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Cronologia del Partito Radicale -
1977

DOCUMENTI

RADICALI: Noi, rompiscatole

di Stefano Malatesta PANORAMA, 5 aprile 1977

Il coro aumentò di tono: "Buffoni, buffoni". E poi "pagliacci, basta con il teatrino radicale". Il pomeriggio di mercoledì 23 marzo il presidente della Camera, Pietro Ingrao, non riusciva più a controllare l'aula: "Onorevoli colleghi, si tratta di un atto importante...". "Macché importante", rispose urlando Benedetto del Castillo, deputato democristiano. "Vi chiedo un momento di serenità...". "Macché serenità; basta, via...". E ancora urla, strepiti, insulti.

I più accaniti erano, con i democristiani e i demonazionali, tutti in piedi a urlare, ad agitare le braccia in alto, anche i comunisti. "Questa è la porta, via di qui", strillava Gian Carlo Pajetta congestionato dalla rabbia.
Appoggiata al suo seggio, in alto all'estrema sinistra dell'aula, pallida e un po' tremante, Emma Bonino, uno dei quattro deputati radicali, bersaglio della più e accesa salve di invettive di tutta la legislatura ("una manifestazione d'intolleranza", è stato il commento dei socialisti), aveva appena finito di ritirare le sue dimissioni.

Le aveva date cinque giorni prima per protestare contro l'assenteismo del governo sulle misure a favore degli agenti di custodia. La lotta dei radicali per cambiare la miserevole situazione delle carceri italiane, dei detenuti, degli agenti e dei direttori, era iniziata sei-sette anni fa (costituzione della lega non violenta dei detenuti) tra l'indifferenza generale. Ma l'estate calda del '76, con le rivolte nelle maggiori carceri italiane (le Nuove a Torino, San Vittore a Milano, e così via) aveva costretto governo e partiti ad alzare il coperchio delle sommosse e a guardare cosa ci fosse dentro e dietro. Il 2 dicembre, al termine di un lungo dibattito, la Camera aveva votato un ordine del giorno con cui impegnava il governo a prendere interventi d'emergenza.

"Digiuno". "Passarono settimane, i detenuti continuavano a evadere, nessuno spostava una foglia", ricorda la Bonino. Anche il digiuno iniziato da un gruppo di radicali, non riuscì a smuovere l'inerzia dc. Il governo rispose che il problema sarebbe risolto a ottobre.

Le dimissioni per protesta della Bonino avrebbero forse suscitato reazioni molto minori se i radicali, nei giorni precedenti, non avessero portato lo sconquasso in parlamento sul caso Lockheed, accusando l'Inquirente di aver trascurato le responsabilità di Giovanni Leone, presidente della Repubblica.

Questo ennesimo attacco del gruppo di "guastatori", come li chiamano i loro avversari, aveva riscaldato gli animi, soprattutto quelli dei comunisti, che avevano deciso di accettare le dimissioni della deputata radicale. E quando all'ultimo momento, in seguito a una promessa di Andreotti (impegno a preparare un disegno di legge entro tre mesi) la Bonino le ritirò, le reazioni furono violente.

Perché tanto risentimento? Alla base c'è l'insofferenza dei grandi partiti per la tenacissima azione di pungolo e di disturbo che i radicali, incuranti delle grandi manovre politiche, esercitano in continuazione.

Sempre presenti, intervenendo e interrompendo, muovendosi accortamente tra le pieghe del regolamento (aiutati, in questo, da numerosi funzionari simpatizzanti) dal loro ingresso in parlamento, Emma Bonino, Marco Pannella, Mauro Mellini e Adele Faccio hanno sfruttato ogni mezzo consentito per farsi sentire.

In otto mesi i quattro deputati radicali spalleggiati da quattro "deputati supplenti", Roberto Cicciomessere, la suora Marisa Galli, Angelo Pezzana, del Fuori e l'avvocato Franco De Cataldo (l'istituzione del deputato supplente è stata inventata dal Pr che, per lasciare spazio al più largo numero possibile di attivisti, prevede a un certo punto le dimissioni dei deputati eletti e la loro sostituzione con chi li seguiva immediatamente come numero di preferenze) hanno presentato 10 mozioni e 80 tra interpellanze e interrogazioni, tenendo continuamente sotto pressione il governo che è stato costretto a dargli il 54% di risposte contro il 35% date alla Democrazia cristiana.

Nei primi tre mesi della legislatura i deputati radicali hanno parlato per un numero di ore superiore a quello di qualsiasi altro gruppo, battendosi soprattutto contro il Concordato, contro i codici militari, per la piena e totale legalizzazione dell'aborto, senza mai perdere l'occasione di inserirsi come un cuneo tra Dc e Pci, allo scopo di evitare il compromesso storico e di favorire l'alternativa di sinistra.

Rinchiusi per 12-13 ore al giorno in tre locali a loro disposizione al sesto piano di Montecitorio, mangiando un paio di panini per tutta la giornata (solo Mellini scende al self-service per fare un pasto completo) sono riusciti in breve tempo a preparare, con l'aiuto di docenti universitari (Ernesto Bettinelli, Stefano Rodotà) una lunga serie di progetti di legge: sull'aborto, la smilitarizzazione della polizia, l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta sul Sid, il codice penale militare e il regolamento militare, la tutela dei diritti dei cittadini di lingua non italiana e delle minoranze linguistiche.

Con 40 milioni ritagliati dai contributi statali per la campagna elettorale il gruppo radicale spera di aprire nei prossimi mesi un centro studi legislativo: il primo progetto in vista è uno studio sulla riconversione delle strutture e delle spese militari in strutture e spese civili (oltre 200 mila operai lavorano a tempo pieno in Italia per le forniture militari).

Terminato il lavoro di stesura dei progetti di legge e delle interpellanze, i deputati radicali sono costretti a correre da una all'altra delle 14 commissioni permanenti per partecipare alle discussioni, controllando minuziosamente testi e modifiche (a differenza degli altri non leggono mai i loro discorsi, ma li improvvisano servendosi di pochi appunti).
Sono stati otto mesi di difficile e sempre più travagliata convivenza con tutti gli altri gruppi, sconcertati e irritati da una psicologia e da una durezza di lotta affinata nelle piazze e sui marciapiedi d'Italia e completamente estranee dal tran-tran di Montecitorio. E alla fine il processo di rigetto, covato a lungo, è esploso in maniera clamorosa e intollerante.
Al centro della bufera, sotto accusa per tutti, la Bonino. Accusata di lavorare a maglia nel Transatlantico, d'indossare tute e vestiti poco consoni all'austerità del parlamento, di calzare zoccoli e di assentarsi dalla commissione Giustizia per correre all'asilo a riprendere la figlia adottiva, Aurora, di tre anni, la Bonino è esattamente l'opposto della deputatessa-tipo dall'aspetto di professoressa: permanente, giro di perle al collo, molti silenzi in aula, ancora meno interventi.

"Da due anni". Piemontese di Bra (provincia di Cuneo) 29 anni, piccola, magra, il viso affilato dai digiuni, vivaci occhi azzurri, viene da una famiglia di mezzadri. Al partito radicale è approdata solo due anni fa, dopo una lunga serie di esperienze. Prima la vita in provincia, il trasferimento a Milano per studiare alla Bocconi, il fidanzato, il tè con le amiche, nessun interesse per la politica ("Il '68 mi è passato accanto e non l'ho visto"). La prima volta che si trovò in un'assemblea non ci capì nulla: "Il marxismo-leninismo, Mao, la lotta, la classe, tutto mi si confondeva nel cervello".

Poi le prime esperienze, una sensazione confusa che qualcosa non andava, il rifiuto del matrimonio impostato solo sui due locali più servizi, la tesi di laurea negli Stati Uniti su Stockley Carmichael, il leader Black Power. Era l'epoca in cui il partito radicale stava uscendo da anni di riflusso e di semioscurità: c'erano già state tre marce antimilitariste, si era formata la Loc (Lega degli obiettori di coscienza), era nato il primo nucleo del movimento di liberazione della donna, guidato da Alma Sabatini. Per la prima volta si era parlato di aborto al congresso di Napoli e la Lid si batteva già da cinque anni per l'introduzione del divorzio in Italia. "Ma io", confessa la Bonino, "non avevo mai sentito parlare dei radicali".

Tornata in Italia, si accostò alla politica attraverso il gruppo di Lotta Continua: volantinaggio davanti alle fabbriche, discussioni ideologiche. "Ma erano sempre gli uomini che parlavano: padronato, Mozambico. Noi donne a cucinare spaghetti. I problemi personali non si toccavano: non c'entravano con la lotta di classe".

Insoddisfatta, stanca di parlare continuamente degli operai senza vederli quasi mai, si fece assumere alla Motta: catena d'impacchettamento, otto ore a soffiare vaniglia sui panettoni. Ma anche qui qualcosa non funzionava: non si sentiva operaia, i problemi erano altri.

La svolta arrivò quando fu costretta ad abortire: "Mi resi conto che tutte le mie amiche avevano gli stessi problemi: mancanza dei contraccettivi, desiderio e paura di abortire. Eravamo nella stessa situazione".

Entrata in contatto e poi a far parte dell'Aied (contemporaneamente, per mantenersi, insegnava a scuola), nel 1974 conobbe e passò ad aiutare Adele Faccio che dirigeva, nella sede del partito radicale, il Cisa (Centro informazione sterilizzazione e aborto). Ogni sabato e domenica mattina la Bonino partiva in treno da Milano con 30-40 donne che andavano ad abortire a Firenze da un medico radicale, Giorgio Conciani: "Le domande erano sempre le stesse: farà male? quanto dura? Ma al ritorno, tutte si aprivano, si sfogavano, dicevano cose di cui non avevano mai parlato con il marito o con il fidanzato: una liberazione".

"Femminista". Il passaggio dalla disobbedienza civile per l'aborto alle altre battaglie radicali avvenne nel 1975, subito dopo il suo arresto per pratiche abortive. Emma Bonino fu chiamata a far parte della segreteria. E fin dall'inizio rappresentò un tipo nuovo di militante in cui oggi si riconoscono numerosi radicali: estrazione proletaria, fortissima componente femminista, nessun contatto con il passato del Pr, lontana come formazione culturale dal vecchio nucleo radicale rappresentato da Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia, Mauro Mellini, la Bonino confessa di non aver saputo fino a due anni fa chi fosse Mario Pannunzio, il direttore del "Mondo", e di aver letto Ernesto Rossi, il maestro e l'ispiratore di Pannella, solo recentemente.

L'incontro con i leader la lasciò perplessa: "I dirigenti dei gruppi extraparlamentari che avevo conosciuto discutevano ore e ore per stabilire la linea, dopo aver consultato e citato i testi sacri, Lenin, Mao. Poi stilavano un documento lungo, fitto di riferimenti ideologici. All'azione pratica non passavano mai. Al Pr invece era tutto il contrario, sembrava un'improvvisazione continua. Mi ci è voluto del tempo per capire che lo spontaneismo di Pannella era studiamo al millesimo".

Affascinata dal modo radicale di fare politica (tutti si possono occupare di tutto: non ci sono incarichi troppo settoriali ed esclusivi), convinta che una società socialista debba essere antimilitarista, libertaria, autogestionaria, non violenta, la Bonino, diventata oramai una delle attiviste più conosciute e decise, dopo il 20 giugno si è ritrovata in parlamento sull'onda di 11 mila preferenze.

L'impatto è stato duro. "Fuori la gente diceva che i democristiani erano ladri. Dentro Montecitorio tutto sfumava all'interno del "quadro politico". E poi, gli oratori che leggevano i discorsi scritti dagli altri, le deputatesse quasi tutte confinate in ruoli subalterni, il modo ovattato di dire le cose: "Se lei mi consente...". "Tutto lecito, ma che differenze con quello che la gente si dice in casa, davanti al televisore, o per strada".

"Isolata". Guardata con sospetto dalla maggioranza dei parlamentari, soprattutto dai leader, la Bonino è riuscita a conoscere e a scambiare quattro parole solo con i suoi vicini di banco o con i membri della commissione Giustizia, di cui fa parte. Definita da Giulio Andreotti mezza Giovanna d'Arco e mezza Vispa Teresa, ha continuato a svolgere il suo ruolo di oppositrice senza troppo curarsi delle critiche. "Noi siamo all'opposizione da molti anni", le confidò una volta Bozzi, "e preferiremmo morire di serietà piuttosto che adoperare i vostri metodi". "Io credo invece", gli ha risposto la Bonino, "che ci si debba rassegnare alla sconfitta solo davanti alla forza del numero o dopo averle provate tutte. Cedere le armi in partenza, mai".

Troncare la spirale della violenza

di Adelaide Aglietta NR84, 24 marzo 1977

SOMMARIO: Bisogna disarmare la provocazione di Stato che punta sullo scontro di massa e si serve di alcune scelte criminali per poter meglio criminalizzare ogni manifestazione di giustificata opposizione, di giustificata rivolta e di giustificato dissenso. Solo l'uso alternativo della disubbidienza civile nonviolenta può disarmare la violenza del regime.

