il potere in modo incontrastato, mentre il principale partito di opposizione (comunista) non esercita il suo diritto di controllo sul governo preferendo consolidare il proprio potere extra istituzionale. A questa crisi delle istituzioni i radicali contrappongono la richiesta di una piena attuazione della Costituzione, nonché l’attuazione delle "Regioni" al fine di accrescere la partecipazione dei cittadini alla vita politica. Ernesto Rossi, denunciando la RAI come strumento di regime, chiedeva l’istituzione di una commissione parlamentare di controllo.

27/28 Febbraio 1 Marzo - Italia: Roma (Sala dell’Associazione artistica internazionale, via Margutta) - Primo Congresso PR

Al Primo congresso, già sono evidenti i limiti di un partito che, a tre anni dalla sua costituzione, non riesce a darsi strutture moderne e a promuovere iniziativa politica al di fuori dei circoli radicali legati all'Espresso e ai convegni degli "Amici del Mondo". Mentre Rossi e Calogero sostengono la trasformazione del partito in un movimento d’opinione, con la rinuncia dell’impegno elettorale, la maggioranza dei leader (Carandini, Pannunzio, Cattani, LIbonati, Paggi, Piccardi, Olivetti) si pronunciano per una maggiore organizzazione di partito, in ciò sostenuti dai giovani. RIM117-118
Marco Pannella, nel richiedere a ciascuno dei congressisti di pronunciarsi con estrema sincerità, dopo tre anni di mancato dibattito interno, afferma che la gran parte delle motivazioni per le quali il PR era stato salutato come un "partito nuovo per una politica nuova" sono venute a mancare: in particolare non sono state create strutture adeguate a raccogliere ed organizzare, o far organizzare, le forze giovani ed emergenti che al partito avevano guardato con fiducia. Inadeguato e vecchio è lo Statuto; non è stato realizzato il "Comitato Studi" pensato come organo propulsivo del partito; la tematica federalista è stata accantonata mentre i nazionalismi europei si rafforzano pericolosamente; non si parla più di denuncia del Concordato; manca un agenzia quotidiana del partito. Ma soprattutto non c'è una classe dirigente che sappia assumersi le responsabilità di gestione del partito, di viverle sul piano dell'organizzazione quotidiana, stimolando le forze presenti localmente a ricercare in sé stesse le ragioni e le risorse anche finanziarie necessarie alla propria attività invece di venire continuamente ad esigerle dagli organi centrali.
La relazione della Giunta Esecutiva Nazionale (approvata dal Congresso) riafferma da una parte l'opposizione a governi di coalizione con la DC e dall'altra sostiene la proposta di una grande alleanza di sinistra democratica, che stringa assieme tutte le forze di democrazia laica e socialista, capace di presentarsi come alternativa alla Democrazia Cristiana e al Partito Comunista.

Il PR è ad oggi un partito piccolo, affidato soprattutto al prestigio dei suoi leader e dei giornali che esprimono, scarsamente organizzato territorialmente. "Le sezioni di provincia erano sorte perlopiù per iniziativa di singoli lettori de < Il Mondo > e si reggevano a spese degli iscritti. Non ci fu mai una burocrazia di partito né, e fu forse un elemento negativo, un vero leader. Nella sede centrale a Roma esisteva un solo funzionario stipendiato e anche l’ufficio stampa veniva curato gratuitamente da un solo giornalista. Nessuno degli uomini più rappresentativi del partito (…) vi si dedicò mai in modo esclusivo e, se ciò era un indice del loro disinteresse materiale, fu anche un elemento di debolezza dal punto di vista dell’organizzazione politica.
L’attività più significativa e più congeniale al modo di fare politica dei radicali si esprimeva attraverso l’azione pubblicistica. I piccoli giornali, sorti in molti luoghi della provincia italiana, settimanali, quindicinali, mensili, redatti per lo più da giovani e stampati a loro spese, furono un mezzo, a volte l’unico, di fare politica, di diffondere idee e programmi, uno strumento di critica e di denuncia delle piccole e grosse pecche della vita locale."

