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Cronologia del Partito Radicale - 1979

DOCUMENTI

Lettera di dimissioni da deputato di Marco Pannella Roma, 16 gennaio 1979
La nostra lotta per la vita di Marco Pannella NR2 1 febbraio 1979
MOZIONE DEL CONSIGLIO FEDERATIVO 10/11 febbraio
Un Radicale di Marco Pannella LOTTA CONTINUA 24 marzo 1979
"Ecco, mentre ti parlo muoiono 3000 bambini" Intervista a Pannella di Scalfari, La Repubblica, 25-26 marzo 1979
Una strage di verità Di Camilla Cederna "Libro bianco…" aprile 79
da "Pannella, il potere della parola" di Gigi Moncalvo, Sperling e Kupfer 1983
Il polo comunista e il polo radicale Intervista a Marco Pannella PLAYBOY Maggio 1979
Sciascia candidato nelle liste radicali: "mi ha convinto Pascal"
LEGENDA TITOLI
rosso = transnazionale   blu = nazionale   verde = congressi o riunioni del PR

Lettera di dimissioni da deputato di Marco Pannella

Roma, 16 gennaio 1979

On.le Pietro INGRAO
Presidente della Camera dei Deputati

Egregio Presidente,

le ragioni politiche delle mie dimissioni sono riconducibili a quelle già espresse da Adele Faccio ed Emma Bonino. Quelle dimissioni furono subito accettate dalla Camera, in corrispondenza alla decisione del solo Gruppo comunista e contro quella annunciata (almeno per Bonino) da tutti gli altri Gruppi Parlamentari. Già la semplice considerazione di uno schieramento così inedito, e impensabile in questa nostra legislatura, due volte ripetuto in brevissimo lasso di tempo, suggerisce qualche ulteriore prudenza per evitare che decisioni politiche dell'Assemblea, attinenti a delicati meccanismi e aspetti istituzionali del Parlamento, vengano corrivamente sottovalutate.

Abbiamo doverosamente riflettuto sul fatto che Lei ha indicato all'Assemblea la "diversità" delle nostre decisioni rispetto a quelle per le quali la prassi esistente, in casi di dimissioni. Ma tuttora non ci è chiaro perché queste attuali e nostre siano "politiche " diversamente da nostre precedenti o da altre o perché debbano dettare all'Assemblea impulsi diversi.

A noi sembra che, sempre, la presentazione di dimissioni costituisca una "proposta" alla Camera. Come ogni altra essa deve misurare e realizzarsi con la volontà e la sovranità della Camera. Noi non siamo chiamati, in questi casi, ad una mera presa d'atto; ma ad una delibera che è, per di più, di straordinaria delicatezza, se è vero che il deputato non rappresenta gli interessi dei suoi elettori o del suo partito ma quelli dell'intero corpo elettorale, dell'intera Nazione.

Quanto più, quindi, i motivi delle dimissioni sono "politici", di parte, tanto più la Camera deve vigilare nell'accogliere la proposta. Essa non può far propria, o anche dar l'impressione che così possa essere, una qualsiasi motivazione. Per quanto si voglia distinguere fra "petitum" e "causa petendi", fin quando non saremo, da nuovi regolamenti o consuetudini, chiamati ad una mera presa d'atto, dobbiamo poter sbarrare la strada a motivazioni ingiuriose, o non plausibili, o a ragioni sospette. Dobbiamo, al massimo, invitare alla prudenza ed al ripensamento chi in particolari situazioni - più o meno personali o politiche - possa essere indotto s dimettersi da valutazioni affrettate, o inadeguate, o di formale correttezza. E' in teoria concepibile, certo, che qualcuno pretestuosamente motivi dimissioni in modo tale che non possano venire accolte. Ma chi voglia davvero dimettersi deve fino a quando la Camera non accetti la sua proposta, fino all'ultimo , piegarsi alle nostre regole ed ai nostri regolamenti: non può riconoscerglisi "in limine" una sorte di franchigia.

Accade così - come vede - Signor Presidente, ch'io debba confrontarmi - anche in questo momento - con preoccupazioni inerenti alle regole stesse del gioco parlamentare.

Per questo, non essendo le mie dimissioni né dovute a causa di forza maggiore, né a sopraggiunta impossibilità di qualsiasi tipo, né a dimissioni dell'impegno civile e politico, non possono a mio avviso esser presentate, in prima istanza, come irrevocabili. Ritengo, infatti, che mancherei di rispetto al Parlamento ed a tutti i colleghi, se non sottoponessi con sincerità al loro vaglio la mia libera decisione, la sua legittimità e anche - se lo ritengo opportuno - (poiché la nostra è anche Assemblea politica) la sua opportunità. Non ritengo di poter disporre come di "cosa mia" (o di "cosa nostra" in riferimento al Gruppo del quale mi onoro di far parte) di una funzione che è per sua natura collegiale, "comune". Ho il dovere di consentire, se lo vogliamo, ai colleghi deputati di contribuire al compimento, in una direzione o nell'altra, di una mia decisione, che comunque li riguarda e coinvolge. Ho troppo spesso, signor Presidente, deprecato - come inficianti - certe prassi per le quali siamo chiamati a votare senza aver avuto la materiale possibilità di maturare le nostre decisioni assistendo e partecipando ai relativi dibattiti, per concedere ora, a me ed agli altri, un significato di vuota liturgia alla discussione eventuale delle mie dimissioni. Certo la titolarità della funzione farà sempre che sarò io stesso a decidere in ultima istanza. Ma la Camera deve restare sovrana e prudente nell'accoglierne o meno la loro forma, cioè le loro motivazioni; così come di seguire la prassi o di marcare invece, di nuovo smentendola, determinati sentimenti.

Signor Presidente,

dichiaro di dimettermi per i seguenti principali motivi:

1) ritengo utile fornire un esempio di un modo diverso di intendere l'impegno civile e politico. Troppo ha nociuto alla considerazione del Parlamento la tendenza di troppi fra di noi a vivere come mestiere e carriera di una intera esistenza ( o di una parte preponderante di essa) la condizione di deputato o di senatore. Troppo ha nociuto a troppi di noi, militanti democratici, questa stessa tendenza; con ciò impoverendo e rischiando di sclerotizzare in ruoli fissi e professionali, abitudinari, se stessi oltre che le loro parti politiche e ideali. "Esempio", ho scritto. E intendo - naturalmente - laicamente - esempio politico; in nessun modo "morale" che sarebbe pretesa incivile e farisea.

2) ritengo urgente denunciare l'accentuarsi delle difficoltà del deputato ad assolvere le proprie funzioni costituzionali, sia per le gravi limitazioni poste ai suoi diritti quali si configuravano nel Regolamento della Camera, sia per la tendenza dei partiti di maggioranza a privilegiare sempre più il potere dei vertici dei gruppi, sia per l'abbandono di ogni progetto, pur accettato in passato, volto a consentirgli anche materialmente e davvero di svolgere il proprio compito.

3) ritengo che dopo oltre due anni di intenso lavoro parlamentare, del quale l'esiguità del gruppo cui appartengo non è certo causa unica e che non può non aggravarsi, sia saggio e sano, politicamente e personalmente, cedere il mio posto a chi nel Gruppo Radicale, quale deputato supplente, si è a ciò preparato già contribuendo in modo determinante al nostro e mio impegno legislativo, di indirizzo e controllo, in Aula, nelle Commissioni permanenti e speciali.

4) ritengo che la mancata o distorta, settaria o parziale pubblicità dei lavori parlamentari, con il concorso dei mass-media di Stato e di regime. esiga che vi siano sempre più testimoni di verità a favore della speranza costituzionale e repubblicana, di alternativa e di alternanza nel quadro di un regime di democrazia politica, proprio nella cosiddetta "società civile" lì dove essa rischia di esser travolta dalla violenza assassina, comunque colorata; di Stato o di parte. Urge, di nuovo, sostenere la civiltà della lotta rivoluzionaria per la pace e la liberazione umana con il massimo impegno e uso delle armi non istituzionali della nonviolenza, drammaticamente necessarie; nelle quali, finora, siamo la sola forza politica a credere nel nostro paese. Se ad esse mi riuscirà, Signor Presidente, di tornare con adeguatezza e umiltà, spero che a tutti sarà chiaro che sarò altrove per meglio assicurare anche a favore del Parlamento quanto, sollecitando la mia elezione, ero impegnato a dare e fare.

Chiedo scusa a Lei e a tutti i colleghi per questa troppo lunga lettera, per questa mia troppo frequente mancanza di comune misura. Per l'ultima volta non avrò avuto il tempo e la chiarezza d'esser breve. Nell'augurare più che mai a Lei ed alla Camera buon lavoro, senza rammarico perché, malgrado tutto, fiero e felice d'esser stato uno di voi, umanamente e politicamente più ricco grazie a quanto qui ho potuto apprendere e vivere, Le confermo, Signor Presidente, un antico e non intaccato rispetto e la differenza che Le devo.

deputato Marco Pannella


La nostra lotta per la vita

di Marco Pannella NR2 1 febbraio 1979

Varrà la pena di ricordare che ancora 43 giorni prima del 12 maggio 1974 la stampa comunista e il vertice del Pci accusavano testualmente i radicali delle Lid di essere alleati della Cei e di Fanfani, poiché difendevano il referendum sulla legge Fortuna. Quel referendum veniva definito come una jattura. Lama, Storti, e Vanni erano stati mobilitati contro questa consultazione popolare perché avrebbe impedito l'unificazione sindacale e avrebbe lacerato l'unità operaia; puntuale, la "triplice" era anch'essa scesa in campo ufficialmente a sostegno delle posizioni del Pci, del Psi e di tutti gli altri "laici" di regime. Berlinguer scommetteva, poche ore prima del voto, che avremmo vinto al massimo con uno scarto del 2 per cento, o perso. Anche in quella occasione capo e colonnelli dell'Udi avevano tentato di ingannare le proprie militanti e - come sempre - le donne. Solo nelle ultime settimane le "femministe" più "rivoluzionarie" avevano raggiunto le nostre file, quelle della Lid, del Mld, del Pr, dopo aver per anni sostenuto che quello scontro era "borghese", "istituzionale", maschilista e altre stupidaggini.

I più avvertiti fra i burocrati comunisti, quelli di estrazione cattolica (i Rodano, i Tatò, per primi), temevano il referendum perché davano per scontata la grande vittoria laica e si rendevano conto che questa vittoria avrebbe ritardato di anni gli ultimi passi di avvicinamento all'accordo Dc-Pci...

Ci esclusero, allora, totalmente, dalla Tv. La Lid non ebbe un solo minuto di campagna elettorale. Quando, con centomila cittadini romani, celebrammo la vittoria in Piazza Navona, eravamo già impegnati in un lungo digiuno contro il fascismo dell'informazione, che dovette protrarsi fino all'agosto, ma con una nostra piena vittoria, anche su questo piano.

Lo scorso anno eravamo radical-fascisti perché lottavamo per abrogare la legge Reale e volevamo che si tenessero i referendum, già convocati. Non più solamente in combutta con la DC, ma anche con il MSI. Dalla televisione e dalle tipografie, firmate dai più prestigiosi dirigenti del Pci, si vomitavano nelle case e sui muri di tutta l'Italia infamie di stampo goebbelsiano e fascista: l'abrogazione della legge Reale avrebbe comportato la scarcerazione di Curcio, Vallanzasca, Concutelli e degli stupratori fascisti del Circeo.
Un torvo e cialtronesco figuro della Rai-Tv, l'Emanuele Rocco, ripeteva le menzogne sui radical-fascisti da una parte e i democratici dall'altra perfino il giorno delle votazioni, dal ministero degli Interni, come era peraltro naturale per chi si comporta come un sicario di regime.
Occorre ricordare queste vicende, questa regola, nel momento in cui stiamo per affrontare, praticamente di nuovo soli, e al centro di campagne di insulti e di menzogne (sempre le stesse), le battaglie di questa primavera, ormai di queste settimane.