Nel momento in cui la violenza sembra ormai imporsi alla lotta politica democratica, spianando la strada al caos e al disordine voluti da chi in questo regime insegue disegni repressivi, i radicali hanno ritenuto di dover simbolicamente rendere omaggio alle vittime di questa esplosione di violenza, omaggio tanto più necessariamente e dovuto da parte di chi, come i radicali, ritiene che solo una risposta nonviolenta possa troncare questa folle spirale di stragi di stato, di mene eversive e di tentazioni autoritarie e repressive.

A Bologna, dove numerosi radicali sono stati arrestati con accuse false e infamanti di violenze mai commesse, il Partito Radicale al completo ha partecipato ai funerali dello studente Lorusso. Ma ancora più che la morte dello studente Lorusso, casuale vittima di scontri universitari determinati a Bologna dalle scelte del rettore e del Ministro Cossiga, il Partito Radicale ha voluto esprimere il suo lutto ufficialmente per il bestiale assassinio del brigadiere Ciotta, freddato a tradimento dalla mano assassina di un killer.
A Roma, per lo stesso motivo la compagna Emma Bonino e il compagno Walter Baldassarri si sono recati a visitare gli agenti feriti negli scontri di sabato portando loro dei fiori.

Il Partito Radicale ribadisce che bisogna isolare i gruppi eversivi che puntano sulla carta della disperazione, della violenza armata, della guerriglia urbana. Ma per farlo occorre disarmare la provocazione di Stato che punta allo scontro di massa, e di serve di alcune scelte criminali per poter meglio criminalizzare ogni manifestazione di giustificata opposizione, di giustificata rivolta e di giustificato dissenso. Nello scontro di massa chi vuole il disordine può dar vita ad ogni provocazione, può innescare un clima di guerra civile, può ristabilire il clima di intolleranza e di conflitto fra le forze di polizia e gran parte della popolazione che era stato superato negli anni di lotte democratiche, può meglio mandare allo sbaraglio i tutori dell'ordine, mettendone ogni giorno a repentaglio la vita, per creare in essi spirito di esasperazione e di vendetta sociale. Accettando le provocazioni e comportandosi così come ci si attendeva che si sarebbe comportato, il movimento degli studenti ha purtroppo offerto al Ministro Cossiga e alla sua politica delle leggi speciali e delle misure repressive un'occasione che era stata a lungo premeditata e freddamente ricercata.

Un movimento realmente alternativo deve invece disarmare con i mezzi della nonviolenza e della legalità costituzionale la violenza dello Stato e del regime. C'è ancora la possibilità di farlo. Il Partito Radicale per suo conto lo farà, in ogni momento e in ogni occasione, annunciando fin d'ora che non accetterà e non subirà le limitazioni dei diritti costituzionali, di manifestazioni, di stampa annunciate dal Ministro Cossiga, e già attuate a Roma e a Bologna e il divieto di ogni manifestazione pubblica, con la chiusura di una radio libera, con la minacciata chiusura di altre radio.

Questo è l'appello che il Partito Radicale rivolge al movimento democratico delle forze di polizia che ha lottato negli ultimi anni per la conquista dei propri diritti sindacali e per la riforma, perché, consapevole del suo insostituibile compito di tutore dell'ordine repubblicano, resista a questo clima di esasperazione e di vendetta e respinga le suggestioni di chi vuole ricondurlo al ruolo di strumento cieco della violenza del potere; al movimento degli studenti, perché d'ora in poi separi nettamente le proprie responsabilità e isoli quanto scelgono di rafforzare con il loro comportamento violento la politica della provocazione del regime e del suo Ministro di polizia; alla popolazione tutta perché respingendo il ricatto del terrore e della paura sia più che mai presente in questi giorni nelle piazze e nelle strade per ristabilire un clima di normalità e dare testimonianza di sicurezza e di tranquillità e assicurare in questo modo un controllo democratico di massa che prevenga e disarmi ogni prevaricazione ed ogni violenza, da qualunque parte essa provenga.


LA LOTTA DI MONTALTO DI CASTRO CONTRO LE CENTRALI NUCLEARI

PROVA RADICALE, marzo 1977

E' a Montalto di Castro, un paesino dell'Alto Lazio in provincia di Viterbo, così come in tutto il comprensorio fino a Orbetello (siamo già in Toscana) e a Capalbio, che si decide il primo atto della guerra ecologica. Ci si batte contro l'inizio dei lavori per la V e VII centrale nucleare dell'Enel e la possibile localizzazione del Coredif (4 centrali). La maggioranza della popolazione non tollera la trasformazione della zona in una squallida periferia di città, affollata dalle migliaia di persone (si dice tremila) necessarie alla costruzione dell'impianto: "Non siamo dei ritardati mentali; ci si assicura l'assoluta sicurezza della centrale ma nessuno ci viene a spiegare con precisione su che cosa si basa questo ottimismo"; "piuttosto, il governo incrementi l'agricoltura, avvii il turismo e ristrutturi i servizi pubblici". Attorno ai refrattari, il corteo dei militanti radicali, di Kronos 1991, del Mir, del Movimento Nonviolento.

Nel corso di un convegno tenutosi a Perugia nel dicembre '75, le Regioni avevano mostrato interesse al piano energetico che prevedeva la costruzione in Italia di 20 centrali nucleari, da 1000 MW entro il 1984. Approvarono anche un documento che esprimeva il parere che l'area interessata all'installazione di un impianto non poteva essere ridotta al singolo comune, ma estesa a un "comprensorio" tra comuni. Per una centrale nucleare da localizzare nell'alto Lazio, venne segnalato il comprensorio della Maremma e Premaremma comprendente comuni come Tarquinia, Montalto di Castro ed altri 9, tutti situati nella zona meridionale della provincia di Viterbo. La segnalazione si basava su solidi precedenti. Il 26 giugno del '74, l'allora presidente della Regione Lazio, Rinaldo Santini, aveva espresso parere favorevole alla localizzazione di una centrale nucleare nell'Alto Lazio, nella località di Pian dei Cangani-Tarquinia, e di Pian di Spillo-Montalto di Castro. La decisione venne recepita dal Cipe e quindi dalla legge 393 del 2 agosto 1975 (art. 22).

Ma la scelta di Tarquinia dovette essere abbandonata quasi subito. Poco dopo l'emanazione della legge, la giunta comunale deliberava la propria opposizione alla costruzione della centrale e dava anzi mandato a un gruppo di avvocati locali (del Comitato cittadino) di impugnare la delibera della Regione. Per quattro valide ragioni: il territorio prescelto si trovava in una zona agricola sulla quale erano stati già fatti notevoli investimenti pubblici; Tarquinia è cittadina eminentemente turistica, con una forte necessità di salvaguardare quindi le proprie peculiarità ambientali: la centrale avrebbe messo in forse queste attività, senza apparenti vantaggi; l'intera economia agricola e quella della pesca sarebbero state sconvolte dall'insediamento; ugualmente sconvolti sarebbero stati gli equilibri sociali del paese, per il prevedibile afflusso di manodopera dall'esterno.

Il Comitato cittadino, con tutti i suoi avvocati, non poté però far conto dei partiti. Questi nelle loro dichiarazioni pubbliche fecero il viso dell'armi al progetto, ma al loro interno tenevano discorsi parecchio diversi. Comunque, vale la pena dare un'occhiata alle azioni intraprese dagli avocati, capeggiati da Paolo Mattioli. Essi scovarono il precedente interessante del caso di Whyl, un paesino nei pressi di Strasburgo nella Germania. Federale. Qui, contro un analogo progetto nucleare, era stata la popolazione a battersi adottando metodi di disobbedienza civile e, non bastando, le armi legali. Lo stesso Mattioli, insieme al liberale Cesare de Cesaris, presidente della "Pro Tarquinia", riuscì anche a interessare della vicenda il professor Chiarelli, costituzionalista ed ex presidente della Corte Costituzionale. Venne minacciata l'accezione di incostituzionalità per la legge 393, in quanto limitativa dell'autonomia dei comuni. Infine, l'episodio più rilevante: i tecnici dell'Enel, recatisi sul posto per effettuare ricerche, vennero cacciati con un nutrito lancio di pomodori; anche Lama preferì tagliare corto un comizio col quale si proponeva di illustrare i vantaggi dell'insediamento della centrale. Alla fine, il governo dovette rinunciare a Tarquinia.

Il Consiglio regionale del Lazio ribadì invece la precedente scelta di Montalto di Castro in una seduta del 22 settembre '76. Stavolta, a presiedere la regione c'era il socialista Palleschi, e la proposta ottenne l'assenso dei consiglieri Ciofi (Pci), Ziantoni (Dc), Muratore (Psdi), Santarelli (Psi) e persino del demoproletario Di Francesco, con l'opposizione Pli e Msi. La delibera venne ratificata il 23 novembre dalla Giunta, presieduta dal comunista Ferrara, e mise in crisi la giunta comunale Pci-Psi di Montalto che cinque giorni prima aveva votato una delibera contro la centrale presentata dai consiglieri comunali Brunori, socialista, Livio Lotti, democristiano e il repubblicano Pallotti mentre il Pci votava contro. Si dimettevano il sindaco socialista De Maria, e l'assessore all'istruzione Bravetto, anche lui socialista. L'"Avanti" parlò di decisione presa "in modo verticistico e accentrato", senza consultare le popolazioni interessate. I socialisti entrarono anzi a far parte del "Comitato montaltese contro la centrale nucleare"; purtroppo, l'ex assessore all'istruzione diventava poco dopo sindaco, ammorbidendo subito la propria opposizione alla centrale. Mentre la nuova giunta (Pci-Psi) insediatasi a gennaio di quest'anno pare unita contro la centrale, nel Psi i contrasti sono rimasti forti; la federazione locale appoggia le centrali; quelli tra di loro che l'avversano sono riusciti a portare a Orbetello, ad una manifestazione organizzata del Comitato montaltese, il sentore Silvano Signori. Il comune è deciso a mettere in mezzo il professor Giannini.

Sia a livello locale che regionale, il Pci appare compattamente favorevole, almeno nei suoi vertici. Contrari sono il Pli (il cui capogruppo alla Camera, Aldo Bozzi, presentò al Ministri dell'Industria una interrogazione che eccepiva l'incostituzionalità della legge 393 e opponeva ragioni di opportunità alla localizzazione a Montalto, per ragioni ecologiche, archeologiche ecc.), il Psdi e il Pri (almeno a livello cittadino). Favorevolmente si sono espressi i sindacati.

Ma i pericoli per Montalto non sono finiti: tendono anzi ad aggravarsi. La sollevazione di Capalbio contro una possibile localizzazione sul suo territorio dell'impianto Coredif ha fatto venire fuori la notizia che l'impianto potrebbe finire, non a Capalbio, ma appunto a Montalto. E si pensa anche a localizzare nella zona altre due centrali nucleari; è chiaro che, temendo la resistenza delle altre popolazioni, le autorità pensino già a trasformare Montalto e dintorni in una zona nucleare intensiva, dove concentrare le iniziative per l'avvio della prima fase del programma nucleare.


Obiettivo 1 milione di firme

NR87, 21 aprile 1977

Il 7 e 8 Maggio Congresso Straordinario

Quello che abbiamo convocato per il 7 e l'8 di maggio a Roma, non è un congresso organizzativo, è necessariamente un congresso di eccezionale e straordinario impegno politico.

Lo è per la natura stessa dell'iniziativa referendaria di massa che abbiamo intrapreso e per le conseguenze che potrà avere e senza alcun dubbio avrà sugli equilibri e sugli sviluppi politici della legislatura se avrà successo, o altrimenti avrà sul futuro e le prospettive della politica radicale se si concluderà con una sconfitta.

Lo è però anche per i motivi drammatici che l'attualità ci impone ancora una volta: ieri un agente ucciso e un altro moribondo negli scontri dell'università di Roma; quindici giorni fa il rapimento a Napoli di Guido De Martino.

L'agente morto e l'altro moribondo sono stati rispettivamente uccisi e feriti nel corso di incidenti e scontri con gruppi di studenti che hanno irresponsabilmente deciso di seguire e assecondare chi ha scelto da tempo la politica del sangue e del terrore, della spirale della violenza e del disordine. Questi gruppi assecondano la politica di criminalizzazione del dissenso compiendo scelte criminali prima che ancora che per la loro natura intrinseca (le P38 e le bombe) per l'oggettività omogeneità alla violenza delle istituzioni e per le conseguenze che hanno sull'intero movimento.

Guido De Martino, sembra, non è stato sequestrato né da brigate rosse e nuclei proletari, né da bande nere, ma da una banda dei sequestri che chiederebbe cinque miliardi di riscatto.

Qualcuno può mettere in dubbio il nostro sgomento di fronte alle vittime di Roma, e la nostra condanna per chi porta o consente che siano portate a queste conseguenze le proprie scelte (e i propri errori) del ricorso ai metodi violenti? Qualcuno può pensare che non siamo totalmente solidali con Guido De Martino e con la sua famiglia?

Ma questo in cosa muta il giudizio politico su queste vicende? A chi giovano le nuove vittime di Roma? Per il fatto che è stato compiuto da una "normale" banda dei sequestri, il sequestro di De Martino perde forse ogni connotazione e significato politico?

