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Cronologia del Partito Radicale -
1981

DOCUMENTI

DISERTA, SOLDATO DELLA MORTE NOTIZIE RADICALI N. 4, 4 gennaio 1981
Da "LA PELLE DEL D'URSO" 1 A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata
a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio Supplemento a NRn. 3 marzo 1981
Da "LA PELLE DEL D'URSO" 2
Da "LA PELLE DEL D'URSO" 3
Da "LA PELLE DEL D'URSO" 4
Da "LA PELLE DEL D'URSO" 5
"Prima il ricatto andava subìto ma ora il black out si può fare"
Intervista a Leonardo Sciascia, di Sandro Viola, LA REPUBBLICA, 17 gennaio 1981
Tra Craxi e Pannella non mettere il dito 
di Gianni Baget Bozzo LA REPUBBLICA, 11.02.1981
Il manifesto-appello dei premi nobel
PANNELLA E' PAZZO? FORSE. E NOI?
di Adriano Sofri LOTTA CONTINUA, 27 settembre 1981
La quota di iscrizione è giornaliera   Marco Pannella NR51, 2 marzo 1990
Firenze. L'unità vince il Congresso di Angiolo Bandinelli NR42, 15 dicembre 1981
da "Riflessioni, annotazioni" Di Marco Pannella NR42 15 dicembre 1981
Diario di un delinquente e due efferati complici  di Sandro Tessari NR 11.1982

DISERTA, SOLDATO DELLA MORTE

NOTIZIE RADICALI N. 4, 4 gennaio 1981

SOMMARIO: Nel 1981, il Partito radicale non ripropone la "Marcia di Pasqua" contro lo sterminio per fame, "per non aggiungere un altro rito a quelli che inutilmente già si compiono". In questa occasione di silenzio e d'altra parte di attività, non solo nazionale, viene pubblicato questo appello ai cittadini delle democrazie occidentali e del Nord del mondo, un appello a non essere più contribuenti, sostenitori e soldati di un "ordine" economico internazionale che produce morte e sterminio, che è di fatto un bestiale e nuovo nazismo. "Con il tuo voto, con le tue scelte, con le tue rassegnazioni e le tue abitudini, con la paralisi cui condanni la tua coscienza, tu continui a sostenere ed imporre le forze della morte, dello sterminio, della distruzione". "Anche la pace e la vita, come la guerra e la morte, possono divampare, accese da una scintilla di umana saggezza e di umana speranza. Diserta. Avviamo la nuova resistenza. Organizziamola. Con tutte le persone di pace e di buona volontà".

Con il tuo voto, con le tue scelte, con le tue rassegnazioni e le tue abitudini, con la paralisi cui condanni la tua coscienza, tu continui a sostenere ed imporci le forze della morte, dello sterminio, della distruzione.
Sei il contribuente, il sostenitore, il soldato - tu, che ora stai leggendo - di un bestiale, nuovo nazismo.
Anche i morti di via Rasella lo erano, ma non sapevano, forse, cosa fosse davvero il mondo dei nazisti. Tu sai. Tu sai che il tuo danaro, il tuo lavoro, il tuo voto sostengono una politica che ogni anno fa di una parte sempre più grande del mondo un immane campo di sterminio. Tu sai che con una sola parte delle spese in armamenti si creerebbe vita anziché morte, lavoro anziché disoccupazione, ricchezza anziché miseria.
I morti di via Rasella avevano l'attenuante di essere anch'esse vittime di una dittatura, mentre tu sei cittadino libero di una "libera" democrazia. Tu sei: "comunista", "socialista", "democratico", "liberale", e - sicuramente - "antifascista", oltre che persona civile e cristiana. Accade dunque anche questo, ed è mostruoso: il trionfo del neo-nazismo nel mondo come risultato della democrazia politica e del comunismo "post-stalinista", congiunti e concorrenti.
Tu hai l'arma del voto, della libera scelta, della politica democratica. I bilanci dello Stato sono approvati dal parlamento e dai deputati e senatori che tu hai voluto eleggere e vuoi eleggere, che ti rappresentano.
E tu voti e tu paghi nella direzione dell'olocausto di decine di milioni di esseri, colpevoli solamente di essere razza e colore diversi: o, più esattamente, d'esser le vittime di un sistema che li condanna alla miseria ed alla disoccupazione, alla fame ed alla malattia: a riprodursi solamente per offrire al nostro tempo, ogni anno, una nuova strage degli innocenti.
In queste ore, sacre per tanta parte dell'umanità, dal venerdì di passione alla Pasqua di resurrezione, saranno sterminate dalla fame e dalla miseria, saranno sterminate dalla politica degli armamenti e delle "difese", all'incirca mezzo milione di persone. E, sempre di più, ogni giorno, per tutti i giorni, i mesi, gli anni che seguiranno. Con la tua politica.
Il tasso di mortalità, quest'anno, sarà del 15% maggiore di quello del 1980.
Gli arsenali della morte rigurgitano sempre più di armi e di danaro, i granai scompaiono. Lo vuole la politica delle forze politiche, del parlamento, del governo. Lo vuole la cultura di morte che essi esprimono e servono. Lo vuole chi ci governa e chi ci rappresenta.
Ci hanno annunciato e promesso: "guerra alla guerra", "guerra alla fame per lo sviluppo", "guerra agli armamenti", ci manderanno, fra poco, dalla luna, nelle stelle: il che è bello, forse. Ma al prezzo di miliardi di assassinati, che tu continui a pagare e provocare.
Ci danno sempre più armi (con porto d'armi o senza), sempre più disoccupazione, sempre più disordine, sempre più morte, in nome della pace, della democrazia, dello sviluppo. La loro politica è folle. Sono, sicuramente, dei folli. Anche ai tempi di Mussolini, di Hitler, di Stalin, folli sembravano coloro che li accusavano - appunto - di essere folli: gli uomini di giustizia e libertà, erano - invece - questi antifascisti, gli unici saggi e ragionevoli. Come gli antifascisti di 50 anni fa occorre oggi disubbidire in nome della ragione, della giustizia, della pace, dell'ordine e della vita. O essere soldati della violenza e della barbarie.
Diserta. Una nuova resistenza ci chiama. Di nuovo ribelli per amore, partigiani della vita. Armati di nonviolenza per non ripetere gli errori di allora. Per costruire, creare vita. Vita per tutti e per togliere morte fino al nemico.
Diserta questa cultura, diserta questa politica atroce e distruttrice. Diserta, perché disertino per sempre dal terrorismo e dalla violenza della disperazione, dell'indifferenza e dall'irresponsabilità, dal suicidio, i figli, accecati dalla follia del potere e del disordine che ci opprimono.
Occorre difendere e animare la legge umana e la democrazia politica, con la nonviolenza e con la fermezza ragionevole della speranza.
Occorre che le nostre leggi mutino, nel senso della vita e della civiltà: che gli ideali di civiltà siano difesi ovunque, con intransigenza e ragionevolezza, e in ogni occasione. E, quanto, per nostro conto, da radicali, tentiamo sempre più drammaticamente di fare: feriti o resi inadeguati dalle tue scelte. Lo tentiamo con le obiezioni di coscienza, con le leggi, con i nostri referendum, con quanto stiamo facendo e ancor preparando per lottare contro la fame nel mondo, contro ogni sorte di guerra, e di violenti.
Basterebbero poche scelte, possibili, quasi facili, di politica e di governo.
Anche la pace e la vita, come la guerra e la morte, possono divampare, accese da una scintilla di umana saggezza e di umana speranza.
Diserta. Avviamo la nuova resistenza.
Organizziamola. Con tutte le persone di pace e di buona volontà. 2395


Da "LA PELLE DELL'URSO" 1

A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981

Il black-out della stampa
5 gennaio - "… Pannella tiene una conferenza stampa per illustrare la posizione del Gruppo radicale, in coincidenza con la partenza per Trani di una delegazione di parlamentari del partito al fine di procedere ai seguenti adempimenti, come è stato concordato in due precedenti riunioni, la sera del 4 gennaio nella sede di Radio Radicale e la mattina del 5 nella sede del Gruppo parlamentare: 1) accertare nell'ambito rigoroso dell'art. 67 della legge 26 luglio 1975, n. 354, le condizioni del carcere e quelle dei detenuti dopo la rivolta sedata dall'intervento dei GIS il 28 dicembre 1980; 2) rendersi interpreti, se ne fosse rilevata la necessità, delle voci dei detenuti, nel rigoroso ambito della norma citata.
"La nostra posizione è diversa'' - dice Pannella nella sua conferenza stampa - "da non violenti riteniamo che non si debba mai, in nessuna forma, collaborare o offrire omaggio di qualsiasi tipo alla violenza; di conseguenza ribadiamo che le posizioni trattativiste, come le altre cosiddette dure, di fermezza, furono i due volti della stessa politica che portò all'assassinio di Moro e che continua a provocare lo sfascio dello Stato. La democrazia è anche una questione di procedura, e sin dal primo giorno del caso Moro, ma anche da prima, noi dicemmo che il problema innanzi tutto è di rispettare le responsabilità e gli alvei costituzionali per arrivare alla formazione delle volontà politiche dello Stato e dei governi, nonché dell'amministrazione dello Stato in tutti i suoi momenti. Meno che mai, quindi, di fronte a violenze o assassini, lo Stato può eludere e cedere sulle sue leggi''.
Invece, prosegue Pannella, ``si è creata nel nostro paese una situazione mostruosa, in modo particolare attraverso le politiche di unità nazionale fra il '76 e il '79, che hanno messo sempre più duramente fuori legge lo Stato. Settori fondamentali, come quello della giustizia, lo abbiamo difeso palmo a palmo contro i rigurgiti feroci e giacobini di sfascio, che venivano in particolare assicurati grazie all'efficienza del partito comunista nel nostro Parlamento; abbiamo lottato palmo a palmo contro l'imbarbarimento ulteriore delle nostre leggi e delle nostre strutture. Alle "realpolitik" dei difensori delle leggi Reale e altre, ai difensori cossighiani e pecchioliani, strettamente uniti nel sabotaggio della riforma carceraria e di ogni altra indicazione tardiva e inadeguata nata con il centro-sinistra, noi opponemmo e opponevamo che lo Stato non avrebbe potuto che raccogliere altra violenza, e che i riflessi autoritari ed efficientistici in realtà stavano producendo lo sfascio del diritto e della giustizia''.
Pannella illustra ancora il senso del dialogo da lui proposto ("noi dialoghiamo ogni giorno, con la nostra vita, il nostro mestiere di non violenti e di parlamentari, con questo Stato, perché la legge e il diritto siano rispettati; vogliamo dialogare con le br nello stesso modo''), che in riferimento al comunicato numero 8 delle br potrebbe essere questo (illustrativo anche delle ragioni della visita di parlamentari radicali a Trani): "le br, con tale comunicato, sembrano farsi carico di un diritto, come scrisse Moro dal carcere, e credo giustamente abbia ricordato D'Urso, ed è il diritto pieno, nell'ambito del rispetto della legge e del codice penale, del detenuto, di esprimere il proprio pensiero, di manifestare le proprie idee, di informare sulle condizioni carcerarie; e questo il detenuto deve farlo, anche quando ha paura di farlo, poiché è un diritto che ha conquistato, e non una licenza che gli si elargisce. Bene, diciamo alle br, non abbiamo difficoltà, fino a prova contraria, nel credere in quello che diciamo, e i delegati radicali si fanno carico dei diritti di Trani e di Palmi".
Ed è significativo, secondo Pannella, che in realtà la decisione di una verifica nelle carceri di Trani e Palmi è venuta molto prima del comunicato numero 8 delle br, in coincidenza con la telefonata della giovane Daniela che denunciava le gravi violenze sui detenuti di Trani, durante o dopo il blitz. La visita, specificamente prospettata immediatamente dopo, rientra del resto nel programma di visita alle carceri già deciso dal Gruppo radicale. Dopo la telefonata di Daniela se ne anticipano solamente i tempi e se ne precisa la duplice finalità, come si evince chiaramente dal comunicato che annuncia la partenza per Trani della delegazione radicale: accertare se davvero i detenuti avevano subito violenze, e come, dove, quando e da chi, nonché se dopo erano stati almeno curati; conoscere dai detenuti stessi quali fossero le loro istanze in ordine ai loro diritti, di carcerati, certo, ma comunque egualmente diritti costituzionalmente sanciti, in quanto diritti umani inalienabili.
Né fa da ostacolo a questa impostazione l'insistenza delle br sulle perversità del trattamento differenziato nelle carceri, sì da apparire che questo per loro sia il punto più importante, poiché anche al riguardo, dice Pannella, i radicali hanno preceduto di parecchio le br. "Noi siamo stati sempre contrari ai trattamenti differenziati - spiega - anche perché semplicemente non capiamo come mai il Governo debba garantire unità di tempo e di spazio alle organizzazioni terroristiche, cioè organizzare direttamente le brigate in carcere".
Fra il pubblico che assiste alla conferenza stampa ci sono Paola Negri, mogli di Toni, e la moglie di Baumgartner, l'autonomo condannato con Pifano per il trasporto del missile. In particolare Paola Negri ha ricordato che suo marito è stato selvaggiamente picchiato, nonché che concordemente, gran parte della stampa, ha tentato di farlo passare come il capo o l'organizzatore della rivolta. La moglie di Baumgartner, invece, segnala che nelle carceri esiste un ambiente composito, un arco di orientamenti politici differenziato, ed anche per questo la visita dei radicali è quanto mai opportuna. Le br - dice - non possono appropriarsi della leadership di tutti i detenuti.
Analogo giudizio esprime il vicesegretario liberale Biondi, benché mantenga riserve formali, non di sostanza, sulla singolarità e sui modi sorprendenti di maturazione e formazione delle decisioni e iniziativa radicali. "I radicali - egli dice - si muovono su posizioni e con iniziative particolari, sicché non stupisce che dal loro punto di vista la provocazione obbedisca a criteri anche importanti e tali da smascherare la propaganda delle br con una contropropaganda di stampa, appunto, radicale". Egli riconosce che l'odierna iniziativa è "una specie di contropiede politico e istituzionale in un paese dove il ritardo e la stagnazione sono regole. Gli stimoli radicali possono stupire, ma come liberale non sono di quelli che si indignano". 1769