I compagni di Nr mi chiedono di intervenire in particolare sul referendum sull'aborto. Non credo che vi sia bisogno fra di noi di troppe analisi e ragionamenti. Dobbiamo semplicemente esigere una informazione leale e denunciare e smascherare la campagna - di nuovo di stampo fascista, insultante e menzognera, volta ad ingannare in primo luogo le donne e i ceti popolari - del Pci, del Psi e dei clericali.

La nostra posizione di fondo è sempre stata quella della depenalizzazione dell'aborto, non della sua regolamentazione di Stato. I problemi di assistenza e di gratuità ne dovevano risultare come il logico, legale corollario: inevitabile e necessario. Il gioco di costringere il solo aborto, fra tutti gli interventi sanitari, all'interno delle strutture pubbliche, e di rendere queste impraticabili attraverso l'obbligo all'obiezione di coscienza di massa in gran parte delle strutture ospedaliere, era troppo scoperto.

Il carattere odioso delle procedure e quello aberrante di uno Stato che si attribuisce il monopolio teorico delle interruzioni di gravidanza e una sorta di ideologia abortista con casistica legalizzata ci apparve subito intollerabile. Votammo contro questa legge, la cui approvazione fu freneticamente sostenuta, con ruoli prestabiliti e scontati, dal Pdup al Msi, da Dp alla Dc, dal Pci al Pli, dal Pri al Psdi, dalla Svp alla Sinistra Indipendente; con la complicità esterna di gran parte dell'ex-movimento femminista e dell'Udi, e la solo tiepida eccezione dell'Mld e di poche frange ad esso collegate.

Il "Movimento per la Vita", la Cei e lo stesso Benelli presentarono non a caso il loro progetto di legge popolare sull'aborto al Senato per non aumentare i rischi di ritardo nell'approvazione della legge Balzamo e di tenuta del referendum. Basta andare a rileggersi i testi stenografici di quella nostra battaglia parlamentare: lo scenario attuale vi era descritto fedelmente. La legge si sarebbe scontrata con l'ostilità della classe medica, e non solamente degli autentici "obiettori di coscienza": il caos ospedaliero ne sarebbe risultato accentuato; le donne sarebbero continuate a morire, l'aborto clandestino sarebbe stato appena intaccato.

A questo punto, le forze clericali sarebbero tornate all'assalto e avrebbero proposto o minacciato un referendum. Fra le more della raccolta delle firme e la tenuta della consultazione avrebbero avuto di nuovo una potente arma di ricatto parlamentare: o peggiorate ulteriormente la legge o ve l'annulleremo con voto popolare. I "laici" (che non vogliono nemmeno i referendum in cui sono sicuri di vincere) avrebbero dovuto accettare il ricatto, o subire lo scontro. E in uno scontro fra la difesa di una legge sempre più screditata e sabotata e lo schieramento clericale e reazionario fanaticamente mobilitato a cancellarla, la prova sarebbe stata sicuramente persa. Molti si sarebbero rifiutati di impegnarsi, molti democratici, il movimento stesso delle donne e delle forze dei diritti civili avrebbe finito per non andare nemmeno a votare.

Dicemmo, allora, che la democrazia italiana stava per pagare caro non solamente l'indegno calcolo politico e la strumentalizzazione ignobile delle donne, ma anche le dimissioni ideali e culturali operate accettando una legge "in difesa della vita" "umana", intendendo per vita umana anche quella dell'ovulo appena fecondato, dello zigote, dell'embrione, del feto... Votammo contro dichiarando che ci saremmo comunque affidati al linguaggio dei fatti. Ci augurammo d'esser smentiti, ma non avremmo subito inerti lo svolgersi dello scenario da noi previsto.

Noi apprezziamo lo sforzo delle forze democratiche di base, che cercano ogni giorno di difendere millimetro per millimetro l'agibilità dell'aborto nelle strutture pubbliche; e vi partecipiamo in ogni caso possibile. Ma questa lotta puramente difensiva, attivistica, professionale, esemplare - alla lunga - è stremante e perdente sul piano politico. Rischia, inoltre, di dare buona coscienza a buon mercato, a livelli individuali o di piccoli gruppi, consentendo che l'albero di qualche risultato nasconda la foresta dei problemi di classe e delle donne irrisolti.

E' a questo punto che abbiamo ritenuto necessario e indilazionabile riassumerci la responsabilità che è sempre stata tradizionale e esclusiva del movimento radicale, riacquistando la nostra piena autonomia politica rispetto ad un "movimento" impantanato nella palude che il regime gli ha creato attorno.

A Natale, prima la Cei, poi Papa Woityla, poi Benelli, in un crescendo poderoso che preludeva con ogni evidenza ad una sorta di assalto per l'abrogazione della legge, hanno lanciato la loro sfida e i loro anatemi. Prima la scomunica a tutte le donne e a tutti i loro complici e sostenitori, a tutti i medici e al personale sanitario che pratica aborti di Stato. Poi l'accusa allo Stato di perpetrare una politica di sterminio di milioni e milioni di persone. Tutti ricorderanno, a questo punto, lo svolgimento dei fatti.

Non appena abbiamo annunciato la decisione, sia pure a titolo personale, di chiedere un referendum di depenalizzazione, di abrogazione delle norme peggiori della legge che definivano nazista, è sceso il silenzio; sono poi arrivate scuse e pietose lamentele di esser stati fraintesi. Solamente il Pci, il Psi, e gli altri "laici" si sono scagliati contro di noi. Non dimentichiamo, di nuovo, le "colonnelle" di sempre di questa armata brancaleone dell'inganno e del tradimento.
Oltre Tevere hanno subito individuato il nuovo scenario che andavamo rendendo possibile. Se si andava, come prevedevano, al loro solo referendum, nessun problema, per i motivi che abbiamo già illustrato. Ma ora? La situazione si capovolgeva. Se si andasse, infatti, ai due referendum si verificherebbero comunque queste novità:

1) Lo scontro sarebbe generalizzato, con la scesa in campo delle tre componenti e non più solamente di due: quella clericale, quella del Pci e quella libertaria e dei diritti civili. Avremmo di nuovo una alta percentuale di votanti e la nostra parte mobilitata, trattandosi di ripetere anche in appello, aggravandola fino a renderla definitiva, la sentenza di condanna del clericalismo e del filo clericalismo del 12 maggio 1974, sul divorzio;

2) I cittadini avrebbero in mano due schede. Non potendo il Pci fare una campagna suicida dovrebbe accordarsi politicamente con noi per fare il pieno dei voti non clericali sia con un "no" generalizzato all'abrogazione della legge sia con un "sì" generalizzato alle nostre proposte di abrogazione; sarebbe la catastrofe per i promotori della Cei. Inoltre a favore della depenalizzazione e contro il principio dell'aborto di Stato si creerebbe sicuramente un forte movimento di credenti che trova maggiore difficoltà a esprimersi con un semplice voto di difesa della legge attuale: c'è uno spazio teologico e evangelico a favore della nostra tesi, che manca totalmente a quella del Psi e del Pci;

3) La nostra richiesta di referendum, se raccoglieremo le firme necessarie, impedirà che il Parlamento legiferi nel senso delle proposte di legge di iniziativa clericale e popolare del "Movimento per la Vita", che stanno per essere rilanciate con il tentativo di farle firmare da oltre cinque milioni di cittadini (in tal senso avrebbe deciso - anche se a tenue maggioranza - il Convegno Nazionale dei benelliani e dei casiniani a Firenze).

La Corte Costituzionale ha infatti chiarissimamente indicato che per impedire un referendum il Parlamento deve fare riforme sostanziali della legge in direzione della proposta dei richiedenti. Il Parlamento dovrà legiferare nella direzione dell'effettivo miglioramento della legge attuale.

La strategia clericale era dunque chiara: prendere con una manovra a tenaglia il Parlamento, stringerlo fra una modifica legislativa e la minaccia dello scontro referendario. Intanto l'operazione di sabotaggio e di terrorismo confessionale contro l'applicazione della legge Balzamo - Berlinguer - Piccoli - Benelli - Almirante - Castellina - Magnani Noya - Emanuele Rocco - Barbato - Zanone - La Malfa ecc... avrebbe indubbiamente contribuito allo sfascio di tutto.

Previsioni? Mi interesserebbe solamente poterne fare una: ce la faremo o no? Tutto il resto non conta. Quali che siano ormai i ripensamenti o le paure delle schiere fino a ieri così baldanzose degli strateghi woitylani e benelleschi essi non possono più controllare i demoni che hanno scatenato. Da tutta Italia ci giungono lettere di minacce e di insulti feroci di povera gente ossessionata dalla strage degli zigoti, dei feti. Il fanatismo è ormai stato armato da imprudenti difensori del danaro e del potere concordatario e da terroristi ideologici e teologici. Mai come oggi è stata nutrita una campagna di odio e di potenziale linciaggio e assassinio come quella scatenata dalla Cei. Non sappiamo se spareranno anche le P38 di qualche folle o invasato: è purtroppo possibile. Ma è certo che questo o quel gruppo clericale - più o meno "ufficiale" o "disobbediente" - andrà anch'esso in Cassazione a chiedere l'abrogazione totale della legge. Anche il "Comitato Gabrio Lombardi" contro il divorzio, all'inizio si presentò come "laico", come non autorizzato dal Vaticano e dalla Dc.

Comunque, se riusciremo a vincere questa difficilissima prova della nuova raccolta di firme di richiesta del referendum sull'aborto, anche il Pci e il Psi riusciranno a salvarsi dalla situazione indegna e rischiosissima nella quale hanno una volta di più cacciato se stessi e l'intero paese.
L'apporto che spero per conto mio di dare al duro lavoro che ci aspetta, che incalza, non sarà, questa volta come nel 1975, diretto.

Avverto l'urgenza morale e politica di non essere anch'io un Benelli qualsiasi. Costui dice di credere che il Parlamento italiano ha costretto lo Stato a sterminare in pochi anni più milioni di vite umane di quanto non ne furono assassinate con la prima grande guerra mondiale. Afferma, anche, che lo sterminio è già cominciato: già 57 mila persone sarebbero state uccise. E costui continua il suo trantran, come se nulla fosse: se ne va a Monaco dal suo amico, noto antinazista, Strauss; fa un'omelia ogni tanto, nell'esercizio di funzioni per le quali esige d'esser pagato con le tasse imposte dallo Stato alle masse di scomunicati e assassini; sfaccenda pratiche di sovvenzioni a decine e decine di altre sue Chiese dal solito Stato peggio - che - nazista... Non c'è che dire: i buoni rapporti con gli assassini restano, come negli anni trenta e quaranta, tradizione della sua Chiesa.

Avverto l'urgenza morale e politica di richiamare all'interno della politica, delle scelte collettive, il problema rappresentato dai 15 milioni di bambini che secondo l'Onu sono stati assassinati per fame nel solo 1978 e degli altrettanti (43.000 al giorno; 43.000 oggi e qui) che si stanno assassinando in questo anno di grazia 1979. Forse Monsignore si accontenterebbe che i suoi zigoti continuassero ad essere "assassinati" clandestinamente, come per il passato: lui e il suo "sindacato dei nascituri". Noi - penso - dobbiamo invece legare la nostra vita a quella di quei veri condannati a morte, per salvarne il maggior numero, per riuscire ancora una volta a dimostrare che contro la violenza assassina, occorre rischiare la vita se non si vuole rischiare la morte.

Cercherò di aggregare in questa "azione diretta nonviolenta" a favore della vita e di una politica conseguente degli Stati e dei nostri partiti, nuove forze. Sarà, spero, un contributo sostanziale, anche se indiretto, a quella lotta che ora il Partito ha deciso di far propria. E' essenziale che non vi siano, però, distrazioni di energie da un obiettivo all'atro. O rischieremmo di perdere sui due fronti.

