12/13
Marzo Italia: Roma (Eliseo) Convegno del Mondo "Le
baronie elettriche"
Relatori: Rossi,
Scalfari, Piccardi, sir Josiah Eccles del British Electricity Council.
Il convegno sostiene la nazionalizzazione dellindustria elettrica
contro il monopolio dellAssociazione delle aziende elettriche e
presenta un progetto di legge.
Leopoldo Piccardi ed Eugenio
Scalfari
LUGLIO
Italia Manifestazioni
I radicali
partecipano nelle principali città alla costituzione dei Comitati unitari
per la resistenza, contro il governo di Tambroni e delle destre. Così
come partecipano alle manifestazioni popolari ed agli scontri a Genova
e a Porta S.Paolo, a Roma.
6
NOVEMBRE Italia
Elezioni amministrative
"Pur
con oscillazioni tra la paura dellincontro dei socialisti con i
cattolici che avrebbe potuto esaltare le caratteristiche illiberali delle
due forze, e la speranza di una politica liberale di riforme
imposta dalle forze laiche in un nuovo equilibrio politico, i radicali
aderirono allipotesi politica che andava maturando. E in particolare
una parte del Pr, facente capo a Leopoldo Piccardi ed Eugenio Scalfari,
puntava decisamente ad unalleanza organica con i socialisti
"
Così il PR arrivò a presentare suoi candidati nelle liste socialiste,
ottenendo un significativo successo: quattro candidati radicali, (Scalfari,
Bordero, Turone, Elio Vittorini) furono eletti a Milano; tre a Roma (Cederna,
Piccardi, Vittorio Foa); Villabruna
a Torino, complessivamente circa cinquanta consiglieri comunali e provinciali.
"Si
cominciava a delineare il disegno di una parte del gruppo dirigente di
allora (in particolare di Piccardi e Scalfari) di dissolvere il Partito
Radicale nel Partito Socialista."
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NOVEMBRE Italia: Roma Consiglio nazionale PR
Un
ordine del giorno del Consiglio radicale, commentando i risultati elettorali,
dichiara il fallimento della politica delle convergenze parallele
ed invita repubblicani e socialdemocratici a togliere la fiducia
al governo Fanfani.
19/20
Novembre - Italia: Roma - Consiglio Nazionale PR, Mozioni della Sinistra
Il "Progetto di risoluzione sulla politica del partito radicale" presentati al Consiglio a firma
di Marco Pannella e Giuliano Rendi, possono essere a giusto titolo considerate
come l'atto costitutivo della "sinistra radicale",
cioè come l'atto di fondazione della politica di alternativa laica, libertaria,
socialista e internazionalista che ha caratterizzato il Partito Radicale
negli anni sessanta e settanta.
Le tesi della sinistra determinarono una spaccatura
entro larea dei giovani radicali: da una parte la "sinistra
radicale" (oltre ai firmatari Gianfranco
Spadaccia, Sergio Stanzani, Franco Roccella, Mauro Mellini, Angiolo Bandinelli,
Giuseppe Ramadori, Giuseppe Picca, Andrea Torelli, Giuseppe Loteta, Massimo
Teodori - INR42- solo alcuni dei quali erano nel Consiglio Nazionale),
dall'altra la "destra" (Giovanni Ferrara, Stefano Rodotà, Gerardo
Mombelli, Claudio Simonelli, Piero Craveri, Lino Jannuzzi ) i cui
componenti negli anni successivi ebbero diversi itinerari a volte anche
convergenti con quelli del nuovo partito.
La vecchia classe dirigente del PR si presentò apparentemente unita nel
respingerle. Ma era una unità che nascondeva il dissolvimento drammatico
dei mesi successivi, mentre già allora si stringeva il rapporto, la vicinanza
ideale, politica, della "sinistra radicale" con Ernesto Rossi.
Marco Pannella
Spadaccia, Stanzani,
Roccella
Mellini , Bandinelli e Teodori
Ernesto Rossi
Progetto
di risoluzione sulla politica del Partito Radicale
di
Marco Pannella e Giuliano Rendi
Consiglio
nazionale PR del 19.11.60
Le quattro
sezioni del documento affrontano:
- I rapporti
con il mondo cattolico e labolizione dell'articolo 7 della Costituzione
italiana (sul Concordato tra Chiesa e Stato). Si respinge la formula del
centrosinistra, mentre si propone uniniziativa a tutta la sinistra
anche comunista per labolizione dellart.7.