Non siamo stati noi a sostenere che è un'unica mano a guidare questi fatti, questa strategia che è stata definita "della tensione e della provocazione". E' stato uno dei maggiori e più autorevoli dirigenti socialisti, il più direttamente colpito dal rapimento, ad affermarlo. Che questa mano oggi si serva di qualche circolare Malfatti, di qualche esame di latino, delle P38 cui inneggiano gli studenti piuttosto delle pistole di ordinanza o di sicari fascisti, che si serva di qualche mafia calabrese o calabro-americana invece che di organizzazioni politiche clandestine, dimostra solo che la strategia è divenuta più complessa, più pericolosa e più articolata, e che gli strumenti di cui si avvale, l'habitat di disperazione e di disgregazione istituzionale e di classe su cui può operare sono profondamente diversi, più vasti e ancora meno sondabili di ieri. Ma la mano è la stessa, gli scopi a cui mira sono gli stessi.

Ricompare Moro e, come nel 1964 (preteso "golpe" di De Lorenzo), accadono fatti di questa natura. Allora si trattava di piegare il partito di Pietro Nenni alla politica del blocco delle riforme. Oggi si sta trattando, mediatore il PSI di Bettino Craxi, lo "accordo programmatico" con il PCI. In politica, come nei romanzi gialli, non è lecito credere alle coincidenze.

Di fronte a quello che accadde la sinistra rinuncia perfino ad effettuare un dibattito parlamentare sull'ordine pubblico, collabora con la DC alla paralisi, alla disattivazione dei meccanismi del controllo parlamentare e del confronto democratico. Rischia di essere una politica folle e suicida.

I referendum sono l'unica arma costituzionale, di legalità repubblicana, nonviolenta, di democrazia diretta, di massa di cui si possa disporre per dare una risposta alternativa a questi processi politici perversi e ormai pericolosissimi e drammatici; per stabilire una trincea, una barriera di democrazia contro questi disegni e queste strategie di regime; per ricostituire una forza contrattuale, dal basso, che possa essere di nuovo utilizzata domani da tutta la sinistra e che valga, per tutti, per le masse, per la stessa democrazia, per le basi e per gli stessi vertici del PCI e del PSI come una polizza di assicurazione contro i rischi dei loro errori, contro il prevedibile disastro e fallimento delle scelte che ostinano a compiere.

Altri non ve ne sono. E chi come i compagni del "Manifesto", ha scelto di non appoggiare i referendum, ha scelto anche di collaborare a queste politiche fallimentari.

E' questo il quadro politico che abbiamo davanti. I compagni devono esserne consapevoli, almeno quanto lo sono il regime, i suoi scagnozzi e sicari che si annidano nelle istituzioni e negli organi di informazione di massa, i vertici degli altri partiti che si oppongono in ogni modo al nostro progetto. Mille firme in meno raccolte in un giorno, quali che ne siano le giustificazioni, sono un successo per la politica del regime e un insuccesso non della politica radicale ma della politica di alternativa di sinistra al regime.

Con i referendum non stiamo raccogliendo le firme per lo scioglimento del MSI-Dn, di cui poi nessuno ha più sentito parlare; stiamo cercando di mettere in atto un istituto costituzionale che condizionerà gli avvenimenti politici dei prossimi anni. I Barbato, che si comportano dai loro telegiornali come cani da guardia dell'informazione di regime della sinistra, i rappresentanti degli altri partiti nella commissione di vigilanza sulle radiodiffusioni, le amministrazioni comunali che ci negano l'autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico, i presidenti di tribunale che si oppongono all'uscita dei cancellieri, quei quadri del PCI che si preoccupano di coprire subito i nostri manifesti, queste cose le sanno benissimo.

Contro queste difficoltà dobbiamo raggiungere non il mezzo milione richiesto dalla legge, ma almeno un milione di firme moltiplicate per otto referendum. Superare queste difficoltà, risolvere i problemi che abbiamo di fronte, battere le resistenze e gli ostacoli che ci vengono opposti, è il nostro compito politico oggi. Il congresso straordinario è lo strumento più idoneo di un partito libertario per affrontarlo collettivamente, nel vivo della lotta. 1978

Roma a ferro e fuoco

di Marco Pannella - Lotta Continua 14.5.77

SOMMARIO: Il 12 maggio 1977 la polizia carica migliaia di manifestanti che partecipano a Roma ad una manifestazione nonviolenta del Partito radicale per la raccolta delle firme sugli "8 referendum contro il regime" … Una giovane, Giorgiana Masi, è colpita a morte da colpi di pistola e molti altri manifestanti vengono feriti. Il Ministro degli interni nega che la polizia abbia mai fatto uso d'armi da fuoco. Il Pr dimostra invece, attraverso un filmato che riprende un agente di polizia mentre spara ripetutamente contro la folla e centinaia di fotografie che riprendono agenti armati, travestiti da "autonomi" che si è trattato di un deliberato tentativo di strage.
In questo articolo rifiutato dal Corriere della Sera e pubblicato da Lotta Continua, Marco Pannella denuncia il disegno violento e autoritario che si cela dietro questo tipo di provocazioni.
(Articolo rifiutato dal Corriere della Sera e pubblicato da Lotta Continua - Maggio 1977 da " Marco Pannella - Scritti e discorsi - 1959-1980", editrice Gammalibri, gennaio 1982)

"La resistenza passiva", ha scritto sabato Il Corriere della Sera, "è apprezzabile quando bisogna difendere grandi principi, molto meno se la posta in gioco è un festa popolare in piazza Navona, e i radicali hanno sottovalutato l'occasione che offrivano ai violenti".

La lettura distorta dei fatti, in buona o mala fede, la loro trascrizione errata o fraudolenta, hanno costituito per anni e costituiscono tutt'ora l'arma principale usata dagli assassini, mandanti e esecutori, della strategia delle stragi e della destabilizzazione. Oggi i fatti dicono che il 12 maggio, a Roma, con l'assassinio di Giorgiana Masi e il ferimento di molte altre persone, s'è tentata una strage, a freddo; sul piano strettamente giuridico la si è realizzata. Per strage denunceremo quindi i responsabili nei prossimi giorni, fino a che verità non sia fatta. Non aspetteremo anni, questa volta.

Già si cerca, come per Brescia, Peteano e Trento, di subordinare testi, nelle carceri e nelle questure. Prove vengono adulterate, passi pubblici e ufficiali compiuti dal ministero degli Interni per affermare il falso, per intimidire e colpire fotografi e giornalisti, con colpi ben più gravi e conclusivi di quelli loro inferti in abbondanza per le strade di Roma, mentre erano al lavoro, il 12 maggio. Da due mesi, il ministro degli Interni, personalmente, contro il Parlamento e i suoi doveri, copre l'esistenza e l'uso illegittimo di provocatori armati addetti a sparare in ogni senso e direzione, in mezzo alla polizia, ai passanti; prefigurazione corposa delle "bande" semiufficiali che operano in Brasile, in Argentina e altrove per conto dello Stato.

Il ministro degli Interni afferma dunque, privilegia e difende la violenza e la sua logica mortale. Si mobilita per sospendere diritti civili di tutta una città, fa aggredire brutalmente passanti inermi e migliaia di donne e uomini pacifici e nonviolenti che si recano ad ascoltare musica e a firmare i referendum, rispondendo all'appello non solo nostro ma di decine di politici, di deputati socialisti, democratici, di prestigiosi uomini di cultura.

Occupa militarmente mezzo centro storico, picchia parlamentari, fa venire da fuori Roma giovanissimi carabinieri terrorizzati ad arte non fidandosi di agenti sospettati di sindacalizzazione, fa sparare migliaia di bombe lacrimogene, tossiche, e decine di armi da fuoco, impedisce il deflusso di cittadini anche casualmente aggregati dai blocchi stradali realizzati fin dalle 14 di quel giorno dalla forza pubblica; cerca ovunque lo scontro, fino a quando, com'era prevedibile, non c'è il morto; per miracolo, un solo morto, Giorgiana Masi. Aveva 19 anni. Era venuta per firmare. L'hanno assassinata.

Tutto questo contro il Partito radicale, promotore del raduno pacifico, in nome del pericolo della possibile speculazione violenta di altri, cioè contro un partito che, aggredito da vent'anni con arresti e violenze di ogni genere, sempre ha saputo rifiutare di rispondere con la violenza e impedire che si traducessero in disordine e in pur immediata reazione di difesa personale.

Ma l'indomani, il 13 maggio, lo stesso ministro, a Roma, consente ovunque cortei e assemblee pubbliche, non indette certo (e comprensibilmente) sotto il segno della nonviolenza, e incoraggia le manifestazioni di oggi. Si limita a "controllarli" da lontano, sperando forse nell'uso di "P 38", non più temendo l'uso dei lapis e delle note musicali, per lui tremende armi di noi radicali. Il risultato è ormai ottenuto. La provocazione della sospensione dei diritti costituzionali di manifestazione a Roma, per un lungo periodo, mantenuta contro l'unanime critica di tutti i partiti democratici e i sindacati, usata per scatenare la violenza contro gli inermi e pacifici e per criminalizzare, quanto meno moralmente, l'unico partito della nonviolenza in Italia, è ormai servita al suo scopo; riesplode in tutta Italia la tensione, la violenza che rischiavano di sopirsi.
E il ministro di polizia potrà di nuovo rovesciare sul Paese, dalla Rai-Tv e dai giornali, i suoi appelli e moniti di sceriffo della Provvidenza, la DC chiedere altre leggi fasciste.

Non è questo che un tassello del mosaico del criminale comportamento del potere che da mesi, con digiuni e firme contro ogni sorta di sopruso subìto, stiamo cercando di svelare e far conoscere all'opinione pubblica. Quasi da soli, aiutati solamente dai compagni cui l'Italia deve l'oncia di verità che conosce sulle stragi che dovevano essere quelle dei Pinelli e dei Valpreda, degli anarchici, di Lotta Continua, dei radicali: furono e sono di ben altri.
Ma devo concludere. Lo spazio è avaro quanto rara l'occasione.

I fatti del 12 maggio ci hanno dato ragione. Incombe, con la diretta violenza del potere, quel disegno violento e autoritario che ha già portato al carcere e alle incriminazioni i comandanti generali dei Servizi di sicurezza, cioè delle Forze Armate della Repubblica, i colonnelli delle "Rose dei venti", le massime "autorità" di Trento, altri uomini del regime. Giorno dopo giorno il perimetro delle libertà civili si va restringendo con l'alibi delle stragi che deliberatamente si provocano, e quello fornito dalle disperazioni e dai fanatismi che ne conseguono, non di rado altrettanto assassini.

I radicali avevano visto giusto, il 12 maggio, anche per un'altra ragione. Ed è quella cui più teniamo, oggi. Noi affermiamo che per sei ore gli ordini dati alle forze di polizia hanno causato aggressioni solamente da parte della polizia. Che rarissimamente vi sono stati episodi di difesa non nonviolenta, e sempre, smaccatamente, di difesa. C'erano, certo, dei "violenti", fra le migliaia e migliaia di cittadini pacifici. Ma la loro tattica è stata quel pomeriggio ineccepibile, leale.
Volevano che la nostra manifestazione si svolgesse assolutamente senza incidenti, per far aumentare le possibilità di un successo se non di autorizzazione per le manifestazioni del 19 maggio. Ho visto "autonomi": calmavano gli animi, evitando lo scontro.
Abbiamo ormai una ferrea documentazione che i ceffi con le armi non sempre d'ordinanza che sparavano, mettendosi accanto ai manifestanti, eccitandoli, erano agli ordini del questore di Roma e dei suoi funzionari.
Dunque, avevamo visto giusto. Roma si apprestava il 12 maggio a dare una splendida prova di serenità, di responsabilità, di forza laica e alternativa, e contribuire così a un nuovo clima, più sereno. Si potevano raccogliere pacificamente migliaia e migliaia di firme contro il regime delle stragi, per i referendum. Sapevano che avevamo visto giusto. Ci si è comportati di conseguenza, s'è messa Roma a ferro e fuoco.

Georgiana è morta: non ha firmato. Che tutti firmino, ora: anche per lei, contro i suoi assassini.

Il tempo dei lupi è venuto

Intervento di Marco Pannella a Tribuna politica 26.5.77

Comunicato della Commissione di vigilanza sulla Rai-Tv

L'Ufficio di Presidenza della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi investita a norma di regolamento dell'esame del contenuto della "Tribuna politica" dell'onorevole Pannella, registrata il 25 maggio, che sta per andare in onda questa sera, rileva che in determinati passaggi del discorso del rappresentante del Partito radicale sono contenute accuse gravi e non dimostrate a carico del Ministro dell'Interno e delle Forze dell'Ordine, e questo in contrasto con i principi fondamentali di lealtà, correttezza e obiettività a cui i partiti si sono impegnati nell'uso della "Tribuna politica".

Al termine della trasmissione sarà diffuso un comunicato del Ministero dell'Interno.

Testo stenografico dell'intervento di Marco Pannella

Buonasera. Abbiamo strappato, questa volta, non più di un quarto d'ora. Hanno ristretto a un quarto d'ora le Tribune politiche perché le voci diverse, che dalla televisione rischiavano di venire attraverso le normali Tribune politiche di mezz'ora o quaranta minuti, facciano meno guai possibili ai tenutari del regime della violenza e della corruzione.

Abbiamo pochissimo tempo. Io non farò nemmeno finta di finire di parlare al termine di questi quindici minuti: continuerò perché sia chiaro che questi quindici minuti terminano con un bavaglio per ricordare che chi è nonviolento, chi crede nella legge, chi disobbedisce alla violenza è censurato.