Senz'enfasi e esagerazioni sono convinto che se questa volta sapremo compiere i passi che abbiamo deciso, se raccoglieremo le firme necessarie per le nuove richieste di referendum, e contemporaneamente saremo riusciti a imporre un progetto di salvataggio di milioni di vite umane altrimenti consegnate burocraticamente e freddamente alla morte per fame, saremo ormai passati dalle lotte dell'antagonista radicale a quelle del protagonista socialista.


MOZIONE DEL CONSIGLIO FEDERATIVO 10/11 febbraio

Il Consiglio Federativo del Partito Radicale riunito a Roma nei giorni 10 e 11 febbraio 1979:

RAVVISA nell'attuale crisi di governo l'esito delle contraddizioni sempre più profonde scaturite dall'innaturale, anche se ormai ventennale, convergenza di un arco di forze politiche tendenzialmente totalizzante e ignaro di conrapposizione e distinzioni profondamente radicate nel tessuto reale del paese, nonché il vano tentativo di aprire la strada per un recupero di masse popolari ormai sempre più dislocate su posizioni di dissenso.

DENUNZIA l'impotenza del regime sul piano dell'ordine pubblico, la sordità più ottusa sui diritti civili e non meno sui rischi connessi ai moduli economici correnti, la chiusura in logiche corporative invecchiate e sterilizzanti di ogni prospettiva di riforma.

INDIVIDUA il senso dell'attuale progressiva e reciproca presa di distanza del PCI e della DC nella prospettiva a breve termine di riconquista dei propri elettori prima che sia troppo tardi.

RIVENDICA E RILANCIA il patrimonio politico del partito, le lotte antimilitariste e per i diritti civili che dalle origini sono state combattute con masse sempre più vaste di cittadini, aprendo oggi anche un fronte di iniziativa sul terreno economico.

COMFERMA quindi nell'iniziativa referendaria lo strumento fondamentale dell'azione politica con cui il partito sarà in concreto, e non con astratte dichiarazioni programmatiche, presente nella prossima primavera anche nelle elezioni europee.

DELIBERA in particolare la proposizione e la raccolta delle firme sulle seguenti materie:
- ergastolo;
- reati di opinione, riunione, associazione;
- smilitarizzazione della polizia e della guardia di finanza;
- composizione dei tribunali militari;

che si aggiungono ai due referendum (la legge sugli insediamenti nucleari e parte della legge sull'aborto) sui quali ha già deliberato nella riunione del 20 e 21 gennaio e di sostenere il referendum sulla legge della caccia, che sarà presentato su iniziativa della Lega per l'abolizione della caccia, demandando alla segreteria di definirne le modalità di presentazione ed attuazione.

CONSIDERA inoltre la necessità di un avvio denso ed incisivo della campagna per la raccolta delle firme attraverso una iniziativa che con la sua risonanza sia capace di investire sin dal primo momento il paese dei temi delle battaglie lanciate, e conseguentemente impegna il partito per la migliore riuscita del Congresso straordinario indetto dal segretario federale per il prossimo marzo, nel corso del quale dovranno inoltre essere decise le modalità di partecipazione alle elezioni europee.


Un Radicale

di Marco Pannella LOTTA CONTINUA, 24 marzo 1979

I tempi stringono. Anche io come Foa, ho qualche idea in proposito. Diamo realisticamente ormai per ampiamente acquisito che vi saranno alla Camera tre liste della sinistra di opposizione: DP, PDUP, P.R. E quanto credo di poter affermare avendo anche parlato con compagni delle tre organizzazioni.

Per quanto riguarda noi radicali non abbiamo altra preoccupazione che quella che ci viene dalla sorte delle altre liste, dalla probabile o possibile dispersione di voti conseguente alla frantumazione dello schieramento che portò AO, Manifesto e LC e MLS a liste comuni nel 1976.
Abbiamo tutti il dovere di impedire che questo accada.
Abbiamo anche da garantire che al Senato sia presente questa volta un gruppo di opposizione: abbiamo pagato molto caro il fatto che non avessimo compagni al Senato.

1) Per la Camera propongo che i voti e i candidati delle tre formazioni confluiscano su una sola lista in tre circoscrizioni periferiche rispettivamente contrassegnate come DP, PDUP e PR, per cercare di garantire ulteriormente a DP e al PDUP la sicurezza del quoziente. Come radicali dovremmo impegnarci con candidati, mezzi, manifestazioni nazionali per fare di queste circoscrizioni dei poli di attenzione e mobilitazione anche nazionale se necessario.

2) Al Senato propongo un accordo in sei circoscrizioni, dove sarebbe sicura la elezione di sei senatori di Nuova Sinistra, se tutti ci unissimo.
Pur convinto che il PR sia elettoralmente la forza trainante dovremmo comportarci come in Trentino Sud-Tirolo: deve interessarci l'operazione unitaria e il fine della presenza al Senato di un gruppo pur minimo di compagni possibilmente non corvisierizzabili, ben più che aver molti "posti".
Subordino questo accordo al Senato (dove troveremmo agevolmente altre formule di presenza utile e redditizia) all'accettazione da parte di DP e del PDUP del loro accordo volto a garantire maggiormente la non dispersione dei voti dei compagni che li voteranno.

Non parlo di LC perché LC non esiste (e non si cessa dal ricordarcelo) come organizzazione politica. Me ne rammarico, ma è così. Le nostre liste radicali che dovranno essere aperte al massimo a tutte le componenti che hanno fatto dei referendum radicali grandi aggregazioni democratiche di massa, dovrebbero ovviamente essere aperte non solamente alla candidatura ma alla elezione di compagni come Mimmo Pinto e Marco Boato, Adriano Sofri o Enrico Deaglio, visto che Alex Langer e Sandro Canestrini probabilmente sono impegnati ad altro livello di militanza. Nessuna trattativa, quindi. A seconda delle varie ipotesi di risultati (da analizzare insieme con loro) due, tre o quattro compagni - per l'intera o per metà legislatura - dovrebbero esser invitati a usarci come "taxi". Passato il 10 giugno potremo e potranno dirci arrivederci e grazie.

Grazie per non aver fatto cazzate, aver usato nel miglior dei modi questi sessanta giorni, aver aumentato la forza di tutti e di ciascuno. Penso che il PR sia pienamente disponibile a questo disegno: conosco i miei compagni.
Poi tutti potranno, tutti potrete ricominciare a insultarci o aver vergogna di noi, perché - noi! - "poco di classe!".


"Ecco, mentre ti parlo muoiono 3000 bambini"

Intervista a Pannella di E. Scalfari - La Repubblica, 25-26 marzo 1979

Pannella, il digiuno i suoi propositi le sue cento speranze

"Cosa voglio ottenere? Che la gente si commuova. Non solo per le vittime della fame, ma per un mondo inquinato che ha deformato il suo sviluppo economico. Se si può rimediare? Certo, vi spiego come..."

ROMA - Per la fame nel mondo e per scongiurare la morte, statisticamente già avvenuta, di 17 milioni di bambini sotto i 4 anni e di altri 13 milioni di giovani entro il 1979. Marco Pannella ha ricominciato a digiunare dal 6 marzo. Sono dunque diciannove giorni oggi, che va avanti con due cappuccini. Pesava all'inizio 97 chili, ieri ne pesava 82 al controllo medico. Ma Perché? Che cosa vuole il nostro rompiscatole nazionale? Che senso ha digiunare affinché milioni di affamati e di denutriti possano mangiare? Insomma: che cosa vuole ottenere in concreto Marco Pannella? E da chi?

" Il problema dei bambini che muoiono per denutrizione non è certo nuovo, non l'ho scoperto io, ne siamo tutti informati da sempre. Sta nelle statistiche dell'Onu, in quelle della Caritas International, in quelle della Croce Rossa, insomma è un dato di conoscenza comune. Il 1979 è stato intitolato internazionalmente l'anno del bambino. Ma i bambini continuano a morire, nessuno fa niente di concreto, di efficace su scale mondiale. Mentre stiamo parlando, lo sai?, ne sono già morti tremila. E' una notizia che ti scuote?".

Che posso dire, che posso opporre a questo invasato della nonviolenza che ha di nuovo le guance incavate e l'occhio azzurro, un po' lucidamente folle? Certo, il fatto che mentre stiamo parlando stiano morendo tremila bambini in qualche parte del mondo mi scuote, è una notizia inquietante, ma debbo ammettere che non mi toglierà né il sonno né l'appetito né la voglia di occuparmi d'altro, appena Pannella uscirà da questa stanza. ma Pannella non esce. Incalza.

"La notizia non ti scuote, lo so. E' normale. Non ti devi sentire cattivo per questo, non ti devi sentire colpevole. Sei semplicemente alienato, manipolato, psicologicamente deforme. Se ti ritorna alla mente la strage di sei milioni di ebrei nei forni nazisti, la tua coscienza morale s'indigna?".

"Si pensa alla fatalità, a una legge di natura"

Non ho bisogno di interrogarmi, rispondo di slancio: sì

"Giusto. E se ti ritornano alla mente i massacri staliniani, quattro, cinque milioni di contadini crepati per fame tra il Don e la Volga negli anni tremendi del risparmio forzato e della "costruzione del socialismo" in Urss, che senti?".

Di nuovo indignazione e volontà di fare quel che posso Perché orrori di quel genere non abbiano mai più a ripetersi.

"Bravo. Ma per quest'altro tipo di genocidio ti commuovi poco".

Non è questo....

"Invece è proprio questo, ti commuovi poco. Inconsciamente pensi: la fame c'è sempre stata nel mondo; c'è sempre stato qualche angolo di terra nel pianeta dove c'è carestia, miseria, malattie infettive. E' la fatalità, è la legge di natura. Ti hanno indotto in questo stato, vedi? Ti hanno manipolato. Tu pensi in modo coatto".

E tu digiuni per farmi uscire dalla mia alienazione.

"E' esattamente così".

Bene, ma io ne sono già uscito. Assodato questo punto, continuo però a non capire a che cosa serve il tuo digiuno. Vuoi convincere e "disalienare" la gente uno per uno come hai fatto con me? Diciamo che anche tutti i lettori di "Repubblica" si convincano: avrai mobilitato duecentomila persone. Eppoi? Che dovremo fare? Una bella colletta per mandare latte in polvere e medicinali o pillole anticoncezionali in Tanzania o nel Bangladesh?

"Ovviamente no. L'obiettivo non è questo. Non sto chiedendo di fare una questua. E sono contrario all'assistenzialismo".

Allora che cosa vuoi per smettere di digiunare?

"Devi dire: che cosa vogliamo. Ebbene, ecco qua. Anzitutto dobbiamo individuare qual è la causa prima che ha deformato lo sviluppo economico del mondo. Ebbene, la causa prima è il sistema capitalistico nella sua attuale versione industriale-militare. Bada che quando parlo di versione industriale-militare ci metto dentro interamente l'Urss e i paesi del cosiddetto socialismo reale. La disputa se siano paesi socialisti o no fa un po' ridere: sono, dal punto di vista del tipo di sviluppo, paesi capitalistici, imperialisti e sono dominati non meno - e forse più dell'America - dal complesso industriale-militare".

Quello che vuoi dire è chiaro, ma che c'entrano i bambini denutriti con questo ragionamento?

