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GENNAIO Italia: Roma (Teatro Eliseo) Convegno del Mondo
"Verso il regime"
Relatori: Mario
Boneschi, Piccardi, Rossi. Viene evidenziato il pericolo della trasformazione
in regime di una parte politica che detiene il potere in modo incontrastato,
mentre il principale partito di opposizione (comunista) non esercita il
suo diritto di controllo sul governo preferendo consolidare il proprio
potere extra istituzionale. A questa crisi delle istituzioni i radicali
contrappongono la richiesta di una piena attuazione della Costituzione,
nonché lattuazione delle "Regioni" al fine di accrescere
la partecipazione dei cittadini alla vita politica. Ernesto Rossi, denunciando
la RAI come strumento di regime, chiedeva listituzione di una commissione
parlamentare di controllo.
27/28
Febbraio 1 Marzo - Italia: Roma (Sala dellAssociazione artistica
internazionale, via Margutta) - Primo Congresso PR
Al Primo congresso, già sono
evidenti i limiti di un partito che, a tre anni dalla sua costituzione,
non riesce a darsi strutture moderne e a promuovere iniziativa politica
al di fuori dei circoli radicali legati all'Espresso e ai convegni degli
"Amici del Mondo". Mentre
Rossi e Calogero sostengono la trasformazione del partito in un movimento
dopinione, con la rinuncia dellimpegno elettorale, la maggioranza
dei leader (Carandini, Pannunzio, Cattani, LIbonati, Paggi, Piccardi,
Olivetti) si pronunciano per una maggiore organizzazione di partito, in
ciò sostenuti dai giovani. RIM117-118
Marco
Pannella, nel richiedere a ciascuno dei congressisti
di pronunciarsi con estrema sincerità, dopo tre anni di mancato dibattito
interno, afferma che la gran parte delle motivazioni per le quali il PR
era stato salutato come un "partito nuovo per una politica nuova"
sono venute a mancare: in particolare non sono state create strutture
adeguate a raccogliere ed organizzare, o far organizzare, le forze giovani
ed emergenti che al partito avevano guardato con fiducia. Inadeguato e
vecchio è lo Statuto; non è stato realizzato il "Comitato Studi"
pensato come organo propulsivo del partito; la tematica federalista è
stata accantonata mentre i nazionalismi europei si rafforzano pericolosamente;
non si parla più di denuncia del Concordato; manca un agenzia quotidiana
del partito. Ma soprattutto non c'è una classe dirigente che sappia assumersi
le responsabilità di gestione del partito, di viverle sul piano dell'organizzazione
quotidiana, stimolando le forze presenti localmente a ricercare in sé
stesse le ragioni e le risorse anche finanziarie necessarie alla propria
attività invece di venire continuamente ad esigerle dagli organi centrali.
La relazione della Giunta Esecutiva Nazionale (approvata dal Congresso)
riafferma da una parte l'opposizione a governi di coalizione con la DC
e dall'altra sostiene la proposta di una grande alleanza di sinistra democratica,
che stringa assieme tutte le forze di democrazia laica e socialista, capace
di presentarsi come alternativa alla Democrazia Cristiana e al Partito
Comunista.
Il PR
è ad oggi un partito piccolo, affidato soprattutto al prestigio dei suoi
leader e dei giornali che esprimono, scarsamente organizzato territorialmente.
"Le sezioni di provincia erano sorte
perlopiù per iniziativa di singoli lettori de < Il Mondo > e si
reggevano a spese degli iscritti. Non ci fu mai una burocrazia di partito
né, e fu forse un elemento negativo, un vero leader. Nella sede centrale
a Roma esisteva un solo funzionario stipendiato e anche lufficio
stampa veniva curato gratuitamente da un solo giornalista. Nessuno degli
uomini più rappresentativi del partito (
) vi si dedicò mai in modo
esclusivo e, se ciò era un indice del loro disinteresse materiale, fu
anche un elemento di debolezza dal punto di vista dellorganizzazione
politica.
Lattività più significativa e più congeniale al modo di fare politica
dei radicali si esprimeva attraverso lazione pubblicistica. I piccoli
giornali, sorti in molti luoghi della provincia italiana, settimanali,
quindicinali, mensili, redatti per lo più da giovani e stampati a loro
spese, furono un mezzo, a volte lunico, di fare politica, di diffondere
idee e programmi, uno strumento di critica e di denuncia delle piccole
e grosse pecche della vita locale."