Da "LA PELLE DELL'URSO" 2

A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981

6 gennaio - "…E' nel nome di questa guerra - commenta il 6 gennaio Pannella in una intervista apparsa sul "Messaggero" - che ormai si fanno e si disfanno governi e maggioranza, si misurano successi e insuccessi, si fanno delegare parole e immagini, attraverso la televisione e i mass-media, nelle case degli italiani. E' nel nome di questa guerra e delle sue pretese esigenze che si fanno leggi e si disfanno, che si fanno e si rinnegano scelte di civiltà giuridica''. E aggiunge: ``In un mondo in cui a tre ore d'aereo da Roma stanno agonizzando, perché gli si nega il cibo, una decina di milioni di bambini e di vecchi, di donne e di uomini, in un paese in cui a tre ore di macchina da Roma sono morti in migliaia, uccisi in piccola parte dal terremoto e in grandissima parte dalla mancata difesa dal terremoto e dal mancato soccorso, in questo mondo posti al centro della Repubblica gli assassini di meno di quaranta persone nel 1980. Per quale aberrazione?''. Al rilancio dell'interrogativo da parte dell'intervistatore Pannella risponde: ``La causa profonda è che la cultura dominante, ad un tempo e per giustapposizione cattolica e comunista, ``antifascista'' e fascista, ritiene l'assassinio politico, o religioso, o bellico, ``naturale'', o a suo modo più ``nobile'' dell'assassinio occasionale o comune. Ma la causa più immediata, anche se strutturale, ormai, è nel fatto che non esiste letteralmente una "forza di governo", né forza di governo nelle ideologie e negli interessi dominanti: si governa e si sottogoverna l'esistente, consumandolo. Mentre si ignorano, si rimuovono, si censurano, da parte delle istituzioni o nelle istituzioni, le enormi realtà che si stanno formando, le scelte politiche, economiche, tecnologiche e ideali che condizioneranno per decenni la nostra vita e quella delle generazioni future, se vi saranno generazioni future. E' in questo vuoto politico che si fa il pieno, nei mass-media, di morte e di distruzione... A tutto questo urge rispondere: Basta! Vogliamo innanzi tutto governare in modo che chi assassina cento persone non abbia che il giusto posto nella cronaca nera, ma abbia posto nella cronaca nera, e non in quella delle istituzioni e del governo del paese, anche chi ne assassina migliaia o milioni. Vogliamo governare in modo che la cronaca nera abbia, in totale, uno spazio marginale rispetto alla cronaca democratica, alla cronaca fatta dalle istituzioni e dai 57 milioni di cittadini che non praticano assassini... Se non si scioglie questo nodo nulla può essere fatto. Se non si ha la capacità, la forza o l'interesse di mettere all'ordine del giorno del paese e dei governi i grandi, drammatici, problemi del nostro tempo (e non Moretti e Curcio), nulla è fattibile. Occorre comunque capire che le br e i terroristi minacciano e si affermano dove ingiustizia e tradimenti dello Stato forniscono alibi alle disperazioni e ai fanatismi, alla negazione di qualsiasi altra legge che non sia quella della giungla. Se invece di negarla e distruggerla, si fosse fatta la riforma carceraria conforme alla Costituzione e alla giustizia, all'umanità e alla ragione, se si fosse fatta la riforma degli agenti di custodia, e quella della polizia, cioè una riforma dello Stato nato negli anni del fascismo e tenuto in vita per trentacinque anni dall'antifascismo ufficiale, Moro non avrebbe scritto inutilmente le sue splendide, tragiche lettere invocanti Cesare Beccaria contro Francesco Cossiga e Ugo Pecchioli''.
Dal gruppo dei belligeranti si sono staccati in volata i repubblicani trainando la formazione verso il traguardo. ``In un solo giorno - dichiara sempre Pannella - dopo le farneticazioni cripto-fasciste di Forlani ("allusione al discorso rivolto dal Presidente del Consiglio ai carabinieri"), abbiamo ora quelle degli eredi crispini e trasformisti, i cosiddetti repubblicani. Chiedono, nei fatti, prigione a vita senza giudizio, invasione poliziesca nella responsabilità di amministrazione della giustizia, tribunali speciali appena mascherati. La storia ha poca fantasia. Così come il vecchio partito repubblicano, altrimenti nobile e vicino alle sue gloriose battaglie risorgimentali, dette un alto contributo alla formazione del regime e del partito fascista, il nuovo cerca di trovare oggi un analogo spazio di sopravvivenza. Fatto senatore a vita per meriti preistorici e pseudomilitari, il senatore Valiani, divenuto "maitre a penser" della catena giornalistica sindoniana e delle P2 ritrova oggi, con maggior successo, linfa dalle sue vecchie radici dannunziane e poi staliniste''. 1770


Da "LA PELLE DELL'URSO 3

A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981

8 gennaio - "Un comunicato del Gruppo e del Partito radicale annuncia contemporaneamente da Roma la decisione di rendere noto alle 17 dello stesso giorno un documento del ``Comitato di lotta'' dei detenuti di Trani, cioè dei detenuti delle br. ``A questo documento - aggiunge il comunicato - noi riteniamo inutile ed impossibile dare una qualsiasi risposta. Ci occupiamo di politica di diritti umani e civili. Il tragico e squallido gioco della guerra non ci interessa: riguarda purtroppo coloro che ci credono e lo proclamano, nelle carceri, nel paese e, purtroppo sempre più numerosi e prestigiosi, nelle istituzioni. Noi ripetiamo alle br: liberate D'Urso, senza condizioni! Noi ripetiamo: con chi ricatta, con chi ricatta nel modo più infame tenendo il grilletto pronto a sparare sulla nuca di una persona, non si tratta. E' un rifiuto che si deve anche a chi crede di essere forte perché può essere assassino o esserlo già stato, perché corregga questo suo tragico errore. Noi ripetiamo: è per noi titolo di onore non trattare, non aver trattato, non tollerare trattative né da parte dello Stato né di chicchessia. Le br, esse per prime lo sanno. Checché la stampa, specchio fedele del potere corrotto e corruttore ne scriva noi non abbiamo trattato la liberazione di D'Urso. Diamo atto a quanti abbiamo incontrato, cui si può riconoscere una qualsiasi rappresentanza delle br, di aver tenuto con noi un analogo atteggiamento. Con noi non hanno trattato né tentato di trattare. Per questo ripetiamo che il dialogo non solo è possibile, necessario e tentabile, ma che è forse sul punto di essere avviato, è forse già avviato. Se così è, ne rendiamo grazie ai nostri compagni assassini, bestialmente troppo legati al fascino della morte...''
``Pubblicheremo a nostre spese su quotidiani il testo del documento, come atto dovuto e corrispondente a quello dei detenuti di Palmi che, se le notizie sono esatte, sono andati oltre a quanto era lecito attendersi in base al comunicato n. 8 delle br nella direzione della vita e del dialogo, quali che siano le ragioni per le quali lo hanno fatto''.
``Noi continueremo nel nostro lavoro per la democrazia, per il diritto, per i diritti umani e civili, per le riforme delle leggi, dei codici, delle carceri, delle pene, da democratici, da parlamentari, da nonviolenti, denunciando ancora una volta l'infamia di un potere, di maggioranza e di ``opposizioni'' parlamentari che hanno negato al Parlamento e al Paese di compiere quei doveri costituzionali, che debbono poi, in qualche misura, almeno riconoscere come tali quando la violenza che è la loro regola, rischia di rivolgersi contro di loro, e di ferirli''.
Nel pomeriggio, all'ora annunciata, il documento dei detenuti di Trani viene diramato alla stampa e trasmesso da Radio Radicale." 1770


Da "LA PELLE DELL'URSO" 4

A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981

13 gennaio "… E' ovvio che sui radicali, rimasti soli, converga la violenza di una polemica senza precedenti. "Il Corriere della Sera", forse per la prima volta nella sua storia, giunge a pubblicare contro di essi, in prima pagina un corsivo riquadrato, che è il corrispondente di una interrogazione parlamentare. Eccone il testo: "Chi ha autorizzato i radicale a visitare con tanta frequenza le carceri di Trani e di Palmi? E' stato rispettato pienamente lo spirito dell'articolo 67 della legge penitenziaria? E per quale motivo il Ministro di grazia e giustizia non è intervenuto per impedirlo, come avrebbe potuto in base all'articolo 90 dello stesso?".
Le accuse si fanno più che mai esplicite, corroborate da toni di estremo livore; non incontrano nessuna remora di plausibilità, di civiltà e di pudore: sono per la capitolazione dello Stato, sono complici delle br, ne sono i portavoce. Non esitano dinanzi a smaccate speculazioni ed evidenti menzogne coperte da una inaudita guarentigia offerta dai giornali della ``fermezza'' che garantiscono tutto lo spazio alle voci d'accusa e negano il minimo spazio alle voci radicali o a quelle che suonano, direttamente o indirettamente, a loro difesa. Lo scopo è chiarissimo: chiuderli in un ghetto di criminalizzazione, disarmarli con la violenza, vietarne l'ascolto non potendone mortificare la credibilità. Sorgono voci inquietanti che serpeggiano insidiose negli anfratti di Montecitorio. Si dice che siano pronti, nel caso D'Urso venga ucciso, i mandati di cattura per complicità in sequestro e assassinio a carico dei radicali componenti la delegazione di Trani e di Palmi nonché a carico di quelli che da Radio Radicale hanno divulgato i documenti delle br e tenuto incessantemente per giorni e notti il "filo diretto" con gli ascoltatori. Voci, certo, non necessariamente rispondenti al vero ma che traducono in ogni caso una volontà di ricatto e di persecuzione minacciando una improbabile e assurda criminalizzazione giudiziaria oltre che la criminalizzazione politica.
Le accuse persecutorie, sopite al momento della liberazione del giudice D'Urso, riprenderanno fiato non molto tempo dopo, fronteggiate sempre dai radicali con la testarda coerenza della loro azione politica e con risposte esplicite sempre e comunque ignorate dalla stampa. Ne riportiamo due di Marco Pannella che, sebbene successive alla felice conclusione della vicenda D'Urso, sintetizzano felicemente i motivi della contropolemica radicale in tutto il suo percorso.
Con riferimento al PCI [ dice Pannella] : "Le sordide, immonde insinuazioni, gli anatemi e le menzogne con cui la stampa comunista sta cercando di liberarsi dei radical-brigatisti oggi come dei radical-fascisti del partito d'azione ieri per cercare in qualche modo di salvarsi imbarbarendo sempre più la vita politica, mi costringe a prendere atto che, nel partito in cui per trent'anni si sono giustificate e esaltate le più ignobili pagine del secolo, quelle naziste e comuniste, gli stermini, i processi, le invasioni, le torture, la criminalizzazione di partiti e ideologie intere, qui riflessi sono di nuovo vivi, dominanti, tentano disperatamente di mantenere nell'ignoranza e nel falso la lotta politica".
"Non a caso, ormai è il direttore del "Corriere della Sera" (e quale direttore) ad auspicare che il Ministero degli Interni, e quanto del governo deve applicarsi all'ordine pubblico, sia tenuto da comunisti quali Pajetta e Pecchioli, a dichiararlo dalle colonne di "Repubblica" che colano lacrime e pietà, di fronte alle sventure del povero Di Bella. Il compromesso storico con il mondo cattolico e clericale, voluto dagli stalinisti e da Togliatti, ha impedito il sorgere della prima repubblica in Italia. Ciò che gli epigoni impazziti e frustrati stanno ormai cercando di realizzare con il ``capitale'' (salvando Calvi, Gelli, Agnelli, la finanza massonico-repubblicana e quella clerico-sindoniana, aprendo perfino i salotti romani al tentativo di sfruttare l'azione delle br per destabilizzare ulteriormente governi e Parlamento, per giungere al governo detto Visentini; sotto la sferza degli editori dell'"Espresso" e "Repubblica", e del capofazione Scalfari), ciò che tentano di realizzare gli ambienti andreottiani, punta ad affermarsi sulle macerie, e con le macerie, della Repubblica e della democrazia. Questi apprendisti stregoni e questi personaggi non di rado uniti da una vera e propria associazione sovversiva, lavorano da prussiani, per il Re di Prussia. Cioè per un intervento alla turca".
Con riferimento al PRI: "la nota repubblicana che accusa il PR "di aver già praticato e di cercare per il futuro alleanza br" e che incita la magistratura a risolvere penalmente la vicenda radicale nel suo insieme, è, oltre che grottesca, ridicola. Se il PRI dovesse essere ritenuto responsabile dei fatti penalmente rilevanti e perseguiti cui si sono esposti da lustri i suoi dirigenti nazionali e periferici, si sarebbe già da tempo dovuto procedere al suo per associazione a delinquere. Dagli scandali (plurimi) dei petroli, con i segretari amministrativi salvati dall'ignobile Inquirente, a quelli connessi a molte vicende criminali e mafiose in Sicilia e altrove, è indubbio che solo una situazione di regime ha salvato il PRI da simile imputazione e condanna."
"Ma un fatto è certo: l'accusa ai radicali di essere alleati delle br e di ricercarne l'alleanza, è semplicemente da mentecatti che farneticano contro lo Stato dalle colonne finanziate da Sindona e compagni. Mentre quella di essere ladri, peculatori e corrotti, che elevo nei confronti della segreteria autrice del comunicato suddetto, è un'accusa già elevata da più magistrati, che per mio conto ritengo vera e ribadisco". 1770


