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Cronologia del Partito Radicale -
1973

DOCUMENTI
Marijuana e giovani  Lettera a ‘Il Messaggero’ di Marco Pannella - gennaio
COMITATO PROMOTORE per una Lega degli obiettori di coscienza
La censura in casa  Marco Pannella - maggio
Una domenica da radicale Marco Pannella - LIBERAZIONE, 25 ottobre 1973
A CONGRESSO PER I REFERENDUM LIBERAZIONE, 25 ottobre 1973
Da I GIORNI DELLA LEGGE TRUFFA LOC NOTIZIE 4, Suppl. NR n. 210, 13 novembre 1973

Marijuana e giovani

Lettera a ‘Il Messaggero’ di Marco Pannella - gennaio

Più di cento secoli di galera comminati in cinque anni; per niente. Ora basta. Per questo, esponenti radicali fumeranno pubblicamente hascish.

Con i 17 giovani arrestati a Roma perché alcuni di essi fumavano hascish o marijuana, in otto giorni sono stati assicurati alla "giustizia" in tutta Italia oltre cento "delinquenti", così sconteranno almeno due secoli di galera. In cinque anni, seimila persone, in maggior parte giovani, hanno cumulato pene per almeno diecimila anni di detenzione, cento secoli di condanne a vivere in un universo carcerario che sociologi, medici, giuristi, assistenti sociali, di sinistra e di destra, pressoché unanimi, riconoscono essere fortemente criminogeno; produttore cioè di criminalità e non di responsabilità sociale e personale, di "redenzione".

Ho letto le dichiarazioni delle famiglie di questi giovani borghesi: intossicate dalla droga della disinformazione e della menzogna, terrorizzate in un vuoto e patetico perbenismo, sembrano anch'esse convinte che i loro figli siano dei criminali, dei pervertiti. Per "colpa" della scuola, degli amici cattivi , dei plagiatori di turno, del marxismo, del radicalismo, del divorzio, dell'aborto, della droga, degli obiettori di coscienza e dell'antimilitarismo, non importa .

Mi si consenta di chiedere a questi genitori di non essere, essi per primi, gli aguzzini e i boia di questi ragazzi. Non trasferiscano contro i figli le loro ossessioni, le loro paure, le loro colpe. Non giudichino troppo in fretta.

Questi ragazzi sono semmai vittime d'un crimine, non sono dei criminali. Non passa giorno in cui le forze di polizia non annuncino nuovi successi contro i nuovi nemici della Patria che fumano hascish e marijuana; ma non passa giorno, neppure, senza che la scienza non ammonisca, ribadisca, provi che i derivati della canapa indiana sono prodotti, se non innocui, almeno certamente meno nocivi di generi di vasto, pubblicizzato, familiare consumo (come l'alcool e - secondo molti - anche il tabacco degli accaniti fumatori), che non intossicano né danno assuefazione.
Non passa giorno, in Italia, senza che l'"americanizzazione" della malavita armata non manifesti la sua libera e sovrana crescita, con irrisori interventi preventivi e repressivi, mentre la polizia è mobilitata invece sempre più contro i giovani.

A questo quadro si aggiunga che il governo ha preparato una legge-truffa contro i fumatori di hascish e chiunque sia o venga in contatto con loro: contro la libertà di stampa e di ricerca scientifica, una legge-beffa, visto che proclama il diritto dei fumatori di canapa indiana di optare per un trattamento terapeutico, quando la scienza medica non è in condizione di riconoscere a nessun livello, fisico o psichico, una condizione patologica nel loro comportamento. Rischieranno, in realtà, di essere sottoposti a "cure" e "psicofarmaci", a terapie d'urto per cacciare dalla loro esistenza non una "malattia", che non hanno, ma il demone del dissenso e della disobbedienza. Questa proposta è la riprova che una politica di repressione socialmente aberrante sta per essere scatenata e potenziata a ogni livello sulla scorta di cifre deliranti e senza alcun fondamento circa la diffusione della "droga" fra i giovani .

Non abbiamo motivi di specifica stima per chi fuma hascish. Riteniamo anzi vi siano orizzonti sufficientemente vasti, fisici e morali, da esplorare e percorrere, per non aver bisogno di evasioni o di altri "viaggi". Moralmente, idealmente, dovremmo essere tutti capaci di rinunciare all'alcool, al tabacco, ai derivati della canapa indiana, ai tranquillanti, agli eccitanti, che una intossicazione pubblicitaria fanno consumare a fiumi. Eppure non lo facciamo. Moralmente condannabili, non siamo per questo arrestati, vilipesi, criminalizzati. Ma le attuali persecuzioni conducono al rischio di un "flagello"; decine di migliaia di ragazzi criminalizzati, traumatizzati, segnati per tutta la vita dall'unica, cieca e ottusa violenza di tutto questo "affare": quella delle istituzioni, del partito di regime.

Occorre difendersi. Attaccare. Per mio conto, non ho mai avuto occasione di fumare hascish, né intenzione, né necessità di farlo. Ma, dinanzi a questi crimini che ogni giorno mi vengono sbandierati come vittorie della moralità pubblica, non sono, non siamo disposti, con i miei amici e compagni del Partito radicale, ad assistere inerti . Non abbiamo, non vogliamo avere altra arma di lotta che quelle civili, nonviolente, rispettose degli altri, che solo possono prefigurare il tipo di società che vorremmo concorrere a edificare: sono quelle le azioni dirette contro le situazioni di ingiustizia delle leggi, della disobbedienza civile, dell'obiezione di coscienza. Le useremo.

Per questo dichiaro sin da ora che intendo, in un prossimo avvenire, fumare hascish almeno in una circostanza, pubblicamente, preavvertendone come devo e voglio le forze dell'"ordine". Inoltre, se non si sarà creata nel frattempo una campagna e una lotta politica per strappare migliaia di giovani al criminale comportamento attuale dello Stato, con altri compagni e amici che mai hanno in tal modo "fumato", lo faremo in una pubblica e preannunciata azione di disubbidienza civile. Lo faremo nei luoghi più opportuni; negli alti luoghi della "moralità" pubblica, dello Stato, dinanzi a politici o magistrati perché ci abbiano a portata di mano, di manette e di coscienza.
Speriamo che non sia necessario arrivare a tanto.

Certo, fumando hascisc, andremo anche noi in galera come e fra i 17 giovani dell'altro giorno. Come a loro, scienza, coscienza, la nostra moralità, concordi, ci diranno che vi andremo senza colpa. Siamo dolenti che questo debba apparirci necessario: ma, se necessario, lo faremo. Condannati, la "giustizia" avrà detto la sua, ma chi di noi, coloro che giudicano o coloro che sono giudicati, sarà nel vero e nel giusto, è un'altra storia; nella quale siamo sicuri di essere assolti e vincenti.