Può venire qui solo se strappa con durezza, una volta ogni sei o sette mesi, il diritto di parlare, di farsi ascoltare e vedere per quel che è.

La situazione mi pare abbastanza semplice. Voi sapete chi siamo e, forse, alcuni di voi lo intuiscono. Lo ricordano i 400 mila, uomini e donne, che, poco meno di un anno fa, il 20 giugno, dettero il loro voto coraggioso e onesto e probabilmente preoccupato, ma anche pieno di speranza, al Partito radicale. Sanno di che si tratta sicuramente i 450 mila cittadini censurati che hanno già firmato il nostro progetto di referendum costituzionali nonviolenti, coloro che hanno imbracciato, contro le "P-38", il lapis costituzionale, e han fatto le file per autenticare le loro firme attorno a dei tavoli pacifici, attorno a dei "tank", cercando di ottenere che la legge, la Costituzione, finalmente viva. Ecco, censurati tutti.

Censurati innanzitutto i capi storici del socialismo, non noi. Censurato Umberto Terracini, al quale non è stato dato più un secondo perché parlasse e perché, con la censura del L'Unità, il capo storico del comunismo italiano, Terracini, che firma come voi questo progetto di referendum così importante, non possa parlare innanzitutto ai compagni comunisti, che come lui pensano e che sono preoccupati di questa situazione nella quale più si vota Berlinguer, più si vota comunismo, socialismo, speranza, onestà, e più si hanno i Cossiga, gli Andreotti. Hanno censurato non noi, ma Riccardo Lombardi, capo storico del socialismo, al quale non si deve dare più di un secondo, perché, come lo si censura sull'Avanti!, lo censurano i cosiddetti socialisti di quest'altra "P-38" del regime contro la verità che è la Radiotelevisione, mezza socialista, lottizzata con della gente di regime.

Adesso dobbiamo dirvi che la rapina rischia di divenire grande: il miracolo non è che 450 mila cittadini non hanno il diritto perché non sparano, perché non ammazzano, perché non si mettono alla portata delle "P-38" di Cossiga e dei complici delle alternative a Cossiga: è che i cittadini non possono andare avanti, riscuotere il successo che stiamo probabilmente per costruire e che vogliono impedirci. I referendum popolari, un'arma pacifica: ebbene, siamo qui a dirvi che entro il primo di giugno debbono essere raccolte le firme necessarie. La cosa incredibile è che i sondaggi demoscopici ci dicono che il 90 per cento di voi è d'accordo su questi referendum. Noi non abbiamo fatto nulla di avanguardia. Contro il Concordato, contro le leggi manicomiali, contro questa Inquirente della Lockheed, contro i tribunali militari, carabinieri, agenti, militari, contro i tribunali fascisti, contro i "Codici Rocco", le "Leggi Reale", siete nel 90 per cento d'accordo.

E allora come mai, perché solo 450 mila firme? Perché non hanno voluto spiegarvi come, quando. In questa radiotelevisione di regime, uniti d'un tratto i dirigenti comunisti e socialisti con quelli democristiani, hanno impedito che vi si spiegasse almeno una sola volta che cosa fossero questi referendum. Vi hanno detto: sul Concordato. No, contro, ma contro quali norme? Non ve l'hanno detto. Contro norme dei codici penali, ma contro quali norme? Non si è voluto dire perché non sappiate dove si può firmare. Ebbene, noi vi diciamo che 450 mila cittadini, donne e uomini, hanno già firmato, sono coloro che non sono stati ammazzati mentre andavano a firmare, come Giorgiana Masi, col suo ragazzo, a piazza Navona.

Giorgiana l'hanno respinta e uccisa, dopo sei ore. Andava solo a firmare. Quando sono venuto qui, temendo che io parlassi di questo, e ne parlo, non posso non parlarne, sono andati in crisi. Avevo detto che avrei avuto, magari appesa al collo, qualche fotografia su quel 12 maggio. Questa è una fotografia presa in mezzo ad altre. Guardate, vedete? Vedete questi autonomi, questi assassini che stanno ammazzando i poliziotti?

Guardateli, li riconosciamo. Hanno la spranga, il volto coperto, sono teppisti, guardate. Li avete visti bene? Potremmo vederne degli altri. Volete vedere una "P-38", un'arma a tamburo? Eccola in questa foto. Il 12 maggio ce n'erano a centinaia di questi assassini dei poliziotti. Ma erano poliziotti!!! Noi questo lo dobbiamo dire.

Il tempo dei lupi è venuto, gli assassini stanno scendendo dalla montagna, è vero! Da nove anni: piazza Fontana. Vi ricordate Pinelli e Valpreda? Non vi ricordate la nostra solitudine quando dicevamo che dietro c'era lo Stato che ammazzava per farci paura, per poter ammazzare ancora di più, ritornare magari al fascismo, per difendere la corruzione e la corruzione della Loockeed contro la verità dei giornali o delle minoranze. Poi a Brescia e a Peteano. Tre carabinieri ammazzati! L'hanno scorso mi censurarono, qui, lo ricorderete, i nomi di generali: la magistratura, dopo sei anni, per i tre morti di Peteano, tre giovani carabinieri, stava incolpando generali dell'Arma e altri.

Noi sappiamo che in questo momento c'è della gente che si chiede cosa abbiamo fatto il 12 maggio, perché abbiamo fatto quella manifestazione disubbidendo. Ma noi non possiamo premiare il comportamento violento di uno Stato che inonda le strade di persone vestite come assassini e le cui foto, domani, verranno riportate dai giornali e dalla televisione come prova che gli assassini ci sono. Ma certo, qualcuno ce n'è: vi ricordate quella tremenda foto presa a Milano, per strada, di uno della "P-38", un autonomo che spara?

Però pensateci un momento: è quello uno studente, un sottoproletario sgangherato, o non è un uomo che sa prendere la mira, un guerrigliero? E dove si è formato? Nelle università o nelle galere? Cosa c'è dietro tutto questo? E allora noi, da nonviolenti, cosa dovevamo fare? Non è stato detto che il 12 maggio i sindacati, tre ore prima di quella manifestazione musicale, di festa, avevamo telegrafato al ministro di non intervenire perché quella manifestazione era giusta. I tre sindacati. Erano i socialisti, erano i democratici, erano gli intellettuali che invitavano noi a non disdire quella festa, a non obbedire a una legge che la Corte costituzionale, nel '61, aveva dichiarato fascista e che Cossiga quella mattina cercava di applicare.

Ci hanno invitato il 12 maggio a disobbedire, ad andare come cittadini pacifici. E sapete qual è il bilancio reale? Ne siamo fieri, nel dolore, ne siamo fieri. Ricompensateci per questo: andate a firmare prima del 1° giugno, e mandate dei soldi. Mi hanno detto i compagni: ricorda il numero del nostro conto corrente, perché noi abbiamo rifiutato il miliardo e non possiamo neanche stampare dei moduli, non possiamo più nulla. Il numero del conto corrente non ce l'ho. Fate un vaglia telegrafico al Partito radicale per dare l'obolo di uno scellino -dicono gli inglesi- di un danaro alle cose che vedete e sentite.

Dicevo che quel giorno siamo andati in allegria, per dimostrare che Roma poteva essere lieta, serena, pacifica, contando che fra di noi nessuno sarebbe stato violento. Come sono andate le cose? Guardate il bilancio, del quale siamo fieri, nel dolore, lo ripeto. Su 5200 poliziotti armati, su centinaia di giovani poliziotti costretti a vestirsi da assassini, costretti ad apparire nelle strade come i lupi dei quali abbiamo paura, per consentire a Cossiga, in nome di quei lupi, di fare leggi più fasciste e altre cose, e ammazzare passanti, ecco il bilancio: una scalfittura al polso di un carabiniere. Eravamo 20-30 mila! Dopo sei ore di attacchi, di scontri -l'han detto loro- l'unico atto di violenza, tra virgolette, perché forse c'è stato e non c'è stato, è il graffio al polso di uno dei 5200 uomini.

è un bilancio che rivendichiamo: eravamo lì con i lapis, ma hanno paura dei lapis! Devono portare ogni giorno alla televisione Curcio e Cossiga, devono farci vedere le "P-38", per distrarci dall'ottimismo, dalla bontà, dalla felicità della firma, della musica, dell'allegria, del girare per Roma dicendo: gli assassini li isoliamo con il sorriso essendo buoni noi, diversi dagli altri. Di questo non vi dicono nulla. Dalla nostra parte abbiamo avuto una morta, dieci feriti da arma da fuoco, decine di feriti da tondine, manganelli, gas, candelotti lacrimogeni sparati a vista d'uomo. Faremo un libro bianco, lo stiamo per fare.

Ebbene, dinanzi a questo bilancio, vi si voleva far credere che i radicali erano i responsabili della morte di uno di loro. E allora, sarebbe stata la stessa cosa quando disobbedivamo per l'aborto, per liberare dall'aborto tremendo e dalla morte per aborto migliaia e migliaia di donne, e andavamo in galera, in nome dei separati del matrimonio, contro l'immonda violenza del divorzio di classe della Sacra Rota. La stessa cosa che quando andavamo in galera come obiettori di coscienza, la stessa cosa che quando disobbedivamo agli ordini ingiusti, disobbedivamo alla violenza, come disobbediremmo se ci sequestrassero. Noi in tale circostanza diremmo: "Non collaboriamo con la violenza di chi sequestra. Non pagheremo un lira. Disobbediamo alla violenza".

Ecco, è invece come se tutta questa realtà non esistesse, non doveste prenderne atto. Entro pochi giorni, dobbiamo arrivare a 500 mila firme. Andate alle segreterie comunali, andateci, donne, uomini. Siete in milioni a non averlo fatto perché non vi han detto che potevate farlo, perché vogliono invalidare il progetto, han già deciso. Alle 500 mila firme, come la legge impone, ci saremmo già. Ma se saranno meno di 700 mila, il progetto lo faranno fuori. In nome di Riccardo Lombardi, di Umberto Terracini, di Giorgiana Masi, in nome della speranza che è, mi pare, l'unico giusto modo -mentre la linea di compromesso di collaborazione di socialisti e comunisti, i balletti bilaterali, stanno distruggendo i salari, la tranquillità, e abbiamo tutti paura- vi chiediamo di andare a firmare: ma domani, dopodomani, attorno ai tavoli e nelle fabbriche, organizzatevi.

Io non so fra quanto calerà questo sipario: ma da deputato avrei avuto tante cose da dirvi che non ci lasciano dire ogni giorno. Tante cose da fare, tante cose che, in realtà, ci rendono uguali, sempre di più a voi, così come siete, in ogni momento, con il vostro carico di speranze nella Costituzione, con la vostra speranza che il regime della violenza e della corruzione sia abbattuto. Io penso che dobbiamo, noi stessi, adesso, cercare di essere simili a quello che speriamo di essere, e firmare. Le donne, le mamme, le nonne di settantanni, quelle che ieri ci han salvato, hanno capito e sono tornate a essere felici e giovin compagne, tutti debbono firmare. E' a questo che noi affidiamo la salvezza non del movimento radicale, ma del dialogo democratico, mentre si stanno per varare leggi immonde, incredibili... Non sapete nulla di quello che succede! Può darsi che noi, in pochi, esageriamo, ma sempre, nella vita politica, nella storia, coloro che riuscivano a esprimere le speranze della gente normale quali noi siamo, han finito per essere soffocati e rimanere soli dinanzi alla violenza di chi usa il potere illudendosi che non si molla dinanzi alla violenza quando viene dallo Stato.

Un appello devo rivolgere ai carabinieri e ai soldati: loro non sanno che alla Camera stiamo chiedendo la riforma per i loro diritti civili, riforma che gli altri, tutti d'accordo, stanno negando. I giovani carabinieri sono spaventati quando vedono i giovani delle "P-38", e non sanno che sono agenti come loro, costretti da questo regime a dare questo volto alla Repubblica.

Ecco, io sto andando avanti, ma non so se ancora voi mi ascoltate.

Certamente il dovere di un radicale è quello di non far finta di aver terminato di parlare, quando la violenza delle "P-38" della Radiotelevisione dello Stato si abbatte contro la sua possibilità di emettere parole, di non far finta e illudersi di comunicare con coloro ai quali vuol comunicare. Andremo avanti chiedendo e contando sulla vostra iniziativa; contando sul fatto che ciascuno sia responsabile e allora, probabilmente, di nuovo i 450 mila, i 500 mila, i milioni di donne e uomini che sono così come sono, come noi li conosciamo, che non vogliono né ammazzare, né morire ammazzati, queste donne e questi uomini potranno essere gli attori di una società della speranza e non quelli del regime democristiano e del "compromesso storico", della violenza e della corruzione...