"C'entrano, eccome! Sai quanto spendono i paesi industriali per gli apparati militari? Cifre Onu: ogni anno 400 mila miliardi di lire, cioè 400 miliardi di dollari. Capisci? Capisci che cosa significa questa cifra? 400 miliardi di dollari. Ecco la prima e più aberrante deformazione dello sviluppo. La seconda cifra, appena meno impressionante di questa, è la spesa pubblicitaria per far aumentare e per controllare i consumi nei paesi ricchi: 100 miliardi di dollari l'anno. Con la conseguenza, anche questa abnorme, che il 30 per cento della popolazione dei paesi industriali è medicalmente insidiata, dall'obesità. Ed ecco la mia prima conclusione: le gigantesche spese militari e le gigantesche spese pubblicitarie, con le conseguenze che ne derivano sulle abitudini di vita e di consumo dei paesi industriali, condannano alla denutrizione e alla fame una massa immensa di persone e condannano a morte 30 milioni di persone l'anno, di cui 17 milioni al di sotto dei 4 anni di età. Suggerisco questa riflessione: nei prossimi dieci anni, se non si inverte radicalmente la situazione, sarà morta più gente che in tutti i tremila anni della storia del mondo".

Tu ti sei dunque proposto, se capisco bene, di utilizzare il fatto emotivo dei bambini "condannati a morte" per mobilitare l'opinione pubblica contro questo meccanismo di sviluppo.

"Diciamo che sono due facce della stessa medaglia: i bambini muoiono a causa di questo tipo deformato di sviluppo, se il tipo di sviluppo cambia i bambini non moriranno più in quella spaventosa fatalità e - al tempo stesso - se non muoiono vuol dire che il tipo di sviluppo è cambiato. la questione è unica e non separabile".

"E' l'aspetto più orribile della lotta di classe"

Per questo tu respingi la critica, che ti ha fatto anche dom Franzoni, di essere un pietista e un assistenzialista.

"Infatti non c'è niente di più falso di quella critica nei miei confronti. So benissimo che la morte dei bambini per fame è un episodio, il più orribile, della lotta di classe. Così come sono episodi della lotta di classe il sesso, la condizione della donna, la bellezza...".

La bellezza?
"Certo, la bellezza. Una donna ricca può essere ancora bella a 50 anni, una donna povera a 25 anni è un rottame. Non è un fatto di classe anche la bellezza?".

Andiamo ai rimedi.

"Andiamo ai rimedi. Siamo nell'anno del bambino ed è stata l'Onu a indicare un primo rimedio. Ha suggerito che tutti i paesi destinino l'1 per cento del proprio prodotto nazionale lordo per salvare i morenti...".

Cioè per soccorrere d'urgenza i bambini condannati a morte dalle statistiche della fame.

"Esattamente, ed un altro 1 per cento per avviare nei paesi poveri un nuovo tipo di sviluppo, rompendo il cerchio della miseria. Ma finora i suggerimenti dell'Onu sono rimasti pie intenzioni. I capi di Stato hanno inviato messaggi nobilissimi. Parole".

Che bisogna fare in concreto?

"Atti di governo e decisioni dei Parlamenti. Bisogna cambiare il bilancio finanziario, tagliare altre spese, cominciando da quelle militari, e corrispondere all'Onu i denari richiesti".

Tu vuoi cominciare dall'Italia.

"E da dove debbo cominciare? L'Italia, se deve seguire l'indicazione delle Nazioni Unite, deve stanziare 4000 miliardi di lire. Abbiamo già indicato con precisione come possono essere reperiti senza turbare le condizioni tutt'altro che rosee della nostra finanza nazionale. Non siamo mica degli irresponsabili e dei fantastici come spesso di vorrebbe far credere. Al contrario: siamo estremamente concreti. Ma 4000 miliardi si possono trovare agevolmente, mantenendo la nostra finanza in equilibrio. Naturalmente, bisogna cambiare a fondo le direttrici del nostro sistema industriale-militare".

Tu proponi di smantellare le difese convenzionali?
"La pace nel mondo è mantenuta dall'equilibrio del terrore nucleare. Le difese convenzionali sono del tutto inutili. Servono solo a far arricchire i mercanti di armi e tutta l'immensa clientela burocratico-industriale che gli sta alle spalle".

Quello che dici è vero fino ad un certo punto. Negli ultimi trent'anni ci sono stati una quantità di conflitti locali, combattuti con armi convenzionali. Perciò abolire o anche ridurre le difese convenzionali può avvenire soltanto se si tratta di un processo bilanciato in tutti i paesi e controllato internazionalmente. Se si comincia per primi e da soli, si resta inermi in un mondo armato fino ai denti.

"Bada: il realismo quasi sempre è una vera sciocchezza. E questo argomento tuo è un realismo che non vale nulla. Facciamo l'ipotesi che l'Italia riduca le sue difese convenzionali. Da chi potremmo temere di essere aggrediti?.

Ma, non so, da chiunque...
"Cioè? Fai dei nomi. Dalla Svizzera?".

Direi di no, dalla Svizzera no.
"Dalla Francia?"

Ma no...
"Dunque dalla Jugoslavia, se fosse di nuovo in mani russe. E' questo che pensi?".

Queste domande dovresti rivolgerle allo Stato Maggiore, che ne so io...
"Appunto. Mi piacerebbe porle allo Stato Maggiore. Se la televisione italiana, nell'anno del bambino, ci desse uno spazio equivalente a dieci Portobello, una trasmissione dovrebbe esser centrata sul contraddittorio con lo Stato Maggiore. Perché, gira e rigira, la sola ipotesi di conflitto, in Europa, è soltanto la guerra mondiale, e allora le difese convenzionali non servono a niente, questa è la pura verità".

La proposta concreta?
"Per cominciare propongo di esentare dal servizio militare l'80 per cento dello scaglione di leva, sorteggiando il 20 per cento che deve prestar servizio. Sarebbe un risparmio enorme, braccia guadagnate all'economia produttiva e possibilità di mobilitare fondi per il progetto Onu. Ecco una proposta. Ma ce ne sono molte altre".

"Una guerra mondiale da vincere o perdere"

Ammettiamo che il tuo digiuno scuota la gente, che i giornali se ne occupino, che la Tv ti dia gli spazi che chiedi, che il Parlamento decida di modificare la legge di bilancio, di stanziare 4000 miliardi e metterli a disposizione dell'Onu per il grande progetto contro la morte; ammettiamo tutto questo. E poi? Che succede dopo? Se gli altri paesi non seguono l'esempio italiano che si fa? Se l'Onu non ha un progetto operativo per spendere utilmente quei soldi, che si fa?

R. "Che si fa? Si fanno un sacco di cose. Il Presidente della Repubblica italiana indirizza un messaggio all'Onu informando che l'Italia ha adempiuto i suoi obblighi e chiedendo che gli altri paesi facciano altrettanto. Il capo del governo italiano vola a New York e consegna i fondi a Waldheim mettendo in mora i governi degli altri paesi. Si lancia una campagna mondiale per la pace, per la vita, per la non violenza, contro gli armamenti. Si scuote l'entusiasmo della gente, dovunque, in Italia, in Europa, nel mondo. Questa è l'immaginazione al potere, questa è la vera lotta contro il terrorismo e il sangue. Voglio vedere di fronte ad un progetto di questo genere e di quest'ampiezza, le voglio vedere Br e Prima linea che continuano a sparacchiare alle gambe e Autonomia che continua a pestare. Bisogna alzare il livello degli obiettivi se si vuole uscire dalla palude. Diciassette milioni di bambini che stanno morendo non meritano l'attenzione del mondo? Non è una guerra mondiale da vincere o da perdere?".


Una strage di verità

Di Camilla Cederna "Libro bianco…" aprile 79

Libro Bianco del partito radicale sull'uccisione di Giorgiana Masi e sui fatti del 12 maggio 1977: "Cronaca di una strage" - a cura del Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei

Una morte scomoda e del massimo imbarazzo politico per il nostro governo è stata quella di Giorgiana Masi, diciannove anni, di cui si è ben presto conosciuto il patetico visetto dali occhi intenti in una fotografia formato tessera. Una morte avvenuta in un giorno che doveva essere soltanto pieno di letizia, di suoni e di canti, ma che rimaneva pur sempre un giorno ingombrante e scomodo anch'esso per i potenti (si raccoglievano le firme per i referendum, di ora in ora andava crescendo il numero delle firme), e che oltretutto ricordava una data spinosa per gli alti democristiani: era il 12 maggio, l'anniversario della vittoria per il divorzio. Una data che nella nostra storia recente ha contato forse più di ogni altra.

Che l'uccisione di Giorgiana Masi si sia trasformata in un peso intollerabile per chi comanda, lo dimostra il fatto che a 20 mesi di distanza dalla caduta a terra della giovinetta trafitta da un proiettile, a 20 mesi dalle sue ultime parole appena mormorate "Oddio che male!", nessuna indagine è stata condotta fino in fondo, nessuna comunicazione giudiziaria è stata inviata ai responsabili: ancora oggi ufficialmente non si sa quanto è avvenuto quel giorno: chi ha sparato, chi ha dato gli ordini a carabinieri e poliziotti di agire in modo così iniquo senza provocazione da parte dei cittadini e con deliberata tracotanza, "spintonando" e "strattonando" (sono i nuovi versi della violenza minore), quindi sparando candelotti e poi picchiando a sangue il caduto già ferito, infine sparando e uccidendo: il trionfo dell'efferato sopruso in una giornata di sole.

Purtroppo ne abbiamo visti tanti, di ragazzi morti per le strade dal 70 a oggi, in quelle pose di disperato abbandono, e tutt'intorno la gran chiazza di sangue: abbiamo udito dichiarazioni di ministri che il giorno dopo capovolgevano la verità e caroselli di bugie di funzionari di polizia e semplici agenti: abbiamo assistito tanto a complicati giochi di bossoli che sparivano e ricomparivano per poi sparire un'altra volta, come alla manipolazione delle pistole, mentre i testimoni oculari costantemente inascoltati, si sgolavano a raccontare quanto avevano visto. E in qualche caso, bisogna ammetterlo, la verità è venuta a galla (ma molto faticosamente e dopo anni di lavoro di giovani accaniti avvocati); così qualche poliziotto, agente o capitano, sia pure con grande mitezza, è stato condannato per aver sparato o ucciso, o per aver dato ordine di sparare e uccidere.

Nel caso di Giorgiana Masi, da parte del governo e delle autorità poliziesche, nonostante la quantità di testimonianze tutte concordi, è stata tessuta una trama di menzogne estremamente spessa, e delle testimonianze scomode, discordanti cioè con la verità ufficiale buona per il governo, non si è voluto tener conto. Tanto più pesava questa giovane vita stroncata, e tanto più si voleva far finta di niente: banchi semivuoti nell'aula del Parlamento durante tutti i dibattiti sui fatti del 12 maggio, ministro e sottosegretario degli Interni che invece di dir qualcosa che si avvicinasse alla verità, andavano avanti per giorni e giorni a leggere il loro piccolo bollettino di polizia, mostrando freddezza e insofferenza (forse paura), nell'ascoltare le repliche di chi era stato coinvolto direttamente nella mischia.

Al punto di arrivare a quello che può essere paragonato a un dialogo fra sordi: da una parte i protagonisti più importanti (per esempio parlamentari, che, oltre ad essere testimoni, erano stati anche duramente picchiati), e il filmato che dava dei fatti una versione inequivocabile mentre dalla parte di quelli seduti più in alto, sempre il solito ritornello: nessuno ha sparato, nessuno ha dato ordini di sparare ecc.

I potenti saranno poi sbugiardati, e perfino dal questore? Sì, ma come in tanti altri casi, la maggioranza unita dalla cattiva coscienza è andata oltre la semplice bugia, ha chiuso la partita, ha dato il suo bel colpo di spugna, della morte della ragazza ha incolpato i radicali e il loro comizio (i radicali avevano dichiarato che di comizi non ne avrebbero tenuti e avevano mantenuto la parola).