- I rapporti
con il PSI ove i radicali dovevano essere considerati non rappresentanza
di ceti intellettuali e borghesi, bensì espressione di una politica unitaria
delle forze delle sinistra popolare.
- Ricordo dellinsurrezione
magiara del 56. Esprime il commosso ricordo di tutti i radicali per il
quarto anniversario dell'insurrezione ungherese, prospettando inoltre
un nuovo rapporto con le sinistre democratiche anche comuniste.
- Nello "Schema di dichiarazione
sulla politica estera, sul disarmo atomico e convenzionale, sulla politica
per la pace" si pongono quali obbiettivi:
- la difesa intransigente
dellONU ed il suo potenziamento progressivo;
- la costituzione di una
federazione europea da perseguirsi immediatamente attraverso elezioni
dirette;
- il disarmo atomico e
convenzionale dell'intera area continentale europea con la conseguente
abolizione degli eserciti nei paesi di questa area;
- la pace separata e congiunta
con le due Germanie, la conseguente denuncia del patto militare NATO
(il non rinvio alla scadenza istituzionale del 1961) e dell'UEO;
- la proclamazione del
diritto all'insubordinazione e alla disubbidienza civile di tutti i
cittadini che non accettino la politica di riarmo, di guerra, di divisione
e di concorrenza di Stati nazionali
"
Fino a proporre la "la
federazione o comunque la comune organizzazione di tutti i movimenti socialisti,
popolari e rivoluzionari che combattono per l'instaurazione di un regime
di democrazia e di libertà nell'Europa occidentale."
Progetto
di risoluzione sulla politica del PR
presentato dai
Consiglieri Nazionali
Marco Pannella e Giuliano Rendi
19/20 novembre 1960 - Roma
Schema di dichiarazione sui rapporti con il
mondo cattolico e per l'abolizione dell'art. 7.
Il Consiglio Nazionale del Partito Radicale, avendo considerato le manifestazioni
popolari dell'estate scorsa ed i risultati della recente prova elettorale,
analizzando le cause di questi avvenimenti e rispondendo alla richiesta
sempre più pressante e chiara delle grandi masse operaie e partiti di
sinistra e ai movimenti antifascisti perché evitino il pericolo di costituire
in qualsiasi momento un argine e un freno alle volontà rinnovatrici dei
cittadini anziché organizzarle e potenziarle; afferma coerentemente con
la battaglia che gli è stata particolare sin dalla sua costituzione, che
le forze del progresso e della libertà devono coraggiosamente prendere
atto che la Chiesa, con le strutture e le manifestazioni politiche che
ne derivano, rappresenta storicamente in Italia l'elemento catalizzatore
e promotore di ogni politica reazionaria, autoritaria, fascista, clericale,
anticostituzionale in atto o virtuale, come di quelle passate. Considera
che ogni tentativo, ogni velleitaria illusione, di dare una interpretazione
diversa contribuisce ad accreditare il mito della assoluta necessità che
in Italia siano le forze cattoliche a dover dirigere, comunque, qualsiasi
processo di radicale mutamento della situazione, sia in senso fascista
che in senso democratico e avalla l'argomento clericale secondo cui non
si può più, oggi, all'inverso di quanto è stato possibile con il Risorgimento,
costruire la nuova società italiana ed europea senza la partecipazione,
il consenso, il patrocinio della Chiesa. Ha in definitiva origine in una
pericolosa tendenza rinunciataria, pessimista che si maschera di realismo
politico e che è sostanzialmente disfattista verso le energie popolari
e rivoluzionarie.
Il Partito Radicale riconosce che la polemica politica ha a volte portato
ad analisi semplicistiche del voto politico che i comunisti hanno espresso
in sede di Costituente sui rapporti fra Stato e Chiesa. Certo il voto
comunista sull'articolo 7 non fu dovuto solo a calcolo tattico ma anche
ad una illusione sul carattere rinnovatore del partito cattolico.