Da "LA PELLE DELL'URSO" 5

A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981

14 gennaio - "… Abbiamo conquistato una vita - dice subito Pannella - è un giorno fausto per tutti, per tutti senza eccezione. Non abbiamo vinto ma convinto. Lo Stato non ha trattato, questa volta nemmeno con i Viglione, fino a prova del contrario. La legge non è stata violata, né contrattata. Nessuno ha ceduto nulla a nessuno. L'onestà intellettuale di qualche giornale, ultimi e primi "Il Messaggero" e "Il Secolo XIX", ha salvato anche l'immagine di una stampa che si è rivelata dominata dal partito della forca, che riunisce ormai, per la seconda repubblica, borbonici, giacobini e mestatori internazionali".
"Si stava tentando un vero e proprio golpe legale. In attesa di un cadavere, che doveva esser dato in olocausto, si stavano facendo appello perfino al Presidente della Repubblica".
"Con D'Urso vivo, la rabbia stalinista e fascista resta scoperta. Il fantasma ha preso corpo. Lo sconfiggeremo. Nelle istituzioni e nel paese. E ora si torni al regime, agli scandali del regime: questa volta le br non hanno potuto funzionare. Si raccolgano, ora, subito, le firme per l'incriminazione di Gioia, e si richiami in servizio il generale Lo Prete, per accusarlo di alto tradimento. I radicali sottolineano con gioia che ha vinto il dialogo, contro la trattativa, la fermezza e il potere. Mi si è chiesto cosa fosse il dialogo: è questo. Un atto di umanità in luogo di un assassinio".
Il fronte della fermezza è indubbiamente spiazzato. Vi pone riparo "Repubblica" che paradossalmente e in modo maldestro rivendica alla linea dura qualche merito di aver contribuito alla liberazione del magistrato. E ne chiede un grato riconoscimento tenendo fermo tuttavia il giudizio di demerito per quelli che hanno ``ceduto''. La protervia di tale giudizio, e l'ovvio bisogno di mitigare in qualche modo la smentita che alla linea dura dei giornali della ``fermezza'' oppure clamorosamente la sopravvivenza del magistrato, le cui condizioni sono state così evidentemente determinate dal ``cedimento'' della stampa ``capitolarda'', questa protervia difensiva avrà un riflesso in sede parlamentare, dove i repubblicani, con l'appoggio dei comunisti, tenteranno senza successo di proporre un o.d.g. di "riconoscimento" a favore dei giornali del black-out. …" 1770
… "da Almirante a Valiani, da Scalfari a Berlinguer il partito della forca, il partito dei giacobini e dei borbonici si è ricostituito, e ha bisogno, come il fascismo di allora, di inventare, creare, nutrire il caos, di sfornare e far sfornare cadaveri per legittimare il nuovo ``fascio'' delle forze sane e salvatrici dell'ordine.
"Solamente per questo gli assassini di non più di trenta persone in un anno sono stato posti al centro della vita del paese, della vita dello Stato. Per questo, esplicitamente, si è detto e scritto che D'Urso, ormai, serve come martire e vittima, e che si ha il dovere di non far altro che lasciarlo al suo destino. Per questo, in primo luogo Rizzoli, ha smentito in modo clamorosamente, dinanzi alla vita o alla morte di D'Urso, ogni sua prassi precedente".
"Comunisti e fascisti, un certo mondo finanziario e capitalistico internazionale, forze della P2, sindoniane, mafiose, puntano alla seconda Repubblica, al golpe strisciante che già stanno realizzando, anche con appelli espliciti al Presidente della Repubblica. Speriamo che sia la follia di un momento e che tutto questo non duri quanto la la follia delle unità nazionali che portarono lo Stato in ginocchio dinanzi al terrorismo ed allo sfascio". 1770
… "Lo scontro si ripropone a liberazione D'Urso avvenuta ed è sempre Pannella a fronteggiare ``le reazioni invereconde e scomposte'' che seguono al rilascio del magistrato e che ``provano molto di più di quanto si era intuito e temuto''. "D'Urso - dice Pannella - serviva cadavere. Gli appelli martellanti al Presidente della Repubblica che venivano da due gruppi editoriali (quello sindoniano e quello che è giunto fino a pubblicare le autointerviste delle brigate rosse e i verbali degli immondi processi dei terroristi), perché intervenisse in modo straordinario nella vita delle istituzioni, non hanno questa volta potuto contare sull'infamia degli assassini. E hanno perso.
"Scalfari e Valiani, oggi, sono eloquenti. Il senatore a vita, catapultato per un errore che può rivelarsi gravissimo nella vita delle istituzioni, chiede oggi a gran voce la costituzione, in Italia, del Tribunale speciale, a somiglianza di quella Corte di Sicurezza francese che tutte le forze democratiche francesi denunciano, ormai, come intollerabile offesa alla giustizia ed alla Repubblica. Scalfari, come impazzito, mostra che il governo al quale puntava doveva aver poteri straordinari e dittatoriali contro l'opposizione radicale".
"Se non ci si intende censurare, il mio pensiero si sintetizza dunque in questo modo: Il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando un vero golpe. Per questo, come il fascismo nel '21, ha bisogno di cadaveri. Ma questa volta, al contrario di quanto è accaduto con Moro, è stato provvisoriamente battuto. Per una volta, le br non sono servite". 1770 …
"Ci chiediamo: avrebbe avuto questa felice conclusione la sua avventura senza l'azione svolta dai radicali? Sarebbe sopravvissuto senza l'iniziativa testarda di chi ha posto il rispetto della vita di un uomo al di sopra di ogni rischio, di ogni tornaconto, di ogni strumentalizzazione? Sarebbe tornato senza l'ostinata presunzione dei radicali di portare su terreno scoperto il gioco delle responsabilità e il confronto dei convincimenti, la coscienza dei fini e il calcolo degli infingimenti, la lettura spietata delle strategie e delle manovre? Sarebbe andata come è andata se un gruppo di ``cialtroni'', di ``avventurieri'', di ``demagoghi'', di ``destabilizzatori'', di ``complici'' non avessero investito nell'azione politica i loro pregi e i loro difetti, i loro vizi e le loro virtù? Dei difetti e dei vizi soprattutto essi si fanno carico rivendicandoli come segno delle loro diversità, ``incomprensibili'' certo, ma solo perché respinge ciò che essa significa e configura: alternativa di scelte, di contenuti, di metodi, di cultura. 1770


"Prima il ricatto andava subito ma ora il black out si può fare"

Intervista a Leonardo Sciascia, di Sandro Viola, LA REPUBBLICA, 17 gennaio 1981

ROMA - Sebbene conosca, in queste prime giornate della liberazione di Giovanni D'Urso, un affievolimento, la polemica non è certo esaurita. Si doveva o no trattare con le Br? Chi ha avuto ragione: i giornali che si sono rifiutati di pubblicare i documenti dei terroristi, o i giornali che li hanno pubblicati? Sembra niente, quasi una discussione sul sesso degli angeli mentre tutt'attorno rovinano i pilastri dell'edificio nazionale. E invece (almeno per chi non crede alla fine della Repubblica) non si tratta d'una esercitazione retorica. L'attacco terrorista si ripeterà, su questo ci sono pochi dubbi: e allora è utile fare un bilancio dei comportamenti di questi giorni, cercare di capire sin da adesso come si comporteranno, domani, gli attori sulla scena.
Ad un giornale come "Repubblica", che crede nella necessità di respingere recisamente il ricatto dei terroristi (e che manterrà inalterata, in futuro, questa posizione), compete l'obbligo di dare ai propri lettori l'opinione degli "altri": di coloro cioè che nei giorni del sequestro D'Urso lanciavano appelli alle Br, premevano sui giornali perchè si decidessero a pubblicare i testi brigatisti, reclamavano la priorità dei principi umanitari su ogni altra logica o opportunità politica. Ma a chi rivolgersi nel composito, esagitato - e spesso gravemente intimidatorio - "fronte della trattativa"? Non potevamo certo rivolgerci a Pannella e ai pannelliani, che ci chiamano "il partito della forca, della morte, del golpe". Qui ogni possibilità di dialogo sembra ormai chiusa. Abbiamo scelto allora Leonardo Sciascia: non solo per il suo prestigio intellettuale, ma anche perchè - pur attorniato da gente che lanciava accuse pazzesche contro chi non condivideva le loro scelte - lo scrittore siciliano ha mantenuto nella vicenda atteggiamenti più riflessivi.

Domanda: Questa nostra conversazione, onorevole Sciascia, può svolgersi, per fortuna, nelle condizioni migliori. D'Urso è vivo, infatti, e restituito alla sua famiglia. Pensiamo quindi che questo ci consenta di discutere con tutta obiettività, senza soprassalti emotivi, il problema dei due "fronti". Intanto, che cosa ne pensa delle definizioni correnti: fronte della fermezza e fronte della flessibilità, della trattativa e della non trattativa? E poi: può riassumere la posizione sua e dei radicali, o, se esistono delle differenze, la posizione di Sciascia e quella dei radicali?

Sciascia: "Queste definizioni della fermezza o della trattativa, del cedimento o del non cedimento, sono in realtà parecchio approssimative. La verità è che esistono molte posizioni intermedie, e intermedia è anche la mia posizione personale. Devo ricordare che durante il caso Moro io non volli firmare l'appello di "Lotta continua" per una trattativa con le Br. Dunque io non avevo, allora, proposto cedimenti di sorta. Rimproveravo soltanto al governo del tempo il fatto che subito dopo il rapimento di Moro (e prima ancora che le Br avanzassero un qualsiasi ricatto) era stata chiusa la porta in maniera irrevocabile a qualsiasi trattativa. Pensavo allora che il governo non dovesse dichiarare nulla, neppure la fermezza, in quanto la fermezza doveva essere implicita nella sua funzione di governo. Esso avrebbe dovuto invece, non pronunciandosi, tenere mano al gioco di Moro, che era quello di guadagnar tempo così da fare in modo che la polizia lo trovasse. Perché questo è il punto essenziale della mia posizione d'allora: e cioè la convinzione che la salvezza di Moro potesse venire soltanto da un'azione di polizia ben riuscita.