COMITATO PROMOTORE per una Lega degli obiettori di coscienza:

Nereo Gardin, Valerio e Umberto Minnella, Piercalro Racca, Beppe Marasso, Guido Cangianiello, Gianni Pecol Cominotto, Claudio Mondin, Toni Antoniazzi, Gianni Schiro, Davide Furlanis, Matteo Soccio, Luigi Radaelli, Luigi Zecca, Carlo Di Cicco, Mauro Nani, Giuseppe Calderisi, Claudio Pozzi, Gualtiero Cuatto, Alberto Betino, Piersanto Roccati, Achille Croce, Piergiovanni Listello, Massimo Maffiodo, Roberto Cicciomessere, Marco Pannella, Pietro Pinna, Renato Fiorelli, Gianni Rosa, Rolando Parachini, Gerardo Capone, Alfredo Mori, Mario Pizzola, Vincenzo Donvito, Aligi Taschera, Lorenzo Strik Lievers, Giulio Ercolessi, Alerino Peila, Luca Negro, Carlo Filippini, Mario Savelli, Nicola Tosi.


La censura in casa

di Marco Pannella

SOMMARIO:
Candidato unico delle sinistre contro De Gaulle alle elezioni presidenziali del 1965, artefice della rifondazione socialista e a lungo segretario del nuovo PSF, fautore dell'unità a sinistra e del programma comune nei primi anni settanta, sconfitto di misura da Giscard d'Estaing alle presidenziali del 1974 e poi due volte vincitore nel 1981 e nel 1988, François Mitterrand è il maggior protagonista della recente vita politica francese. Alla sua azione, soprattutto per l'opera svolta nella rifondazione socialista, i radicali guarderanno a lungo come a un possibile modello.
Nel 1973, nell'imminenza delle elezioni legislative francesi, il direttore dell' "Espresso" invitava Pannella a seguire quell'avvenimento. Le corrispondenze, però, venivano censurate. Quest'articolo è un racconto di quest'episodio, ma contiene anche interessanti valutazioni sulla politica francese e sul modo di fare informazione in Italia.

(La Prova Radicale - Maggio 1973 da " Marco Pannella - Scritti e discorsi - 1959-1980", editrice Gammalibri, gennaio 1982)

E' possibile per un semplice democratico, per un liberale , esercitare con qualche attendibilità e rigore il "mestiere" giornalistico, senza alibi "deontologici" per coprire le compromissioni politiche e civili, e senza alibi politici per coprire le compromissioni deontologiche? Penso di sì, ma penso anche che sia difficile e che non siano facilmente individuabili esempi che comprovino questa possibilità.

Sergio Saviane, da par suo, anche in questo numero di La Prova Radicale, torna a denunciare i meccanismi di autocensura ormai dilaganti. Su un recente numero di Panorama, a proposito della Rai-Tv e del suo sistema ormai planetario (non c 'è stella pur scialba nella nebulosa pubblicistica editoriale italiana che non ne faccia parte), ci viene un altro onesto contributo di conoscenza e di volgarizzazione (cioè di laicizzazione) sulle servitù e le indennità del mestiere giornalistico. L'apologia coraggiosa e fraterna di Giorgio Bocca a favore del pericolante Manifesto (e l'analogo atteggiamento di Livio Zanetti) mostra inoltre che anche fra i nostri maggiori giornalisti c'è ancora chi non dimette la speranza e la volontà di recuperare i valori di libertà e moralità nel settore dell'informazione e del giornalismo professionale, fatto da non sottovalutare e anzi da secondare; anche se, a proposito del Manifesto, sarebbe tempo di fare un più ampio e complesso discorso dal quale potrebbe forse agevolmente ricavarsi la dimostrazione che la deliberata e lodevole povertà, la rinuncia a compromessi editoriali e politici attraverso la pratica dell'autofinanziamento, non risolvono di per sé il problema che ci sta a cuore: nel Manifesto l'uso della censura, dell'informazione intermittente al servizio delle particolari simpatie personali o di gruppo, dello strumento-giornale come elemento di potere contro le verità della cronaca militante, sono sempre stati presenti e lo sono in misura preminente tutt'ora.

Ci sembra che se continueremo a denunciare il "fascismo" (del tutto inesistente sul piano della prassi) di giornalisti come Enrico Mattei, o a essere ipersensibili a quello, dubbio, di un "paleo-fascista" come Alberto Giovannini, continueremo a produrre quelle grottesche incarnazioni del velleitarismo e dell'ipocrisia davvero neo-fascista o vetero-corporativa che furono, o sono, nella sostanza, il Movimento dei giornalisti democratici dei Ceschia e dei Rocco Pellegrino, dei Manca e La Volpe, dei pennuti radiotelevisivi o realistico-rivoluzionari o mistico-rustici che tanto bene vivono e mangiano insieme, alla faccia dell'onestà giornalistica, della democrazia e della libertà dell'informazione e del cittadino.
Ma un po' fascisti, in verità, lo siamo tutti. E' un fatto di capacità e di inadeguatezze, prima che di buone volontà e di buone fedi.

Avevo pensato, dopo dieci anni di totali dimissioni dalla "professione" remunerata e organica, di poter finalmente accettare, sul piano personale e politico, un rientro nel "giornalismo" ufficiale. Dopo un anno di rinnovata conoscenza, di dialogo più generale, nel gennaio di quest'anno ho infatti accettato l'offerta di Livio Zanetti, direttore dell'Espresso, di seguire come inviato speciale le elezioni francesi e gli eventi successivi. Dieci settimane di prestazione professionale con condizioni finanziarie disastrose per me ma, nel contesto di un accordo pedante e quasi notarile, con la più assoluta libertà da ogni censura e controllo, anche indiretti. A titolo di esempio, e ritenendo, per altro verso, doveroso "informare" sulle dirette, minime certo, ma significative esperienze che accumuliamo sui meccanismi dell'informazione '"democratica", vorrei brevemente raccontare quel che mi è accaduto in questa occasione.