Mozione approvata

Organi eletti:
Segreteria collegiale: Leopoldo Piccardi, Arrigo Olivetti, Franco Libonati
Vice segretario: Eugenio Scalfari
Direzione nazionale: diciannove membri
Consiglio nazionale: sessanta membri

22 MARZO - Italia - Media, Nuova sinistra

"Il Paese" pubblica un intervento di Marco Pannella, titolato "Un articolo del radicale Pannella: La sinistra democratica e il PCI". Lo scritto, riprendendo posizioni già espresse all’interno del partito, pone due temi centrali che avrebbero successivamente caratterizzato la nuova generazione radicale: la necessità di un ‘alleanza di tutta la sinistra compreso il PCI, la proposta di candidatura al potere della sinistra attraverso una - alternativa democratica di governo - .
Pannella, rivolgendosi alla classe dirigente comunista, solleva un interrogativo centrale della storia politica italiana: "Se per edificare in Italia uno Stato democratico e moderno, almeno quel tanto che è previsto dalla Costituzione, è necessaria una nuova maggioranza nel paese nel Parlamento perché, fra le altre, non verificare l'eventualità di un'azione comune della sinistra democratica, di una parte dei cattolici e dei comunisti?" Pannella non risparmia critiche all’operato comunista nella sua storia né chiede abiure. Chiede però che i comunisti mostrino: "un più preciso e spontaneo interesse ad una alternativa democratica di governo, cessando quindi di proporre mirabolanti politiche che nemmeno da soli potrebbero attuare" e che si aprano ad una visione maggiormente europea, riconoscendo nuovi riferimenti internazionali "… dai laburisti inglesi ai sindacati francesi, compresi quelli cattolici e quelli socialisti, alla socialdemocrazia tedesca, il potenziale democratico esiste. Sono questi gli interlocutori effettivi cui il PCI deve rivolgersi: non gli sparuti gruppi comunisti belgi, olandesi, scandinavi, inglesi che non rappresentano nessuna reale posizione democratica e popolare nei rispettivi paesi. Ecco dunque due elementi immediati per l'utile avvio e per una seria meditazione che ritengo si possano intanto proporre..."

L’articolo suscita anche un dibattito a sinistra (con interventi del socialdemocratico Saragat e del repubblicano Ugo LaMalfa) che viene bruscamente chiuso dalla replica a Pannella di Palmiro Togliatti. Questi, mentre sostanzialmente giustifica l’operato dei comunisti al potere nei paesi di "democrazia popolare" e l’eliminazione (non solo politica) degli alleati a causa del loro abbandono del programma iniziale, nega la necessità di un dibattito in tema e si limita ad invitare "al confronto delle posizioni sul terreno di un positivo programma di progresso democratico e di rinnovamento economico e quindi all'elaborazione anche solo a grandi linee di un orientamento politico nuovo. Quando a questo si sia arrivati, la confluenza per raggiungere l'obiettivo comune di forze diverse, e soprattutto di forze che hanno il peso che noi abbiamo, sarà cosa necessaria. "
L’intervento provoca effetti laceranti all'interno del partito radicale: è la prima presa di distanza della "sinistra radicale", la prima manifestazione di dissenso strategico rispetto alla classe dirigente del "Mondo", che puntando invece all’isolamento della sinistra comunista, non mancherà di liquidare affrettatamente la questione.

24 MARZO – Italia: Roma – Media, Il Mondo

Nuovi equilibri politici creatisi in seguito al crisi della Democrazia Cristiana (che vede emergere una corrente di sinistra, contrapposta alla destra clerico - conservatrice) e nuove disponibilità socialiste, spingono una parte consistente del gruppo dirigente radicale a riconsiderare la possibilità di un’alternativa di centrosinistra, costituita da forze "che sono quelle della sinistra democratica laica socialista e cattolica, politicamente rappresentate e parlamentarmente identificabili." (Adolfo Battaglia – Il Mondo)

MAGGIO - Italia: Roma, Teatro Eliseo – Lezioni di antifascismo

Il PR promuove un corso di lezioni sull’antifascismo. Partecipano storici e studiosi ma anche esponenti delle varie correnti antifasciste. Le lezioni si svolgono nei giorni in cui il Sindaco di Roma Urbano Cioccetti aveva rifiutato di celebrare la ricorrenza della liberazione di Roma (4 giugno), contro il parere unanime dell’opposizione. Il consigliere comunale radicale, Leone Cattani, si dimetterà in segno di protesta invitando le opposizioni a fare altrettanto.