Neppure un Dario Fo in gran forma potrebbe darci una rappresentazione del comportamento dei poliziotti in quel giorno: ne uscirebbe una farsa del tutto incredibile in cui la stupidità si unisce alla più dissennata violenza ed ecco gli agenti "travestiti da giovani", ma con la pistola, o da teppisti da borgata, come li descrivevano quasi tutti i giornali e i più responsabili dei cronisti, capelli lunghi, jeans stinti e trasandati, e fazzoletti al collo; se no camuffati da autonomi, maglietta, tascapane e pistola in cintura. Ci sarà anche un vero campione del travestimento, che in poche ore si cambia vari più o meno vistosi giubbotti. E sono così sciocchi, che, benché si fingano dimostranti, a un certo punto se ne dimenticano e si avvicinano a una jeep della polizia per prelevare il manganello di dotazione; se no con una spranga in mano e il fazzoletto sul viso, immemori della mascherata e della parte che devono recitare, si mettono a cianciare e a sfumacchiare come niente, insieme agli agenti in divisa.

C'è chi prende per compagni quelli col fazzoletto rosso, ma: "Vai a casa a far la calza!", gridano inopinatamente questi qui alla ragazza che chiede un'informazione, mentre altri, i funzionari veri, ma che sembrano soltanto caricature, tanto son paonazzi urlanti ed eccitati, dicono all'on. Domenico Pinto, picchiato e fatto rimbalzare più volte sul marciapiedi: "Se lei è un deputato non ce ne frega niente!" e anche "E' lei l'onorevole? Be', mi fa schifo" e "Lei fa politica? Se ne vada via in fretta, stronzo!" Finché, in un crescendo di finezza poliziesca, dopo aver mollato un pugno sul petto di un fotografo: "Mò, ti si strizzano le chiappe, finalmente!" E sequestrano macchine fotografiche, calpestano occhiali, strappano antenne alle radioline: "Capaci che questi qui si comunicano fra loro!"

"Serrate le fila!" grida un tale ai carabinieri intorno a dei dimostranti pacifici e del tutto inoffensivi che stanno seduti per terra, o ad altri ritti con le spalle al muro e le braccia in alto, come nel ghetto di Varsavia. "Guardie a me!" urla un cianotico commissario con proterva insolenza, e una ventina di celerini si slanciano contro un gruppo di giovani manganellandoli, e giù calci (di fucile) sulle teste, altrimenti calci (con lo scarpone) negli stinchi. Una raffica di mitra parte da un'autoambulanza: dietro un'auto in sosta, un finto dimostrante spara a braccio teso contro uno di quelli veri, per fortuna sbagliando il bersaglio, e si moltiplicano le cariche senza motivo, pulmini blindati in testa, agenti in borghese, con pistole in mano che avanzano a ginocchia piegate al riparo del pulmino. (C'è un medico disposto a testimoniare d'aver medicati alcuni giovani saliti da lui durante gli scontri: via un proiettile da un braccio o da una spalla, fasciate ferite da candelotto o da calcio di fucile).

Sono già cinquemila gli agenti che circondano piazza Navona, e già da parte dei più scalmanati si sta facendo circolare la voce che i manifestanti sparano e feriscono gli agenti: si cerca il ministro degli Interni Cossiga che alle undici non riceve nemmeno le telefonate di persone particolarmente qualificate a dare un giudizio sugli avvenimenti. Per esempio Luciano Lama, segretario della Cgil, e poco dopo il ministro rifiuta di parlare col presidente del gruppo socialista della Camera, on.Vincenzo Balzamo, indignato per il divieto del sit-in e per l'iniquo contegno della polizia. Dopo mezz'ora Cossiga farà sapere che "piazza Navona non gode di nessuna forma di extra-territorialità che impedisca la presenza delle Forze dell'ordine"; passa ancora poco tempo ed è di nuovo latitante. Invano cerca di parlargli una delegazione del PSI, DP e PR che ritengono inaccettabile il divieto di manifestare. Alle quattro meno un quarto cominciano le sue bugie assortite. Sono i dimostranti che attaccano i tutori dell'ordine costretti dunque a far uso di "artifizi lacrimogeni". I dimostranti lanciano bombe molotov, accendono benzina, rendono difficile l'intervento della Forza pubblica, e Cossiga parla di "accresciuta tensione, di aberrante bravata". Né attribuisce tensione e bravata alle Forze dell'Ordine, così all'indomani sarà smentito da tutti i giornalisti che erano presenti. Una ragazza muore colpita da un proiettile all'addome, egli aggiunge, si arrestano undici persone per tentato omicidio, lesioni personali e porto d'armi abusivo.

Più tardi altra comunicazione. Il ministro parla delle zone di piazza S.Pantaleo e largo Argentina, di barricate, di barriere di fuoco. La verità è che verso le cinque, a causa delle cariche di ingiustificata violenza della polizia, il traffico è come impazzito, il centro storico è paralizzato; in mezzo al denso fumo dei candelotti si continuano a sentire i secchi schiocchi degli spari: l'impressione dei dimostranti è che si voglia cercare un morto a tutti i costi.

Il giorno dopo Cossiga comincia a spiegare meglio i fatti ripetendo di continuo il suo concertino. I radicali non saranno violenti, ma oltre alle violenze dirette (molotov, spranghe, "travisamenti" e P.38) c'è anche un'incontrollabile violenza di non meditate parole che aprono la porta alla violenza. I radicali dunque si sono dimostrati assolutamente privi di senno, mentre la polizia ha dimostrato d'aver grande senso di prudenza e di moderazione... Gravi atti di violenza sono stati compiuti da estremisti facinorosi con la partecipazione di chi ha voluto con imprudente ostinazione una manifestazione che si sapeva avrebbe radunato bande e gruppi dediti alla provocazione e alla violenza... E' ridicolo e grottesco voler far apparire il ministro degli Interni come il "ministro della repressione".

Ben nutrito il catalogo delle menzogne che poi avanzano in un supercauto crescendo di supercaute ammissioni dopo quello che a malincuore deve aver letto sui giornali. Il 13 maggio il ministro dice che la polizia è stata aggredita da guerriglieri che sparavano, affermando che non c'erano agenti in borghese; il 15 dichiara che gli agenti in borghese c'erano ma non erano armati; passa un giorno soltanto e gli agenti in borghese erano sì armati ma non hanno sparato; il 17 afferma che nessun poliziotto ha sparato, nemmeno fra quelli non in borghese; il 18 chiude la bocca spiegando che la Magistratura ha appena aperto un'inchiesta.

E gli altri? Il demoproletario Massimo Gorla, anche lui maltrattato e picchiato dalle forze dell'ordine più o meno travestite ("troppo poco" è il commento del fascista Pino Rauti), è indignato per quanto dice il ministro, "La responsabilità non cade tanto sul singolo poliziotto quanto sul governo che ha concepito e imposto questa operazione di polizia". E' una delle pochissime voci di dissenso insieme a quelle di Pinto, Corvisieri, Cicchitto e Pannella ("il ministro di polizia ha qui oltraggiato la verità e il Parlamento"), perché il liberale Bozzi approva il divieto di manifestazione e così moraleggia: "disobbedire alla legge è un atto di violenza". Manco, di Democrazia nazionale, applaude il ministro, e trae anche lui le sue originali conclusioni: nelle manifestazioni anche non violente si inseriscono sempre i manovratori della guerriglia. Il democristiano Bernardi se la prende con Pinto: "Non si può essere nel Parlamento e extraparlamentari insieme", poi cita la Bibbia: "l'abuso invoca l'abuso e il male invoca il male". Quindi, per finire in gloria: "Se volete il fuoco della rivoluzione, prendetevi anche le ficozze che ne derivano" (allusione ai bernoccoli cresciuti sulla testa di Pinto e Gorla in seguito alle manganellate). Per bocca di Ugo Spagnoli, i comunisti cominciano bene deplorando il divieto e la decisione di Cossiga, ma se ne pentono subito, e addossano la colpa di tutto ai radicali, emettendo un proverbio anche loro, analogo a quello degli altri, di estrema destra e di centro: "quando si lancia una sfida, la provocazione si infiltra e si trova a suo agio". Idem il repubblicano Mammì che vede gli avvenimenti del 12 maggio come frutto di irresponsabilità e assurda sfida: non c'erano forse gli autonomi con la pistola? Come il liberale Costa che fa ricadere tutte le responsabilità sugli organizzatori "che hanno voluto violare la legge e forse hanno voluto il disordine".

Infine il "Messaggero" dai giornali della DC sarà accusato di essere "un vero e proprio portavoce dell'eversione", solo perché i suoi redattori hanno smentito Cossiga, riportando quello che hanno visto, e tanto per fare soltanto un esempio, l'agente in borghese appostato tra le auto con la pistola in pugno. Ecco la sua fotografia, ecco l'identificazione dell'agente. A questo punto il coro di altri quotidiani tra cui il "Corriere della sera", "La Repubblica", "Paese sera", "Il Manifesto" si affianca alla voce e alle testimonianze del "Messaggero".

Per tutto il pomeriggio, è il senso degli scritti evidentemente diventati tutti "portavoce dell'eversione", in corso Vittorio tra Piazza della Cancelleria, piazza San Pantaleo e via dei Baullari, hanno agito in sincronia con i reparti degli agenti in divisa uomini in borghese e armati, i quali, essendo alle dirette dipendenze dei funzionari di polizia che dirigevano le operazioni, hanno a più riprese aperto il fuoco in direzione di Campo dei Fiori. La polizia ha agito con brutalità sproporzionata, quando fronteggiava cittadini inermi. Solo la polizia ha usato le armi, anche quando sono entrate in campo squadre di studenti. Quando, dalle diciannove in su, i disordini si sono spostati verso Trastevere (dove un carabiniere è stato ferito a un polso, e Giorgiana è stata trafitta a morte), l'atmosfera si era ormai surriscaldata e avvenivano episodi di vera e propria guerriglia urbana. Insomma, dall'attacco a chiunque si avvicinasse a piazza Navona, è derivata una situazione oppressiva verso cittadini inermi, non organizzati e nonviolenti, una situazione che a sua volta ha innescato un meccanismo estremamente pericoloso, di grande gravità. Inutile nella prefazione elencare tutte le violenze diligentemente documentate e illustrate in questo Libro bianco completo delle ormai celebri fotografie, il commissario Giovanni Carnevale, cravatta a pois e P 38 in mano, l'agente Giovanni Santone, che striscia e spara e i loro complici sempre vestiti come dimostranti, ma con i manganelli alzati e i revolver spianati. Un drammatico strumento d'indignata chiarezza.

Ed ecco le tappe della rabbiosa reazione a bugie, indifferenza, affossamento. Il 6 giugno il gruppo radicale denuncia Cossiga per attentato ai diritti dei cittadini. Il 29 luglio sempre lo stesso gruppo presenta il Libro bianco al procuratore della repubblica di Roma; operazione indolore, com'era prevedibile, che non lascia nessun segno. Dialogo inimmaginabile tra Pannella e il sottosegretario agli Interni Lettieri che Cossiga aveva preferito delegare al suo posto, a quattro mesi di distanza dai fatti, cioè il 24 ottobre '77 in un'aula, come al solito in queste occasioni, sonnacchiosa e semivuota. Ci sono le prove, fà Pannella, sono spiegate finalmente le troppe violenze con le immagini a fianco, nulla è inventato, giornalisti e fotografi non hanno fatto altro che il loro dovere.

Lettieri dapprima si offende per gli aggettivi "assassini e vili" attribuiti dal leader radicale ai poliziotti, quindi in tono monotono legge un documento burocratico il cui sugo è questo: è più che legittimo disporre l'impiego di personale in abiti civili nei servizi di polizia giudiziaria; comunque questo personale non ha sparato pur avendo in mano la pistola. Necessario d'ora innanzi proibire le manifestazioni nel centro di Roma; necessario l'impiego di speciali squadre antiterroriste.

5 novembre '77. Conferenza stampa durante la quale si presenta il filmato: si vede agire il solito Santone ed altri pressappoco vestiti come lui, che prendono la mira e sparano.

28 novembre. Altra seduta alla Camera in cui il governo conferma la sua complicità con la questura di Roma. ("E' Cossiga invece che ha diretto minuto per minuto, lui in persona, questa operazione di strage" dice Pannella). I parlamentari sbadigliano.