Appena giunto a Parigi, il programma e gli accordi erano già saltati in aria. Da 24 ore era lì, con un denso itinerario di incontri e di interviste, il direttore editoriale del giornale. Mentre il corrispondente da Parigi, l'ottimo e unico Giancarlo Marmori, aveva appreso soltanto da poche ore il nostro arrivo. Disguido "aziendale", certo, superato alla fine con realistici compromessi, ma il guasto era provocato. Il programma saltato. E tuttavia, essendo l'accordo con Zanetti che una delle chiavi di interpretazione sulla "novità" della situazione francese era la rivalutazione motivata e documentata di François Mitterand (ne ero convinto dal l959) e della sua linea politica, rigorosa, pulita, efficace, chiara, laica, democratica, autenticamente socialista, concordiamo di pubblicare, accanto ad altri articoli e interviste sul Partito socialista francese, anche un mio servizio di quattro o cinque cartelle che consenta, senza troppe contraddizioni , l'avvio del discorso critico concordato. Ebbene, il servizio da un canto viene ridotto di almeno un terzo (i soliti e classici motivi di "spazio"), e dall'altro arricchito di aggiunte compensative. Avevo a più riprese ripetuto con voluta insistenza che Mitterand ' "crede nel socialismo", che "non crede più alla possibilità di uno sviluppo democratico fondato sul capitalismo". Erano interventi deliberati : per contestare il vecchio "cliché" dell'uomo politico trasformista e contraddittorio, ambizioso e furbo, che continua a circolare in quei giorni: perfino Spadolini, sulle colonne della Stampa , sentenzia e trancia moralisticamente, in questa direzione. Da quale pulpito!

Ebbene, la "redazione" dell'Espresso non trova nulla di meglio che censurare ogni accenno polemico contro la denigrazione nei confronti di Mitterand, e, puntualmente, le affermazioni che il leader socialista "crede nel socialismo" o "non crede nel capitalismo" vengono integrate da un subdolo inciso: "ufficialmente". Cosi anch'io mi trovo a firmare un pezzo nel quale si sottolinea con scaltrezza che Mitterand è socialista solo "ufficialmente" e si lascia intendere che nella inconfessata realtà la verità è ben altra. E per non lasciare dubbi su questa brutta verità mi si fa scrivere anche che Mitterand era stato vittima di poco chiare avventure come quella del 'falso' attentato dell' Observatoire. Altra balla,abbastanza ignobile anche se ampiamente diffusa: Mitterand riuscì a non essere vittima, anche moralmente, in quell'ennesimo tentativo di linciaggio, a tal punto che ancora oggi la "giustizia" francese e gollista non ha avuto, a distanza di oltre dieci anni, il coraggio di dar corso ai procedimenti giudiziari che Mitterand e la polizia misero in moto.
Così, dopo una decina di giorni me ne torno a Roma: se già in partenza gli "accordi" funzionano in tal modo, meglio abbandonare subito.

Al giornale mi s'accusa di drammatizzare un incidente tecnico, di peccare d'eccessivo e formale rigore, ma tutti , tutti sono d'accordo nel deprecarlo. Mi s'assicura, a ogni livello, che il fatto non si ripeterà in alcun modo, e mi si prega di tornare al lavoro. Cosi torno a Parigi. Scrivo un pezzo piuttosto lungo sul PCF, Marchais e i "nuovi comunisti". Sottolineo le differenze patenti tra PCF e PCI, rovesciando il giudizio corrente: in Italia un partito democratico e liberale, in Francia un partito sclerotico e stalinista, che ha avuto corso per vent'anni. Rilevo che sarebbe comunque, anche in futuro, impensabile che, il PCF si trovi a tal punto corresponsabile di regime da appoggiare incondizionatamente, come fece il PCI nel 1963, l'opera di un personaggio come Eugenio Cefis " . Sull'Espresso la frase viene cosi mutata: Né è pensabile che il PCF possa mai, come può aver fatto in passato il PCI, tollerare l'azione di ambigui personaggi dell'economia pubblica o privata". Da un'affermazione precisa, smentibile, ma anche documentabile, firmata, si passa all'allusione, tipica di un certo nostro giornalismo esperto nel dire non dicendo, nell'insinuare non affermando.

Tre settimane dopo invio un servizio conclusivo, di prospettiva. Non comparirà mai. Antonio Gambino s'accorge che vi sono le elezioni francesi e tira fuori un pezzo in cui sostiene esattamente l'opposto di quanto finora pubblicato.
Con un anticipo di una decina di giorni lascio Parigi. Invece delle oltre settanta cartelle concordate, ne sono uscite la metà, in parte manipolate.
Eppure quel che è passato è bastato per sollecitare grosse pressioni politiche cui è indubbio merito di Zanetti d'aver resistito: e alla fine, nonostante tutto, qualcosa è pur stato possibile far "passare" che, senza L'Espresso, non sarebbe circolato.

Perché penso che un episodio cosi marginale, in apparenza cosi povero e personale, valga la pena di essere raccontato? Perché se questo accade all'Espresso, vuol dire che anche numerosi colleghi di questo giornale ritengono certe procedure normali e ineluttabili. Questi colleghi sono, nella stragrande maggioranza, presi uno per uno, sicuramente "democratici" e non di rado più "a sinistra" di me, oltre a essere sinceramente amici e buoni compagni. Allora? Non si tratta, oltre tutto, di fatti nuovi, di tendenze che siano in particolare imputabili all'attuale direttore. Per quasi dieci anni la censura su ogni iniziativa, sul nome stesso del Partito radicale, è stata regola costante. E' con Zanetti, anzi, che i primi segni di disgelo sono venuti fuori. Se con Zanetti gli scontri si sono verificati è perché un minimo di onestà di informazione anche sulle lotte e sulle organizzazioni di conquista dei diritti civili si è fatta strada. Ancora tre anni fa vivemmo una esilarante avventura per un articolo chiestomi sul divorzio e sulla "mediazione Leone", sugli emendamenti approvati dal Senato: per cinque settimane l'articolo non uscii, per due o tre mi fu pagato, alla fine venne fuori massacrato: "clericale" era pudicamente "democristiano" . e "anticlericale" era diventato "laico" .

Questo oggi, per le discussioni che facemmo, non accadrebbe. Piuttosto non mi si chiede o chiederebbe un articolo. Ed è un progresso. Ma i colleghi e gli amici dell'Espresso non credono che la ' "democrazia" piuttosto che predicarla, conviene viverla? Con Panorama, L'Espresso è forse l'unico settimanale politico che serbi libertà e contraddizioni tali da poter sperare di non essere assorbito dal regime. Ed è certamente un fatto non trascurabile . Ma ci si può contentare di questo? Non ritengono i colleghi dell'Espresso che dovrebbero loro per primi esigere criteri e metodi più rigorosi e onesti nella cucina interna del giornale? Che sia il direttore, o il "legale" onnipresente, o l 'autocensura, non importa. Si tratta semplicemente d'essere coerenti, tanto più che si potrebbe scoprire che all'Espresso questo non comporta necessariamente perdita di tranquillità o svantaggi personali .