Comunicato del Ministero dell'Interno

A proposito della conversazione televisiva dell'onorevole Pannella, un portavoce del Ministero dell'Interno ha dichiarato: "Della scorrettezza formale e sostanziale, dello stupefacente comportamento dell'onorevole Pannella, ha già detto l'Ufficio di Presidenza della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Le accuse dell'onorevole Pannella al Ministro dell'Interno ed ai suoi non indicati complici di praticare la politica delle P/38 e di ammazzare i passanti, le accuse allo Stato di inondare le strade di persone vestite come assassini, costretti ad apparire come lupi di cui si deve aver paura, sarebbero gravissime, ingiuriose ed infamanti se provenissero da altri. Pronunciate dall'onorevole Pannella sono solo indecenti, sconsiderate e inutilmente provocatorie. Il Ministro e i suoi collaboratori le respingono, comunque, con sdegno misto a profonda pena, ma anche con quel senso di ribellione che promana dal ricordo dei tanti appartenenti alle forze dell'ordine caduti negli ultimi mesi per difendere l'ordine e la legalità dello Stato democratico". Il portavoce del Ministero dell'Interno ha così concluso: "Come già si è assunta la responsabilità morale di aver dato spazio alla violenza infrangendo un legittimo divieto dell'autorità, così oggi l'onorevole Pannella si assume con questo dissennato uso di un mezzo di pubblica informazione un'ulteriore grave responsabilità additando al pubblico disprezzo istituzioni ed agenti dell'ordine per quello che la sua campagna d'odio potrà provocare. E' un bene che la trasmissione sia andata integralmente in onda in modo che i cittadini hanno potuto per oggi e per domani vedere l'onorevole Pannella per quello che è".


PANNELLA risponde a MGP

di Marco Pannella EUREKA, 7 luglio 1977

Cara MGP,

due mesi saranno passati da quel 12 Maggio quando comparirà su Eureka questa mia risposta.

Intanto sarà stato pubblicato e diffuso il nostro libro bianco su quei fatti con la sua documentazione schiacciante: per 8 ore 5200 agenti, carabinieri, provocatori di stato costretti a sparare, ad aggredire, a picchiare, ammazzando Giorgiana, ferendo altri 12 con colpi di arma da fuoco ed altri 70 con candelotti sparati ad altezza d'uomo, manganelli, pietre, insultando e malmenando centinaia di donne e uomini, passanti, agenti terrorizzati anch'essi dalla voce fatta circolare tra di loro di manifestanti che già alle 15 sparavano e molti loro colleghi erano già feriti, umanamente comprensibili, pieni di rabbia, di rivolta, di paura per le notizie false deliberatamente diffuse da funzionari e superiori; e dall'altra parte, per 8 ore, mentre cercavano inutilmente di defluire, presi in sacche assieme a migliaia di turisti e di passanti, 20 o 30 mila persone, venute per ascoltare musica e firmare i referendum, bombardate di fuoco e di gas da ogni parte.

Ecco la fotografia di quel 12 Maggio, cara MGP! Ed ecco il bilancio, che dovrebbe una volta per tutte impedire non solamente a te ma a chiunque non abbia il gusto e la perversione della menzogna e dell'ingiustizia di parlare di "facinorosi", "autonomi assassini", "violenti", speculatori sulle nostre lotte e manifestazioni: queste 30.000 persone non hanno mai reagito con la violenza, non hanno mai esercitato la legittima difesa, si sono mosse con un senso di forza e di responsabilità senza precedenti in Italia e in Europa. Tant'è vero che questa è la prima volta da 20 anni in cui la polizia non ha avuto un solo contuso o ferito in 8 ore di "scontri", essendo in 5200 contro decine di migliaia. Si era parlato di un carabiniere "ferito di striscio ad un polso da un colpo di arma da fuoco": ma poi non si è insistito nemmeno in questa versione: chissà da dove era venuto il colpo, se c'è stato, e non si è trattato di un graffio! Il Ministro degli Interni aveva parlato alla Camera di undici arrestati; cifra già di per se ridicola. Sono scomparsi. Anche quelli non c'erano mancati "manifestanti". Chi erano??? Dove sono finiti? Dunque avevamo visto giusto quando avevamo deciso di rifiutare l'ordine ingiusto (e illegale: l'articolo 2 del testo unico è stato giudicato incostituzionale già del 1961!) e avevamo puntato sul senso di lealtà di tutti i cittadini di fronte al nostro invito alla non violenza? Di tutti, senza eccezioni. E' stata una prova di maturità civile e non violenta, straordinaria, esemplare quanto dolorosa. Ma, dici tu, non bisognava farla per nulla la manifestazione. Ci sono stati dei morti e dei feriti: quindi non bisognava farla! Cara MGP, sapessi quante volte abbiamo, hanno rischiato la vita (non la morte, c'è una differenza di angolazione) i non violenti che siamo! Quanti compagni e compagne con i loro digiuni, anche assoluti, della sette! Quante centinaia d'anni di vita in meno; comunque, deliberatamente sono stati posti sulla bilancia della giustizia, della verità, della lotta non violenta contro la violenza assassina delle istituzioni.

Quanti dubbi, paure, ogni volta! Essere non violenti significa: non collaborare all'ordine ingiusto, organizzare la disobbedienza civile, fare obiezione di coscienza contro le leggi ingiuste e incostituzionali, opporre il proprio corpo alle aggressioni contro l'umanità e la legge, non fosse che quella degli altri, perché venga rispettata.

Così siamo tutti, Emma, Adele, Gianfranco, Roberto, io stesso, "avanzi di galera", come sai. In libertà provvisoria. Abbiamo disobbedito per l'obiezione di coscienza contro il servizio militare obbligatorio, e invitato a disobbedire: la legge approvata è costata secoli di carcere e penitenziario militare. Oggi molti giovani possono risparmiarsi questa scelta atroce fra la propria coscienza e la galera. Abbiamo disobbedito, con le compagne del CISA, organizzando alla luce del sole per centomila donne gli aborti costituzionali contro quelli immondi delle mammane e dei ferri da calza, del terrore e della morte morale e spesso fisica di milioni e milioni di donne: solo andando in carcere, solo su questa disobbedienza "turpe" il problema è stato imposto alla classe dirigente. Abbiamo disobbedito contro l'immonda legge che legava i drogati, per sempre, all'industria criminale della morte per droga, li rendeva necessariamente complici assassini e suicidi dei loro stessi assassini; abbiamo disobbedito perché i drogati fossero considerati finalmente come malati o come donne e uomini vittime di una violenza senza nome, e non come criminali, e siamo andati in galera: solo allora una legge - pur cattiva, pur inadeguata - è venuta a cancellare quella precedente, ignobile anche nei suoi presupposti. Potrei continuare l'elenco, a lungo. Personalmente sono stato denunciato centinaia e centinaia di volte, processato oltre cinquanta, assolto quasi sempre, tranne in un caso "condannato ad una pena pecuniaria di quattrocento mila lire in primo grado", ho decine di altri processi che attendono.

Perché il 12 maggio dovevamo disobbedire? Vuoi saperlo, MGP? Perché non ci fossero, perché non ci siano altre centinaia di morti assassinati per strage in Italia. Ascoltami: se per due o tre assassinati a freddo (e da chi?) un Ministro degli Interni può sospendere i diritti civili di una città di 4 milioni di abitanti; se, contrariamente a quanto accade in ogni paese di democrazia parlamentare e politica, un Ministro degli Interni diventa tanto più potente e inamovibile e autoritario, quanto più assassinati vi sono sotto il suo regno; se non deve invece dimettersi; quanto meno per incapacità, come ovunque accadrebbe; se questo fosse accettato basterebbe una bella strage riuscita su un treno estivo, con qualche centinaia di morti, per consentirgli di sospendere le libertà di e i diritti civili dell'intero paese per 6 mesi almeno. Se si accetta che per punire e colpire i violenti si deve o può impedire ai non violenti e ai democratici di manifestare, di riunirsi, di isolare nelle città le forze e i metodi delle stragi è evidente che gli assassini di ogni colore e i nuovi fascisti di stato (quelli delle stragi di Piazza Fontana, di Brescia, di Trento, fino a quelli di Piazza Navona, dei vari Sid e Affari Riservati) avranno interesse ad ammazzare sempre di più.

Dobbiamo spezzare, da non violenti, questa spirale orrenda di stragi e di assassini di stato e non. Potrei ricordarti che il PSI, la CGIL-CISL-UIL, decine di deputati si erano impegnati al nostro fianco, anche prima che togliessimo ogni carattere politica alla riunione: solo musica e film, avevamo assicurato. Ma non abbiamo bisogno di alleati rivelatisi poi vili e non liberi di assumersi le proprie responsabilità.

Ovunque, quando hanno successo, i non violenti sono considerati gli avversari più pericolosi da coloro che difendono una società disumana, violenta, ingiusta. Prima li si lincia moralmente, poi li si assassina. Da Lambrakis a Martin Luther King. Per noi, già da anni, c'è la strage della verità, dell'informazione, del diritto alla nostra identità ma questa splendida gente che c'è nelle strade, nelle case, negli uffici e nelle fabbriche, nelle cucine e nei letti, non sappiamo per quale miracolo, è sempre riuscita alla fine a capirci, a riconoscerci riconoscendoci e riconoscendosi. E abbiamo insieme vinto tante volte e in tanti campi. Ora le ore diventano tragiche. Ma non abbiamo altra speranza di tornare a vederle vivibili o renderle felici, che restare tali quali siamo stati, crescere nella fedeltà alle idee, ai metodi, alle speranze, ai dialoghi che sono i nostri. Un poeta scriveva: "basta che uno solo fra noi resti tale quali fummo, per salvare tutta la speranza nel mondo". E di "uno solo" di questo tipo, MGP, anche grazie alla Piazza Navona, dolorose e tragiche, ma necessarie per vivere (anche se poi ci ammazzano perché capiscono che rischiano altrimenti di non potere più fare le gigantesche carneficine che sono nei loro calcoli), di "uno o una" così, ormai, senza di me o di te, ce ne sono centinaia di migliaia. Certo, è come se vivessimo sotto il fascismo. Anzi, non dimentichiamo che negli anni 30 il PNF ha avuto bisogno di meno di un decimo degli assassinati, di cui in questi sette anni ha avuto necessità il regime che ci sgoverna. Il fascismo, per vivere, deve cambiare e rinnovarsi: altrimenti muore, finisce. S'è rinnovato, è diverso: guardate la DC e il regime e ve ne accorgerete.

Pannella/Almirante: Non c'era bisogno di iniziative gravemente sbagliate, nè di inquinamenti

LOTTA CONTINUA, 22 giugno 1977

Occuparci di questa vicenda, proprio nel momento in cui più utilmente le forze potrebbero essere destinate a garantire il più pieno successo a questa tormentata, difficile e impegnativa battaglia per gli otto referendum non ci soddisfa assolutamente. Dobbiamo farlo perché lunedì sera abbiamo visto messi a repentaglio tre mesi di impegno - e tre mesi che sono stati duri, umanamente e politicamente - da una iniziativa che consideriamo assai grave, a tal punto da riuscire forse là dove altri attacchi non erano passati. Perché in questo caso veniva messa in discussione la volontà antifascista che non è per migliaia e migliaia di compagni, di Lotta continua e non, un vuoto rituale: quella volontà e quell'impegno contro il fascismo di ieri e di oggi che sono stati così forti, anzi più forti che mai, in questi mesi. Non si può giocare con il valore della libertà. Sappiamo che tra noi ed i compagni radicali esistono delle differenze non da poco, e in particolare sappiamo che il nostro concetto di libertà intanto ha un valore proprio nel momento in cui si pone come garanzia contro l'avversario di classe, i suoi strumenti di offesa antiproletari, il suo essere negazione della libertà per maggioranza.
Così, ugualmente sappiamo che questa garanzia non esiste più quando non esistono confini e anzi si giudicano il fascismo e i suoi rappresentanti, come una delle diversità di questa società. Se c'è una diversità, è quella della ferocia che contraddistingue il fascismo, è quella della rappresaglia omicida così connaturata con il fascismo di ieri e di oggi, è quella di essere la faccia più ripugnante della borghesia. Certamente, consideriamo ripugnanti anche altre forme della violenza borghese, e non concediamo alcuna patente di democraticità al partito che da trent'anni rappresenta il regime nel nostro paese. Ragione in più per garantire ancor più e non svilire viceversa la libertà per la quale ci battiamo.
Non sappiamo come sia nata l'iniziativa di concepire un contraddittorio tra Pannella e Almirante. E' certo che di fronte a questa decisione non poteva valere la coesistenza di diversi giudizi e che per noi, così come per tanti altri compagni, tutto ciò non poteva apparire che come un atto irresponsabile, destinato a creare una rottura e probabilmente a compromettere questa difficile battaglia per gli otto referendum.
Di qui la nostra scelta: o rinunciare a questa grave iniziativa oppure Lotta Continua si sarebbe dissociata dalla campagna per gli otto referendum. Non è stato un ricatto, semmai un ricatto ci è stato fatto. Riconosciamo ai compagni radicali di avere il merito di aver lanciato, sostenuto questa importante battaglia di democrazia, dando il tutto di se stessi. Ma diciamo anche francamente che questa improvvisa iniziativa presa a pochi giorni dalla conclusione non poteva non accompagnarsi con conseguenze preventivabili e scontate. Se qualcuno voleva trovare un modo per recuperare piena autonomia di movimento, l'ha fatto nella maniera più irresponsabile, non contribuendo di certo alla coesione degli sforzi che peraltro noi ci auguriamo riprendano da subito superando ogni incertezza e garantendo quel successo che è tutt'altro che già raggiunto. Non è il momento di perdere tempo e creare confusione con l'inseguimento dell'elettorato conservatore o qualunquista, proprio perché dietro la conservazione non c'è solo l'aria fritta della demagogia ma il cemento degli interessi corporativi e proprietari.
Non sappiamo che farcene di queste firme, e le consideriamo francamente un inquinamento. E' semmai il momento per tutti i compagni di concentrare gli sforzi per raccogliere il pronunciamento democratico ed antifascista delle masse popolari. E' la cosa che più c'importa e per la quale ha avuto e continua ad avere senso il nostro impegno.