Se nel 1946 era forse possibile pensare a un accordo, o anche ad un incontro
tattico di qualche importanza, fra le forze popolari socialiste laiche
e comuniste con quelle cattoliche, e su questa ipotesi regolare in modo
clamorosamente eccezionale il comportamento di un gruppo popolare, oggi,
nel 1960, la tesi dell'incontro fra le masse cattoliche e quelle progressiste
e moderne non può essere più ritenuta sufficiente, adeguata e rispondente
agli interessi obiettivi del nostro paese, nè conseguente con l'esperienza
e gli avvenimenti degli ultimi anni. La lotta politica e le masse italiane
hanno tutto da guadagnare da una maggiore chiarezza di prospettive e da
diagnosi più coraggiose. Ripeter loro che i cittadini, intellettuali,
operai o contadini legati alla politica clericale rappresentano un'altra
forza con cui l'obiettivo è di arrivare comunque a collaborare, è dannoso
e inutile; è inoltre, falso e mostra una inaccettabile tendenza a sminuire
il carattere irriducibile di diverse opzioni ideali.
Del pari l'altra posizione che sembra tenda ad ancorarsi all'ambito delle
forze di sinistra nel nostro Paese è quella che, partendo dal congresso
di Torino e da alcune enunciazioni di Morandi, è oggi in modo più peculiare
difesa da Nenni. La tesi secondo la quale dall'interno del mondo cattolico
al potere possa prevalere e sorgere una classe dirigente capace di attuare
una seria e sufficiente svolta a sinistra, sia pure sotto la pressione
delle forze popolari, è ingiustificata e ottimistica; ignora il contesto
del mondo cattolico, i suoi interessi irrinunciabili nell'attuale momento
storico italiano della Chiesa e della classe capitalista e reazionaria
che attorno ad essa e con la quale ha confuso i propri interessi.
Una continua altalena di speranze e di disillusioni, di inviti e di ripulse,
di trasformismo e di reazione si stabilisce nel momento in cui si accreditano
i gruppi fanfaniani o petrolieri della sinistra di base, ai loro stessi
occhi e a quelli del Paese.
Se realmente esiste la possibilità prossima e seria che la Democrazia
Cristiana faccia una svolta sostanziale a sinistra, che non sia unicamente
mossa parlamentare e di vertice, ma che tocchi le strutture stesse del
Paese, non si vede perché tanta parte, e magari una ancora maggiore, dell'elettorato
italiano non abbia ragione a continuare a votare per la DC.
Non diversamente errata ci appare la condotta di Saragat e dei repubblicani
i quali sperano di mutare il corso della politica italiana con coloro
che hanno interesse a non mutarlo.
Il Partito Radicale ritiene che le masse popolari, con le manifestazioni
spontanee e dure dell'estate scorsa, con il loro voto del 6 novembre chiedono
loro innanzitutto una opzione ideale. Che, senza questa, i cittadini continueranno
a nutrire una battaglia politica povera e senza vere ragioni.
Il Partito Radicale riafferma che si debba chiedere ai cittadini del nostro
paese la possibilità prossima di affrancare lo Stato e la società dalla
più pesante schiavitù che gravi su di essi: la legalizzazione, attraverso
l'art. 7 della Costituzione, della sopraffazione clericale e classista;
e la vergognosa inserzione in una Costituzione nata dalla Resistenza di
un patto iniquo con chi ha in questi anni dimostrato di avere ancora una
volta scelto, come sempre, di essere contro la civiltà moderna e le aspirazioni
di giustizia e di libertà dei democratici in Italia e in Europa.
Il Consiglio Nazionale del PR da mandato alla Direzione Nazionale di prendere
gli opportuni contatti con tutti i partiti che combattono contro la manomissione
clericale e monopolista dello Stato, per illustrare la posizione del Partito
sui rapporti fra Stato e Chiesa e studiare la possibilità di superare
le differenze esistenti, molto spesso per cause ormai remote o tattiche,
che ostacolano ancora un'azione unitaria. Invita la Direzione nazionale
ad adoperarsi per la costituzione di un Comitato nazionale di difesa dello
Stato e per l'abolizione dell'art. 7 della Costituzione.
Il Consiglio Nazionale da ugualmente mandato al Comitato Nazionale di
studi, di elaborare un progetto di legge proponente la confisca dei beni
ecclesiastici e norme atte a potenziare la possibilità di colpire le vessazioni
e i delitti contro la Costituzione del clero italiano. Il Consiglio Nazionale
considera infatti che l'enorme potenza finanziaria del Vaticano, la soffocante
rete di interessi e di vergognose speculazioni che ne è la conseguenza
non sia compatibile con lo sviluppo democratico e liberale delle nostre
istituzioni.