23 dicembre. Rimosso il questore di Roma Domenico Migliorini. Subito dopo, com'era immaginabile, scaricherà su Cossiga la responsabilità dei fatti sanguinosi del 12 maggio 77, dato che non ha fatto che attenersi in ogni momento alle precise indicazioni e disposizioni del suo ministro.

Più che stimolante è la lettura attenta del Libro bianco che racconta in tutta la sua drammaticità questa storia contemporanea esemplare. Un delitto di cui è responsabile uno dei bracci violenti dello stato. Il solito sipario di bugie che cala dall'alto, guai ad ammettere che i tutori dell'ordine ancora prevaricano, si comportano come pazzi, sparano e nascondono la mano, uccidono e incolpano chi sta dall'altra parte. Non bastano le prove, non servono le documentazioni fotografiche che inchiodano agenti e superiori alle loro pesanti responsabilità. Le menzogne dall'alto sono di basso livello, sono volgari scappatoie, non si contano le contraddizioni, si fà di tutto per sfuggire agli interrogatori diretti, la difesa da parte dei potenti è come un disco incrinato, scalfito e rotto, sempre la solita solfa maledettamente stonata, e come sempre in casi come questi, i morti si dimenticano, a furia di bugie è come se fossero uccisi un'altra volta, le responsabilità non si cercano, a volare per aria a un certo punto son soltanto gli stracci (v. il questore).

Nel processo, contro ignoti naturalmente, Angelo e Vittoria Masi, padre e sorella di Giorgiana, e la madre Aurora Mallozzi si sono costituiti parte civile. All'inizio del 1978 cambiano difensori nominando Luca Boneschi e Franco De Cataldo. Una prima memoria viene presentata dai due avvocati il 16 marzo.

Essi propongono un'attenta lettura delle cronache dei quotidiani sugli avvenimenti del 12 maggio e del Libro bianco, un accurato esame dei documenti fotografici e delle perizie medico-legali (insufficienti, come si vedrà) per ricostruire in che modo si è arrivati il 12 maggio all'assassinio di Giorgiana, al tentato omicidio di Elena Ascione ecc. Danno per certa la carica di inaudita violenza delle forze di polizia, con univoca provenienza degli spari, ritenendo incredibile che alla distanza di diciannove mesi, la responsabilità penale di chi ha sparato non si è ufficialmente ancora individuata.

Descrivono l'abnorme comportamento della polizia che provoca reazioni nelle persone accerchiate, caricate, a cui non si permette di disperdersi; di quella polizia che con la sua improvvisa e micidiale carica, colpirà nella schiena la povera Giorgiana, che per salvarsi si mette a correre disperatamente, e invece cadrà di schianto, le braccia in avanti, la testa verso Trastevere, i piedi verso il ponte. Poco più in là viene ferita Elena Ascione. Si chiede l'escussione di tutti i testimoni che hanno seguito l'andamento dei fatti, e se già sentiti, che vengano interrogati di nuovo; si chiede l'interrogatorio di commissari, capipattuglia, agenti in divisa, agenti in borghese, ufficiali che hanno operato nella zona di via Arenula-ponte Garibaldi per sapere se hanno sparato, quali disposizioni hanno dato o ricevuto, dove hanno messo i bossoli raccolti, di quali armi in dotazione o personali disponevano. Inoltre l'individuazione di tutti gli agenti in divisa e in borghese che nelle foto del 12 maggio appaiono muniti di pistola, per chiedere loro e accertare con una perizia che tipo di arma impugnavano, infine si dimostra che il ministro Cossiga ha ripetutamente dichiarato il falso, direttamente o attraverso il sottosegretario Lettieri, smantellando la tesi di comodo del governo sull'assassinio di Giorgiana.

E perché non chiedere il sequestro dei rapporti forniti al ministro degli Interni dalla questura e dalla prefettura di Roma e dal comando territoriale dei carabinieri, per rispondere alle interrogazioni ed interpellanze relative ai fatti in causa, risposte fornite alla Camera dei deputati nelle sedute del 13 maggio, 24 ottobre, 26 novembre '77 e 10 gennaio '78? Si chieda anche questo.

Una seconda memoria viene presentata dai due difensori il 6 novembre insieme a una consulenza tecnica che critica pesantemente le due perizie, quella medico legale e anche l'altra, la balistica, disposte dall'autorità giudiziaria: secondo quella balistica Giorgiana è stata uccisa da un colpo d'arma da fuoco, sparatole alle spalle. Troppo poco: il resto delle perizie appare sommario, impreciso, lacunoso, tecnicamente carente, in certe parti decisamente sbagliato.

I periti del tribunale non hanno fatto quello che avrebbero dovuto e potuto, hanno sbagliato i calcoli, son rimasti nel vago. Hanno detto che il proiettile omicida era a piombo nudo, cosa tecnicamente impossibile: insomma una storia già vissuta, negli anni della strategia della tensione e delle stragi di stato. Il consulente dei familiari ha provato a sparare con il proiettile indicato dai periti, su una vertebra come quella di Giorgiana, trapassata con la massima violenza: la pallottola, sparata a cinquanta centimetri, non è neppure riuscita a passare da parte a parte. Si possono allora fare dei calcoli balistici che portano a conclusioni irrimediabilmente accusatorie contro le forze di polizia. Giorgiana è stata uccisa da un proiettile blindato (e non a piombo nudo), dotato di grande energia, sparato da un calibro 22 a canna lunga o da una carabina. Data la traiettoria, chi ha sparato e ucciso stava sul ponte Garibaldi e in largo Arenula. Dove cioè c'erano soltanto poliziotti e carabinieri.

Così i due legali chiedono l'incriminazione dei comandanti dei reparti che si trovavano sul ponte e in via Arenula dalle 19 alle 21 del 12 maggio, del questore Migliorini e del ministro Cossiga.

E i giudici? Per adesso tacciono. Polizia e governo sono tabù perché l'assassinio di Giorgiana Masi scotta ancora. Senza le parti civili e gli esperimenti del loro consulente, con le vacue e sommarie perizie disposte dal tribunale, sarebbe tutto finito in un cassetto. E anche per lo smisurato numero di altri reati commessi quel giorno da poliziotti, i travestimenti, l'uso delle armi, le sparatorie, le percosse, le ingiurie, i tentativi di uccidere, la strage: scoraggianti perché inesistenti le iniziative della magistratura al riguardo. Quali le speranze di avere giustizia, di far sentire ai colpevoli il peso delle tremende verità accertate da questo Libro bianco?

Si farà di tutto e si otterrà ben poco, perché una cosa è certa: cambiano i governi, cambiano le maggioranze, si tessono nuovi giochi di potere e il PCI ne fa parte: ma eccoli i partiti di quest'Italia democratica e repubblicana pronti subito, ancora una volta, a difendere lo stato che uccide. Proprio niente è cambiato dai tempi dei governi di Scelba, di Rumor, di Colombo, dai tempi delle stragi di Stato.


da "Pannella, il potere della parola"

di Gigi Moncalvo - Sperling e Kupfer 1983

" … Negli stessi giorni al palasport si sta svolgendo il congresso nazionale del PCI. I giornali sono mobilitati su questo avvenimento, le cronache si diffondono con maggiore spazio sull’assise comunista anziché su quella radicale. Pannella decide allora di capovolgere questo rapporto. La frase che pronuncia a questo scopo cade su una platea radicale scomposta e un poco disattenta, ma i cronisti presenti non se la lasciano sfuggire. Se la prende con il compromesso storico, afferma che i comunisti non hanno il diritto di condannare iil terrorismo, poi sbotta "Compagni del PCI, voi che siete così feroci contro i Curcio, i loro errori e la loro disperazione, rendeteci conto del perché continuate ad assumere a emblema della Resistenza l’episodio di via Rasella, rendeteci conto dei trentatré ragazzi altoatesini fatti saltare per aria, colpevoli soltanto di indossare una divisa di diverso colore, e per cui sono morti poi i compagni di Giustizia e Libertà e gli ebrei alle Fosse Ardeatine!". Subito dopo aggiunge: "Ho ripreso la polemica con quanti ora vogliono lanciare anatemi contro i nuovi violenti senza neppure aver fatto un esame della violenza di allora".
L’argomento è scottante, anche perché i comunisti discussero a lungo prima di decidere la valutazione dell’episodio di via Rasella…"


Il polo comunista e il polo radicale

Intervista a Marco Pannella PLAYBOY Maggio 1979

Playboy - Negli ultimi tempi hai picchiato duro soprattutto sul PCI. Ma fin dal 1966, in una famosa intervista a "Nuova Repubblica", lo giudicavi con asprezza. Quali sono secondo te dunque le colpe del PCI?

Pannella - Diciamo che più che di colpe io parlerei laicamente di errori. Mi sembra importante, perché abbiamo già troppe cose cattoliche, controriformistiche nelle nostre vite: cerchiamo almeno di purgarne il linguaggio. A mio avviso l'errore cardinale, tanto per rimanere nel linguaggio cattolico, è un altro. Il Partito comunista ha fatto del trasformismo in questi ultimi trent'anni, cioè ha assunto le sembianze del moderato per vincere. Ora, l'azione dei trasformisti può anche fregare l'elettorato per una volta: ma alla lunga, no. Questa operazione "machiavellica" (tra virgolette, perché Machiavelli è un'altra cosa) è sicuramente perdente nel medio e lungo termine. Ed è proprio quello che sta accadendo al PCI. Diciamo che di questo "stile" è stato maestro un crispino, sia pure piemontese, come Palmiro Togliatti; il quale a seconda delle convenienze, direi piuttosto delle piccole opportunità, ha buttato a mare i grandi valori e le grandi esplicitazioni dei valori progressivi della sinistra, socialisti eccetera.

Playboy - Togliatti è stato un grande opportunista, tu dici.

Pannella - E' stato l'uomo che ha spinto al massimo in Italia l'ideologia dell'opportunismo. Ora, io non dimentico che l'opportunismo, all'inizio, nacque come rivendicazione positiva con Gambetta durante la Terza Repubblica francese, quando i radicali elevavano contro il dogmatismo la bandiera dell'opportunità come morale politica. Ma qual è il vizio degli opportunisti, secondo me? E' vero che la politica è l'arte del possibile, come essi vanno predicando, ma bisogna fargli notare che è l'arte di "creare" il possibile, non di "consumare" il possibile. Gli opportunisti chi sono?. Sono coloro che consumano e riducono il possibile, mentre i politici veri sono coloro che creano, estendono l'arco del possibile.

Playboy - In questo senso bisogna ammettere che tu hai fatto recentemente parecchia politica vera.

Pannella - Perciò io ritengo che la politica del Partito comunista sia, ormai anche manifestamente, perdente. Quando il Partito comunista diventa il partito guida dello schieramento del 95 per cento del Parlamento nella lotta della DC, di Democrazia nazionale e degli altri sui referendum per il doppio no ("Legge Reale" e finanziamento dei partiti), e vede questo 95 franare al 65-66 per cento, e per ridurre questa frana deve usare in modo goebbelsiano i "mass media", cioè deve mobilitarsi in modo spasmodico per ingannare chi? Non i fascisti e i democristiani che non lo ascoltano, ma i comunisti e gli operai, andandogli a dire che se viene abrogata la "Legge Reale" (che loro stessi comunisti "prima" avevano definita peggiore della "Legge Rocco") sono scarcerati Curcio, Concutelli, Vallanzasca e gli stupratori fascisti: allora vuol dire che i comunisti hanno cattiva coscienza, perché sanno di mentire e di dover edificare sull'inganno ai propri elettori le fortune del partito e di una politica sbagliata. Quindi io dico che la via del Partito comunista è una via, diciamo, disperata. Oggi ci sono due disperazioni in Italia: quella dei burocrati comunisti, e l'altra dei ragazzi della "P-38" e della siringa. Sono due disperazioni diverse, ma entrambe distruttive.