"NON PREDICO LA POLITICA DEI CEDIMENTI"

"Quando le Br hanno sequestrato D'Urso, la storia m'è apparsa subito diversa. Ho avuto l'impressione che le Br si sarebbero mosse in una logica differente da quella del caso Moro. Che avessero capito, cioè, che per loro era più vantaggioso lasciare D'Urso vivo. Di conseguenza, ho pensato che una minima risposta alle loro richieste poteva accelerare, rendere attuabile la loro intenzione di partenza. Ecco, serenamente non credo che la salvezza di D'Urso si debba - se non in minima parte - agli appelli lanciati da me o da altri. Credo che essa facesse parte del piano delle Br.
"Quanto alle differenze tra me e i partito radicale, direi che per il Pr è difficile parlare di 'partito'. Siamo diciannove parlamentare eletti nelle liste radicali, e quello che ci ha unito nei giorni scorsi era la volontà di salvare la vita di Giovanni D'Urso. Per il resto, ognuno di noi ha valutazioni e comportamenti diversi".

Domanda: Lei ha insomma creduto che alle Br fosse dovuta una pur "minima risposta". La nostra posizione è diversa. Noi consideriamo che lo Stato repubblicano versa in condizioni d'estrema debolezza, e questo non certo per colpa delle forze politiche alle quali negli anni siamo stati vicini, ma essenzialmente per colpa del sistema di potere democristiano. Concordavamo, infatti, col suo apologo del 1978. Ricorda? Un ufficiale della Gestapo mostrava a Picasso una riproduzione del quadro "Guernica" (in cui era descritto l'orrore d'uno dei primi bombardamenti a tappeto dell'aviazione tedesca), e diceva complimentoso: "Questo l'ha fatto lei". Ma Picasso, secco, aveva risposto: "No, questo lo avete fatto voi". Concordavamo cioè col senso di quest'apologo, col giudizio secondo cui l'Italia del terrorismo è un fenomeno in buona parte imputabile al governo della Dc. Ma qui le nostre posizioni divergono. Noi crediamo che trovandosi la Repubblica in condizioni tanto debilitate, dare ulteriori prove di cedimento subendo le imposizioni del "partito armato" equivarrebbe a decretare la fine delle istituzioni. Non solo: ma equivarrebbe ad esporsi ad altri ricatti; a ritrovarsi ogni volta di fronte al dilemma "salvare una vita o aprire nuovi varchi al progetto terrorista"; a dover ogni volta essere costretti ad esercitare un diritto di grazia o di morte. Che cosa c'è secondo lei di "inumano", di politicamente pericoloso (come si continua a dire nel suo partito) in questa posizione?

Sciascia: "Prima di tutto vorrei chiarire che io non predico la politica dei cedimenti. In una recente intervista all' "Espresso", dicevo che con la chiusura dell'Asinara il governo non aveva fatto altro che adempiere (sia pure in un momento sbagliato, che poteva far pensare ad un cedimento) ad un dettato costituzionale. Ma aggiungevo che, presa la decisione dell'Asinara, il governo aveva altre risposte da dare alle Br; nè io mi sentivo di chiedere ulteriori concessioni.
"Veniamo ora al "black-out" dei giornali sui documenti delle Br. Bene, voglio dire che non ho nulla - in linea di principio - contro questo tipo di silenzi. Solo che la regola andava stabilita prima che avvenisse il sequestro D'Urso, oppure va stabilita adesso in previsione di altri sequestri. Questo va fatto: stabilire la regola del "black-out" per il futuro, e osservarla nella maniera più recisa da oggi in poi. Ma nel momento del sequestro D'Urso, era differente. I giornali non essendo il governo, non essendo lo Stato, essendo anzi un fatto privato, dovevano sentire la necessità di subire il ricatto per salvare la vita d'un uomo".

"CI SAREBBE BISOGNO DEI COMUNISTI"

Domanda: Che vuoi dire che i giornali sono "un fatto privato"? Quante volte i cittadini hanno dovuto surrogare da sè stessi le funzioni d'uno Stato o troppo debole o addirittura scomparso? Non fu certo lo Stato dei re e di Badoglio ad organizzare la Resistenza: furono, appunto, i cittadini.

Sciascia: "Il mio punto di vista è che non si può scegliere la morte di altri. Se le Br dicessero 'Se non fai questa cosa ti ammazzo', io posso scegliere di non farla. Ma se mi dicono 'Se fai questa cosa ammazzo il tuo vicino di casa', allora subisco il ricatto. Capisco che questa è una posizione quasi religiosa, piuttosto che politica. Però resto convinto che ogni giornalista avrebbe dovuto porsi il problema in questi termini".

Domanda: Intanto, questa divisione dei due "fronti" ha accentuato le altre divisioni del paese. E le Br ne sono, purtroppo, consapevoli: "La campagna D'Urso", hanno scritto, "ha messo a nudo tutta la debolezza politica di questo regime, ha scompaginato i patti d'omertà e complicità tra forze politiche, magistratura, stampa...". Lasciamo stare il linguaggio, le "omertà" e "complicità", ma certo nel paese è intervenuta un'altra spaccatura.

Sciascia: "La spaccatura sarebbe avvenuta in ogni caso. Il fatto è che le Br sono oggi una forza parlamentare, in quanto non fanno che evidenziare quelle incomunicabilità e quelle rotture che già esistono. C'è una maggioranza divisa, c'è una sinistra divisa, e questo a prescindere dalla Br...".

Domanda: Ma il profilarsi d'una minaccia simile, le Br che condizionano la vita politica del paese, non dovrebbe spingere ad uno sforzo d'unità?

Sciascia: "Certo, certo. Ma a quale tipo d'unità? Una unità come quella che s'era profilata nel '78, che consisteva nel governare tutti assieme lasciando fuori soltanto i fascisti, è proprio quel che vogliono le Br. Contro lo sfondo d'una simile situazione, esse potrebbero infatti assumersi il ruolo dell'opposizione. Mentre il modo di emarginare il 'partito armato', di neutralizzarlo, è quello di creare una situazione in cui tutti i mali vengano messi a nudo, in cui tutte le persone che devono andare in galera ci vadano, e cioè affrontando sul serio e senza doppiezze la questione morale".

Domanda: Ma un'operazione del genere si può tentare soltanto con l'appoggio dei comunisti, e non risulta che il suo partito si stia battendo per la partecipazione del Pci al governo.

Sciascia: "E' evidente che ci sarebbe bisogno dell'apporto del Pci. Ma per il momento, del Pci come forza d'opposizione. In questo consiste la vera solidarietà nazionale. In una collaborazione del Pci dal di fuori del governo, nella funzione di controllo che dovrebbe esercitare, nell'incentivo da fornire a quella parte della sinistra che sta al governo, e cioè il partito socialista. Questo, ripeto, nella fase attuale. Mentre un domani, alle prossime elezioni, si potrebbe avere una sinistra unita che va finalmente al potere ...".

Domanda: Senta, onorevole Sciascia: lei sa che cosa stanno dicendo i mezzi d'informazione del suo partito a proposito dei giornali che si sono rifiutati di pubblicare i documenti delle Br. E allora le chiedo: ha un giudizio da dare sulle etichette che ci vengono incollare dagli esponenti radicali, quando veniamo definiti "partito della forca, della morte, del golpe"? Ha un giudizio da dare sull'appello di radio radicale con cui s'invitavano gli ascoltatori a telefonarci per condannare la nostra posizione, telefonate che si sono risolte (come chiunque, a radio radicale, poteva prevedere) nell'accusa d'essere noi gli eventuali "assassini" di D'Urso? Che giudizio può dare sul fatto che Pannella stia indicando direttamente, per nome, alcuni giornalisti come soli responsabili del rifiuto ad una qualche forma di dialogo con le Br, esponendoli così (inconsapevolmente speriamo) al mirino terrorista?

"RINASCONO ANTICHE INTOLLERANZE"

Sciascia: "Devo ammettere che in questi giorni l'atmosfera s'è molto arroventata, rigenerando antiche intolleranze. Mi ha impressionato, per esempio, che i giornali abbiano attribuito all'infamia di Pannella la lettura del comunicato delle Br da parte della figlia di D'Urso, in televisione. Posso dire che Pannella non c'entra per nulla, che s'è trattato d'una decisione della famiglia. Il Pr ha offerto lo spazio televisivo a sua disposizione, e i D'Urso hanno deciso di far parlare la ragazza.
Per quanto mi riguarda, ritengo che i milioni di telespettatori che hanno visto quella ragazzina leggere il comunicato in cui si dava del 'boia' a suo padre, hanno segnato nel loro cuore la fine delle Br. I giornali l'hanno preso invece come un'accusa rivolta a loro: il che poteva anche essere, in una certa misura, ma il fine era un altro, non un fine polemico. Ora, in presenza di queste accuse a Pannella, mi sembra di poter giustificare anche certe sue risposte.
Quanto a me, io ho cercato di mantenere un linguaggio e uno stile assolutamente rispettosi delle opinioni altrui. Ed una cosa è certa: se D'Urso fosse stato ucciso, non mi sarei mai sognato di dire che la colpa era dei giornalisti che avevano mantenuto il "black-out".


Tra Craxi e Pannella non mettere il dito

di Gianni Baget Bozzo LA REPUBBLICA, 11 febbraio 1981

La decisione della Corte Costituzionale di escludere la parte maggiore e migliore dei referendum proposti dai radicali è una scelta grave. Essa colpisce l'istituto del referendum, che ha svolto nella dinamica politica dell'Italia degli anni '70 un ruolo assai maggiore di quello previsto dalla Costituzione.
In questi anni una crisi profonda di estraneità allo Stato ed alle sue istituzioni si è abbattuta sul paese. Il regime democristiano è uno specifico italiano della crisi, ma l'ingovernabilità è il problema comune di tutte le società sviluppate, con la sola eccezione del Giappone felice che vince sonoramente la guerra perduta. Lo è anche delle società dell'Est che sono costrette a mantenersi entro schemi rigidi non solo dalle loro insufficienze economiche ma anche da una crisi culturale che è la stessa dell'Occidente, che dissocia la persona e le istituzioni, separa la società dallo Stato.
Il referendum è stata una risposta italiana originale alla crisi, la grande invenzione radicale: rispondere alla disaffezione verso la democrazia rappresentativa mediante l'esercizio della democrazia diretta. Ed è il referendum che, in tema di divorzio, ha registrato la prima grande crisi istituzionale, la più imprevedibile in Italia: quella della famiglia.
L'altra risposta specifica italiana, anche se diffusa fuori d'Italia, è stata la violenza: quella terroristica e quella non terroristica, quella rivoluzionaria e quella corporativa, quella delle bande e quella delle mafie.
I dieci referendum radicali proponevano la figura del messaggio non violento. Nella pressoché totale latitanza delle chiese, i radicali offrivano un'alternativa politica che era anche un'alternativa morale e civile: la partecipazione al posto della disperazione e del rifiuto, il voto diverso dal sistema al posto del rigetto violento del sistema.
Si potrà dire che questo messaggio è tenue, ma non ne conosciamo al presente altro più efficace. Esso sta pervadendo di sé, nonostante l'antipatia per i radicali a causa delle forme graffianti e vistose della loro differenza, anche la sinistra storica, nella sua base come nei suoi quadri. Il messaggio radicale opera nelle zone di confine tra la violenza e la non-violenza: e solo orologi fermatisi al tempo di Giolitti possono misurare i due tempi come se fossero uno solo, e vedere nel partito radicale una sorta di volto politico del terrorismo.
I dieci referendum miravano a creare un clima di partecipazione e d'impegno politico, cioè a ritrovare la fiducia civile al di sopra della crisi congiunta dell'amministrazione pubblica e dei partiti. Temi come la caccia, le centrali nucleari, i reati di opinione, le droghe leggere investivano quei problemi del morale e del civile che danno oggi la maggior densità umana al politico. Perfino il referendum, un po' singolare, sulla smilitarizzazione della Guardia di Finanza acquistava un suo senso proprio dopo che lo scandalo dei petroli aveva rivelato il pessimo uso che si poteva fare, in materia tanto delicata quanto la fiscale, della disciplina militare.
Insomma, i dieci referendum costituivano un tutto unico ed erano proprio quelli più carichi di dinamica e di attualità che davano senso al tutto. Ma sono stati essi quelli tolti di mezzo.
Non conosciamo gli argomenti giuridici della Corte e sappiamo del resto che l'esegesi giuridica non è mai logicamente incontrovertibile. Ma non dubitiamo dell'istinto politico della Corte: essa ha selezionato, come giustamente ha notato su questo colonne Rodotà, proprio i referendum che davano significanza politica al tutto.
Con ciò la Corte ha rivelato la sua fisionomia politica: la proposta Rodotà di rendere pubbliche le divisioni che in essa si verificano, implica la presa d'atto di questa natura della Corte. Ma apre al tempo stesso una discussione sulla sua figura, in un ordinamento in cui la politicità si legittima con la democrazia e dà come regola il consenso popolare.
La consultazione referendaria rischia ora di cambiare segno politico e di essere dominata dai referendum sull'aborto: un argomento non entusiasmante per nessuno e che è quindi, al livello in cui ci troviamo, nutrito di passioni artificiali.
Referendum così svincolati dal loro contesto come quelli sui tribunali militari o sul porto d'armi o sul medesimo decreto Cossiga, da cui però è stato escluso il fermo di polizia, saranno vissuti più come un appello tacito alla maggioranza silenziosa che come una vera apertura di dibattito sulle stesse questioni che la maggioranza silenziosa pone.
Sconfitti i tavolini radicali sono comparsi, segni dei tempi, i tavolini missini per la pena di morte. I referendum radicali offrono ora a questi tavolini l'occasione di trasformarsi in pulpiti. Questo clima referendario incide sulla campagna elettorale amministrativa, vista la concomitanza delle due consultazioni. E questa combinazione dovrebbe impensierire i socialisti.
Avendo scelta la vita del referendum come via principale della loro figura politica, i radicali, con una coerenza che era sembrata perfino eccessiva, avevano scelto, nell'ultima tornata, di disertare le urne amministrative. Era una decisione rara, in un paese dove i partiti non rinunciano né ad un seggio né ad un voto. Dell'astensione radicale, i socialisti avevano beneficiato, e, in cambio, avevano offerto il loro patrocinio politico ai referendum. Questo patrocinio sembra ora essere stato modesto, ed i radicali accusano addirittura i socialisti di essere stati discreti sostenitori del rigetto dei migliori referendum.
Questo dibattito forse continuerà: sta il fatto che i socialisti non hanno criticato la decisione della Corte ed hanno perfino espresso la solidarietà al suo presidente. Non si tratta ovviamente qui di questioni personali ma di questioni politiche. Il rischio è che, mentre l'intesa tra socialisti e radicali era stata un elemento significativo delle precedenti elezioni amministrative, la polemica tra socialisti e radicali sarà una caratteristica della prossima consultazione: assieme alla polemica tra socialisti e comunisti. Del resto, il contenzioso tra socialisti e repubblicani sul caso D'Urso è stato troppo vistoso per non avere eco elettorale e per non continuare, come tuttora accade, ad alimentare la polemica politica.
Il risultato paradossale è che i migliori amici dei socialisti sembrano divenuti i democristiani del preambolo, cioè proprio quelli cui i socialisti vorrebbero togliere la presidenza del Consiglio. L'isolamento dei socialisti può essere splendido, perché si accompagna ad un vorticoso ricambio delle alleanze. Ma è forse proprio questo equilibrio instabile del Psi la premessa immediata al rischio di nuove
elezioni. 4218