Resta da dire, pubblicamente, qualcosa a Livio Zanetti . Non potremmo riconoscere gli indubbi meriti che egli ha guadagnato in questi ultimi anni, se non fossimo altrettanto attenti ed espliciti (e forse più) nel sottolineare quel che non va, e che va mutato.
Se d'una vicenda apparentemente marginale ho ritenuto giusto informare i lettori di La Prova Radicale, è perché siamo in diversi qui a pensare che i mezzi qualificano i fini, almeno quanto è vero l'inverso; che i veri "contenuti" democratici siano dei metodi, piuttosto che delle formule o delle proclamazioni: che i problemi della stampa non s'esauriscono nei più importanti e gravi problemi formali per i quali affrontiamo processi e rischiamo ogni giorno qualche lustro in più di galera. D'altra parte, proprio in questa occasione, ho potuto constatare quanto diffuso fosse il consenso, all'interno dell'Espresso , alle preoccupazioni e alle osservazioni che venivo facendo (e circoscrivibile il dissenso). E' possibile, certo, ch'io paghi questo modo d'agire, ancora una volta, con il permanere d'un ostracismo ferreo, che mi precluda, per altri anni, ogni occupazione "professionale". Peccato, ma non è qui l'essenziale, almeno per noi e per me.

Quel che ci interessa è altro. Speriamo, ad esempio, che L'Espresso cresca: che ci renda possibile, politicamente e personalmente, altro che l'assenza, la distanza, la polemica. Nutrire di verità quest'attesa, cercare di fare sempre il massimo di pulizia proprio lì dove abitiamo (qui, nel PR) o speriamo di poter abitare, e non soltanto nelle sudice case dei Bernabei e dei Monti, o in quelle ipocrite e ottuse dei "puliti" Biagi e Ronchey, è il nostro modo d'essere amici e di nutrire fiducia. Che qualcuno, poi, in via Po, invece s'incazzi e tenti di imporre ancora più veti e censure in particolare contro di noi, è magari probabile: in tal caso, tanto peggio per loro. 1072


Una domenica da radicale

Marco Pannella - LIBERAZIONE, 25 ottobre 1973

SOMMARIO: Vivace, efficacissima narrazione di alcuni episodi, relativi a violazioni di domicilio e vere e proprie "perquisizioni" compiute evidentemente - sotto l'apparenza di furti - dai "servizi segreti" in casa di Marco Pannella a Via della Panetteria e dei suoi genitori, in via Collalto Sabino: "Da dieci anni...si cerca di colpirmi, innanzitutto, attraverso coloro che amo, che sono le mie amicizie, colpendo loro per giungere a me".

E' ormai da dieci anni che le polizie parallele operano apertamente, cercano di intimorire e ricattare i militanti radicali. Nei giorni scorsi l'abitazione di Pannella è stata scassinata e rovistata dai servizi segreti, più o meno pubblici, come avevano già fatto esattamente un anno fa. Una lunga catena di abusi, di furti, di controlli, di sostanziale violenza.
La piena continuità fra regime del Partito Nazionale Fascista e quello della Democrazia Cristiana. Quando e perché non si è disarmati da questi esemplari metodi autoritari.

Alle 11 di domenica sera ero in redazione, solo, potendo finalmente rispondere ad alcune delle lettere accumulatesi senza risposta nell'ultimo mese, assaporando anche silenzio e serenità subentrati dopo la sospensione delle nostre pubblicazioni quotidiane. Pensavo anche al caso di Giovanni Marini, a quello di Gianfranco Corti; e riflettevo, poi, alle intollerabili notizie seguite alla scoperta del microfono-spia nell'ufficio del giudice Squillante, al successivo comunicato della procura generale sulla regolarità della presenza del furgoncino del SID nella zona.
Chiamai Franco De Cataldo e, a lungo, come ci accade ormai da vent'anni, conversammo, confrontammo idee, impressioni, ascoltai i suoi consigli e le sue spiegazioni. Franco mi ricordò la visita notturna che era stato costretto a farmi in questi giorni, lo scorso anno, quando, tornato a sera in via della Panetteria dove abito di frequente, dopo più di venti giorni di digiuno per ottenere il voto della legge sugli obiettori e di quella "Valpreda", avevo trovato la porta scassinata e grande confusione all'interno. Dovunque potevano essere lettere, documenti, indirizzi avevano rovistato, in un ambiente senza elettricità usando candele; in due grandi borse, che mancavano, avevano evidentemente ammucchiato tutto quel che di privato sembrava loro potesse essere significativo ed interessante e l'avevano portato via. Null'altro mancava. Scesi - doveva essere già passata mezzanotte - per telefonare a Franco, che venne naturalmente subito.

A partire da Corti, Marini, Squillante
V'erano altri segni, incomprensibili. Un letto sicuramente rifatto, la mattina, era ora in disordine, come usato. Anche cassetti con biancheria erano stati rovistati. Sorrisi alla sua proposta di chiamare la polizia: l'una o l'altra di queste erano già passate. Perché invitarle di nuovo? Chi: l'ufficio politico di Provenza, i carabinieri di Servolini? Cosa avevamo fatto negli anni precedenti, in occasioni analoghe? Quando apprendemmo, nell'aprile o nel maggio del 1964 che nel bilancio ufficiale dell'AGIP risultavano versate manciate di milioni (se ben ricordo a Tom Ponzi) per "indagare" sul mio e nostro conto, perché aiutasse il gruppo del colonnello Rocca, degli uomini di Allavena, che già erano mobilitati in questa direzione, nel corso della nostra campagna contro gli illeciti finanziamenti alla stampa ed ai partiti da parte di Mattei e di Cefis? O quando, nello stesso periodo, s'era cercato di raggiungere una delle segretarie di De Cataldo, a qualsiasi prezzo, poiché pensavano che era lì che avrei probabilmente steso un memoriale per la procura generale della repubblica? O quando, ancora, i portieri delle abitazioni erano regolarmente visitati e "interrogati"? Più di recente, cosa avevamo fatto, ancora, quando una hostess dell'Alitalia, ospitata un pomeriggio per un suo incontro sentimentale, era stata poi invitata così categoricamente, e anche in modo così allettante, a "lavorare" per il SID, "lavorandomi", spiandomi, "provandole" - a lei allibita - quale mostro e depravato fossi, sicché, dopo poco, aveva lasciato con un forte esaurimento nervoso il suo lavoro? E le oggettive minacce, le larvate ma eloquenti persecuzioni ad amici, colpevoli solo di essere tali?
E quante volte i compagni mi avevano chiesto di consentire che si bonificassero soffitta e casa dai probabili microfoni che v'erano stati istallati? Non avevo forse ragione ad aver rifiutato? Come avevo rifiutato, dinanzi al rischio ed alla pratica costante di provocazioni, di mutar vita, di chiudere la mia porta a chi vi bussasse (ed erano tanti: come selezionarli, come assumere il sospetto a modo di vivere, ed il timore?), di usare con discrezione i telefoni del Partito, che regolarmente e fra l'imbarazzo dei tecnici della Teti continuavano a impazzire e guastarsi?