Comunicato della Segreteria Nazionale di Lotta Continua
La decisione di Marco Pannella di tenere per mercoledì un contraddittorio con Almirante attraverso Radio Radicale di Roma è stata giudicata da Lotta Continua come un atto irresponsabile e destinato a compromettere la stessa campagna per gli otto referendum. La conseguenza di questa iniziativa sarebbe stata, per qual che ci riguarda, la dissociazione da questa campagna giunta ai suoi ultimi giorni. Dissociazione non solo nostra, ma di quanti hanno vissuto - ancora e più nel corso di questi ultimi mesi - l'antifascismo come una fondamentale collocazione di lotta e di impegno politico. Giudichiamo gravemente errata la concezione di presentare il dialogo con i fascisti come una iniziativa democratica.
Si tratta invece di una pericolosa e suicida concezione della libertà che si traduce nell'offrire spazio a chi, come in questo caso, è semplicemente un assassino. La campagna per gli 8 referendum è cresciuta in questi mesi caricandosi sempre più di un decisivo segno di classe, proletario e democratico, ed è questo segno che deve essere sempre più nitido, per i pochi giorni che ci restano, garantendo, fino in fondo, a questa battaglia il suo naturale contenuto di lotta al fascismo di ieri e di oggi.
La rinuncia di Marco Pannella e del partito Radicale a tenere questa iniziativa, che per noi sarebbe stato inaccettabile e di rottura, ci conferma nel nostro giudizio, sostenuto dal pronunciamento di tanti altro compagni.
Invitiamo perciò tutti i compagni a rafforzare la lotta per gli otto referendum in questi ultimi, decisivi giorni.

La segreteria radicale
Si sono stamane riuniti il gruppo parlamentare Radicale, la segreteria nazionale del PR per prendere in considerazione le reazioni dei compagni della segreteria nazionale di Lotta Continua che ha annunciato un suo possibile disimpegno dalla campagna dei referendum nel caso in cui avesse luogo il contraddittorio fra il segretario del MSI Almirante e Marco Pannella. Il Partito Radicale ribadisce la piena legittimità democratica dell'iniziativa e si riserva di rispondere agli attacchi ed alle speculazioni che una volta di più si sono scatenati da ogni parte, oltre che alle posizioni ed ai giudizi espressi dai compagni di Lotta Continua, solamente dopo la presentazione unitaria delle firme in Corte di Cassazione.
Nel contempo prende atto che la reazione di LC esige un atto di comprensione e di collaborazione per assicurare il successo di una battaglia comune di immensa portata. Per questo Marco Pannella ha proposto un rinvio del contraddittorio a data e con modalità da precisarsi, proposta che è stata approvata all'unanimità da tutti i partecipanti alla riunione con la puntualizzazione su esposta.

Le radio democratiche: non far parlare un fucilatore
"Ieri sera, nel corso di una trasmissione a Radio Radicale, nella quale si dibatteva sugli otto referendum, Marco Pannella ha annunciato per mercoledì sera un contraddittorio negli studi di Radio Radicale con il boia Giorgio Almirante, riconosciuto fucilatore di partigiani. I lavoratori di Radio Città Futura di Roma, di Canale 96 di Milano, di Radio Alice di Bologna, di Radio Milano Popolare, di Radio Città Futura di Torino, indignati per questo tipo di iniziativa che dà credibilità ad un partito fuorilegge e che in ogni caso lo è nella coscienza e nella pratica delle masse popolari, chiedono ai lavoratori di Radio Radicale di impedire - nell'eventualità che fosse confermata - questa trasmissione, provocatoria nei confronti della coscienza democratica dei lavoratori e che insulta i caduti della lotta e gli ideali nati dalla Resistenza.
Chiedono inoltre l'immediata convocazione della segreteria nazione della Fred (Federazione Radio Emittenti Democratiche) nella quale Radio Radicale è rappresentata, affinché vengano da questa Radio rispettate le norme statutarie democratiche e antifasciste della Fred stessa".

Radio Radicale di Roma risponde
I lavoratori di 88.5 Radio Radicale così come respingono ogni ingerenza nella libertà di conduzione e di informazione all'interno di ogni radio democratica, in assoluta coerenza con la loro militanza radicale, intendono difendere contro chiunque questo fondamentale diritto. La pretesa di impedire un dibattito, la pretesa degli organi della Fred di dettare forme di controllo dei contenuti gabellate per antifasciste, apre la strada a forme di vera e propria censura di tipo ideologico. I lavoratori di Radio Radicale ritengono tutto ciò inammissibile e se questa dovesse davvero essere la linea della Fred, dichiarano fin d'ora che non potranno continuare ad operare all'interno di una federazione che di democratico avrebbe soltanto il nome, ma che in realtà adotterebbe prassi staliniste. Mentre rivendicano con indignazione l'antifascismo di tutte le lotte radicali che si è rivolto in tutti questi anni, innanzitutto contro il fascismo delle strutture delle istituzioni, i lavoratori di 88.5 Radio Radicale negano a chiunque il diritto di stabilire chi è antifascista e chi no, e non possono non deplorare coloro che, anche in nome di questo preteso antifascismo, contribuiscono in realtà all'opera di linciaggio e di emarginazione della politica radicale e dei suoi strumenti di organizzazione, di lotta e di informazione. I lavoratori di 88.5 Radio Radicale invitano infine tutti i compagni delle radio democratiche che ne avranno la possibilità a collegarsi con 88.5, 99.7 Radio Radicale (Tel. 58.95.467) questa sera alle 22.30 per partecipare ad un filo diretto sull'argomento in questione.

ABERRAZIONI LOGICHE

Marco Pannella - Lotta Continua - Giugno 1977

Ho preso un'iniziativa democratica; ho proposto a Almirante un pubblico contraddittorio che avrebbe probabilmente consentito a decine o centinaia di persone non di sinistra di ascoltare e conoscere le nostre motivazioni e i nostri obiettivi, e ad altrettante di sinistra quelle di Almirante.

Contro il totale sequestro dell'informazione sui referendum attuato dalla quasi totalità della stampa e dal servizio pubblico della Rai-Tv, sentivo l'urgenza e il dovere di attuare un'iniziativa che consentisse in particolare alle masse degli elettori della destra, democristiana o missina, qualunquistica o "apolitica", di conoscere il significato del progetto dei referendum, di tornare a disubbidire a Fanfani, Andreotti Almirante, come fecero quando votarono "No" al referendum sul divorzio e consentirono alla sinistra laica la clamorosa vittoria civile del maggio '74.

Da radicale, ritengo che il fondamento stesso della vita civile e democratica sia quello di respingere ogni demonizzazione nella politica come in ogni altro momento dell'attività umana: di riaffermare, anche nel momento politico, che non esistono perversi ma solo dei diversi: di opporre e proporre dialoghi soprattutto a chi ne nega il valore, nonviolenza a chi crede e pratica la violenza. E' quanto facciamo quotidianamente in Parlamento, nel Paese, fra la gente, nella nostra esistenza: o tentiamo di fare.

Aberrazioni logiche fanno ormai parte della cultura prevalente. Uno scontro verbale, di opposizioni e di polemiche, di lotta politica, viene inteso infatti come connivenza o come cedimento. Chi ha votato una legge che assegna al MSI ogni anno miliardi dei contribuenti, chi collabora ogni giorno in posti e posizioni centrali nel Parlamento, gomito a gomito, con il MSI, insorge ora contro questo contraddittorio. A costoro non do nessuna risposta, perché la censurerebbero, la snaturerebbero, da fascisti quali spesso finiscono per essere nei loro comportamenti.

Anche con loro non accetto che pubblici contraddittori, che da anni e anni rifiutano perché temono che la gente conosca le posizioni e gli argomenti radicali. Se fosse quindi dipeso dalla reazione di costoro, ampiamente scontata, non avrei minimamente neppur preso in considerazione l'ipotesi di un rinvio del contraddittorio.

Ma poiché il movimento di LC e quello del MLS hanno ritenuto e ritengono che questo contraddittorio non consentirebbe loro di continuare in questi ultimi giorni a lottare per il progetto dei referendum, nei quali si sono finora lealmente e seriamente impegnati, proprio in un momento determinante quale quello della raccolta finale e della presentazione alla Corte di Cassazione, non posso che prenderne atto e rinviare il contraddittorio stesso a quando le nostre organizzazioni torneranno ad avere piene, reciproca autonomia, non solamente di diritto ma anche di fatto.

Rivolgo quindi un appello a tutti i compagni perché in questi giorni e ore la loro mobilitazione consenta di andare in porto con una iniziativa che è l'unica, all'interno delle istituzioni, che può portare un colpo adeguato al fascismo, all'intolleranza, alla violenza del sistema del regime. Per il dibattito interno e le polemiche su quanto accaduto, non mancherò evidentemente di dire quel che penso e di attaccare posizioni che ritengo profondamente errate e contraddittorie, come altri le mie. Ma per questo c'è tempo dopo il 30 giugno.

DICHIARAZIONE DI MARCO PANNELLA

NR233, 28 settembre 1977

"Dopo una notte trascorsa in intensa riflessione e lungo dialogo con il gruppo di dieci compagni e compagne che a Bilbao avevano annunciato e iniziato anch'essi oltre allo sciopero della fame, anche quello della sete a sostegno incondizionato dell'iniziativa che inizialmente aveva assunto con il solo accordo dei compagni di "lotta nonviolenta" di Barcellona, dopo l'intervento militante di Pepe Beunza, il primo obiettore di coscienza spagnolo e animatore e coordinatore per tanti anni del movimento antifranchista nonviolento, giunto a Madrid per unirsi all'azione comune e dopo una giornata di discussione collettiva con altri compagni di Madrid e Barcellona sulla situazione e sulle prospettive di questa lotta nonviolenta che si va sempre estendendo e rafforzando non solamente in Spagna e in Italia, ma in altre sedi, militanti e istituzionali, d'Europa";

"mentre la deputata italiana Adele Faccio è partita questa mattina per Bruxelles latrice di un documento di parlamentari italiani per il Presidente del Consiglio dei Ministri della Cee, Simonet, per immediatamente coinvolgere le istituzioni comunitarie europee nella difesa dei diritti dell'uomo e dei diritti giuridici tassativamente garantiti dalla convenzione europea e invece violata né più né meno che durante il regime franchista nei confronti di tutti i detenuti militari spagnoli ed in particolare degli obiettori di coscienza";

"mentre centinaia giungono al Re di Spagna, adesioni all'appello lanciato da scrittori come Moravia, Silone, Cassola, da teologi come Diez Allegria, Franzoni, da leaders socialisti come il francese Gilles Martinet, lo svizzero Villard, lo spagnolo Gonzales, con il quale si proclama sua maestà Juan Carlos, garante della vita di Marco Pannella e responsabile dell'eventuale protrarsi della condizione antigiuridica e contraria ai diritti umani fondamentali dei 2000 prigionieri militari spagnoli.

Considerato che l'arma nonviolenta del digiuno della sete deve essere usato solamente in condizione di riflessione e di preparazione collettiva con il sussidio morale della conoscenza continua delle proprie posizioni di salute che solamente un continuo controllo medico e scientifico può garantire sicché (come per il digiuno della fame sperimentato da sempre e che consente a ciascuno, per il suo decorso, di continuamente confermare o superare la propria decisione di fronte alle sue conseguenze), sia possibile responsabilmente affrontare la scelta sino in fondo o superarla";

"anche in segno di rinnovata anche se difficile e drammatica decisione di fiducia nei confronti dei presidenti delle Cortes e del Congresso spagnoli, della mensa presidenziale che hanno portato a Pannella l'espressione della loro più assoluta solidarietà ai suoi tempi e obiettivi, con la visita ieri avvenuta dei deputati vicepresidenti della Camera, abbiamo deciso quanto segue":

1) Di dare all'azione collettiva diretta nonviolenta che oramai conduciamo un numerose città dell'Italia e della Spagna (Madrid, Bilbao, Barcellona, Tarragona, Gerona, Vitoria, San Sebastian, Torino, Milano e Roma), la forma più idonea a garantire il massimo di potenziamento a ciascuna delle iniziative in corso.

2) Di continuare ad estendere in ogni altra città possibile le forme di azione diretta nonviolenta di solidarietà e difesa dei diritti umani degli obiettori di coscienza spagnoli finché le autorità non abbiano compiuto il gesto auspicato.

3) Di impegnare le forze politiche spagnole ed europee ad un sostegno finalmente concreto e non solamente dichiaratorio a questa azione.

4) Di tenere domani, alle ore 12 una conferenza stampa presso l'Hotel Princesa di Madrid, alla presenza di medici e l'eventuale partecipazione di esponenti politici impegnati nella difesa dei diritti umani, sia in Spagna che altrove.