Il manifesto-appello dei Premi Nobel

SOMMARIO: Il 24 giugno 1981, su iniziativa del Partito radicale, veniva diffuso nelle maggiori capitali dell'Occidente un documento contro lo sterminio per fame sottoscritto da decine di Premi Nobel. Era la risposta degli uomini di scienza all'indifferenza dei governi, dei mass media e dei singoli alle spaventose cifre che annunciavano la sicura morte di milioni di persone per fame nel Sud del mondo. Il Manifesto indicava con precisione cosa fare per porre fine all'olocausto dei nostri giorni. Attuare gli obiettivi del Manifesto, salvare dalla morte per fame il maggior numero di persone, divenne l'impegno prioritario del Partito radicale.


Noi sottoscritti, donne e uomini di scienza, di lettere, di pace, diversi per religione, storia, cultura, premiati perché ricerchiamo, onoriamo e celebriamo verità nella vita e vita nella verità, perché le nostre opere siano testimonianza universale di dialogo, di fraternità e di civiltà comune nella pace e nel progresso, noi sottoscritti rivolgiamo un appello a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà, ai potenti ed agli umili, nelle loro diverse responsabilità, perché decine di milioni di agonizzanti per fame e sottosviluppo, vittime del disordine politico ed economico internazionale oggi imperante, siano resi alla vita.
Un olocausto senza precedenti, il cui orrore comprende in un solo anno tutto l'orrore degli stermini che le nostre generazioni conobbero nella prima metà del secolo, è oggi in corso e dilata sempre più, ogni attimo che passa, il perimetro della barbarie e della morte, nel mondo non meno che nelle nostre coscienze.
Tutti coloro che constatano, annunciano e combattono questo olocausto sono unanimi nel definire come innanzitutto politica la causa di questa tragedia.
Occorre quindi una nuova volontà politica e un nuovo specifico organizzarsi di questa volontà, che siano direttamente e manifestamente volti - con assoluta priorità - a superare le cause di questa tragedia e a scongiurarne subito gli effetti.
Occorre che un metodo ed una procedura adeguati, fra i tanti esistenti o immaginabili, vengano subito prescelti o elaborati ed attuati; occorre che un sistema di progetti convergenti e corrispondenti alla pluralità delle forze, delle responsabilità, delle coscienze li sostanzi.
Occorre che le massime autorità internazionali, occorre che gli Stati, occorre che i popoli - troppo spesso tenuti all'oscuro della realizzabilità piena di una politica di vita e di salvezza - così come già chiedono, angosciate, alcune tra le massime autorità spirituali della terra, operino unendosi o uniti nell'operare, con obiettivi puntuali, certi e adeguati perché venga attaccata, colpita e vinta, nelle sue sedi diverse, la morte che incalza, dilaga, condanna ormai una grande parte dell'umanità.
Occorre ribellarsi contro il falso realismo che induce a rassegnarsi come ad una fatalità a quel che invece appartiene alla responsabilità della politica ed al "disordine stabilito".
Occorre realisticamente lottare perché il possibile sia realizzato e non consumato, forse per sempre.
Occorre che si convertano in positivo sia quegli assistenzialismi che danno soprattutto buona coscienza a buon mercato e che non salvano coloro cui si rivolgono, sia quelle crudeli e infeconde utopie che sacrificano gli uomini di oggi in nome di un progetto d'uomo e la società di oggi in nome di un progetto di società.
Occorre che i cittadini e i responsabili politici scelgano e votino, ai rispettivi livelli, elettorali o parlamentari, governativi o internazionali, nuove leggi, nuovi bilanci, nuovi progetti e nuove iniziative che immediatamente siano volti a salvare miliardi di uomini dalla malnutrizione e dal sottosviluppo, e centinaia di milioni, per ogni generazione, dalla morte per fame.
Occorre che tutti e ciascuno diano valore di legge alla salvezza dei vivi, al non uccidere, e al non sterminare, nemmeno per inerzia, nemmeno per omissione, nemmeno per indifferenza.
Se i potenti della terra sono responsabili, essi non sono gli unici.
Se gli inermi non si rassegneranno ad essere inerti, se dichiareranno sempre più numerosi di non obbedire ad altra legge che a quella, fondamentale, dei diritti degli uomini e delle genti, che è in primo luogo Diritto, e diritto alla vita; se gli inermi andranno organizzandosi usando le loro poche ma durature armi - quelle della democrazia politica e le grandi azioni nonviolente ``gandhiane'' prefiggendosi e imponendo scelte ed obiettivi di volta in volta limitati ed adeguati; se questo accadesse, sarebbe certo, così come oggi è certamente possibile, che il nostro tempo non sia quello della catastrofe.
Il nostro sapere non può consistere nel contemplare, inerti e irresponsabili, l'orrida fine che incombe.
Il nostro sapere, che ci dice che l'umanità intera è essa stessa e sempre più in pericolo di morte, non può che essere scienza della speranza e della salvezza, sostanza delle cose da noi tutti credute e sperate.
Se i mezzi di informazione, se i potenti che hanno voluto onorarci per i riconoscimenti dei quali siamo stati insigniti, vorranno ascoltare e far ascoltare anche in questa occasione la nostra voce e l'opera nostra e di quanti in queste settimane stanno operando nel mondo nella stessa direzione, se le donne e gli uomini, se le genti sapranno, se saranno informati, noi non dubitiamo che il futuro potrà essere diverso da quello che incombe e sembra segnato per tutti e nel mondo intero.
Ma solo in questo caso.
Occorre subito scegliere, agire, creare, vivere, fare vivere.

Il Manifesto-Appello è stato sottoscritto dai Premi Nobel:

Vincente Aleixandre Letteratura 1977 - Hannes Alfven Fisica 1970 - American Friends Service Committee Pace 1947 - Philip Anderson Fisica 1977 - Christian Anfinsen Chimica 1972 - Kenneth Arrow Economia 1972 - Julius Axelrod Medicina 1970 - David Baltimore Medicina 1975 - Samuel Beckett Letteratura 1969 - J. Georg Bednorz Fisica 1987 - Saul Bellow Letteratura 1976 - Baruj Benacerraf Medicina 1980 - Gerd Binning Fisica 1986 - Baruch S. Blumberg Medicina 1976 - Heinrich Boll Letteratura 1972 - Norman E. Borlaug Pace 1970 - Daniel Bovet Medicina 1957 - Willy Brandt Pace 1971 - Joseph Brodsky Letteratura 1987 - Bureau International de la Paix Pace 1970 - Elias Canetti Letteratura 1981 - Owen Chamberlain Fisica 1959 - Subrahmanyan Chandrasekhar Fisica 1983 - Stanley Cohen Medicina 1986 - Mairead Corrigan Pace 1976 - André Cournand Medicina 1956 - Jean Dausset Medicina 1980 - Gérard Debreu Economia 1983 - John Carew Eccles Medicina 1963 - Odysseus Elytis Letteratura 1979 - Ernst Otto Fischer Chimica 1973 - Paul John Flory Chimica 1974 - William A. Flowler Fisica 1983 - Alfonso G. Robles Pace 1982 - Sheldon L. Glashow Fisica 1979 - William Golding Letteratura 1983 - Ragnar Granit Medicina 1967 - Roger Guillemin Medicina 1977 - Haldan Keffer Fisica 1964 - Hartline Medicina 1967 - Odd Hassel Chimica 1969 - Dudley Hershbach Chimica 1986 - Gerhard Herzberg Chimica 1971 - Dorothy Hodgkin Fisica 1979 - Robert Hogfsadter Chimica 1964 - David Hubel Medicina 1981 - François Jacob Medicina 1965 - Brian Josephson Fisica 1973 - Alfred Kastler Fisica 1966 - Lawrence R. Klein Economia 1980 - Georges Kohler Medicina 1984 - Polykarp Kusch Fisica 1955 - Yuan Tseh Lee Chimica 1986 - Jean Marie Lehn Chimica 1987 - Rita Levi Montalcini Medicina 1986 - Wassily Leontief Economia 1973 - Salvador Luria Medicina 1969 - André Lwoff Medicina 1965 - Sean Mc Bride Pace 1974 - Cweslaw Milosz Letteratura 1980 - César Milstein Medicina 1984 - Franco Modigliani Economia 1985 - Eugenio Montale Letteratura 1975 - Rudolf Massbauer Fisica 1961 - Nevill Mott Fisica 1977 - Gunnar Myrdal Economia 1974 - Daniel Nathans Medicina 1978 - Louis Neel Fisica 1970 - Marshall Nirenberg Medicina 1968 - Philip Noel-Baker Pace 1959 - Severo Ochoa Medicina 1959 - Linus Pauling Chimica 1954 e - Pace 1962 - Arno Penzias Fisica 1978 - Adolfo P. Esquivel Pace 1980 - John Polanyi Chimica 1986 - Rodney R. Porter Medicina 1972 - Ilya Prigogine Chimica 1977 - Quaker Peace and Service Pace 1947 - Isidor Isaac Rabi Fisica 1944 - Tadeus Reichstein Medicina 1950 - Burton Richter Fisica 1976 - Heini Rohrer Fisica 1986 - Carlo Rubbia Fisica 1984 - Martin Ryle Fisica 1974 - Anwar El Sadat Pace 1978 - Andrei D. Sacharov Pace 1975 - Abdus Salam Fisica 1979 - Frederik Sanger Chimica 1958 e 1980 - Arthur Schawlow Fisica 1981 - Jaroslav Seifert Letteratura 1984 - Kai Siegbahn Fisica 1981 - Claude Simon Letteratura 1985 - Robert M. Solow Economia 1987 - Albert Szent Gyorgy Medicina 1937 - Henry Taube Chimica 1983 - Hugo Theorell Medicina 1955 - Jan Tinbergen Economia 1969 - Nikolaas Tinbergen Medicina 1973 - Sir Alexander Todd Chimica 1957 - Susumu Tonegawa Medicina 1987 - Charles Hard Townes Fisica 1964 - Desmond Tutu Pace 1984 - Simon Van Der Meer Fisica 1984 - Ulf von Euler Medicina 1970 - George Wald Medicina 1967 - Lech Walesa Pace 1983 - Ernest Walton Fisica 1951 - James Dewey Watson Medicina 1962 - Patrick White Letteratura 1973 - Elie Wiesel Pace 1986 - Torsten Wiesel Medicina 1981 - Maurice Wilkins Medicina 1962 - Betty Williams Pace 1976 -


PANNELLA E' PAZZO? FORSE. E NOI?

di Adriano Sofri

LOTTA CONTINUA, 27 settembre 1981

L'intervista appare sul numero del giornale che esce in concomitanza con una importante Marcia Perugia-Assisi ed è parte di un servizio di tre pagine dedicato al tema della fame nel mondo.