Rocca, Allavena, Cefis e una manciata di milioni
Perché tollerare, o rischiare che la psicosi di persecuzione, per quanto giustificata o comprensibile, si installasse anche fra di noi, ci rovinasse il nostro modo di viver, di essere felici, di esser liberi, responsabili certo, ma non intimamente condizionati da questi metodi dell'Italia democristiana, molto di più di quella paleo-fascista?
Ricordavamo, dunque, questi anni di episodi e di testimonianze al telefono (le registrazioni che non mancheranno certo potranno documentarlo), e Franco, dinanzi all'episodio Squillante, mi induceva a misurare e non sottovalutare la profondità e la gravità di questi guasti, dilaganti, che da tempo - senza che ne parlassimo - s'erano manifestati nella nostra vita. Come spesso accade, il suo diveniva uno sfogo, ma controllato, consapevole, attento; non ancora amaro, solo addolorato.
Tornammo di nuovo a parlare di Marini e Corti ("allucinante, davvero", diceva Franco) e ci salutammo.
Tornai a scrivere, a rispondere, un po' distratto, forse anche stanco. La mattina dopo dovevo partire molto presto per Milano, per portarvi una trentina di collezioni di "Liberazione" e sollecitare nuovi impegni e collaborazione per i prossimi numeri e, soprattutto, la nuova serie quotidiana. Avevo bisogno di una giacca, di una camicia. Dovevo passare a casa, a casa dei miei per prenderli. Ho continuato per un po' a scrivere. Forse, chissà, ero lì anche perché avrebbe potuto raggiungermi una telefonata, che sapevo non mi sarebbe arrivata: non v'era - purtroppo - ragione che m'arrivasse. Ma, comunque, non poteva eventualmente che raggiungermi lì. Vita pubblica, vita privata?
Sorridevo, una volta di più, di queste astrazioni, o di questi errori, senza più molto senso, per fortuna e per decisione, nella mia esistenza.

Milano è saltata. I miei hanno più di settant'anni
Verso l'una e mezza ho preso un tassì in viale Trastevere. Arrivato in via Collalto Sabino, pregai il tassista di attendermi cinque minuti: avrei preso il necessario e sarei, con questo, andato in soffitta, in via della Panetteria, dove avevo lasciato il tesserino ferroviario. I miei erano in Abruzzo. Non riuscivo a far entrare la chiave nella toppa; guardo meglio e non c'è dubbio che le serrature sono state manipolate. Con un semplice scatto la porta s'apre. C'è luce accesa: ci sono state visite. Speriamo che non siano ancora dentro, e in troppi. Già nell'ingresso, armadi a muro, cassetti, all'aria. M'affaccio nella prima stanza e torno a capire. L'argenteria dei monili son lì. Fotografie e carte di famiglia, sparse per terra, tolte dai tiretti del mobile dove'erano riposte. Nell'altra stanza, i cassetti erano stati rovesciati su un divano: c'era perfino la corrispondenza un po' preziosa del vecchio prozio monsignore, gloria di famiglia, con Croce e Gentile e tanti altri; di là, ancora, le solite carte, ricevute, banche, telefoni, fitti, dei miei; poi un mobile chiaramente più "mio". Qui non s'è lasciato nulla: scatole di gemelli, porta-sigarette, lettere, appunti, vecchi libri, quaderni. Ma qualcosa, lettere in francese, per esempio, sono restate.
Ho chiamato la Volante, fatta la denuncia al commissariato Vescovio. "Giornalista? E' roba politica, dotto'". "Ma dove andremo a finire, dotto'".
Milano è saltata. I miei hanno più di settant'anni. Se mia sorella non potrà star qui al loro arrivo, è bene che ci sia io.
Bisognerà trovare un corriere, la posta non funziona mai, per noi. Scendo in piazza Sant'Emerenziana, non ci sono tassì. Risalgo, m'accorgo di sorridere fra me e me; voglio svegliare Franco. E mentre parlo, mentre sento, ancora una volta, la gravità della sua attenzione, la trepidazione celata, ma ormai antica, del fratello, del compagno, dell'amico - mi torna in mente quel che avevamo dimenticato, l'uno e l'altro. In via della Panetteria, dieci giorni fa, per tre giorni di seguito, avevano provato di nuovo ad entrare. Porta, e muro d'appoggio, ne serbavano, ogni sera, le tracce. Alla fine avevo lasciato un messaggio: "Stronzi, non ce la farete così. La serratura morde in alto ed in basso". Avevo raccontato, ogni giorno, l'episodio ai compagni. Alla fine, ero restato un pomeriggio; ma non erano più passati.
Dunque, osservo, mentre decido di tornare a piedi in centro, questa volta hanno fretta. Ma sto bene. M'hanno restituito la prospettiva che psicologicamente s'era smarrita, in queste settimane, del significato di queste nostre esistenze, di quel che abbiamo, in non molti, cercato d'essere, di divenire, che sento, ora, che stiamo divenendo davvero. Scelte ed istinti, moralità e spontaneità s'incontrano, s'identificano.

A casa, trovo Giulio, un po' tetro: il congresso, i referendum, il lavoro gli sembra difficile, inadeguato.
Il racconto lo sconvolge. Ma sbaglia, cerco di spiegarglielo. Cosa devo, dobbiamo temere? Cammino per casa, appena un po' nervoso, veloce, leggero, lentamente felice con il crescere delle riflessioni, dei pensieri, pensando al partito, al giornale, a noi, alle speranze, alle sconfitte, al senso di tutto questo.