5) Di rivolgere un appello umile ma deciso alle autorità perché dopo ormai 15 giorni di azione nonviolenta e di prove di serenità, di umiltà e di moderazione e responsabilità da parte del movimento nonviolento degli obiettori, si compia infine quel gesto simbolico che chiediamo e che non è altro che una piccola parte di quanto è nostro stretto dovere giuridico e umano.

Nel momento in cui, all'alba, abbiamo raggiunto questo accordo, con i compagni di Bilbao, ed essi di conseguenza hanno terminato il digiuno della sete, ho deciso di bere con loro anche io per un'ora. Il che ho fatto con piena convinzione, senza timore di contraddirmi e di incoerenze esteriori, con la nonviolenza della tolleranza verso se stessi oltre che verso gli altri.

Per ultimo informo che questa notte da Roma uno dei massimi esponenti socialisti italiani, l'on. Loris Fortuna, Presidente della Commissione Industria della Camera, ha annunciato il probabile arrivo a Madrid per la conferenza stampa di domani mattina ed impegnarsi anche lui nell'azione. Tutto questo comunico da solo, non avendo avuto il tempo di provvedere alla redazione collettiva del documento".

Marco Pannella ha altresì dichiarato:

"Continuerò a Madrid il mio sciopero della fame e della sete, così come quello della fame a Bilbao, Madrid, Barcellona, San Sebastian, Saragozza, Gerona, Vitoria, prevedendo sin da ora che in caso di esito forzato del mio digiuno della fame e della sete, entreranno immediatamente nel digiuno della sete due compagni di Bilbao, Annie Marie e Mabel ed altri sino al raggiungimento dell'obiettivo, e che quindi sarà intorno a loro che si trasferiranno le strutture collettive di lavoro, di collaborazione medico-scientifico che consentono il digiuno della sete".


Un grande congresso, una sfida vincente

di Marco Pannella NR223, 18 novembre 1977

SOMMARIO: All'indomani del XIX Congresso radicale di Bologna (29, 30, 31 ottobre, 1 novembre 1977) Marco Pannella sottolinea il valore straordinario del suo dibattito e delle sue decisioni (respingere il finanziamento pubblico), in particolare rilevando che mai nessuna organizzazione politica consente e favorisce una così vasta partecipazione attiva dei suoi militanti ai momenti decisionali. Contro tutto ciò si è mossa la stampa e la televisione con la sua opera di disinformazione e distorsione. La contestazione dei compagni "duri e puri" Gardin e Melis.

Cari compagni, voi sapete che la mia interpretazione dello statuto fa dell'eletto istituzionale un iscritto con diritti-doveri sospesi - o quanto meno consistentemente affievoliti - ma nessuno dei quali lo obbliga a comportamenti prestabiliti o gli consente di chiederne o attendersene dal Partito.

L'eletto (sia esso consigliere comunale, regionale, deputato o senatore) resta però un iscritto, tenuto e autorizzato a quel rapporto dialogico ed a quell'attenzione privilegiata che è poi la sostanza vera e unica di un rapporto libertario, fondato cioè sul senso socializzato di responsabilità e di libertà. Ritengo che resti a me deputato il dovere di intervento almeno nel caso in cui ritenga violato lo Statuto, o in causa, o illegittimamente, evocato o ignorato. E' questo il caso.

Ho già detto che ritengo il Congresso di Bologna, che ora conosco grazie a Radio Radicale che ne ha trasmessi e ritrasmessi quasi tutti gli interventi, un congresso di straordinario valore, una tappa enorme nel cammino, senza termine prevedibile, della costruzione di una sinistra (e di una società) laica, libertaria, socialista.

Per chi ha vissuto esistenzialmente, al suo interno, nella faticosa, durissima sequela delle ore diurne e notturne, nel bombardamento dei suoni, di tensioni e di attenzioni che necessariamente ha comportato (certo: un po' di analisi "clinica" approfondita, delle condizioni di chi viva un'esperienza del genere non può non comportare differenze e impatti importanti, sul piano psico-fisico e morale), non può non essere stato anche stressante, "nauseante" (letteralmente), drammatico. Anche. Da dieci anni infatti ho sempre sostenuto con tutti coloro che ho conosciuto che un Congresso radicale rappresenta un appuntamento necessario, condizionante, dove si riesce a vivere e interiorizzare esperienze altrimenti annose, da dove si esce sul momento esausti, frustrati, in crisi, ma sicuramente cresciuti, cambiati, arricchiti, diversi.

Centinaia almeno di compagni, penso, possono testimoniare di questa mia convinzione. Ma questa volta è possibile, facile, se si vuole onestamente comprendere e trarre un bilancio onesto e generale, rendersi conto subito che si è trattato di un evento straordinario, unico forse, nella storia europea dei partiti politici e del movimento libertario.

E' infatti accaduto quel che era ancora ieri nemmeno immaginabile. Un partito ha tenuto un congresso, nel più assoluto, inedito rispetto non tanto o solo del proprio statuto, ma quanto dei diritti e della libertà, direi dei desideri e dei bisogni e in primo luogo dei suoi avversari più accaniti e vicini. Lo ha tenuto realizzando una vera e propria effrazione contro porte chiuse da sempre in un dibattito politico, di un organismo partitico.

Ci provino gli altri

Mai, in passato, in nessun congresso statutario di nessun partito, di nessuna organizzazione libertaria o democratica, è accaduto che tutti gli interventi fossero della stessa durata: il Presidente del Consiglio Federativo, la Segreteria Nazionale, i militanti che in questa anni hanno dedicato centinaia di giorni e di notti, digiuni e lotte, alla vita del Partito, gli ultimi arrivati cui non si chiedeva altro che di esprimere la volontà di parlare. Non è importante? Ci si provi, anche "in vitro", altrove. E' un fatto unico. Era necessari, per questo, una corposità libertaria, una preparazione storica, da parte dei quadri del partito, divenuta istinto e istinto collettivo, non solamente intelligenza teorica.

Mai, in nessun Congresso statutario di una qualsiasi organizzazione è stata realizzata una prassi che ha visto proporre e discutere senza alcun tentativo di soffocamento e di polemica 51 mozioni d'ordine, 104 dichiarazioni di voto, a tal punto da determinare per tutto il Congresso almeno dieci ore non previste di lavoro notturno. Mai, in nessun Congresso di nessuna organizzazione politica, si è discusso per dieci ore del finanziamento (pubblico o no) dell'organizzazione, di ipotesi tanto varie e diverse di spesa; mai in nessun caso, un congresso ha disposto di un bilancio consuntivo come quello che è stato consegnato a Bologna. Mai, in nessun caso, si è posto al servizio di oppositori esterni di un Partito, tribuna congressuale, servizi logistici, possibilità di costituire lo strumento di lancio per organizzazioni concorrenti o nemiche, com'è il caso per coloro che vi hanno annunciato (auguri!) la costituzione del "Movimento dei radicali di sinistra". Mai, in nessun caso, tutte le polemiche, tutte le divergenze, tutti gli interessi, tutte le candidature d'opere e di persone, si sono svolte e sviluppate interamente in pubblico come a Bologna. E, infine, cosa da nessuno notata, mai un Partito ha dato prova di una così generale unità politica come in questo caso.

I congressisti ricordano quello su cui si sono opposti e confrontati, non quello che è apparsa unità scontata: l'opinione pubblica, al riguardo, per la disonestà o l'imbecillità di giornalisti come quelli di "Il Messaggero", di "Repubblica", di "Paese Sera", del TG2 non possono nemmeno averlo sospettato: ma sulla politica di difesa dei referendum per questi prossimi mesi e per l'anno statutario, unica proposta politica concreta e centrale, il Partito si è rivelato unanime; unanime sulla scelta della tecnica e della strategia nonviolenta; unanime nel porre lo Statuto libertario al centro delle preoccupazioni esistenti; unanime sull'alternativa e l'unità della sinistra come scelta di metodo e di proposta politica strategica; unanime nei giudizi sul compromesso storico, sul governo delle astensioni, sulle scelte del PCI e del PSI in tema di ordine pubblico, di collaborazione istituzionale di classe, quanto meno nel breve termine...

Questo, mi pare, è il bilancio del XIX Congresso del PR. Dopo questo congresso, nessun Congresso di Partito potrà essere uguale a quelli che l'hanno preceduto: ci provino, i Dapas, i Coisson, i Barbato, i Lopez, gli Scalfari, e i Fossati (con rispetto parlando) a usare (ma anche a non usare) gli stessi criteri, gli stessi giudizi di valore, gli stessi valori, in chiave di democraticità, di diritti delle minoranze, di trasparenza e di rigore finanziari, di tolleranza di rapporti fra "vertici" e "basi", le stesse analisi per gli altri Congressi di partito. Ci provino i non tanto anonimi cialtroni di "Il Messaggero" e di "Paese Sera" che non fanno passare giorno senza cercare di infangare il partito radicale con notizie false, con distorsioni, con la censura contro gli organi statutari e il gonfiaggio di ogni episodio di dissenso, ci provino questi "socialisti", "comunisti" (di regime oggi ancor di più di quanto non fossero servi ieri dei loro diversi o uguali padroni) ci provino, ora, a far identici "servizi" congressuali ad altri. Ci troveranno attenti e attivi, a far loro pubblicamente domande pertinenti sulla loro onestà politica e giornalistica e chieder conto della loro viltà o della loro stupidità.

Dopo il Congresso, il Congresso Federativo. Posso parlare perché come migliaia di altri, sono stato ammesso a seguirlo da Radio Radicale, in ogni sua fase e intervento, quasi in diretta, in differita di pochissime ore, mentre era ancora in pieno svolgimento. Affermo, anche qui, che mai, mai, in nessun caso, un Comitato Centrale, un consiglio Nazionale è stato così "aperto", pubblico, laico, giudicabile e conoscibile da tutti.

Ci si rende conto, cosa vuol dire, in politica come in qualsiasi momento di organizzazione istituzionale, sociale, questo "mai"? Questo poter affermare: "senza precedenti"? Un Congresso di Lotta Continua, quello di Rimini, può ricordare lontanamente quel che stiamo costruendo deliberatamente, non casualmente, non per abbandonare dello Statuto (come accade per LC, in sostanza), ma per l'applicazione dello Statuto stesso: ed è divenuto, quel congresso di Rimini, quasi mitico.

Il Consiglio Federativo ha riscosso una partecipazione numerica che mai, mai, aveva raggiunto (parliamo dei suoi membri affettivi) e ha adempiuto ai suoi obblighi statutari. Ha cioè eletto il suo Presidente e votato sulle delibere Congressuali, per renderle - o no - vincolanti per tutto il Partito (innanzitutto per gli organi statutari del PR, va notato e sottolineato, cioè per la Segreteria Nazionale, per il Tesoriere, per il Consiglio stesso, per i partiti regionali, per le organizzazioni federate).

Dopo un dibattito nel quale sono liberamente e esaurientemente intervenuti tutti gli interessati, le mozioni congressuali sono divenute vincolanti, a norma di statuto. Gli astenuti sono stati 6, contrari nessuno.

Ancora una volta: mai, mai, in nessun partito, nemmeno in quello radicale, il processo formativo delle volontà e delle decisioni è stato a tal punto lungo, complesso, approfondito; ha esaltato ogni momento di critica, di dibattito, di opposizione, di dissenso.

Sul finanziamento pubblico il Partito ha discusso e riflettuto a lungo, prima e durante il congresso di Napoli. Ha continuato a farlo durante l'inverto scorso. Ha tenuto un Congresso straordinario praticamente tutto dedicato, direttamente o indirettamente, a sviscerare le possibili soluzioni, quello di maggio a Roma.

E' tornato a dibattere nella campagna precongressuale, nei consigli federativi. Da parte della Segreteria e degli organi statutari tutto mostra che si è puntato soprattutto, alla fine, proprio sulla situazione più traumatica, quello dello scandalo provocato, dei riflettori accesi dall'esterno sul "malloppo" perché così giungesse a esser tutelato dall'attenzione esterna, dei nemici e avversari. Quanto più semplice sarebbe stato, per usarlo invece di respingerlo (è questo che è stato deciso e i fatti, gli unici che saranno capaci di parlare in modo conclusivo, lo proveranno), accettare la tesi di una "fondazione" da creare, con "garanti" dipendenti "indipendenti", con cui "convenzionarsi", o ancora quella di farla amministrare dal Partito con "terminali" non partitici (radio "nonradicali"? giornale: "nonradicale"? intellettuali "non radicali"?). Il Partito che diveniva "ente erogatore" come lo Stato democristiano con gli enti d'assistenza clericali. Quante Pagliuche e Celestini all'orizzonte! E quanti Moro, di conseguenza!

La decisione di respingere il finanziamento pubblico, di darlo senza condizioni al Gruppo Parlamentare Radicale sarebbe un modo surrettizio per truffare i cittadini che avevamo garantito che mai il Partito avrebbe speso per il proprio funzionamento (come non a caso vorrebbe la legge), per le proprie attività, nemmeno indirette, come i referendum (Congresso di Roma), nemmeno una lira del "malloppo"?