Mozione approvata al I Congresso nazionale del Partito radicale
1 Marzo 1959

"Il I Congresso Nazionale del Partito Radicale, riunito in Roma il 27-28 febbraio e 1º marzo 1959, ha ascoltato e approvato la relazione della Giunta Esecutiva Nazionale, presentata da Arrigo Olivetti, sull'attività svolta dal 10 dicembre 1955, data della fondazione del partito ad oggi.

Durante questo triennio, il partito ha dovuto affrontare due battaglie elettorali, una amministrativa ed una politica, combattute entrambe in difficilissime condizioni. In queste occasioni, come nelle molte altre circostanze prodottesi durante il triennio, il partito ha sostenuto, con grandissimo spirito di sacrificio e con generoso slancio ideale, il confronto con altre forze politiche ben altrimenti agguerrite e potenti. Si può affermare addirittura che i radicali hanno dovuto sostenere l'urto più violento proveniente al tempo stesso dalle forze clericali e da quelle comuniste, desiderose entrambe d'impedire il sorgere di una sinistra democratica nel nostro paese.

Tutti i membri del partito, al centro e alla periferia, negli organi direttivi come alla base, in mezzo a rinunce e difficoltà materiali e morali d'ogni genere, hanno interamente compiuto il loro dovere, e il Congresso ne dà solenne riconoscimento.

Il Congresso, esaminata la situazione politica determinatasi dopo le elezioni del 25 maggio 1958, ravvisa nell'esperimento Fanfani il tentativo di avviare una politica di riformismo paternalistico, inadatta a risolvere i reali problemi della disoccupazione, della sperequazione tra Nord e Sud, dei privilegi feudali, dell'interferenza ecclesiastica, dell'impreparazione tecnica, che attardano il nostro paese su posizioni incompatibili con la moderna civiltà occidentale e impediscono ogni sviluppo civile ed economico.

Quell'esperimento comunque, pur nella sua assoluta inadeguatezza alla dimensione dei problemi reali, è stato ritenuto intollerabilmente gravoso dalla Democrazia Cristiana e dalle forze clericali e conservatrici che la sostengono, le quali gettando ormai ogni ritegno, hanno ritenuto giunto il momento di realizzare quell'alleanza con la destra estrema e anticostituzionale così a lungo patrocinata dall'Azione Cattolica e dalla destra economica.

Il Partito Radicale, fin dai primi giorni della sua fondazione, ha ritenuto che lo strumento politico per offrire una alternativa al nostro paese fosse una grande alleanza di sinistra democratica, che stringesse insieme tutte le forze di democrazia laica e socialista, pur nelle rispettive differenze ideologiche e nella rispettiva autonomia organizzativa. Su questa strada, il Partito Radicale constata con soddisfazione che il tempo non è passato invano e prende atto che la sua azione politica e i suoi appelli non sono rimasti privi di risultati concreti. Le prove più incoraggianti di questo processo sono l'uscita dei repubblicani dalla vecchia maggioranza centrista, la raggiunta autonomia del partito socialista, la liberazione della parte più viva della socialdemocrazia dalla seduzione e dagli equivoci del fiancheggiamento ministeriale.

Oggi, di fronte ad accresciuti pericoli e ad agguerriti avversari, il paese dispone però di un complesso di forze politiche di sinistra democratica capaci di condurre a fondo la lotta per l'autonomia dello Stato, per lo sviluppo economico, per l'elevazione intellettuale e morale degli italiani.

Il Congresso del Partito Radicale, nel constatare che a quest'opera di creazione della sinistra democratica italiana il partito ha dato un prezioso contributo, impegna gli organi direttivi centrali, gli organi periferici, i militanti e simpatizzanti tutti a proseguire gli sforzi affinché il nuovo schieramento si estenda e si consolidi e sia in grado d'offrire al corpo elettorale un'indicazione unitaria e un'efficace alternativa.

Entro questo schieramento, il Partito Radicale deve perseguire i suoi compiti specifici e mantenere, anzi caratterizzare al massimo, la sua particolare fisionomia politica e programmatica, quale è stata definita dalla relazione Boneschi, che il Congresso approva.