Playboy - Per te, il PCI è dunque l'avversario da battere ancora più della DC.

Pannella - Essendo io militante di una forza di sinistra, è evidente che la prima cosa che ho da battere è la politica che vuol dividere e sconfiggere le sinistre. E oggi il gestore di questa politica non è la DC, che è più timida e più brancaleonesca, ma il PCI. In fondo, la DC anche quando ha voluto compiere delle svolte illiberali, ha avuto paura: e in realtà, la famosa epopea Tambroni è una bidonata. In pratica allora (luglio 1960) si trattò soltanto di Gronchi che voleva liquidare il suo conto con la Democrazia cristiana: lui, eletto Presidente della Repubblica a dispetto del partito, come uomo di Mattei e dei comunisti. Come lo era allora d'altronde anche Fanfani. E così Gronchi scatena contro il partito il suo pupillo Tambroni, che viene annientato. Ma in realtà non è stato il Paese a battere questa stronzata di Tambroni, come si è voluto far credere, ma è stata la DC stessa, perché hanno voluto liquidare Gronchi ch'era stato eletto capo dello Stato contro la volontà della DC e per l'alleanza di missini e comunisti con il petrolio di Mattei.

Lasciamo da parte quindi per ora la DC. Io dico che i due poli di battaglia dello schieramento politico italiano (dunque non solo della sinistra) oggi sono i comunisti e i radicali. E lo prova il fatto che a Trieste il primo partito della sinistra è il Partito comunista, ma nel momento in cui alle elezioni del '78 noi prendiamo il 6 per cento dei voti, lui perde l'8 per cento. Ora, qual è il guaio originario del Partito comunista? Il vero discorso è che il comunista storico non è fondamentalmente stalinista: è solo uno che crede che Stalin è un buon padre di famiglia. Cioè il vero stalinista è Togliatti, non è l'operaio della Fiat. Perché l'operaio della Fiat crede in buona fede che Stalin sia un buon padre di famiglia.

Ma lo crede perché? Perché Togliatti, che c'è stato (da Stalin), assicura contro liberali, democratici, socialisti -che non ci sono stati- che Stalin è un buon padre. E quando il socialista, il comunista del dissenso, il liberale, dicono all'operaio della Fiat: "Lì si sono massacrati milioni di contadini, tutta la classe dirigente comunista è stata torturata e assassinata, anche moralmente oltre che giuridicamente", gli operai credono a Palmiro Togliatti, che mente, piuttosto che credere a quegli altri, che dicono la verità. Perché Togliatti c'è stato, e gli altri no.

Io rivendico quindi un grosso attaccamento all'operaio stalinista perché è stato sempre ingannato. Tanto è vero che quando mi hanno eletto deputato, in tre circoscrizioni ho optato per Torino, e che in certe sezioni di Mirafiori, dominate tradizionalmente dal Partito comunista, noi abbiamo avuto, nell'elezione dei referendum, successi anche nella misura del 62 per cento. Quindi l'operaio sostanzialmente non è stalinista. E noi lo mettiamo in guardia contro lo stalinismo, perché lo stalinismo in Occidente è sempre stato un fenomeno di destra, non è stato mai a sinistra lo stalinismo. Lo stalinismo da noi è Togliatti: ed è di destra, perché Togliatti fa l'accordo con la Chiesa sul Concordato e l'articolo 7 della Costituzione, Togliatti ha maggiore duttilità dei socialisti e dei laici rispetto alla posizione di Vittorio Emanuele III, Togliatti concede l'amnistia ai grandi responsabili fascisti, Togliatti non fa grandi battaglie alla Camera contro i fascisti perché se le avesse fatte le avrebbe vinte.

Perciò la Democrazia cristiana - io lo dicevo già in quell'intervista del '66- ha debito con i comunisti. La Democrazia cristiana quando dice :"Noi dopo la guerra abbiamo ricostruito lo Stato", dice una cosa pericolosa, perché è vero; hanno ricostruito lo Stato autoritario di Rocco. Ma i grandi ricostruttori sono stati De Gasperi e Togliatti insieme.

Playboy - Un specie di "compromesso storico"...

Pannella - Non "una specie"! "Quello" è il "compromesso storico"! Quello è il "vero compromesso storico", perché lì si rinuncia alla cogestione, si rinuncia al socialismo, si rinuncia al pacifismo, si rinuncia alla neutralità: perché il Partito comunista passa dall'oppoggio all'Est, Patto di Varsavia eccetera, fino all'appoggio, con Berlinguer, alla Nato. Prima si può fare del socialismo solo sotto la coperta della Russia e del Patto di Varsavia; poi arriva Berlinguer che dice: "No, per il socialismo è necessario l'equilibrio delle potenze. E quindi il socialismo con la Nato lo faccio meglio".

A questo machiavellismo noi contrapponiamo la nostra scelta di libertà. Noi radicali non siamo un partito ideologico; siamo un partito di sperimentalismo, libertario, socialista, autogestionario. Siamo un partito di valori. Cioè diciamo ai nostri seguaci: "Ti devo aggregare non su delle strategie complesse, ma difendendo due, tre, quattro cose alla volta, perché quando poi ne abbiamo difese dieci il legame viene nella storia, non è quello ideologico dei professori". Così i nostri valori sono stati di volta in volta il disarmo, la fame nel mondo, il pacifismo, il disarmo anche unilaterale ma controllato nell'area europea, l'amore libero e responsabile. Che era la vecchia grande bandiera, il valore all'inizio del Secolo: il libero amore, quello che faceva paura alla società vittoriana. La quale non era liberale come si dice, ma invece era repressa, tormentata, in preda a un'austerità e a una schizofrenia puritane.

Perciò noi diciamo che il socialismo stesso è un valore. Non a caso gente come Ignazio Silone e Vittorini hanno avuto in questi vent'anni un punto di riferimento nel Partito radicale. Vittorini quando è morto era presidente del Consiglio federativo del nuovo Partito radicale: questo qui, il nostro. Ignazio Silone, la poca roba che aveva, due tavoli dell'Associazione per la libertà della cultura, degli schedari, alcune sedie, li ha dati in eredità a noi. Lui sì che era un socialista umano, dei valori. Non a caso un terrone abruzzese, un cafone. Come me...

Playboy - Tu sei di Teramo?

Pannella - Io sono di Teramo, lui è di qua, della Marsica: diciamo due cafoni. Anche lui era per il socialismo dei valori contro il socialismo delle ideologie. In fondo il valore ha di per sé un solido contenuto scientifico, mentre la pseudo-scientificità leninista si è rivelata una triste e tetra e terribile utopia che ha portato stragi e assassinii.

Ho quindi chiarito che nella politica italiana oggi ci sono due poli veri: quello comunista e quello radicale. Una verità che è venuta fuori nel 1978. Chi sono stati infatti i due antagonisti sui referendum? PCI e Partito radicale. Poi mi hanno mosso mille accuse: Pannella radicalfascista, tutto questo odio... Gli dà fastidio la verità: che cioè i due poli di sinistra siamo noi e il PCI.

Playboy - Certo le tue storie su via Rasella e simili hanno provocato furore...

Pannella - Arriviamo anche a quello. Ma prima insisto su questo punto: che le due forze chiave in Italia oggi sono i comunisti e i radicali. Perché sui referendum anche la destra italiana si spacca. I comunisti, quando difendono la "Legge Reale", hanno fatto loro i valori del "Codice Rocco", i fascisti li seguono, ma la base liberale e popolare della destra si spacca e ci segue: come aveva fatto nel 1974 col divorzio. A questo punto abbiamo questo segno: i veri antagonisti in Italia sono due antagonisti di sinistra, radicali e comunisti, e politicamente vincono i radicali. Anche se numericamente no. Però, ti ripeto: quando il Partito comunista perde l'8 per cento dei voti, noi guadagnamo il 6.

E poi, per concludere il discorso del secondo polo, se calcoliamo che noi siamo il partito dei referendum, cioè il partito che spacca in linea orizzontale tutti quanti, un partito di diversi referendum e della raccolta delle firme, ti rendi conto che siamo fortissimi. Ma capisci? Tu in un anno raccogli sei milioni di firme per le battaglie civili, questa è un'altra cosa enorme!

Quindi ecco il momento di collusione tra le due proposte politiche che hanno attrattiva e che hanno chiarezza in Italia. Ma tu obbietti: la polemica tra PCI e radicali negli ultimi tempi è stata aspra e c'è anche stato un rincaro di dose da parte mia. Quelle cose cioè che io ho detto contro gli attentatori di via Rasella e che hanno fatto arrabbiare Terracini, Amendola eccetera.

Ma questo discorso sull'immoralità degli attentati noi nonviolenti lo facciamo tutti i giorni da vent'anni. Il fatto è che se si accettano le leggi militari nella lotta politica e anche nella lotta internazionale, l'unica differenza purtroppo fra l'assassino abominevole e l'eroico partigiano è se vincono i tedeschi o se vincono gli inglesi. Perché è evidente che se avessero vinto i tedeschi, i nazisti, quelli di via Rasella erano infami terroristi che avevano fatto ammazzare una quantità di gente. Vincono gli altri: e loro sono eroi.

Ma il discorso è scorretto. Perché se tu giustifichi gli attentati di guerra del tipo di via Rasella, se accetti quello "stile", allora ti apri la via a giustificare anche il terrorismo di Curcio e non puoi pronunciare una netta condanna. Io dico che una sinistra che volesse poter essere così ferocemente anti-Curcio a livello di linciaggio morale (cioè che arrivasse a spiegare: non è vero che Curcio è un cattolico comunista, è invece un fascista), dovrebbe cominciare a essere durissima già su via Rasella. Perché Curcio non aveva scelto neppure il terrorismo che assassina Moro, ma agiva nel quadro di quello precedente, quando ci scappava sì e no un morto ogni tanto. E allora tu devi farti questa chiarezza: che un livello di scontro ( come si dice in gergo) che comporti la necessità dell'eroismo e del martirio, della liberazione militare e del far ammazzare 350 o 330 ostaggi, è un qualcosa che va senz'altro rifiutato. E anche quando vuoi liberare i Paesi del Terzo mondo grazie a grandi e lunghe campagne militari, e hai così il Vietnam, la Cambogia, eccetera, significa che le tue società nuove saranno edificate dai militari e saranno quindi dominate dalla loro tendenza a liquidare con la guerra ogni differenza internazionale. Diventando insomma regolate dai militari. E questo non è accettabile. Quindi io dico no a via Rasella perché voglio poter dire no a Curcio. E già al tempo di quell'azione ci fu una polemica perché gli uomini di quel Movimento comunista rivoluzionario -che ebbe qui a Roma 159 morti, dei quali 30 alle Fosse Ardeatine- essendo rivoluzionari duri immediatamente denunciarono Carla Capponi e Rosario Bentivegna.

Ti dirò di più: nel giorno della festa della Resistenza, che è la mia festa, io non ho ricordato che nella Liberazione c'è però un aspetto -piazzale Loreto- che è un segno di barbarie. Volevo parlarne il 25 aprile scorso e non l'ho fatto, perché? Perché non ho trovato il Risorgimento liberale di quei giorni. Volevo ripetere le parole di allora di Pannunzio: bada bene non di Lupinacci, che era la destra del movimento, ma di Pannunzio, della sinistra liberale antifascista, che condannava quell'errore. Noi allora, "a caldo", pur essendo gente che usciva di galera, dicemmo: "E' una pagina di barbarie".

Vedi che parlo così rompendo i tabù della sinistra. Ormai sono divenuto chiaramente il compagno pericoloso, avendo, "si parva licet magnis comparare" (se è lecito accostare le piccole cose alle grandi), un pochino di Trotski, un pochino di Zinoviev, un pochino di Bucarin del PCI. Sono il Trotski di Enrico Berlinguer, e perciò qualsiasi cosa io faccia va esorcizzata.