I duri e i puri

Compagni radicali, cari Gardin, Melis, digiunatori e occupanti, compagni che vi credete "duri e puri" senza forse immaginare che durezza e purezza sono conquiste morali e intellettuali, materiali e storiche (non mistiche), e non il restare allo stato di natura o non sapere quello che si vuole (com'è comodo!), e cari Aniello Coppola, Romano Dapas, Eugenio Scalfari, Luigi Preti (tutti compagni, anche se non radicali!), non fatevi illusioni, magari senza confessarvelo: i soldi dati al Gruppo Parlamentare Radicale, per il Partito, ad ogni suo livello, saranno definitivamente e irrimediabilmente "persi", indisponibili, senza possibilità di partite di giro, di ristorni, di benefici indiretti. Vi obbediremo, se siete d'accordo come dite e credete, con le delibere dei Congressi di Napoli e di Roma (e in disaccordo con quelle di Bologna perché surrettiziamente diverse, secondo voi) senza che in nessun luogo o persona potrà restare alcuna ombra di dubbio.

Non siamo "indipendenti"? Conoscete, compagni radicali, altri che dei radicali non tenuti a disciplina di partito, nemmeno quella libertaria, capaci di essere altrettanto "indipendenti"?

Conoscete altri eletti, altri parlamentari, capaci e decisi a rispondere non ai propi compagni di partito, e nemmeno ai propri elettori, e nemmeno ai firmatari dei referendum, ma all'intero paese ed elettorato, innanzitutto ai loro nemici, del loro operato, a cominciare da come spendono i loro soldi personali- politici, di gruppo o di "finanziamento pubblico"?

"La gente non capirà", dite? Ma che bell'argomento radicale! Dobbiamo muoverci in coscienza o per opportunismo? E la gente capirà, capisce che i referendum non sono troppi, che Giorgiana Masi non l'abbiamo sulla coscienza noi, che i diversi non sono dei perversi, le lesbiche delle zozzone, i carcerati dei delinquenti fissi, gli eserciti perniciosi e non necessari, i digiuni armi?

Ma voi avete, come persone e come cittadini, Gardin e altri, tutti i diritti di fare e dire quel che vi pare, conviene, e siete capaci.

Come radicali, lasciatemelo dire, no. Per me, ora, voi avete gli stessi diritti di Caputo, di chi accusa il Partito Radicale e me stesso di lanciare consapevolmente "segnali" ai fascisti e ai sevizi segreti, di "andare a destra" e via dicendo. Per me, in questo momento, operate al di fuori e contro il Partito, com'è il vostro diritto. Forse non ne siete nemmeno coscienti, un qualche Melis a parte. E chi è dentro e chi è fuori dal Partito, sia ben chiaro, ha la stessa dignità o può avere le più disparate e relative dosi di ragione e di ragioni.

Essere radicali del PR, significa agire e operare nell'ambito di questo incredibile suo statuto libertario, statuto fortissimo, rigidissimo, proprio perché fondato sul rispetto dei comportamenti e delle libere e responsabili scelte di ciascuno e di tutti.

Il vincolo dello statuto

Ho invece letto a Padova che il Congresso è stato "brigantesco", che la politica votata dalla maggioranza qualificata del PR, come previsto dallo statuto, è stata "ignobile". Lo avete affermato pubblicamente; per difendere questo punto di vista e legittimarlo, digiunate e "occupate". Ebbene, lo Statuto del Partito, oggi, vincola nello stesso modo il primo e l'ultimo degli iscritti, (voi, i primi; gli Spadaccia e le Aglietta, gli ultimi) a rispettare e attuare le delibere congressuali e del Consiglio Federativo. Nel nostro Partito, in una organizzazione libertaria, socialista, autogestionaria, nonviolenta (altro è la Federazione Anarchica o il PCI, LC o il Manifesto, AO o il PRI), nessuno può essere espulso, sanzionato anche solo moralmente, così come non può essere respinto, in nessun caso, con buona pace di Caputo e dei suoi, di Plebe, di Lopez o di Dapas, dei Catoni e Soloni dell'antifascismo fascista dell'arco costituzionale, cioè democristiano. E questo Statuto è così importante, così fondamentale, che - capovolgendo la logica non libertaria - lo Statuto può esser mutato anche dalla semplice maggioranza relativa dei votanti di un Congresso. Che senso avrebbe, infatti, mantenere uno Statuto libertario quando una maggioranza sia pure minima e occasionale dei partecipanti ad un Congresso gli fosse ostile?

Invece, a Bologna, nessuno ha presentato emendamenti allo Statuto. Vi stava bene. Solamente Spadaccia, e senza nessuna vostra o altrui sollecitazione, ha invece proposto e ottenuto un Congresso straordinario sullo Statuto, per mutarlo e confermarlo. Nessuno di voi osa solamente insinuare che questo Statuto non è stato rispettato, alla lettera, nel più fiscale e duro dei modi, da tutti i vostri attuali "nemici", disprezzati e insultati direttamente e indirettamente da voi.

Invece di attuare quelle delibere che tutti gli iscritti sono ora vincolati a vivere come proprie, voi le combattete. Arrivate a chiedere di non attuarle agli organi del Partito, e per questo "occupate", digiunate, lottate, protestate. Come considerarvi, in queste condizioni, radicali del Partito Radicale? C'è un iscritto romano che ha denunciato Spadaccia, Aglietta e il Congresso al magistrato - ascoltate bene - in nome ed in difesa della legge per il finanziamento pubblico dei partiti contro la quale abbiamo raccolto settecentomila firme e abbiamo lottato per anni. E' uno dei vostri, con il pregio della chiarezza. Voi fate le stesse denunce alla RAI-TV, alla stampa di regime, ai passanti che non sanno di noi altro che quello che la RAI-TV, la stampa, e voi raccontate.

I radicali del Partito non hanno tempo di controbbattervi, né accesso come voi ai mass-media. Spadaccia, Aglietta, Vigevano, Angelo Pezzana, Roberto Cicciomessere, gli altri del gruppo parlamentare, tutti i radicali del PR, ora, sanno di avere al massimo una cinquantina di giorni per salvare i referendum, nemmeno definitivamente, e la stessa Costituzione. Sanno di avere ormai i giorni, più che le settimane, come Partito, contati prima di morire seppelliti e schiacciati dai 330 milioni di debiti e dall'impossibilità di lottare che ne deriva. Anche voi avevate concorso, sembra, a porre il Partito in queste condizioni.

Io vi comprendo. Siete ossessionati dalle violenze di cui vi sentite vittime: il Congresso del Partito, che ha votato fino alle sette del mattino dopo 26 ore consecutive di dibattito e di lavoro estenuante, alla presenza di "solamente" tre o quattrocento votanti, sugli 830 che, in totale, erano venuti, magari anche solo per un'ora, a Bologna; (che perversi o coglioni quei tre o quattrocento); il Gruppo Parlamentare è la stessa cosa di voi, del Partito, più o meno: tanto valeva che i soldi li amministraste direttamente voi o altri nel PR o delegati dal PR; il Congresso Federativo è stato convocato dopo soli 4 giorni dalla fine del Congresso, per fregarvi e questo non è bello anche se in almeno la metà dei Congressi sono stati convocati alla fine del Congresso stesso, poiché l'adempimento degli obblighi statutari non dovrebbe attendere nemmeno un giorno; ho perfino udito Gardin accusare la scelta di Palermo, per il prossimo Congresso, di sintomatico, doloso, torbido significato...

Vi comprendo, ma laicamente devo giudicare i vostri comportamenti, non le vostre coscienze e i vostri incubi o disperazioni, sentimenti o risentimenti. Per me, sono compagni radicali altri che voi. Compagni, nella grande maggioranza, lo siete e lo restate; ma, come tanti, innanzitutto anti-PR, poiché il PR è innanzitutto lo Statuto e coloro che lo seguono, rispettano, e fanno vivere, o non è nulla.

Quanto a me, già penso al prossimo Congresso ordinario. M'auguro che i partecipanti iscritti siano migliaia. Cerco di comprendere come sarà possibile non esserne travolti, tutti. Già immagino, per esempio, aggregazioni congressuali come i "delegati di parola" che rappresentino gruppi di almeno cinque presenti, cui assegnare un tempo leggermente maggiore di chi parla a titolo solamente individuale... troppo piccoli dettagli, direte voi...

Allora, penso alla chiusura che mi sembra incombere, vera, pressoché totale e definitiva del Partito senza autofinanziamento adeguato; ai referendum che probabilmente non riusciremo, non stiamo riuscendo a difendere; alle leggi tremende che si stanno per proporre e votare; alle carceri sempre più piene, ai diversi sempre più in pericolo, al deserto che mi sembra sempre più sorgere attorno a noi, quanto a progetti e strategie e metodi politici alternativi; alla marea di compagne, di sorelle e di fratelli radicali, che lottano e sperano con noi, che non hanno diritto nemmeno ad un centesimo dell'attenzione che voi reclamate e avete ottenuto perché - come noi - vivono con serenità e convinzione, con amore e speranza, con fierezza e umiltà, le difficoltà immense d'esser radicali, ma con angoscia quanto accade ovunque attorno a noi, ed è quindi verso questo "esterno" che indirizzano le loro critiche e le loro polemiche, le loro lotte e le loro disubbidienze. E, ancora, con i compagni del gruppo, ci guardiamo e attendiamo, un po' vilmente, ma comprensibilmente, prima di deciderci ad affrontare la responsabilità di "spendere" in modo che sia letteralmente esemplare e il più adeguato, costruttivo, alternativo quel che il Partito ha deciso di affidarci e che sappiamo significa un compito immediato difficilissimo che richiede energie, tempo, lavoro concreto in una situazione nella quale siano già tutti travolti.

Iscrivetevi, partecipate

Per finire, una critica al Partito. Perché si è aspettato a inviare questo foglio a tutti gli iscritti, a tutti i simpatizzanti, quando le uniche informazioni che loro giungevano non potevano che turbarli, dar la sensazione di una crisi e di una sconfitta lì dove il Parlamento aveva invece realizzato una delle maggiori sue vittorie contro le difficoltà e gli attacchi cui era sottoposto? Perché si è consentito che le tante migliaia di nostre compagne e compagni che non sono potuti venire al Congresso, le centinaia che non hanno potuto seguirlo fino alla fine, si trovassero dinanzi alla proposta di una sorta di "eroismo" "radicale" cui associarsi, da sostenere, l'"eroismo" cioè degli eroi radicali di "Il Messaggero", di "Paese Sera", di "Repubblica", di TG2, gli occupanti, i digiunatori, i manifestanti radiotelevisivi (Alberto Gardin, ti dice nulla che la sola volta in cui sei riuscito con i tuoi compagni di Padova a trasmettere alla televisione, a lungo, un messaggio radicale al paese, nell'ora di massimo ascolto, in tanti anni di lotte esemplari, è stato quando sei venuto a manifestare "contro" Pannella, che usciva dal Tribunale dove iniziava il suo processo per oltraggio al Tribunale militare? Sei d'un tratto diventato più importante, più radicale, più nonviolento, più puro e duro e sei riuscito così, finalmente, a imporre al regime propaganda radicale, o non sei servito ad altro che a mostrare al paese che "perfino i radicali" sono ormai contro il violento, il drogato, il frocio, e ora il ladro che io sono e che noi siamo?)
Ma, questa critica, è legittima? Quando, come Aglietta, Spadaccia, Vigevano e gli altri compagni che non hanno preso un attimo si sosta, da anni, e dopo il Congresso, avrebbero potuto farlo, spedirlo?

Non mi illudo: nel Parlamento, ormai, per settimana e mesi, mentre saremo tutti i radicali del PR e quelli del Gruppo tesi spasmodicamente a lottare contro il tempo contro tutti gli uomini e le forze del potere "esarchico" come sempre e forse più che mai vi saranno coloro che aspetteranno assemblee, riunioni, congressi regionali, cittadini e nazionali per cercare di imporre al Partito di non rispettare le decisioni del Congresso, cui anche essi sarebbero vincolati, per fare colpi di mano e occupazioni e proclami e invettive e coprire con le loro voci tutto lo spazio che nella stampa e ovunque abbiamo conquistato per le nostre battaglie di libertà e di liberazione. Sarà una difficoltà in più, che potrebbe divenire determinante e conclusiva per la scomparsa del Partito, non di Adelaide o di Gianfranco, o mia. Ma non c'è altro che da subirli - costoro - con nonviolenza.

Mi auguro solamente che tutti coloro che leggono questo foglio, tutti coloro che oggi comprendono meglio cosa significhi essere non genericamente "radicali" ma radicali del PR, accorrano subito ad iscriversi anch'essi, a difendere anche contro questo nuovo naturale pericolo un partito che, ne sono sicuro, sempre più è amato e rispettato, compreso e difeso da decine di migliaia di compagne e compagni, di donne e uomini di ogni età e condizione. E' necessario e urgente. Se questo accadrà una volta di più avremo fatto di una insidia e di un attacco nuova forza, per noi e i nostri ideali libertari, nonviolenti, socialisti, autogestionari. Iscrivetevi subito, amici. Partecipare anche voi, soprattutto voi che non l'avete mai fatto, per modestia, per inerzia, per solitudine, per sottovalutazione dell'importanza di ciascuno per tutti. Vi chiediamo di farlo, se lo farete, anche per noi, per conto di noi deputati effettivi e supplenti, cui lo scrupolo di rispettare, fino in fondo, il Partito, cioè il suo Statuto, non ci consentirà di partecipare a pieno titolo, come pure saremo lieti di fare a congressi e assemblee. Grazie e buon lavoro a tutti, compagne e compagni del Partito.