Schema di dichiarazione sul significato dell'alleanza
del PR con il PSI e della volontà di proseguire in una politica di sinistra
democratica
Il Consiglio Nazionale del Partito radicale, prendendo atto dell'importanza
delle reazioni seguite all'alleanza elettorale del PSI, e dei radicali,
riafferma l'alto valore democratico e il carattere di indicazione per
l'intera sinistra di una iniziativa unitaria infine realizzata, di un
metodo di mutuo rispetto e di attiva fraternità, che ancora una volta
sono stati combattuti, purtroppo, anche da altre forze popolari.
Dinanzi a interpretazioni arbitrarie o superficiali che sono state date
anche in ambienti amici, in modo particolare quella secondo la quale l'accordo
radical-socialista sancirebbe l'incontro dei ceti intellettuali e borghesi
con le forze popolari e democratiche, il Consiglio Nazionale afferma vigorosamente
che il PR fa parte integrante di queste ultime; ne condivide la sorte,
la volontà, i problemi; ne interpreta gli ideali e, autonomamente, ne
elabora gli obiettivi politici in termini di religione della libertà,
di rispetto del dialogo, di aspirazione democratica, di volontà rivoluzionaria.
Il Partito Radicale proclama di non volere e non potere avallare quei
ceti di cui sarebbe menzogna affermare, oggi, in Italia, la concreta volontà
di progresso, la fede e la pratica della libertà, la scelta della giustizia,
la coscienza dei problemi grandiosi che incombono sull'umanità e sulla
civiltà contemporanee. Solo con false nozioni stoltamente evoluzionistiche
si può affermare, infatti, che i ceti che strapparono il potere, in Europa,
alle monarchie assolute e alla chiesa, con la Rivoluzione francese e le
rivoluzioni nazionali, hanno oggi sviluppato in senso democratico le volontà
liberali che un tempo proclamarono di voler far proprie.
L'incontro con le forze popolari e democratiche dei ceti borghesi e degli
intellettuali è ipotesi cara ed antica, e mantiene in Italia e in Europa
tutto il suo valore di grande meta politica. Ma, appunto, è di una meta
che si tratta; non valgono dannose preoccupazioni pubblicitarie, anche
se fatte con le migliori intenzioni a farne un «fatto» realizzato.
Quest'incontro è auspicato dal PR come dalla totalità delle forze popolari;
il prossimo Congresso del Partito Radicale ha come compito anche quello
di approfondire il senso e la concretezza storica di quest'auspicio.
Ma, sin d'ora, il Consiglio Nazionale del Partito Radicale afferma che
questo incontro non potrà mai realizzarsi attraverso accordi politici
fra partiti. Nessuna organizzazione partitica può infatti pretendere di
realizzare una rappresentanza corporativa degli intellettuali o della
cosiddetta «borghesia liberale». Il giorno in cui le Università, gli istituti
scientifici, gli insegnanti delle scuole e le scuole stesse, i tecnici
che ormai hanno la direzione dei processi produttivi della società industriale
e le loro organizzazioni, prenderanno coscienza di vivere e di avere delle
concrete responsabilità nella storia del loro tempo, il giorno in cui
questi istituti o questi ceti sceglieranno, in quanto tali, la compagnia
e l'alleanza con le forze popolari e rivoluzionarie della democrazia,
del socialismo e della libertà solo allora sarà veritiero affermare che
un grande avvenimento si iscrive nelle pagine del nostro tempo.
Il successo che ha coronato l'impegno radicale nelle liste socialiste,
dimostra che gli elettori più consapevoli dello schieramento popolare
comprendono la necessità di una politica unitaria delle forze di sinistra
e riconoscono nel Partito Radicale una forza particolarmente qualificata
a affermarla.
I cittadini di Milano e di Roma, di Torino e di Genova, dell'Aquila e
di Udine e di tante altre città italiane, dando la loro fiducia a dei
candidati radicali, non hanno inteso «premiare» degli intellettuali un
tempo salottieri ed infine coraggiosi, ma hanno eletto dei rappresentanti
popolari ritenuti particolarmente qualificati per combattere con intransigenza
e efficacia la manomissione classista dello Stato, e la politica dei monopoli
e del Vaticano, reazionaria e clericale.
Il Consiglio Nazionale interpreta in questo modo il favorevole verdetto
dell'elettorato e sottolinea che è l'unico organo qualificato a farlo
a nome del Partito Radicale.
Respinge definitivamente ogni interpretazione presuntuosa e errata, tendente
a fare dei radicali gli attori di una impossibile operazione paternalistica
e borghese nei confronti delle necessità rivoluzionarie e socialiste della
lotta politica del nostro paese.