Playboy - Sei Trotski, però piaci abbastanza a Montanelli...

Pannella - Ecco Montanelli fa un suo articolo su di me che è da querela. Perché l'articolo è tutto concepito in questo modo: certo, Pannella è un cialtrone, però... Guarda, te lo leggo perché è importante. Senti cosa dice: "Uno dei maggiori protagonisti delle prossime elezioni sarà Pannella. Questo dispiacerà a molti nostri lettori, che in Pannella vedono un impasto di demagogia, ciarlataneria e istrionismo. E non senza ragione". Poi leggo: "Demagogo, istrione e ciarlatano, Pannella lo è". Punto.

Playboy - Beh, si tratta chiaramente di una affermazione paradossale, brillante, provocatoria.

Pannella - Senti ancora: "Lo definiscono anche un qualunquista, un Giannini di sinistra. Con Giannini, Pannella ha in comune il gesto e il gusto della scena-madre". Poi si dice che Giannini era uno Zacconi; Pannella un Carmelo Bene. Beh, io personalmente preferisco Zacconi a Carmelo Bene. Poi andiamo avanti: "Se Pannella non fosse che un'abile commediante...". Quindi lo sono. "... La sua commedia sarebbe finita da un pezzo". E qui guarda cosa dice: "Sfrontatezza da grande meretrice". Ecco: "Il fatto è che Pannella ha capito più cose di quante non ne abbiano capite i politologi di professione". è utile fare questa lettura. "Ma da quello smaccato e geniale bugiardo che è...".

Playboy - Evidentemente tu non ti riconosci per tale.

Pannella - Ma abbi pazienza! "Arraffatore e arruffatore di parole". Eccetera, eccetera. Poi che cosa dice? "Noi, è ovvio, non possiamo pronunciarci in favore di Pannella; egli giuoca in un campo che non è il nostro". Questa è la frase politica dell'articolo. "Questo è Pannella. Voti non possiamo dargliene. Ma ci auguriamo che sia lui a mietere quelli che non ci appartengono". Questo articolo risponde a una sola moralità: quella di impedire con questa pirotecnìa, così, di cose simpatiche, provocatorie, eccetera, di impedire a quelli dell'area liberale che avevano simpatia e stavano per votarmi, di farlo. "E' simpatico, ma non possiamo votarlo". Questa è l'operazione di Montanelli: fermare i suoi che potrebbero votarmi. E gli spiega: certo, anche a me è simpatico, è un figlio di puttana però mi è simpatico, ma attenzione: non votiamolo!

E non è finita. L'indomani L'Unità mi rimprovera, con motivazioni da querela, quello che Montanelli scrive di me e su di me. Perché dice: quell'articolo è un'apologia di Pannella . E mette l'accento sul fatto che Montanelli dice: Pannella è figlio nostro. Ma Montanelli sa benissimo che quando dice: "Pannella è figlio nostro", Fortebraccio gli risponderà: "Quindi Pannella oltre che demagogo arraffatore eccetera è anche figlio di puttana". Eh, certo, lui lo sa. Quindi anche questa è un'operazione anti-Pannella, anche se in apparenza gli si vuol far l'onore delle armi (di destra) per la persona. Di questo articolo L'Unità ne fa un volantino. Questo articolo, che è un manifesto contro il voto a me, diventa così pretesto per dire: Pannella è l'uomo di Montanelli.

Playboy - Ma tu hai flirtato con De Carolis che era (adesso mi pare abbiano litigato) molto vicino a Montanelli.

Pannella - E i comunisti con De Carolis fanno dibattiti tutti i giorni alla televisione di Milano! No, la realtà è che qualsiasi cosa io faccia deve essere deformata. Io devo sempre essere linciato. Ad esempio io vado al Congresso comunista, per ossequio a un invito mandatomi, e ci vado con l'unico cappotto che posseggo, che è un "loden" blu. L'unico: non ne posseggo altri. Ed ero smagrito, certo, era il venticinquesimo giorno di digiuno, ed ero pallido, anche perché emozionato.

Playboy - ...E hanno detto che eri Nosferatu il vampiro.

Pannella - Erano tutti ritti dinanzi a me a ingiuriarmi, a maledirmi: tutto il Congresso comunista in piedi. Una scena tremenda, da anni Trenta, i processi di Mosca, le purghe. Una scena di anatema: tutti in piedi che ti ingiuriano. E' bastato dire che io sono andato al Congresso, prevedendola, con la cappa nera; e che mi sono raccolto in quella cappa in segno di sfida. E tutta la stampa italiana e internazionale ha detto che Pannella, questo grande attore, pallido (mi ero messo la cipria, probabilmente!) con la cappa, sfidava i comunisti... E la cosa più bella, per stare in pari con gli anni Trenta -ricordati che allora c'erano due assi della propaganda: Goebbels da una parte, e Beria dall'altra-, è che la maggior parte dei giornalisti mi ha visto proprio come doveva vedermi: con la cappa! Quando la cappa era il mio povero "loden". E la sfida consiste nel fatto che io mi ero alzato in piedi per un doveroso ossequio alla presidenza che era tutta in piedi. E invece si è detto che con la cappa io sfidavo tutto il mondo.

Ma lo stalinismo è così. Nel 1939 si fanno i patti per la spartizione della Polonia, Germania e Russia, e poi si va ad ammazzare Trotski, Stalin manda ad ammazzare quell'uomo vecchio, il ribelle, il nemico, che sta scrivendo in esilio e che scriverà fino all'ultimo momento. Qui si fa il "compromesso storico" e intanto ci si preoccupa di distruggere Pannella col linciaggio morale. Ma io vado avanti imperterrito.

Perché non hanno capito. Che se dovessimo dare un giudizio morale (ecco perché io laico dico che mai si danno giudizi morali, si devono sempre e solo dare giudizi politici), che cosa è moralmente più grave? Curcio che ferisce un po' di gente e può ammazzare forse mille democratici nella sua vita, o Palmiro Togliatti che giorno dopo giorno per cinque, sei anni, assiste alla tortura fisica del compagno con il quale ha dormito per trent'anni -la tortura fisica, l'autoconfessione estorta- e lui stila i comunicati per dire: costui ha confessato. E da Ercole Ercoli garantisce ai compagni la menzogna, e coloro che hanno dei dubbi li fa espellere dal partito. "Questo" è mostruoso: e a questo punto, se queste cose non le diciamo, corriamo il rischio che la sinistra ritorni a produrre e Stalin e Togliatti e l'attentato di via Rasella: e io quelle cose non le voglio, perché voglio una sinistra vincente, e quelle cose invece hanno creato una sinistra divisa e perdente nella storia.

Perciò noi siamo l'alternativa alla politica di vertice del PCI. E siccome la nostra, se fosse conosciuta, è la politica più popolare, veniamo linciati. Il TG2, servizio pubblico socialcomunista, e il GR1 neppure danno notizia dei parlamentari comunisti e socialisti che passano nelle nostre file.

Playboy - C'è anche qualcuno che ti piace, però. Nonostante il tradizionale anticlericalismo radicale, papa Wojtyla non ti rincresce. Eppure tu avevi auspicato un papa eremita che succedesse a Paolo VI.

Pannella - Certo: un uomo dalla spiritualità estrema che si ritirasse ad Avignone, oppure che andasse nelle montagne abruzzesi, come Celestino V, senza però dimettersi e fare il gran rifiuto. Questo invece è esattamente l'anti-monaco. Questo ha il carisma del condottiero. E' una via di mezzo tra Bartolomeo Colleoni, o se vuoi Giulio II, e De Gaulle. E' caracollante: non più sulla mula pontificia, ma su un bel destriero. E grida "Dio lo vuole", e raggruppa tutti: tutti in sottana, tutti in divisa, e poche storie. Lui ama la lotta in campo aperto, freme e vuole combattere, è un grosso condottiero e piace per questo.

Quindi questo papa mi è molto simpatico. Il mio slogan, molto ironico, è: "Dio ce l'ha dato, guai a chi "me" lo tocca". E un anticlericale, un cristiano come Pannella, giudica che questo Wojtyla è un antagonista su mille cose, ma che con lui si può trovare un terreno d'intesa, d'incontro. Mentre invece Paolo VI non lo prendi, non ti entra da nessuna parte. Io ritengo che papa Wojtyla può essere l'ultimo dei papi condottieri, quello grazie al quale viene sconfitto per sempre un certo neotemporalismo. E Dio sa se ne abbiamo bisogno, di sconfiggerlo, in questa Italia così indecifrabile.


Sciascia candidato nelle liste radicali: "mi ha convinto Pascal"

L'Espresso, 4 maggio 1979

Intervista del settimanale L'Espresso a Leonardo Sciascia

SOMMARIO: Leonardo Sciascia, già eletto nelle liste del Partito comunista italiano al consiglio comunale di Palermo, decide di candidarsi nelle liste del Partito Radicale. E' scandalo nel mondo degli intellettuali comunisti per i quali i radicali sono, secondo i casi, qualunquisti o fiancheggiatori dei terroristi e degli "autonomi". A tutti questi replica Sciascia nella breve intervista.

Domanda - Come e quando è maturata la sua decisione di candidarsi nelle liste del partito radicale?
Risposta - Non è propriamente maturata: è nata nel giro di un'ora e non saprei dire esattamente come. E' stata una decisione più passionale, se non addirittura emotiva che ragionata. Ciò non toglie che sia razionale. Forse quello che l'ha fatta scattare in me è stato il fatto che tutte le ragioni che mi sconsigliavano il rifiuto erano così giuste, così perfette, così sicure che improvvisamente me ne sono vergognato.
Ad un certo punto ho detto a Pannella: E' come dice il dio di Pascal: "Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato". Io non sarei così indeciso se non avessi già deciso.

D. Gli avvenimenti di queste ultime settimane - BR, caso Negri - hanno influito in qualche modo sulla sua decisione?
R. Non saprei, forse si.

D. Dal consiglio comunale di Palermo, molto probabilmente, a quello europeo di Strasburgo. Come vede questo passaggio?
R. Non ci sarà nessun passaggio. Voglio di re nel senso del mutamento. Non potrà essere che una continuazione.

D. Non teme un'accusa di qualunquismo?
R. Non l'ho mai temuta.

D. Cosa pensa dell'editoriale di Montanelli su Pannella?
R. Non ho letto l'articolo di Montanelli. La domenica di solito sto in campagna e non vedo i giornali. Mi si dice, praticamente, che invitava a votare radicale. Personalmente, io ho avuto prova dell'onestà di Montanelli riguardo al mio libro sull'affaire Moro: aveva, prima di leggerlo, manifestato una certa avversione; poi l'ha letto, e ha avuto il coraggio, di fronte ai suoi lettori, di ricredersi. Il suo consenso ai radicali, dunque, non mi da alcun disagio.

D. Cosa le piace di più o di meno di Pannella?
R. Tante cose non mi piacciono di Pannella. Per esempio, l'ho scritto anche sull'Espresso, il suo digiunare. Ma mi piace il suo modo di fare politica non da politico: che è il modo migliore di rendere politica la politica.

D. C'è chi sostiene che la sua candidatura porterà ai radicali i voti degli autonomi. Che cosa ne pensa?
R. Mi piacerebbe sapere chi lo sostiene. Forse quegli stessi che l'estate scorsa hanno raccontato a Evtuscenko che io sono uno scrittore terribilmente reazionario. Comunque: pubblico libri dal 1950, e il primo è stato un libretto di favole sulla dittatura. Sono tutti lì, per chi sa leggere: tutto un discorso contro l'intolleranza, la violenza, la pena di morte. Se i voti degli autonomi venissero ai radicali per la mia presenza, si tratterebbe di una specie di conversione di innominati, manzonianamente parlando. E non potrei che rallegrarmi.