Mozione
approvata
Organi
eletti:
Segreteria collegiale: Leopoldo Piccardi, Arrigo Olivetti,
Franco Libonati
Vice segretario: Eugenio Scalfari
Direzione nazionale: diciannove membri
Consiglio nazionale: sessanta membri
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MARZO - Italia - Media, Nuova sinistra
"Il Paese"
pubblica un intervento di Marco Pannella, titolato "Un
articolo del radicale Pannella: La sinistra democratica e il PCI".
Lo scritto, riprendendo posizioni già espresse allinterno del partito,
pone due temi centrali che avrebbero successivamente caratterizzato la
nuova generazione radicale: la necessità di un alleanza di tutta
la sinistra compreso il PCI, la proposta di candidatura al potere della
sinistra attraverso una - alternativa democratica di governo - .
Pannella, rivolgendosi alla classe dirigente comunista, solleva un interrogativo
centrale della storia politica italiana: "Se per edificare in
Italia uno Stato democratico e moderno, almeno quel tanto che è previsto
dalla Costituzione, è necessaria una nuova maggioranza nel paese nel Parlamento
perché, fra le altre, non verificare l'eventualità di un'azione comune
della sinistra democratica, di una parte dei cattolici e dei comunisti?"
Pannella non risparmia critiche alloperato comunista nella sua storia
né chiede abiure. Chiede però che i comunisti mostrino: "un più
preciso e spontaneo interesse ad una alternativa democratica di governo,
cessando quindi di proporre mirabolanti politiche che nemmeno da soli
potrebbero attuare" e che si aprano ad una visione maggiormente
europea, riconoscendo nuovi riferimenti internazionali "
dai laburisti inglesi ai sindacati francesi, compresi quelli cattolici
e quelli socialisti, alla socialdemocrazia tedesca, il potenziale democratico
esiste. Sono questi gli interlocutori effettivi cui il PCI deve rivolgersi:
non gli sparuti gruppi comunisti belgi, olandesi, scandinavi, inglesi
che non rappresentano nessuna reale posizione democratica e popolare nei
rispettivi paesi. Ecco dunque due elementi immediati per l'utile avvio
e per una seria meditazione che ritengo si possano intanto proporre..."
Larticolo suscita anche
un dibattito a sinistra (con interventi del socialdemocratico Saragat
e del repubblicano Ugo LaMalfa) che viene bruscamente chiuso dalla replica
a Pannella di Palmiro Togliatti. Questi, mentre sostanzialmente giustifica
loperato dei comunisti al potere nei paesi di "democrazia popolare"
e leliminazione (non solo politica) degli alleati a causa del loro
abbandono del programma iniziale, nega la necessità di un dibattito in
tema e si limita ad invitare "al confronto delle posizioni sul terreno
di un positivo programma di progresso democratico e di rinnovamento economico
e quindi all'elaborazione anche solo a grandi linee di un orientamento
politico nuovo. Quando a questo si sia arrivati, la confluenza per raggiungere
l'obiettivo comune di forze diverse, e soprattutto di forze che hanno
il peso che noi abbiamo, sarà cosa necessaria. "
Lintervento provoca effetti laceranti all'interno del partito radicale:
è la prima presa di distanza della "sinistra radicale", la prima
manifestazione di dissenso strategico rispetto alla classe dirigente del
"Mondo", che puntando invece allisolamento della sinistra
comunista, non mancherà di liquidare affrettatamente la questione.
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MARZO Italia: Roma Media, Il Mondo
Nuovi equilibri
politici creatisi in seguito al crisi della Democrazia Cristiana (che
vede emergere una corrente di sinistra, contrapposta alla destra clerico
- conservatrice) e nuove disponibilità socialiste, spingono una parte
consistente del gruppo dirigente radicale a riconsiderare la possibilità
di unalternativa di centrosinistra, costituita da forze "che
sono quelle della sinistra democratica laica socialista e cattolica, politicamente
rappresentate e parlamentarmente identificabili." (Adolfo Battaglia
Il Mondo)
MAGGIO
- Italia: Roma, Teatro Eliseo Lezioni di antifascismo
Il PR promuove
un corso di lezioni sullantifascismo. Partecipano storici e studiosi
ma anche esponenti delle varie correnti antifasciste. Le lezioni si svolgono
nei giorni in cui il Sindaco di Roma Urbano Cioccetti aveva rifiutato
di celebrare la ricorrenza della liberazione di Roma (4 giugno), contro
il parere unanime dellopposizione. Il consigliere comunale radicale,
Leone Cattani, si dimetterà in segno di protesta invitando le opposizioni
a fare altrettanto.