Schema di dichiarazione sull'insurrezione magiara
dell'ottobre-novembre 1965
Il Consiglio Nazionale del Partito Radicale, riunito in Roma il 19 e 20
novembre 1960, mentre si compie il quarto anniversario della drammatica
insurrezione del popolo ungherese, esprime il commosso ricordo di tutti
i radicali per quel glorioso e tremendo gesto di libertà.
Ma al di là di ogni intento di celebrazione, questo episodio va ricordato
perché appartiene in modo irrinunciabile alla coscienza ed alla storia
dei democratici di tutto il mondo. L'intima incapacità degli eroici attori
di quei giorni a trovare un obiettivo ed una ipotesi valida di vittoria,
sì che «disperato» fu realmente il loro coraggio, corrisponde alla analoga
drammatica impotenza interiore e pratica nella quale ci trovammo, tutti,
senza eccezione, anche se in condizioni diverse, liberali, radicali, democratici,
socialisti e comunisti, dinanzi a quei fatti e quegli uomini.
Perché tanto coraggio intellettuale, tanta passione popolare per la libertà,
tanto eroismo, mai più si trovino dinanzi alla prospettiva congiunta e
inseparabile di un necessario fallimento e del prevalere fatale di una
reazione brutale, incombe ai democratici di ogni paese e di ogni dottrina
il compito di cercare ed imporre quelle soluzioni ai problemi del nostro
tempo, che si mostrino capaci di risolvere in concrete conquiste liberali
e rivoluzionarie le aspirazioni ed i gesti di libertà degli individui
e dei popoli.
Il Partito Radicale auspica che tutti i democratici comprendano che è
partire dagli ordinamenti statuali esistenti, siano essi quelli di paesi
di antica civiltà liberali o quelli costituiti dalle moderne rivoluzioni,
al di là del deterioramento degli uni e contro le sclerosi e le deviazioni
degli altri, che gli obiettivi di ricerca, di invenzione e di conquista
della libertà debbono essere posti.
Poiché nella tragedia di cui fu attore il popolo ungherese non è tanto
la riaffermazione del diritto all'indipendenza nazionale, quanto la rivendicazione
di uno sviluppo nella società e per la libertà della rivoluzione, a costituire
il principale elemento di grandezza ed il valore di esempio dato a tutto
il mondo, a Budapest e nelle altre città ungheresi, nel novembre del 1956,
da quegli operai, da quei contadini, da quegli intellettuali, da quel
popolo in armi dinanzi al quale si inchinano ancora i radicali italiani.
Schema di dichiarazione sulla politica estera,
sul disarmo atomico e convenzionale, sulla politica per la pace
Dinanzi ai problemi di pace che oggi rappresentano la legittimazione stessa
della politica «estera» nel mondo, il Consiglio Nazionale del Partito
radicale afferma che gli obiettivi propri e gli interessi delle masse
popolari esigono il perseguimento di una politica che abbia al suo centro
la difesa intransigente dell'Onu ed il suo potenziamento progressivo;
la costituzione di una federazione europea da perseguirsi immediatamente
attraverso elezioni dirette; il disarmo atomico e convenzionale dell'intera
area continentale europea con la conseguente abolizione degli eserciti
nei paesi di questa area; la pace separata e congiunta con le due Germanie,
la conseguente denuncia del patto militare NATO (il non rinvio alla scadenza
istituzionale del 1961) e dell'UEO; la proclamazione del diritto all'insubordinazione
e alla disubbidienza civile di tutti i cittadini che non accettino la
politica di riarmo, di guerra, di divisione e di concorrenza di Stati
nazionali che appartengono ai loro nemici di classe e che perseguono fini
necessariamente contrastanti con l'unità internazionale delle classi lavoratrici
e democratiche; la federazione o comunque la comune organizzazione di
tutti i movimenti socialisti, popolari e rivoluzionari che combattono
per l'instaurazione di un regime di democrazia e di libertà nell'Europa
occidentale.
Il Partito Radicale ritiene che la conquista del potere da parte delle
forze popolari e democratiche, la realizzazione di una società libera
e moderna, è oggi messa in causa ed in grave pericolo da una generale
situazione di crisi cui non si sottraggono i partiti operai tradizionali.