Quello che hanno cercato. Quello che troviamo
Cosa mai dovrei temere? Vorrei quasi ringraziarli. Da dieci anni, la mia vita, grazie a loro è un documento. Quanto rischiava di perdersi, di pensieri, di felicità, di amicizia, di creazione e di "ignominie"; di notti e di giorni di ricerca, di riuscite, forse vivranno; ancora forse potrò, potremo meglio intenderle, nutrirmene, nutrircene, parlarne, coglierne e sceglierne il senso. Quello che abbiamo sempre, con l'intelligenza, sperato: che i più intimi e privati dei nostri gesti siano i meno "particolari", i più "pubblici", i più validi e nuovi per ciascuno e per tutti, non momenti di consumo, di abbandono, di evasione ma il massimo di moralità, di tensione creatrice; di dialogo e di intelligenza; e che quelli "politici" vivano e si proseguano invece come i più "privati" ed intimi; questa integrità, insomma, la dobbiamo, la dovremo anche a loro.
Certo, non è stato sempre facile, non lo sarà. Certo, da dieci anni (forse da quando, con i fratelli algerini, qualche moderato impegno che assunsi allora, sempre da radicale, mi valse la segnalazione dei servizi francesi a quelli italiani) si cerca di colpirmi, innanzitutto, attraverso coloro che amo, che sono le mie amicizie, colpendo loro per giungere a me. Certo, qualcosa di drammatico, in questo dovere e potere essere non responsabile astrattamente e solo dinanzi ad una coscienza che sa sempre fin troppo esser "brava", arrangiarsi pur nel suo rigore, ma di fronte ad altri, a sconosciuti, a "nemici" può anche esservi. Ma quale aiuto, anche.

Falsificazioni, provocazioni, linciaggi?
Qui non posso che annotare un solo pensiero. Come è stato, come è importante il Partito, laico, così come l'abbiamo fatto e lo viviamo, con i suoi temi, le sue inadeguatezze.
E' proprio vero che non ci sono nemici, se non ce li inventiamo come fantasmi e demoni delle nostre coscienze.
Una osservazione, forse necessaria: se la fretta che questa povera gente (serva di coloro che credono potenti e la cui cifra umana - invece - è data proprio dalla tristezza e dallo squallore di quel che debbono fare - essi stessi - per illudersi d'esserlo) mostra oggi d'avere è perché c'è "Liberazione", perché temono - giustamente - che continuerà ad esservi ed a irrobustirsi, non commettano errori troppo gravi. Li assicuro, in coscienza, che non sono fisicamente necessario perché continui e cresca.


AL CONGRESSO PER I REFERENDUM

LIBERAZIONE, 25 ottobre 1973

SOMMARIO: Analisi dettagliata della situazione del partito radicale mentre si appresta al suo XIII Congresso: un congresso decisivo per la sorte dei referendum (circa 10) che si vuole lanciare per confrontarsi con il "regime". Se tutto andrà bene, a metà novembre i referendum verranno depositati in Cassazione. Parteciperanno al Congresso rappresentanti di un arco di forze, movimenti, gruppi assai eterogenei, cosicché il congresso esprimerà uno "spaccato" o "prefigurazione" di quella "forza unitaria e rinnovata della sinistra" che il partito evoca nel suo statuto. Ma, se incertezze e sintomi di crisi non vi sono sui progetti politici, sono tuttavia presenti "nella capacità di mobilitazione" e negli "strumenti organizzativi". Di questa carenza si è fatto interprete anche il segretario Angiolo Bandinelli.

Dal 1° al 3 novembre si terrà a Verona il XIII Congresso Nazionale del Partito Radicale. Il tema del Congresso sarà quello del progetto di referendum alternativi, abrogativi delle leggi definite autoritarie e non costituzionali. Il progetto è ormai in fase di attuazione. A meno di una diversa decisione del Congresso, al quale la Segreteria Nazionale uscente (Angiolo Bandinelli, Roberto Cicciomessere, Alberto Gardin) rimetterà ogni decisione definitiva, dalla metà di novembre delegazioni rappresentative dell'arco di forze aderenti si recheranno in Corte di Cassazione per depositare le formali richieste previste dalla legge.
I referendum sarebbero circa una decina poiché su ogni argomento sarà tecnicamente necessario intervenire con richieste specifiche: così sul concordato, saranno almeno due e forse quattro; due sui codici e tribunali militari; mentre sul codice penale, pur chiedendosi l'abrogazione di poco meno di cento articoli, sarà probabilmente sufficiente un solo referendum.

Al Congresso interverranno gruppi e associazioni federate del e al Partito Radicale, dai Partiti regionali, ai movimenti come la Lega degli obiettori di coscienza, il Movimento di Liberazione della Donna, la Lega Italiana per il Divorzio, la Lega per l'Abrogazione del Concordato, oltre ad Associazioni come l'AIED, l'ALRI, il Movimento nonviolento, il FUORI.
Parteciperanno alla manifestazione, sia perché lo statuto del PR lo prescrive, sia perché, sul piano politico, nell'ultimo anno, si sono accentuate le forme di collaborazione fra radicali e altri gruppi, militanti e rappresentanti di numerose altre forze politiche. Così, a parte il caso dell'on. Loris Fortuna, che è iscritto (al pari di circa duecento altri socialisti), di Franco De Cataldo (radicale iscritto come altri cento repubblicani), e di altre personalità democratiche, parteciperanno a pieno titolo la Sinistra repubblicana (Scattolin, Manfredi, Gangi ecc...) fino ad anarchici e compagni di "Lotta Continua", il "Manifesto", "Avanguardia Operaia", dei gruppi del "cristiani critici" (si valutano a quasi il 30 per cento degli iscritti al PR dell'ultimo anno i credenti impegnati).

Con i suoi millecinquecento iscritti, ma con un numero inferiore di militanti, con una base che rappresenta uno spaccato della società inconsueto per i gruppi di estrema minoranza politica, dove la presenza dei giovani e giovanissimi è forte sul piano dell'impegno ma non è quantitativamente paragonabile a quella dei gruppi extraparlamentari; dove molti sono persone del piccolissimo ceto medio, venuti dalla LID come "fuori-legge del matrimonio", spesso quindi anziani e precedentemente disimpegnati sul piano politico; dove, accanto a radicali provenienti dalla vecchia formazione di Pannunzio e Villabruna, vi sono gli obiettori di coscienza, numerosi dei quali latitanti, militanti del FUORI, il movimento degli omosessuali impegnati, le femministe del MLD, l'omogeneità è minima e si forma solo nei momenti più caldi di lotta. In un certo senso, alla vigilia del suo Congresso, sociologicamente il PR appare come una "prefigurazione" di quella forza unitaria e rinnovata della sinistra, cui da anni dichiara di tendere, piuttosto che una organizzazione militante, omogenea e univocamente disponibile per ogni lotta che il partito ingaggia.