Mozione
approvata al I Congresso nazionale del Partito radicale
1 Marzo 1959
"Il I Congresso Nazionale
del Partito Radicale, riunito in Roma il 27-28 febbraio e 1º marzo 1959,
ha ascoltato e approvato la relazione della Giunta Esecutiva Nazionale,
presentata da Arrigo Olivetti, sull'attività svolta dal 10 dicembre 1955,
data della fondazione del partito ad oggi.
Durante questo triennio, il
partito ha dovuto affrontare due battaglie elettorali, una amministrativa
ed una politica, combattute entrambe in difficilissime condizioni. In
queste occasioni, come nelle molte altre circostanze prodottesi durante
il triennio, il partito ha sostenuto, con grandissimo spirito di sacrificio
e con generoso slancio ideale, il confronto con altre forze politiche
ben altrimenti agguerrite e potenti. Si può affermare addirittura che
i radicali hanno dovuto sostenere l'urto più violento proveniente al tempo
stesso dalle forze clericali e da quelle comuniste, desiderose entrambe
d'impedire il sorgere di una sinistra democratica nel nostro paese.
Tutti i membri del partito,
al centro e alla periferia, negli organi direttivi come alla base, in
mezzo a rinunce e difficoltà materiali e morali d'ogni genere, hanno interamente
compiuto il loro dovere, e il Congresso ne dà solenne riconoscimento.
Il Congresso, esaminata la
situazione politica determinatasi dopo le elezioni del 25 maggio 1958,
ravvisa nell'esperimento Fanfani il tentativo di avviare una politica
di riformismo paternalistico, inadatta a risolvere i reali problemi della
disoccupazione, della sperequazione tra Nord e Sud, dei privilegi feudali,
dell'interferenza ecclesiastica, dell'impreparazione tecnica, che attardano
il nostro paese su posizioni incompatibili con la moderna civiltà occidentale
e impediscono ogni sviluppo civile ed economico.
Quell'esperimento comunque,
pur nella sua assoluta inadeguatezza alla dimensione dei problemi reali,
è stato ritenuto intollerabilmente gravoso dalla Democrazia Cristiana
e dalle forze clericali e conservatrici che la sostengono, le quali gettando
ormai ogni ritegno, hanno ritenuto giunto il momento di realizzare quell'alleanza
con la destra estrema e anticostituzionale così a lungo patrocinata dall'Azione
Cattolica e dalla destra economica.
Il Partito Radicale, fin dai
primi giorni della sua fondazione, ha ritenuto che lo strumento politico
per offrire una alternativa al nostro paese fosse una grande alleanza
di sinistra democratica, che stringesse insieme tutte le forze di democrazia
laica e socialista, pur nelle rispettive differenze ideologiche e nella
rispettiva autonomia organizzativa. Su questa strada, il Partito Radicale
constata con soddisfazione che il tempo non è passato invano e prende
atto che la sua azione politica e i suoi appelli non sono rimasti privi
di risultati concreti. Le prove più incoraggianti di questo processo sono
l'uscita dei repubblicani dalla vecchia maggioranza centrista, la raggiunta
autonomia del partito socialista, la liberazione della parte più viva
della socialdemocrazia dalla seduzione e dagli equivoci del fiancheggiamento
ministeriale.
Oggi, di fronte ad accresciuti
pericoli e ad agguerriti avversari, il paese dispone però di un complesso
di forze politiche di sinistra democratica capaci di condurre a fondo
la lotta per l'autonomia dello Stato, per lo sviluppo economico, per l'elevazione
intellettuale e morale degli italiani.
Il Congresso del Partito Radicale,
nel constatare che a quest'opera di creazione della sinistra democratica
italiana il partito ha dato un prezioso contributo, impegna gli organi
direttivi centrali, gli organi periferici, i militanti e simpatizzanti
tutti a proseguire gli sforzi affinché il nuovo schieramento si estenda
e si consolidi e sia in grado d'offrire al corpo elettorale un'indicazione
unitaria e un'efficace alternativa.
Entro questo schieramento,
il Partito Radicale deve perseguire i suoi compiti specifici e mantenere,
anzi caratterizzare al massimo, la sua particolare fisionomia politica
e programmatica, quale è stata definita dalla relazione Boneschi, che
il Congresso approva.