Bruxelles, 22 settembre
Per incontrare Pannella, e far raccontare a lui le ragioni e le speranze della sua lotta, sono venuto a Bruxelles, negli uffici del parlamento europeo. Uffici strani. Le stanze dei radicali assomigliano, più o meno, alle stanze dei radicali, da ogni parte del mondo. Poi ci sono altre stanze, numerosissime, con tavoli sgombri, sedie vuote, scaffali nudi, porte spalancate, e targhette col nome dei deputati titolari: ci si chiede se sono già andati via per sempre, o se devono ancora arrivare per la prima volta.
Pannella è arrivato oggi da Strasburgo; sta per partire per New York, facendo una rapida sosta a Parigi. Poi di nuovo a Strasburgo, e domenica conta di essere a Perugia. Moltiplicare l'attività durante il digiuno è per lui una norma. Secondo qualcuno esagera. E' dimagrito, finora, di 14 chili. A un giornale francese ha spiegato: "Per i mass media la questione è chiara: al contrario del maiale, che si vende bene quando è ingrassato, lo scioperante della fame si vende tanto meglio quanto più è calato di peso. E' la legge del mercato...". Mi dice della risoluzione presentata al Parlamento europeo, ormai avviata a raccogliere una clamorosa maggioranza di firmatari.
"Firmano, uno per uno, nonostante che nessun capogruppo abbia deciso di aderire. E non solo i deputati di sinistra. Dei conservatori inglesi, che sono una specie di reparto prussiano del parlamento europeo, ha già firmato oltre un terzo. Hanno firmato Tyndemans, Zaccagnini, Gonella. Hanno firmato gli indipendenti di sinistra italiani, Baduel, Glorioso, Carettoni, Ippolito, Squarcialupi. L'unico gruppo che, compatto, non ha firmato è quello del Pci.".
Come mai questo risultato sorprendente?
"Perché la gente, quando sbatte contro il problema, ci sta. Se circola l'informazione lo sterminio è vinto, e questo vale già per gli uomini politici, che molto spesso non hanno idea dei termini del problema, e tantomeno di come sia possibile affrontarlo".
Già l'appello dei premi Nobel aveva riscosso un'adesione eccezionale, 54 firmatari.
"Non l'avremmo mai sperato. Prima, documenti collettivi di Nobel non avevano mai raggiunto le dieci firme. E ce n'e stato qualcuno, come Pauling, che non ha firmato perché trovava addirittura che non fosse abbastanza sottolineato il nesso col disarmo! Peraltro ce ne sono stati (meno delle dita di una mano) che avrebbero voluto condizionare l'adesione a un pronunciamento per il controllo delle nascite, o, come un vecchio grande scienziato, che hanno detto che è proprio terribile veder morire tanta gente, ma o muore lei, o moriamo tutti..."
Perché una così risoluta avversione del Pci?
"Non è una novità. Basta sfogliare gli atti parlamentari italiani. Il Pci si è opposto all'autoconvocazione, si è opposto alle iniziative simboliche (e gratuite) come la settimana di lutto, ecc. Sarà un caso, ma nel periodo dell'unità nazionale è stato toccato il livello più basso nella quota di aiuto italiano al Terzo Mondo: e sì che era difficile scendere".
Vediamo la sostanza di quello che proponete.
"L'uovo di Colombo. Smettere di lasciare che la gente crepi oggi in nome della necessità di uno sviluppo a venire".
Prova a descrivere quello che può accadere, nei dettagli, come in un sogno.
"E un sogno realistico, a occhi bene aperti. La cosa comincia con un capo di uno stato e di un governo - facciamo conto che sia l'Italia - che va in Tv e annuncia una dichiarazione di guerra alla fame. Ne spiega, semplicemente e precisamente, i termini. Obiettivo: salvare per dodici mesi la vita di tre, quattro milioni di persone; localizzazione, procedure, strumenti, costo. Contemporaneamente vengono convocati i ministri competenti (Difesa, Esteri, Sanità, Lavori Pubblici) e i capi di stato maggiore, e si dà loro mandato di concordare un programma operativo, a una data scadenza. Io propongo, per esempio, che l'operatività prenda avvio il primo gennaio 1982. Intanto l'Italia comunica agli altri governi, attraverso i suoi rappresentanti diplomatici e attraverso una delegazione speciale alle Nazioni Unite, che potrebbe essere guidata dallo stesso capo dello stato, la decisione unilaterale di elevare la propria quota di aiuti allo sviluppo all'1,4 per cento. Come nei casi di guerra, si richiede l'intervento di urgenza. Si invitano a Roma i responsabili di organismi internazionali, la cui cooperazione è determinante per il successo del piano: i signori Morse, direttore generale del Pnud, l'organismo per la programmazione dello sviluppo delle Nazioni Unite, Saouma, direttore della Fao, Williams, del Consiglio Mondiale dell'Alimentazione, Pisani, responsabile della Commissione Europa, e ancora i direttori dell'Organizzazione mondiale della sanità, dell'Ufficio internazionale del lavoro, dell'Unicef. Non si tratterebbe di una conferenza consultiva, di quelle che nella migliore delle ipotesi rinviano alle calende greche, come con qualche buona intenzione ma con un equivoco totale ha appena proposto il ministro Colombo; bensì di una riunione operativa, di applicazione della decisione di salvare, per la durata di dodici mesi, tre milioni di esseri umani. Molto semplicemente, si tratterebbe di rafforzare e coordinare operazioni già esistenti nelle zone a più alto tasso di mortalità, cominciando con il censire i programmi deliberati e mai attuati".
Come si sceglierebbe la regione di questo intervento?
"Dati alla mano. Il terzo-mondo non è tanto un certo numero di stati, quanto alcune oasi all'interno di paesi diversi, circondate dal quarto mondo. Nel 1995 ci saranno nel terzo mondo 35 megalopoli con più di 5 milioni di abitanti. Prendiamo i 6 milioni e 500 mila morti in un anno in Africa. Con un tasso di mortalità "normale", cioè sempre superiore a quello europeo, ce ne dovrebbero essere 2 milioni e 600 mila. Inoltre si deve tener conto dei paesi più sviluppati, come il Sudafrica, in cui la mortalità media è certo assai più bassa; e della differenza locale, per cui, se nell'insieme del Corno d'Africa c'è un tasso di mortalità medio del 25 per mille e ad Addis Abeba scende a 14 per mille, questo vuol dire che nell'Ogaden si arriva fino al 40-50 per mille. Aggredire i tassi di mortalità non è difficile. L'esperienza della Cambogia è eloquente: in 14 mesi lì si è passati dal 180 al 19 per mille, e la spiegazione non si riduce certo alla fine delle atrocità di Pol Pot. In molti casi la questione è brutalmente di disponibilità di soldi. Per esempio, l'Organizzazione mondiale della sanità afferma che per far scomparire il paludismo basterebbe un miliardo di dollari. Oppure, di fronte a carestie, occorrono interventi di urgenza per fornire beni alimentari. Se si elimina il paludismo continua la morte per fame e per miseria. Se si interviene in una carestia, continua a sussistere il paludismo (ed anche di certi alimenti si può morire, come è noto). Un coordinamento, che assicuri l'aiuto integrato, è decisivo. E' ovvio, m è incredibilmente raro".
Perché fai riferimento all'impiego di strutture militari?
"Perché non è pensabile oggi nessun efficiente intervento di urgenza se non attraverso una conversione delle strutture militari. Basta pensare ai trasporti, il cui costo falcidia gli aiuti, e i cui tempi ne distruggono l'efficacia. Un esercito che si comporti col territorio della fame, come una truppa di invasione, è l'unico in grado di costruire le infrastrutture indispensabili. E' la differenza tra aspirare che venga costruita una strada asfaltata o decidere di aprire una pista e andare avanti. Ci sono aspetti di questo aiuto che hanno effetti a distanza di giorni, medicinali, alimentari, interventi di medici. Altri che cominciano ad essere efficaci dopo mesi: sementi, utensili, ecc. Per assicurare la durata diventa conveniente o necessario costruire dei silos, dei magazzini. Ecco un esempio del modo in cui dall'intervento di emergenza può essere messo in modo un processo strutturale. Si tratta di gettare una testa di ponte, nient'altro, e garantire la vita. Poi si vedrà. E tieni conto degli effetti ideologici e psicologici, oltre che tecnici, che un impiego di questo genere avrebbe sugli eserciti dei paesi ricchi".
Sembra fin troppo semplice.
"Ma lo è. Se sapessi quali sono le cose che contano concretamente. Per esempio che le lattine di butteroil siano di dieci chili invece che di venti, cosicché le donne possano andarsele a prendere a piedi, e portare sulla testa invece di dipendere dai trasporti centrali. Oppure un cambiamento nella larghezza delle maglie delle reti da pesca, come quello che si è, dopo secoli, realizzato nel Niger, e che per la prima volta rende economica la pesca al di là dell'autosussistenza".
Non viene naturale l'obiezione salvare 3 milioni di persone va bene, ma gli altri 27?
"Ma è proprio questo il punto. Ci sia chi si impegna, per parte sua, a salvare un decimo dei condannati a morte per fame. Potranno gli altri restare fermi? E non è importante che nasca una nuova emulazione? Che i paesi del Terzo Mondo guardino con riconoscimento al ruolo del paese guida? Ha ragione, inoltre, Servan Schreiber quando dice che tra le ragioni della paralisi di immense ricchezze come quelle dei paesi dell'Opec c'è l'assenza, nel nostro tempo, di "grandi cose", capaci di attrarre e di esaltare, e di legittimare investimenti".
Tu dai molto peso al carattere di legalità della vostra azione.
"A maggior ragione in questo campo. Assai più che a Norimberga, un processo contro il genocidio per fame ha oggi una ineccepibile base di diritto. Nelle risoluzioni dell'Onu la condizione del primo e del secondo mondo è già completamente delegittimata. Anche perché si vota più facilmente sui principi (compreso il Diritto alla alimentazione) per non votare sui soldi. Questa però diventa la base più solida di un'azione che intende costringere gli inadempienti - per interesse, per malafede o per stupidità - alla applicazione degli impegni presi".
Quali sono le obiezioni maggiori alla linea dell'intervento immediato?
"A parte i pregiudizi ideologici e gli interessi costituiti, una linea come questa suscita paradossalmente, diffidenze maggiori in paesi come l'Olanda o la Danimarca, in cui più tradizionale è una politica di aiuti, cosicché si diffida dell'assistenzialismo, si mitizza lo sviluppo, etc.
Tuttavia un uomo come Gunnar Myrdal molti anni fa sosteneva posizioni simili alla nostra, ma fu frettolosamente liquidato come umanitario".
Voi, pur insistendo sul nesso fra lotta alla fame e opposizione agli armamenti, attribuite comunque alla prima una priorità morale.
"E' più giusto dire politica, se non nel senso che il rispetto per la vita viene prima di ogni politica e il rispetto per la vita altrui, per il suo carattere laicamente sacro, è la condizione del rispetto per se stessi. La morte accettata fuori di sé è già accettata dentro. E comunque, anche nel senso più strettamente politico, che cosa ci si può aspettare sulle pensioni o sulla disoccupazione da chi accetta di convivere passivamente con la morte per fame? Quanto al nesso con la lotta antimilitarista esso è strettissimo - viene quasi da dire la parola malfamata "dialettico". Quello che sappiamo è che non bisogna mai puntare sulla paura, sulla paura fa leva il fascismo.
Comunque le superpotenze e i loro satelliti potrebbero anche, a rigore di cifre, continuare a giocare al rialzo sugli armamenti per un paio d'anni, e trovare lo stesso il modo di far sopravvivere, come enunciava esplicitamente la Commissione Carter, trenta milioni di persone".
Qual è la vostra posizione di oggi sui pericoli di guerra?
"Posso dirti che cosa farebbe un governo radicale. Uscirebbe dal patto militare Nato, restando nell'alleanza atlantica. Non si stancherebbe di ripetere, catonianamente, che il totalitarismo sovietico delendum est - come il nazismo e il fascismo negli anni '30, come i regimi che portano nel grembo, inevitabile, strutturale la vocazione alla guerra. Da anni e anni trattiamo l'Urss con la politica di Monaco, con l'illusione di ammansire il mostro. Torniamo al nostro governo: annuncerebbe il disarmo assoluto entro un termine di dieci anni e ne preciserebbe le scadenze progressive. Si disporrebbe a reagire ad ogni mossa aggressiva dell'avversario con una moltiplicata campagna non violenta, di verità. Impiegherebbe l'efficacia positiva della propaganda, che fa più paura dell'aggressione. Se una quota anche ridotta della spesa militare venisse impiegata per produrre, potenziare, e impiegare la gamma infinita di tecnologie di informazione; se agli atti aggressivi si opponesse il bombardamento della verità, nei mille modi oggi possibili, tra la gente dei paesi "nemici", si otterrebbe forse un effetto minore?
Chi crede nella corsa agli armamenti come base al negoziato propone un folle gioco al rincaro: i risultati di questa linea stanno sotto i nostri occhi. Chi crede che il disarmo unilaterale sia il cedimento, potrebbe riflettere meglio, anche in termini puramente militari, a esperienze come quella dell'lran, dove è crollato rovinosamente il bastione fortificato dell'occidente: e quello che è successo in Iran non rischia di succedere altrove? E se ci si acconcia a tirare avanti dopo aver subito simili tracolli militari, perché non si potrebbe autonomamente decidere di autorizzare un paese al disarmo, innescando un processo a catena? Perché, quando la Romania dichiarava una disponibilità, si è dilapidata l'occasione?
Noi siamo contro i nuovi missili, contro nuove installazioni militari, contro la bomba N. Ma sappiamo anche che in una società in cui la stragrande maggioranza dell'investimento per la ricerca riguarda l'apparato militare, è una illusione insensata quella di limitare il livello tecnologico degli eserciti".
Qualcuno dice che, dopo l'Irlanda, o non si ricorre più allo sciopero della fame, o si deve morire.
"Con altri due deputati europei, avevo fatto un appello per la elezione a deputato di Bobby Sands. La stampa conservatrice inglese ci accusò addirittura di essere responsabili del suo successo. Altra cosa è la vocazione necrofila degli ufficiali dell'Ira. Quanto all'obbligo di morire, lo aveva già detto, da par suo, Montanelli: "O Pannella morirà, o si sputtanerà".
Non è una forma smisurata di superbia, questa tua, di farti carico di milioni di persone?
"Intanto io non sono solo; e anzi, raramente abbiamo lavorato tanto insieme come nel corso di questa lotta. Non superbia, non credo. Ci penso molto. So, e non da oggi, già da quando nel 1953 mi capitò di assumere la presidenza dell'Ugi - che non era il carrozzone di politicanti che è diventato poi - so che una cosa che dipenda solo da me, è una cosa che non va bene. Quello che un uomo politico come io sono, e rivendico di essere interamente, può fare di buono e di importante dipende da molti fattori, e anche dalle qualità e dalla mediocrità degli altri politici. Io ho dalla mia, questo sì, la lunga durata delle mie speranze e del mio amore".
Se ora ti telefonasse un ragazzo, e ti dicesse che è completamente d'accordo con te, e vuole fare anche lui uno sciopero della fame a oltranza, che cosa gli risponderesti?
"Di lasciar perdere, che non c'è bisogno di un suicidio. Il significato di un digiuno come questo dipende dalla storia, dalla cultura che ha dietro. La nostra lotta è un modo di vivere - non un'attività particolare, né un modo di morire. Direi a quel ragazzo di scrivere ogni giorno una lettera ai giornali, e, se se la sente, di scriverne dieci invece di cercare d'un tratto la forza e la debolezza di un digiuno a oltranza".
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La quota di iscrizione è giornaliera