Da una parte nel mondo occidentale riprendono piede movimenti e classi
dirigenti, idee e partiti che hanno una profonda vocazione per soluzioni
autoritarie belliciste; coloro che hanno rappresentato per decenni l'idea
e la volontà liberali sembrano colpiti da una disperata logica rinunciataria
e di abbandono; il mondo occidentale, in una errata preoccupazione di
efficacia nella competizione che lo confronta al mondo orientale e afro-asiatico,
sempre più cerca di difendersi attraverso una politica di potenza che
si esprime con il colpevole sostegno a regimi e classi dirigenti fascisti,
clericali e reazionarie. Noi non intendiamo assumere la corresponsabilità
di questo processo, ma al contrario ridare alla civiltà, della quale indubbiamente
facciamo parte integrante, il coraggio delle idee e delle migliori sue
aspirazioni: su questo i cittadini dell'Europa occidentale sono tenuti
a edificare il proprio avvenire ed a partecipare alla creazione di una
migliore pace nel mondo.
I partiti comunisti, che rappresentano un elemento storicamente determinante
delle forze popolari, sembrano sclerotizzati in una concezione della vita
internazionale che risale al periodo stalinista o della guerra fredda,
che implica spesso un vero e colpevole disfattismo verso le classi lavoratrici
europee. Ma se siamo certi e decisi in questa constatazione, proclamiamo
che vi è da parte nostra molto più rispetto e fiducia nei comunisti dai
quali siamo divisi soprattutto da questo errore che vorremmo superato
e contribuire a superare, che verso coloro che mascherano dietro la violenza
dell'accusa ai comunisti per le loro attuali posizioni, l'assoluta inconsistenza
delle loro.
Il Partito Radicale è sorto e opera nella vita politica italiana con premesse
ben precise e con precedenti altrettanto chiari.
Una lunga battaglia storica lo situa nella vita del nostro Paese. Nelle
loro differenze, sono i radicali lombardi degli ultimi decenni del XIX
secolo, i radicali romani che si espressero attraverso l'opera di Ernesto
Nathan, il pensiero e l'azione di Gaetano Salvemini, il Croce della religione
della libertà e della polemica contro Luigi Einaudi e della «Critica»
antifascista, l'Omodeo, il Gobetti, i Rosselli, Giustizia e libertà, il
Partito d'azione e la sinistra liberale di Mario Ferrara e di tanti altri
amici oggi presenti nelle nostre file; questi e numerosi altri punti di
riferimento costituiscono l'elemento di legittimità della presenza del
nostro Partito, della sua opera che deve essere sempre più conseguente
nella lotta politica italiana quale espressione delle forze popolari e
democratiche, delle masse operaie e intellettuali. Non solo ogni diversa
dislocazione sarebbe inutile e priva di prospettive, ma arbitraria e innaturale.
E' quindi a partire da questi dati culturali e storici e sociali, nella
continuità con le tradizioni pacifiste e democratiche delle forze popolari
e socialiste europee, che il Partito Radicale fonda le sue scelte di politica
internazionale.
La
Sinistra radicale e leredità del movimento goliardico.
Uno dei momenti formativi della
Sinistra radicale, come per vari esponenti della futura classe politica
fu la militanza di molti dei suoi membri nelle organizzazioni universitarie,
in particolare nellUGI - Unione Goliardica Italiana e nellUNURI
- Unione nazionale universitari italiani. Da queste provenivano Marco
Pannella (pres. Unuri), Giuliano Rendi, Gianfranco Spadaccia (pres. UG
Roma e Orur), Sergio Stanzani (pres. Unuri), Franco Roccella (pres. UGI),
e ancora Giuseppe Ramadori, Giuseppe Picca, Andrea Torelli, Giuseppe Loteta,
Massimo Teodori.
"Per un decennio la
politica universitaria aveva rappresentato una sfera fortemente autonoma
rispetto agli equilibri politici del paese; e in particolare la forza
laica dellUGI non era per nulla stata la trasposizione meccanica
dei partiti laici minori (Pli, Pri, Psdi)
" In polemica
con gli altri gruppi universitari che subivano passivamente le influenze
dei partiti a cui facevano riferimento, lUgi affermava - non
unità delle forze laiche ma unità laica delle forze come fondamento della
democrazia -. Un metodo che porto ad una collaborazione diretta sia
con i cattolici di base (FUCI) sia con comunisti e socialisti, al punto
che, nel 57, il gruppo universitario di Pci e Psi (CUDI) si sciolse invitando
i soci a confluire nellUGI.
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