In particolare, il partito si propone:

  • una politica di netta autonomia del potere civile da quello ecclesiastico;
  • la denuncia costante e sistematica della corruzione pubblica e dei soprusi del sottogoverno;
  • una politica economica di pieno impiego e di lotta contro le concentrazioni monopolistiche;
  • la nazionalizzazione dell'industria elettrica e dell'energia nucleare;
  • la difesa della scuola pubblica e il suo potenziamento per sollevarla dalla miserevole condizione in cui attualmente si trova;
  • un efficiente controllo della Radio e della Televisione;
  • una politica estera di fedeltà alle alleanze occidentali nel rispetto della pace e nel rifiuto di pericolosi oltranzismi; l'adesione alle istituzioni comuni europee nella misura in cui esse non si trasformino in strumenti di sopraffazione dei ceti privilegiati a danno delle grandi masse dei lavoratori e dei consumatori.

Con questo programma e con questi obiettivi il Congresso fa appello a tutti gli iscritti affinché, stringendosi intorno al partito, contribuiscano a preparare al paese giorni migliori, nella giustizia e nella libertà." AP 1222

Organi eletti:

Segreteria: Leopoldo Piccardi, Arrigo Olivetti, Franco Libonati

Vice segretario: Eugenio Scalfari


La sinistra democratica e il PCI

Un intervento di Marco Pannella

Il Paese – 22 marzo 1959

Sono le cose, in Europa, a porre in modo drammatico l'interrogativo se sia possibile l'alleanza della sinistra democratica e di quella comunista per la difesa e lo sviluppo della democrazia. Chi come me ritenga di rispondere affermativamente ha il dovere di non ignorare le difficoltà ed i rischi di questa politica e di dichiararli, perché si superino.

Da decenni, ormai, poche lotte si sono combattute più aspre e continue di quelle che hanno opposto democratici e comunisti; non furono e non sono dissensi tattici.

Chiedetene agli anarchici e ai repubblicani spagnoli e comprenderete tra l'altro l'avventura, altrimenti incomprensibile, dell'antifascista Pacciardi e degli anarchici di Carrara che lo mandano in Parlamento; chiedetene ai socialisti di mezza Europa e tra questi all'on. Saragat e sentirete operante il giusto ricordo di Benes, di Masaric, di Nagy, della eliminazione fisica della classe dirigente socialista dell'Europa orientale; chiedetene ai socialisti d'oltralpe e ricorderete con loro l'atteggiamento dei comunisti francesi nel '39; chiedetene ai polacchi, ai socialisti lettoni, estoni, lituani, finlandesi, fino ai comunisti yugoslavi. Sono ricordi ancora vivi nella coscienza dell'antifascismo e sono rispettabili qualunque sia il grado di rinuncia o di debolezza raggiunto da alcune delle forze e degli uomini democratici di sinistra. Debbono capirlo i comunisti, e profondamente, quando, come oggi, chiedono in Europa una reale alleanza con i democratici e non più una generosa solidarietà frontista.

In Italia la situazione non manca di chiarezza. Prigionieri o decisi nemici del Pci fino a un recente passato, socialisti, radicali, e repubblicani annunciano, con buona pace dell'on. Vecchietti, uno schieramento unitario e tracciano ormai un programma di governo in alternativa a quelli democristiani. Non intendono escludere, né possono, i cattolici dal rinnovamento democratico, ma ne assumono essi l'iniziativa, contro l'attuale Dc. Proporre in questo lavoro una corresponsabilità del Pci; operare senza ipocrisie e senza paure in questo senso, è compito serio della sinistra democratica, cosciente della propria irriducibile autonomia non meno che del proprio diritto a porsi come forza che si candida al potere. Se per edificare in Italia uno Stato democratico e moderno, almeno quel tanto che è previsto dalla Costituzione, è necessaria una nuova maggioranza nel paese nel Parlamento perché, fra le altre, non verificare l'eventualità di un'azione comune della sinistra democratica, di una parte dei cattolici e dei comunisti?