Anche in questo congresso il Partito giunge, se si guarda alle singole lotte ed anche alle strutture organizzative e alle potenzialità militanti che intorno alle lotte si sono create, con un bilancio che può essere considerato positivo. Anche se in maniera discontinua, nell'attuazione dei singoli punti previsti dalla mozione congressuale dello scorso anno, il Partito ha potuto contare di volta in volta sui compagni e sui movimenti che sono particolarmente impegnati su determinati obiettivi: così è accaduto nella battaglia per l'aborto (dalla presentazione del progetto Fortuna alla recente autodenuncia collettiva di donne e uomini, promossa dal MLD), per l'antimilitarismo e l'obiezione di coscienza (si è costituita la LOC), per la campagna contro la droga di Stato (ricordiamo il convegno organizzato insieme a "Stampa Alternativa"), e su molti altri problemi.

Il Partito registra invece delle incertezze e forse dei sintomi di crisi proprio nel momento unificante di queste singole lotte e iniziative. L'analisi della situazione politica generale del paese, sviluppata dalla parte generale del paese, sviluppata dalla parte generale della mozione dello scorso anno, aveva individuato infatti nel progetto dei referendum il punto di confluenza unitaria per tutto il partito e le sue lotte e lo strumento alternativo da contrapporre agli equilibri politici del regime. Incertezze e sintomi di crisi non riguardano tanto la scelta politica, quanto la capacità di mobilitazione e gli strumenti organizzativi. Su questo non si è verificata una adeguata crescita sia politica sia organizzativa del Partito e delle organizzazioni che nel Partito si riconoscono.

In concreto, il Congresso dovrà affrontare proprio il problema delle strutture e degli strumenti e di una soluzione organizzativa adeguata alla conduzione della battaglia dei referendum abrogativi per il prossimo anno. L'assenza di dibattito è sintomatica: mancando una motivazione ideologica comune, che viene anzi respinta come negativa, i radicali aderiscono al Partito sugli obiettivi generali stabiliti dal Congresso con una maggioranza di 2/3 e quindi, oggi, sulla motivazione e sull'obiettivo del progetto antiregime. Su questo tema politico di fondo, quindi, è ovvio che non vi sia la tensione di confronti e di divisioni, o anche un dibattito animato.

Il segretario nazionale Angiolo Bandinelli ha espresso, a questo proposito, una netta preoccupazione. Se il Congresso del Partito, infatti, a causa della mancanza della tradizionale ragione di interesse data da contrapposizioni interne e da scelte alternative, o dallo stimolo di problemi di potere interno, dovesse non mobilitare, per la presenza e per il dibattito, il massimo numero di radicali a Verona, ed anche di militanti interessati ai referendum ed alle lotte alternative, paradossalmente potrebbe proprio in questo momento determinarsi una constatazione di crisi del PR tale da determinare il pericolo di una sua rinuncia di responsabilità, e anche, di un abbandono della lotta.


Da 'I GIORNI DELLA LEGGE TRUFFA'

LOC NOTIZIE 4, Suppl. NOTIZIE RADICALI n. 210, 13 novembre 1973

"... 21 gennaio 1973" - Si costituisce a Roma la lega degli obiettori di coscienza (loc) come "organismo degli obiettori di coscienza".

"25 gennaio 1973" - Si riunisce per la prima volta la commissione per l'accertamento della "validità dei motivi addotti dall'obiettore" formata da: il procuratore generale della corte d'appello di Lecce dott. Alberto Zema - presidente; il generale di brigata in c.p.e. Enrico Amodei; l'ordinario di filosofia del diritto presso la facoltà di giurisprudenza dell'università di Roma, prof. Sergio Cotta; il sostituto avvocato generale dello stato, avv. prof. Francesco Chiarotti; l'esperto in psicologia prof. Ezio Ponzo; il direttore di divisione, dott. Arnaldo Gatti. Vengono respinte le domande degli obiettori Cipriano Tomaselli, Giancarlo Reggiori, Giovanni Celardo, Testino Cataldo, Lorenzo Carrara che avevano già scontato periodi di carcere militare precedentemente all'entrata in vigore della legge.

"17 febbraio 1973" - Roberto Cicciomessere viene arrestato in seguito al non accoglimento della domanda per il servizio civile, sulla base di un mandato di cattura spiccato nel settembre del '72 per la sua seconda obiezione, sospeso per l'approvazione della legge "Marcora". Gli obiettori Gualtiero Cuatto, Carlo Filippini, Giovanni Celardo, Lorenzo Carrara, Franco Bernardi, Cipriano Tommaselli, Testino Cataldo ricevono la cartolina precetto con l'invito a presentarsi al C.A.R. in seguito al non accoglimento della domanda da parte del ministro.

"19 febbraio 1973" - In seguito alle iniziative e denunce dei movimenti antimilitaristi e della Loc contro la decisione di non riconoscere gli obiettori antimilitaristi, riprese ampiamente dalla stampa nazionale ed estera, Tanassi è costretto a ritirare le cartoline precetto per consentire il ricorso al Consiglio di stato. Roberto Cicciomessere viene posto in libertà provvisoria.

"3 marzo 1973" - Scadono i termini transitori previsti dalla legge per la decisione del ministro sulle domande degli obiettori "imputati" anteriormente all'entrata in vigore della legge. Su 43 domande 11 sono respinte.

"15 marzo 1973" - Gli obiettori della Loc iniziano il servizio civile autonomo e autogestito presso enti privati.

"3 aprile 1973" - Il tribunale militare di La Spezia condanna 7 testimoni di Geova, che non avevano presentato domanda, ad un totale di 22 anni di carcere.

"7 aprile 1973" - Per iniziativa della Loc e del senatore Venanzetti, vengono presentati al Senato tre progetti di legge per la modifica degli aspetti più repressivi e contraddittori della legge.

"10 aprile 1973" - Lelio Lagorio, presidente della regione Toscana, invia a Tanassi la richiesta per l'inserimento degli obiettori di coscienza negli enti che rientrano nella competenza della Regione. Non ottiene alcuna risposta.

"15 aprile 1973" - Gli avvocati della Loc, Giuseppe Ramadori e Mauro Mellini, presentano al Consiglio di stato i ricorsi contro il decreto del ministro della difesa con cui erano state respinte le domande degli undici obiettori.

"16 maggio 1973" - Angelo Miatta, obiettore di Falcade Alto (Belluno), muratore, militante del Pci, arrestato per aver rifiutato di vestire la divisa dopo che la sua domanda per il servizio civile era stata respinta perché presentata in ritardo, è processato dal tribunale militare id Roma. Miatta è condannato a 16 mesi di carcere militare.