In particolare, il partito
si propone:
- una politica di netta autonomia
del potere civile da quello ecclesiastico;
- la denuncia costante e sistematica
della corruzione pubblica e dei soprusi del sottogoverno;
- una politica economica di
pieno impiego e di lotta contro le concentrazioni monopolistiche;
- la nazionalizzazione dell'industria
elettrica e dell'energia nucleare;
- la difesa della scuola pubblica
e il suo potenziamento per sollevarla dalla miserevole condizione in
cui attualmente si trova;
- un efficiente controllo
della Radio e della Televisione;
- una politica estera di fedeltà
alle alleanze occidentali nel rispetto della pace e nel rifiuto di pericolosi
oltranzismi; l'adesione alle istituzioni comuni europee nella misura
in cui esse non si trasformino in strumenti di sopraffazione dei ceti
privilegiati a danno delle grandi masse dei lavoratori e dei consumatori.
Con questo programma e con
questi obiettivi il Congresso fa appello a tutti gli iscritti affinché,
stringendosi intorno al partito, contribuiscano a preparare al paese giorni
migliori, nella giustizia e nella libertà." AP 1222
Organi eletti:
Segreteria: Leopoldo Piccardi,
Arrigo Olivetti, Franco Libonati
Vice segretario: Eugenio Scalfari
Un intervento
di Marco Pannella
Il Paese
22 marzo 1959
Sono le cose, in Europa, a
porre in modo drammatico l'interrogativo se sia possibile l'alleanza della
sinistra democratica e di quella comunista per la difesa e lo sviluppo
della democrazia. Chi come me ritenga di rispondere affermativamente ha
il dovere di non ignorare le difficoltà ed i rischi di questa politica
e di dichiararli, perché si superino.
Da decenni, ormai, poche lotte si sono combattute più aspre e continue
di quelle che hanno opposto democratici e comunisti; non furono e non
sono dissensi tattici.
Chiedetene agli anarchici e ai repubblicani spagnoli e comprenderete tra
l'altro l'avventura, altrimenti incomprensibile, dell'antifascista Pacciardi
e degli anarchici di Carrara che lo mandano in Parlamento; chiedetene
ai socialisti di mezza Europa e tra questi all'on. Saragat e sentirete
operante il giusto ricordo di Benes, di Masaric, di Nagy, della eliminazione
fisica della classe dirigente socialista dell'Europa orientale; chiedetene
ai socialisti d'oltralpe e ricorderete con loro l'atteggiamento dei comunisti
francesi nel '39; chiedetene ai polacchi, ai socialisti lettoni, estoni,
lituani, finlandesi, fino ai comunisti yugoslavi. Sono ricordi ancora
vivi nella coscienza dell'antifascismo e sono rispettabili qualunque sia
il grado di rinuncia o di debolezza raggiunto da alcune delle forze e
degli uomini democratici di sinistra. Debbono capirlo i comunisti, e profondamente,
quando, come oggi, chiedono in Europa una reale alleanza con i democratici
e non più una generosa solidarietà frontista.
In Italia la situazione non manca di chiarezza. Prigionieri o decisi nemici
del Pci fino a un recente passato, socialisti, radicali, e repubblicani
annunciano, con buona pace dell'on. Vecchietti, uno schieramento unitario
e tracciano ormai un programma di governo in alternativa a quelli democristiani.
Non intendono escludere, né possono, i cattolici dal rinnovamento democratico,
ma ne assumono essi l'iniziativa, contro l'attuale Dc. Proporre in questo
lavoro una corresponsabilità del Pci; operare senza ipocrisie e senza
paure in questo senso, è compito serio della sinistra democratica, cosciente
della propria irriducibile autonomia non meno che del proprio diritto
a porsi come forza che si candida al potere. Se per edificare in Italia
uno Stato democratico e moderno, almeno quel tanto che è previsto dalla
Costituzione, è necessaria una nuova maggioranza nel paese nel Parlamento
perché, fra le altre, non verificare l'eventualità di un'azione comune
della sinistra democratica, di una parte dei cattolici e dei comunisti?
Dieci anni non sono trascorsi invano. Diversa, anche se non sempre grave,
è la situazione internazionale; ma soprattutto diversa è quella italiana.
Allora gran parte della cultura laica sembrava divisa fra la tentazione
accademica e la frana su posizioni di sostegno al Pci; il socialismo sembrava
destinato ad una funzione subordinata; lo stesso sindacalismo era mobilitato
nella politica di guerra fredda; il Partito d'Azione era scomparso; ancora
convogliate nel frontismo le giovani generazioni intellettuali: il Pci
appariva da solo come una reale alternativa di regime, sull'onda della
instaurazione violenta delle «democrazie popolari». Anche se nulla quindi
sembra oggi mutato nel comunismo italiano sarebbe infantile non considerare
il diverso contesto storico in cui è chiamato ad operare.