Dieci anni non sono trascorsi invano. Diversa, anche se non sempre grave, è la situazione internazionale; ma soprattutto diversa è quella italiana. Allora gran parte della cultura laica sembrava divisa fra la tentazione accademica e la frana su posizioni di sostegno al Pci; il socialismo sembrava destinato ad una funzione subordinata; lo stesso sindacalismo era mobilitato nella politica di guerra fredda; il Partito d'Azione era scomparso; ancora convogliate nel frontismo le giovani generazioni intellettuali: il Pci appariva da solo come una reale alternativa di regime, sull'onda della instaurazione violenta delle «democrazie popolari». Anche se nulla quindi sembra oggi mutato nel comunismo italiano sarebbe infantile non considerare il diverso contesto storico in cui è chiamato ad operare.
Ma come arrivare a una proposta, come scavalcare le obiezioni, i timori, i ricordi e lo smarrimento che si sono accumulati persino in chi, come noi, matura i giudizi che andiamo a esprimere?
Diciamo subito che nei confronti del Pci rifiutiamo la via della richiesta di «garanzie» e di «chiarezze» artificiose e antistoriche, così come, nell'ambito della sinistra democratica, non concordiamo con chi vorrebbe la rottura della Cgil e delle amministrazioni «frontiste»: sappiamo d'altra parte che secca perdita di tempo si realizzerebbe col chiedere al Pci di rompere preventivamente le proprie alleanze internazionali o di accettare il Mercato comune o di abiurare solennemente i propri dogmi. Possiamo invece rilevare immediatamente che, se nell'ultimo Cc del Pci l'intervento dell'on. Amendola avesse tenuto luogo della relazione Pajetta e la sua posizione costituisse la base principale per un possibile incontro fra noi e i comunisti, ci sentiremmo gravemente scoraggiati in partenza. L'on. Amendola, infatti, propone al suo partito una politica di alleanze richiamandosi all'atteggiamento che i comunisti assunsero fra il '43 e il '46 nei confronti della Chiesa e della monarchia. Vale a dire: compromesso con i monarchici ed i reazionari contro azionisti, socialisti e repubblicani; compromesso con i clericali sul Concordato, contro tutta la sinistra e i liberali.
Con tutta franchezza ci pare quanto meno inverosimile che un responsabile del Pci proponga di saldare legami, oltre che con l'on. Milazzo, con i democratici italiani usando di simili pezze di appoggio. Il valore di una eventuale alleanza politica (non solo tattica) fra sinistra democratica e Pci comporta operazioni e coscienza ben diversi.
Per rafforzarci, molti o poche che si sia, nelle nostre convinzioni che andiamo qui accennando, sarebbe sufficiente che i comunisti per il momento mostrassero un più preciso e spontaneo interesse ad una alternativa democratica di governo, cessando quindi di proporre mirabolanti politiche che nemmeno da soli potrebbero attuare. Essi sanno quanti sacrifici un popolo deve fornire per un avvenire migliore: dove sono al potere ne hanno chiesti, a volte, di immani. E la situazione italiana non richiede, per fortuna, altrettanto. Il migliore dei governi non potrà non graduare le riforme, non sacrificare interessi anche vasti, non fare «piani pluriennali». Sin d'ora è necessario annunciarlo chiaramente, non illudere alcuno, non confondere la volontà di realizzare uno Stato democratico, che è politica, con lo sdegno contro ogni ingiustizia e sofferenza, che è protesta morale. Sin d'ora chi vota per un'alternativa democratica deve sapere cosa può promettere e garantire a sé e all'intero paese. La sinistra democratica e in modo particolare il Partito radicale vanno compiendo questo sforzo; la recente relazione dell'on. Pajetta e la risoluzione finale del Cc non mostrano questa consapevolezza.
Inoltre il Pci ci sembra adagiarsi su un pericoloso fatalismo (se non è calcolo) nel considerare la situazione europea nel cui contesto esso non può negare che le strutture economiche, il clima culturale e la realtà sociale italiana si muovono. Credere che i grandi monopoli e gli interessi reazionari controllino ormai ineluttabilmente l'economia europea e, attraverso questa, la politica dei vari stati nazionali, significa peccare per lo meno di disfattismo nell'ambito delle forze democratiche, operaie e proletarie europee. Riaffiora anche qui l'errore che i comunisti devono superare con maggior vigore: dai laburisti inglesi ai sindacati francesi, compresi quelli cattolici e quelli socialisti, alla socialdemocrazia tedesca, il potenziale democratico esiste. Sono questi gli interlocutori effettivi cui il Pci deve rivolgersi: non gli sparuti gruppi comunisti belgi, olandesi, scandinavi, inglesi che non rappresentano nessuna reale posizione democratica e popolare nei rispettivi paesi.
Ecco dunque due elementi immediati per l'utile avvio e per una seria meditazione che ritengo si possano intanto proporre.
Iniziare a discutere una comune politica fra comunisti e democratici, è, comunque urgente. Nessuna confluenza, nessuna soluzione è mai scontata nella storia e nella politica: la logica delle cose di per sé non è creatrice; quella degli uomini deve animarla, secondarla, dirigerla.