Marco Pannella NR51, 2 marzo 1990

Alcuni brevissimi stralci della trascrizione di un intervento pronunciato da Pannella nel corso del Consiglio federale del PR riunito a Chianciano nel novembre 1981. Come ogni trascrizione di interventi orali, anche questa è necessariamente infedele.

"L'iscrizione al Partito radicale rischia di essere anche per noi quello che è l'iscrizione agli altri partiti. Anche noi, ad esempio, abbiamo dato per scontato che l'iscrizione è annuale.
Il parametro temporale, la configurazione dell'atto che si compie, al quale quindi è anche rapportato l'importo del contributo, dell'azionariato (non della tassa, perché è chiaro che qui c'è un dato di azionariato, in qualche misura volontario, e non di tassa) è in rapporto all'anno, ed è un errore direi culturale, teorico per noi radicali che invece operiamo attraverso la concretezza del corpo, attraverso il quotidiano, attraverso la necessità morale o vitale e non attraverso l'enfatizzazione del bisogno o dei bisogni come fatto esistenziale.
E' un errore: il nostro rapporto è nel quotidiano anche da questo punto di vista.
Il problema di teoria è che se noi vogliamo vivere associati, libertariamente, attraverso la conferma quotidiana della nostra volontà comune associativa dello stare insieme, ci vuole un atto corrispondente quotidiano. Anche se poi, sette volte al giorno o, come in questo caso, sette volte all'anno, sette volte al mese o sette volte alla settimana non lo compiamo, non ne siamo all'altezza, non ci riesce. Deve esserci una lettura diversa, analoga a quella di quei compagni che dicono: "Io ogni giorno, in un modo o nell'altro, con una telefonata o andandoci, materializzo, do corpo a questa associazione libertaria", cioè a qualcosa che comporta ogni volta la riconquista o la riconferma o la crescita per sedimentazione storica della volontà associativa e della responsabilità.
E allora, ecco una riforma di statuto possibile (anche se poi sotto un altro aspetto la quota resta annuale): la quota è quotidiana.
Se cominciate a ragionare in questi termini, intanto rianimate il dibattito sui partiti che nessuno ha più ripreso da quasi un secolo e mai rianimato concretamente, e lo rianimate in polemica, con lo sforzo di acquistare una coscienza nuova e quindi più ricca, più forte del significato di questo genere di scelta.
(...)Il problema è qualitativo. E' un problema diverso, è un problema di crescita, del valore di questo punto statutario. E' il valore che può essere dato al denaro, recuperando non un atto liturgico, anche se importante, solenne, grave, bello e sostanzioso come quello che si compie quando si dice "per quest'anno vi do un milione di lire"; ma una cosa diversa: il dire nel quotidiano "questo contributo lo traggo dalle mie giornate, dal mio lavoro, dal mio riposo, dalla notte, dal giorno, per dar corpo, per dare un'abitazione, per vestire, per rendere visibile l'esistenza del partito in cui ci associamo"." 1109


Firenze. L'Unità vince il Congresso

di Angiolo Bandinelli NR42, 15 dicembre 1981

Marco Pannella nuovamente segretario del Partito radicale, dopo diciotto anni di assenza dagli incarichi del partito, e circa dieci anni persino di non iscrizione. Questo il risultato più clamoroso ed evidente del XXVI congresso, svoltosi a Firenze dal 28 ottobre al 1 dicembre. Un risultato a sorpresa, inaspettato, maturato attraverso un processo di tipo "carismatico", secondo l'ormai consolidata rappresentazione che nei congressi radicali dà la stampa italiana? Da anni ci eravamo abituati a leggere il titolo-cliché: "Pannella arriva e vince il Congresso". E il gioco viene tentato anche questa volta. Il "Messaggero" può titolare: "Pannella segretario con un mare di voti". Ma questa volta c'è dell'altro, e, sia pure con imbarazzo e reticenza, la stampa ne prende atto.
E' il "Manifesto" che il 3 novembre, a congresso appena chiuso grazie all'attenzione di Michelangelo Notarianni, dà una chiave di lettura dei fatti piena di politicità e di spessore. "Attenzione a Pannella", scrive Notarianni. "Il personaggio era dato per morto, pochi mesi fa, assorbito e triturato da un sistema politico che ne ha viste e digerite di ogni sorta. Invece no..." E' vero, le cronache del congresso confermano il giudizio riferito da Notarianni. Non solo Pannella, ma anche il partito.
Salvatore Sechi scrive, il giorno dell'apertura del congresso, un articolo che consente al titolo: "I radicali di fronte a una scelta"; dove la scelta sarebbe nientemeno che tra l'essere "partito" o tornare ad agire come "movimento". E' il giudizio più esplicito, ma il tono di tutta la stampa, nel suo complesso, non consente dubbi. Questa volta non è questione di folklore; questa volta il Partito radicale è dato per spacciato. I dissensi interni, la defezione delle componenti non radicali del gruppo parlamentare, la mancanza di prospettiva, tutto quanto viene registrato sembra contrastare il cammino del partito della rosa. O così viene fatto apparire. Ripetiamo, questa volta il folklore viene accantonato. Il congresso viene presentato come un vistoso, ma pericoloso momento dell'ormai prossima, definitiva eclissi radicale.
Sono in molti ad essere interessati a che questa rappresentazione passi e si affermi. Il "Popolo" è, con i radicali, acido per tradizione, ma non conta la DC. Qui c'è il PSI di Craxi, in primo luogo. E c'è anche il PCI che contende al PSI lo spazio dei "diversi", dell'"emergente", dei "nuovi soggetti" già attribuito ai radicali. C'è infine il PRI di Spadolini, e magari Zanone. Persino nell'area già extraparlamentare lo scetticismo, il riflusso antiradicale è alto.
Le prime corrispondenze della stampa sono di tono basso. Questa volta è di scena la contestazione di Rippa, che si è presentato come candidato. Poi si monta il caso Negri: si candiderà anche lui? E che farà Rutelli? Sarà insomma un fedelissimo di Pannella o un "pannelliano" a vincere? Da dove avrà inizio la diaspora radicale?
Il congresso prende quota. Prende quota attraverso un dibattito di grosso respiro. "Lotta Continua" scrive che in nessun altro posto o congresso, come qui, si discute di vita, di pace, di guerra, di sviluppo; magari di morte. Le tre candidature si esplicitano. Ma si esplicita anche un fatto importante, e cioè che non viene messo in discussione l'assunto centrale del congresso, quello che è stato posto come asse centrale del partito non tanto dai tre mesi di iniziativa militante di Pannella, quanto da tre anni di paziente, difficile costruzione: la "priorità delle priorità" attribuita alla lotta contro lo sterminio per fame nel mondo, il nuovo Olocausto. Certo, restano i dubbi e i problemi. Quale è il ruolo del partito, come potrà sostenere il confronto su questo tema così aspro e nuovo? Come lo collegherà con l'esigenza di "governare" in Parlamento, ma anche nei Comuni e per le strade? E cosa fare del finanziamento pubblico, che tutti, indistintamente temono possa diventare il cavallo di Troia del regime, all'interno del partito? Come restituire vigore all'autofinanziamento, alla partecipazione, alle iscrizioni? Come superare positivamente il grave scoglio, che nessuno contesta, della crisi dei partiti regionali, nessuno dei quali ha raggiunto la soglia minima stabilita un anno fa? Il dibattito, in aula e nelle commissioni, mette in luce anche altri dati positivi: sul "preambolo" c'è spessore e solidità di consensi, anche nella diversità di impostazioni e di punti di vista; sul disarmo, la commissione registra un livello di dibattito tra i più elevati e costruttivi degli ultimi anni; il partito ha intatta la lucidità dei suoi riflessi sul tema della pace, delle marce della pace, dello scontro con gli altri partiti sul disarmo, su Comiso, sul confronto est-ovest e sulla priorità da attribuire al dialogo nord-sud.
I panelliani? Gli antipannelliani? Lo svolgersi del congresso logora la montatura. Intanto, Negri avanza la possibilità della candidatura Pannella alla segreteria. L'indicazione acquista, col passare delle ore, in plausibilità, ma non determina sbandate o crisi congressuali. Entra nel novero delle possibilità, ma il partito non mostra di reclamare né un padre né un salvatore della patria. Il dibattito ha messo in luce un partito che ha acquistato definitivamente sicurezza, consapevolezza di sé e responsabilità, e rifiuta soluzioni di emergenza o posticce. Quella definizione, che si è appiccicata su Pannella e sul partito, di essere il primo un portatore di "carisma" e il secondo una creatura inerte nella mani del leader, si affievolisce e diventa sempre meno propria.
Sempre in piena evidenza, dinanzi agli occhi di tutti, Pannella, Negri, Rippa, Rutelli si incontrano, discutono, seduti o passeggiando nei corridoi del congresso. Una giornata intera: mattina, pomeriggio, la notte, ora assieme ad altri militanti del partito, testimoni aperti della ricerca di una soluzione che abbia forza e chiarezza politica. La mattina della domenica, circola tra i congressisti nervosismo e preoccupazione: nelle lotte degli imbrogli si è lottizzato il partito?
L'intervento con il quale Pannella racconterà il lungo iter della discussione metterà fine ad ogni speculazione. Il percorso appare quello che è stato; difficile, ma senza concessioni; rigoroso nel metodo e nelle conclusioni. Rippa, Negri e Rutelli "desistono". Senza contrattazioni, né richieste né offerte nei confronti di nessuno. Il rigore di Negri, la lucidità di Rippa, la responsabilità di Rutelli non lasciano alcun margine di equivoco. E' a questo punto, acquista questa chiarezza che è garanzia per tutto il partito, Pannella può annunciare di accettare la candidatura. E' ora il candidato di Negri, di Rippa e di Rutelli, ma non è il "salvatore della patria, il salvatore del partito". E' un candidato che accetta una responsabilità, un'indicazione politica. Che rivendica la propria politicità e di diritto-dovere di difendere e sviluppare la sua linea politica. Nulla di più, e nulla di meno.
E' il trionfo. Il congresso accoglie e comprende. Saluta il leader politico che indica una strada da percorrere dura e difficile, con l'impegno ad accogliere e risolvere i problemi, tutti i problemi emersi dal congresso, e a tentare di scioglierli nel cammino. Un cammino - si avverte subito - sul quale tutto il partito è chiamato a muoversi. Tutto il partito. Il congresso avverte anche questa indicazione. E si costituisce, con immediata e importante politicità, una unità di consensi e di impegno che conduce in porto questo drammatico, decisivo congresso.
E' Notarianni che coglie ancora una verità essenziale. Certo attraverso Pannella, ma con assunzione propria di proprie responsabilità, il partito radicale è il partito che ha visto lucidamente, nella questione della fame nel mondo, "il tema della nostra crisi". 2346