Ma come arrivare a una proposta, come scavalcare le obiezioni, i timori,
i ricordi e lo smarrimento che si sono accumulati persino in chi, come
noi, matura i giudizi che andiamo a esprimere?
Diciamo subito che nei confronti del Pci rifiutiamo la via della richiesta
di «garanzie» e di «chiarezze» artificiose e antistoriche, così come,
nell'ambito della sinistra democratica, non concordiamo con chi vorrebbe
la rottura della Cgil e delle amministrazioni «frontiste»: sappiamo d'altra
parte che secca perdita di tempo si realizzerebbe col chiedere al Pci
di rompere preventivamente le proprie alleanze internazionali o di accettare
il Mercato comune o di abiurare solennemente i propri dogmi. Possiamo
invece rilevare immediatamente che, se nell'ultimo Cc del Pci l'intervento
dell'on. Amendola avesse tenuto luogo della relazione Pajetta e la sua
posizione costituisse la base principale per un possibile incontro fra
noi e i comunisti, ci sentiremmo gravemente scoraggiati in partenza. L'on.
Amendola, infatti, propone al suo partito una politica di alleanze richiamandosi
all'atteggiamento che i comunisti assunsero fra il '43 e il '46 nei confronti
della Chiesa e della monarchia. Vale a dire: compromesso con i monarchici
ed i reazionari contro azionisti, socialisti e repubblicani; compromesso
con i clericali sul Concordato, contro tutta la sinistra e i liberali.
Con tutta franchezza ci pare quanto meno inverosimile che un responsabile
del Pci proponga di saldare legami, oltre che con l'on. Milazzo, con i
democratici italiani usando di simili pezze di appoggio. Il valore di
una eventuale alleanza politica (non solo tattica) fra sinistra democratica
e Pci comporta operazioni e coscienza ben diversi.
Per rafforzarci, molti o poche che si sia, nelle nostre convinzioni che
andiamo qui accennando, sarebbe sufficiente che i comunisti per il momento
mostrassero un più preciso e spontaneo interesse ad una alternativa democratica
di governo, cessando quindi di proporre mirabolanti politiche che nemmeno
da soli potrebbero attuare. Essi sanno quanti sacrifici un popolo deve
fornire per un avvenire migliore: dove sono al potere ne hanno chiesti,
a volte, di immani. E la situazione italiana non richiede, per fortuna,
altrettanto. Il migliore dei governi non potrà non graduare le riforme,
non sacrificare interessi anche vasti, non fare «piani pluriennali». Sin
d'ora è necessario annunciarlo chiaramente, non illudere alcuno, non confondere
la volontà di realizzare uno Stato democratico, che è politica, con lo
sdegno contro ogni ingiustizia e sofferenza, che è protesta morale. Sin
d'ora chi vota per un'alternativa democratica deve sapere cosa può promettere
e garantire a sé e all'intero paese. La sinistra democratica e in modo
particolare il Partito radicale vanno compiendo questo sforzo; la recente
relazione dell'on. Pajetta e la risoluzione finale del Cc non mostrano
questa consapevolezza.
Inoltre il Pci ci sembra adagiarsi su un pericoloso fatalismo (se non
è calcolo) nel considerare la situazione europea nel cui contesto esso
non può negare che le strutture economiche, il clima culturale e la realtà
sociale italiana si muovono. Credere che i grandi monopoli e gli interessi
reazionari controllino ormai ineluttabilmente l'economia europea e, attraverso
questa, la politica dei vari stati nazionali, significa peccare per lo
meno di disfattismo nell'ambito delle forze democratiche, operaie e proletarie
europee. Riaffiora anche qui l'errore che i comunisti devono superare
con maggior vigore: dai laburisti inglesi ai sindacati francesi, compresi
quelli cattolici e quelli socialisti, alla socialdemocrazia tedesca, il
potenziale democratico esiste. Sono questi gli interlocutori effettivi
cui il Pci deve rivolgersi: non gli sparuti gruppi comunisti belgi, olandesi,
scandinavi, inglesi che non rappresentano nessuna reale posizione democratica
e popolare nei rispettivi paesi.
Ecco dunque due elementi immediati per l'utile avvio e per una seria meditazione
che ritengo si possano intanto proporre.
Iniziare a discutere una comune politica fra comunisti e democratici,
è, comunque urgente. Nessuna confluenza, nessuna soluzione è mai scontata
nella storia e nella politica: la logica delle cose di per sé non è creatrice;
quella degli uomini deve animarla, secondarla, dirigerla.
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