"26 maggio 1973" - Marco Pannella, Rolando Parachini, Alberto Gardin, Pietro Pinna partecipano all'incontro delle organizzazioni antimilitariste europee a Saint Louis (Francia). Viene accolta la proposta della Loc e del PR di predisporre la presentazione di un unico progetto di legge per l'effettivo riconoscimento delle obiezioni di coscienza in tutti i parlamenti europei.

"28 maggio 1973" - Il segretario alla difesa Montini risponde al Senato alle interrogazioni e interpellanze presentate dai senatori Venanzetti, Cipellini, Pieraccini, Pecchioli e Pirastu che denunciavano l'interpretazione restrittiva data alla legge dal ministero della difesa. Secondo Montini alcune delle domande respinte "adducevano ragioni di contestazioni del sistema e di reattività all'attuale ordinamento statale".

"29 maggio 1973" - Il ministro ritira per la seconda volta le cartoline precetto inviate agli undici obiettori di coscienza "bocciati".

"2 giugno 1973" - Sono convocati al ministero della difesa per essere "ascoltati" dalla commissione gli obiettori di coscienza Oscar Origlia, Agostino Dagnino, Lucio Rossomando, Angelo Bettoni, Gaspare Amari, Diego Rota. Agli obiettori vengono fatte queste domande: "Da piccolo hai giocato con armi finte o soldatini?", "Se ti fossi trovato all'epoca della Resistenza come ti saresti comportato?", "Durante il fascismo oppure durante una dittatura imbracceresti le armi per difendere la democrazia?", "Spiegami i metodi non violenti di Gandhi", "Cosa avresti fatto se il personale di un ospedale fosse stato in sciopero e fosse stata necessaria la tua opera?", "Cosa faresti se entrando in casa qualcuno stesse ammazzando tua madre? fermeresti la mano dell'assassino?".

"10 giugno 1973" - Gli obiettori "riconosciuti" ricevono un invito dal ministero della difesa a rinunciare al servizio civile sostitutivo per un servizio militare non armato da svolgersi come "scritturale, portantino o aiutante cuoco o infermiere in un ospedale militare". Nessun obiettore aderisce all'"invito".

"18 luglio 1973" - Il tribunale militare di La Spezia processa l'obiettore Riccardo Ciuffardi di Rezzaro (Brescia) colpevole di aver presentato in ritardo la domanda per il servizio civile e di non essersi sottomesso all'"obbligo militare". Il tribunale decide di sospendere il procedimento per potersi pronunciare sulla eccezione di incostituzionalità presentata dagli avvocati Ramadori e Mellini sugli articoli del codice penale militare che stabiliscono l'obbligatorietà del mandato di cattura per reati che prevedono pene superiori ai tre anni, in contrasto con la legge "Valpreda" che consente al giudice di concedere anche in questi casi la libertà provvisoria.

"25 luglio 1973" - Domenico Musatti, obiettore antimilitarista nonviolento di Rezzato, è condannato dal tribunale militare di Bari ad un anno e due mesi, con la concessione dell'attenuante "per particolari motivi morali e sociali" che hanno determinato il "reato". Anche lui non aveva potuto usufruire dei "benefici" della legge.

"15 settembre 1973" - Gli avvocati radicali e della Lega inviano una lettera aperta al Presidente della Repubblica nella quale denunciano il comportamento dei tribunali militari che non accettano sistematicamente di rimettere alla corte costituzionale le eccezioni presentate.

"26 settembre 1973" - L'obiettore Ernesto Rottoli, democristiano, di Bergamo, viene condannato dal tribunale militare di Padova ad un anno e quattro mesi. Rottoli aveva presentato la domanda con un ritardo di otto ore e successivamente non aveva obbedito all'ordine di vestire la divisa.

"6 ottobre 1973" - Gualtiero Cuatto, Carlo Filippini, Lorenzo Carrara e Giovanni Celardo (che fanno parte del gruppo di undici obiettori non riconosciuti in febbraio) ricevono la cartolina precetto. Il ministro ritira solo quella di Celardo in seguito alla evidenza dell'errore commesso dalla commissione che lo aveva bocciato ritenendolo in possesso di un porto d'armi da caccia che invece apparteneva ad altro obiettore.

"15 ottobre 1973" - L'obiettore Luigi Zecca comunica al ministro Tanassi che essendo trascorsi 9 mesi dalla presentazione della domanda senza che alcuna comunicazione gli sia pervenuta circa l'accoglimento o meno della stessa, esige il riconoscimento del servizio civile già prestato volontariamente e gratuitamente al centro di ragazzi caratteriali di Igea Marina. Richiede anche il rimborso delle spese sostenute per il proprio mantenimento. Nella sua stessa situazione si trovano la totalità degli obiettori che non rientravano nell'art. 12 della legge (circa 300) e che non hanno ancora ricevuto alcuna comunicazione dal ministro in merito alla domanda presentata regolarmente nonostante la legge stabilisca che il ministro deve decidere entro sei mesi.

"25 ottobre 1973" - Mario Tanassi comunica ai componenti della commissione difesa del Senato che "sono state predisposte le norme regolamentari della legge per quanto attiene la disciplina del servizio militare non armato" e invece per "la formulazione di quelle del servizio civile sono in corso necessari concerti con le amministrazioni interessate".

"30 ottobre 1973" - Il tribunale militare supremo dichiara "manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalità dell'art. 8 della legge Marcora" riproposta nella discussione del ricorso contro la condanna dell'obiettore Angelo Miatta. Decide però di annullare la precedente sentenza per la mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 41 del c.c.p.

"31 ottobre 1973" - Il prof. Ezio Ponzo si dimette dalla commissione che esamina le domande degli obiettori di coscienza, con una lettera al primo ministro Rumor; il prof. Cotta, membro della commissione, si era precedentemente dimesso senza però fornire alcuna motivazione. E' sostituito dal prof. Sacca di Genova.

"2 novembre 1973" - Il tribunale militare di La Spezia decide di rimettere alla corte costituzionale il giudizio sulla costituzionalità degli articoli del codice penale che obbligano l'arresto dell'imputato quando il reato può comportare una pena superiore ai tre anni, come richiesto il 18 luglio dagli avvocati difensori dell'obiettore Riccardo Ciuffardi.

"8 novembre 1973" - Arrestato, mentre ritorna dal lavoro, l'obiettore di coscienza Alberto Anghileri di Lecco. La sua domanda è stata respinta poiché presentata in ritardo. Si era rifiutato lo stesso di presentarsi al corpo cui era stato destinato.