da "Riflessioni, annotazioni"

Di Marco Pannella NR42 15 dicembre 1981

"… Ed ora passiamo, come annunciato e probabilmente molti attendono, allo sciopero della fame, al mio digiuno.
Una folla di spiegazioni preme, perché probabilmente non ve n'è ancora, in me stesso, una sufficiente. Ognuna è esatta, corrisponde a ragionamenti, a momenti realmente presenti, vissuti. Ma nessuna, evidentemente, riesce ad essere sufficientemente profonda; sintesi, conquista di una chiarezza adeguata, necessaria. Tento ugualmente di ricompitarli, di risillabare qualcuno di questi pensieri.
Lo sciopero della fame illimitato occorre conquistarselo nel corso del digiuno. Conquistarlo, fino a una forza ed a una chiarezza interiori che siano chiarezza profonda, durata senza contraddizione. Per fortuna che non credo nella dialettica! Nello sciopero della fame l'"antitesi" non è immaginabile, perché distrugge semplicemente la tesi e afferma se stessa come "sintesi". Non si può, non si può nutrirsi e poi riprendere...
E per noi nonviolenti una decisione conclusiva, un impegno che concerna la vita, a tal punto da scontarne sia pure in via di ipotesi il farla mancare, lo spegnerla, non può essere assunto davvero senza contraddirsi, senza smentire la speranza - se non altro nel punto in cui diventa certo che tu sei dinanzi all'ultimo minuto, o secondo di vita... Ma quando, quando è possibile dirsi che il "minuto" è l'ultimo, e non il penultimo? Quel penultimo che è e dovrebbe essere il più possente in termini di vita da conquistare, il più socializzato, il più comune e comunitario e che va rischiato con serenità e intransigenza, fino in fondo, in caduta libera senza rete nel nulla dell'eternità.
E' possibile, mi chiedo, questa sorta di matrimonio indissolubile, con il rischio della vita, fino al subentrare d'una successione, in questo matrimonio, della morte al posto della vita? La decisione di un momento, per quale forza o sigillo, per quale mai "sacramento", dovrebbe valere, esser rispettato, e non rivisto, superato? Ma c'è altro. Abbiamo compreso, credo, che il digiuno "politico", lo sciopero della fame come lotta nonviolenta deve, ed è bene che sia, essere non una gestualità, non una sorta di attività, ma un modo diverso, più grave, più rigoroso, più vigoroso ed esemplare di vivere la lotta, il confronto con la violenza, di crescere e di rafforzarla. Dunque non la ricerca del silenzio interiore, del raccoglimento, dando per scontato che si guadagnano nell'isolamento e nella quasi immobilità. Si può essere nell'eremo, o stiliti, ed essere abitati dal chiasso... "


Diario di un delinquente e di due efferati complici

di Sandro Tessari NOTIZIE RADICALI, febbraio 1982

Per protesta i radicali avevano interrotto i TG. Ora arrivano le comunicazioni giudiziarie.

SOMMARIO: Cronaca semiseria dell'azione diretta nonviolenta di Cicciomessere, Crivellini, Tessari, che la sera del 9 settembre 1981 s'introducono senza difficoltà nella sede Rai di Via Teulada, e successivamente negli studi di registrazione e messa in onda dei Telegiornali, allo scopo di interromperli al grido di "Ladri di verità, furto d'informazione". Commento dei giornalisti e dei direttori: il gesto dei radicali non è consono allo stile della classe politica.

Sì lo confesso: sono un interruttore. Ho interrotto un giorno la povera Piera Rolandi mentre al TG2 delle 19.45 raccontava a milioni di telespettatori paganti con rara abnegazione il pesante canone radiotelevisivo - le solite bugie del regime. Ero entrato alla sede della RAI assieme a Crivellini e Cicciomessere la sera del 9 settembre 1981. Essendo noi di casa alla RAI, come tutti sanno, e non solo in effige come Piccoli, Craxi, Longo e Spadolini, nessuno ha pensato di chiederci i documenti o controllare se avevamo il permesso di accesso. Siamo così entrati dalla porta d'ingresso normale.
Il sottosegretario Leccisi, quello per intenderci che aveva organizzato una raccolta di fondi neri per la corrente di Donat Cattin di oltre un miliardo senza riuscire ad andare nei notiziari RAI, rispondendo alla camera alla nostre interpellanze sulla RAI il 25 gennaio, affermava che noi ci "eravamo introdotti" all'interno della RAI, dando alla nostra iniziativa un grosso sapore d'avventura come dimostra il successivo interesse del commissariato di polizia e dall'autorità giudiziaria che ci hanno gratificato di una relativa comunicazione.
Entrati che fummo nei locali della RAI e dovendo attendere qualche minuto per l'inizio del TG1 della sera (erano infatti le 19.50) ci siamo recati al bar dove, per far passare il tempo, abbiamo dovuto consumare numerosi cappuccini con brioches. Cicciomessere che guidava la spedizione ha proposto di definire l'"azione": lui e Crivellini, notoriamente agili e scattanti, avrebbero fatto irruzione nello studio del TG1 non appena questo fosse iniziato. A me, in considerazione dell'età e delle mie origini veneto-contadine hanno lasciato il compito più facile: quello di entrare nello studio del TG2 e portarvi il messaggio che sale spontaneo ogni sera da milioni di bocche di telespettatori quando accendono la televisione di stato: ladri di verità! Debbo dire che non ci fu facile individuare nel labirinto della RAI i due studi. Abbiamo bussato a tutte le porte chiuse e chiesto gentilmente dove fossero le due sale regia. La previdenza della RAI è tale tuttavia che ci è venuta incontro mettendo fianco a fianco i due studi con porte quasi comunicanti.
Sono così entrato dopo aver bussato. Nessuno, debbo dire la verità, quando sono entrato ha badato a me: erano tutti protesi a sentire quello che stava dicendo Piera Rolandi. Mi sono inserito nel monologo sintetizzando il mio pensiero: ladri di verità, furto di informazione. Nessuno dei presenti ha fatto mostra di stupirsi troppo della mia affermazione come cosa forse fin troppo ovvia. La Rolandi sempre molto contegnosa, faceva con una mano il gesto di non avvicinarmi troppo a lei mentre parlava salvo poi interrompersi del tutto. Forse voleva esprimersi sulle mie affermazioni ma la regia non glielo ha consentito e ha mandato in onda un diverso programma. Dopo qualche minuto di reciproco imbarazzo, non sapevamo a chi toccava la parola, dalla regia ridanno la voce alla Rolandi che inizia a fare originali considerazioni sulla situazione economica del paese. Io ribadisco il mio pensiero su questo tema: ladri di verità e furto di informazione. A quel punto sento che succede qualcosa: voci concitate da ogni parte, si interrompe il servizio, si aprono le porte e comincia in concitato andirivieni di funzionari e poliziotti del servizio interno. Uno mi afferra ad un braccio bruscamente: non appena tuttavia gli faccio notare che forse noi non ci conosciamo, subito mi fa le sue scuse ed usciamo urbanamente conversando con i tecnici dello studio giusto in tempo per vedere nel corridoio, in uno schiamazzo indescrivibile, trascinati come due cirenei il Cicciomessere e il Crivellini, all'urlo concitato: sono radicali, sono radicali, sono Cicciomessere e Stanzani. Io, da mezzo il pubblico che assisteva alla scena, dico subito che quel signore distinto con l'aria tra Verdi e Mazzini non è Stanzani ma Crivellini. Subito vengo guardato con sospetto e mi si chiede come faccio a saperlo. Dico: ma come fate a non riconoscerlo, è sempre sugli schermi della RAI. Un funzionario coi baffetti, molto autorevole a giudicare dalle ore che passa alla buvette della Camera, esplode: da questo momento basta coi radicali sul video! Non devono più mettere piede alla RAI, bisogna rompere tutti i rapporti che abbiamo coi radicali, e via dicendo. Dispiaciuto che non avesse colto la mia ironia cerco di fargli notare che è difficile rompere i rapporti che non ci sono. Mi guarda sospettoso e dice: ma lei è un amico dei radicali? un basista? un complice? Mi sento perso. Un altro dice: è anche lui un interruttore. E' la fine. Veniamo agguantati e tutti e tre trascinati dinnanzi al tribunale del direttore del TG1 come fossimo malfattori, arraffa tangenti, piduisti ecc. ecc. Strada facendo siccome erano molti i segni di divertita complicità del personale RAI alle nostre malefatte, il giornalista televisivo Valentini ha pensato bene di farci la paternale e con la sua ben nota voce pastosa e controllata, senza fare neanche una papera, ci ha detto che lui aveva un'alta opinione della classe politica (evidentemente pensava a Piccoli, Bisaglia, Gioia, Lima, Ciancimino, Andreotti, Evangelisti, Longo, Labriola e a tanti altri che hanno ben meritato con opere preclare su cui tuttavia la RAI ha esercitato una rozza e inspiegabile censura) per cui riteneva, quello radicale, un gesto troppo diverso dallo stile della "classe politica" e sul quale era bene che la RAI stendesse un velo di silenzio. Così abbiamo capito che è solo per una questione di diversità se i radicali non compaiono mai sul video, come risulta dai numerosi libri bianchi che abbiamo fatto sui disservizi televisivi.
Nello studio del direttore del TG1 il trattamento è diventato subito elegante: non più vociferazioni e insulti. Ci hanno perfino offerto da bere. Poi si è saputo che il direttore era contento che fossimo riusciti solo a interrompere il TG2 della concorrenza e non il suo. Abbiamo subito fatto le nostre rimostranze sulla inconsistente vigilanza che si esercita agli ingressi di uno strumento così delicato come il servizio televisivo di stato e l'indomani abbiamo fatto un'interrogazione ai ministri dell'interno e delle Poste.
Una settimana fa ci è arrivato un foglietto gualcito: una comunicazione giudiziaria per aver interrotto un servizio pubblico. Abbiamo subito compreso la gravità del gesto da noi compiuto. Forse con la nostra azione abbiamo impedito al segretario del PSDI di portare ai milioni di pensionati trepidanti il suo messaggio di salvezza, a Craxi di spiegare come la cosa più importante da fare per il paese sia il cambio della poltrona del presidente del consiglio e a Spadolini che la questione morale è rinviata a data da stabilirsi. E ne siamo profondamente dispiaciuti. Siamo anche noi interruttori pentiti.

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