NOTIZIE
RADICALI N. 4, 4 gennaio 1981
SOMMARIO:
Nel 1981,
il Partito radicale non ripropone la "Marcia di Pasqua" contro
lo sterminio per fame, "per non aggiungere un altro rito a quelli
che inutilmente già si compiono". In questa occasione di silenzio
e d'altra parte di attività, non solo nazionale, viene pubblicato questo
appello ai cittadini delle democrazie occidentali e del Nord del mondo,
un appello a non essere più contribuenti, sostenitori e soldati di un
"ordine" economico internazionale che produce morte e sterminio,
che è di fatto un bestiale e nuovo nazismo. "Con il tuo voto, con
le tue scelte, con le tue rassegnazioni e le tue abitudini, con la paralisi
cui condanni la tua coscienza, tu continui a sostenere ed imporre le forze
della morte, dello sterminio, della distruzione". "Anche la
pace e la vita, come la guerra e la morte, possono divampare, accese da
una scintilla di umana saggezza e di umana speranza. Diserta. Avviamo
la nuova resistenza. Organizziamola. Con tutte le persone di pace e di
buona volontà".
Con il tuo voto, con le tue
scelte, con le tue rassegnazioni e le tue abitudini, con la paralisi cui
condanni la tua coscienza, tu continui a sostenere ed imporci le forze
della morte, dello sterminio, della distruzione.
Sei il contribuente, il sostenitore, il soldato - tu, che ora stai leggendo
- di un bestiale, nuovo nazismo.
Anche i morti di via Rasella lo erano, ma non sapevano, forse, cosa fosse
davvero il mondo dei nazisti. Tu sai. Tu sai che il tuo danaro, il tuo
lavoro, il tuo voto sostengono una politica che ogni anno fa di una parte
sempre più grande del mondo un immane campo di sterminio. Tu sai che con
una sola parte delle spese in armamenti si creerebbe vita anziché morte,
lavoro anziché disoccupazione, ricchezza anziché miseria.
I morti di via Rasella avevano l'attenuante di essere anch'esse vittime
di una dittatura, mentre tu sei cittadino libero di una "libera"
democrazia. Tu sei: "comunista", "socialista", "democratico",
"liberale", e - sicuramente - "antifascista", oltre
che persona civile e cristiana. Accade dunque anche questo, ed è mostruoso:
il trionfo del neo-nazismo nel mondo come risultato della democrazia politica
e del comunismo "post-stalinista", congiunti e concorrenti.
Tu hai l'arma del voto, della libera scelta, della politica democratica.
I bilanci dello Stato sono approvati dal parlamento e dai deputati e senatori
che tu hai voluto eleggere e vuoi eleggere, che ti rappresentano.
E tu voti e tu paghi nella direzione dell'olocausto di decine di milioni
di esseri, colpevoli solamente di essere razza e colore diversi: o, più
esattamente, d'esser le vittime di un sistema che li condanna alla miseria
ed alla disoccupazione, alla fame ed alla malattia: a riprodursi solamente
per offrire al nostro tempo, ogni anno, una nuova strage degli innocenti.
In queste ore, sacre per tanta parte dell'umanità, dal venerdì di passione
alla Pasqua di resurrezione, saranno sterminate dalla fame e dalla miseria,
saranno sterminate dalla politica degli armamenti e delle "difese",
all'incirca mezzo milione di persone. E, sempre di più, ogni giorno, per
tutti i giorni, i mesi, gli anni che seguiranno. Con la tua politica.
Il tasso di mortalità, quest'anno, sarà del 15% maggiore di quello del
1980.
Gli arsenali della morte rigurgitano sempre più di armi e di danaro, i
granai scompaiono. Lo vuole la politica delle forze politiche, del parlamento,
del governo. Lo vuole la cultura di morte che essi esprimono e servono.
Lo vuole chi ci governa e chi ci rappresenta.
Ci hanno annunciato e promesso: "guerra alla guerra", "guerra
alla fame per lo sviluppo", "guerra agli armamenti", ci
manderanno, fra poco, dalla luna, nelle stelle: il che è bello, forse.
Ma al prezzo di miliardi di assassinati, che tu continui a pagare e provocare.
Ci danno sempre più armi (con porto d'armi o senza), sempre più disoccupazione,
sempre più disordine, sempre più morte, in nome della pace, della democrazia,
dello sviluppo. La loro politica è folle. Sono, sicuramente, dei folli.
Anche ai tempi di Mussolini, di Hitler, di Stalin, folli sembravano coloro
che li accusavano - appunto - di essere folli: gli uomini di giustizia
e libertà, erano - invece - questi antifascisti, gli unici saggi e ragionevoli.
Come gli antifascisti di 50 anni fa occorre oggi disubbidire in nome della
ragione, della giustizia, della pace, dell'ordine e della vita. O essere
soldati della violenza e della barbarie.
Diserta. Una nuova resistenza ci chiama. Di nuovo ribelli per amore, partigiani
della vita. Armati di nonviolenza per non ripetere gli errori di allora.
Per costruire, creare vita. Vita per tutti e per togliere morte fino al
nemico.
Diserta questa cultura, diserta questa politica atroce e distruttrice.
Diserta, perché disertino per sempre dal terrorismo e dalla violenza della
disperazione, dell'indifferenza e dall'irresponsabilità, dal suicidio,
i figli, accecati dalla follia del potere e del disordine che ci opprimono.
Occorre difendere e animare la legge umana e la democrazia politica, con
la nonviolenza e con la fermezza ragionevole della speranza.
Occorre che le nostre leggi mutino, nel senso della vita e della civiltà:
che gli ideali di civiltà siano difesi ovunque, con intransigenza e ragionevolezza,
e in ogni occasione. E, quanto, per nostro conto, da radicali, tentiamo
sempre più drammaticamente di fare: feriti o resi inadeguati dalle tue
scelte. Lo tentiamo con le obiezioni di coscienza, con le leggi, con i
nostri referendum, con quanto stiamo facendo e ancor preparando per lottare
contro la fame nel mondo, contro ogni sorte di guerra, e di violenti.
Basterebbero poche scelte, possibili, quasi facili, di politica e di governo.
Anche la pace e la vita, come la guerra e la morte, possono divampare,
accese da una scintilla di umana saggezza e di umana speranza.
Diserta. Avviamo la nuova resistenza.
Organizziamola. Con tutte le persone di pace e di buona volontà. 2395
A chi
serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi,
Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie
Radicali n. 3 - marzo 1981
Il black-out della
stampa
5 gennaio - "
Pannella tiene una conferenza stampa
per illustrare la posizione del Gruppo radicale, in coincidenza con la
partenza per Trani di una delegazione di parlamentari del partito al fine
di procedere ai seguenti adempimenti, come è stato concordato in due precedenti
riunioni, la sera del 4 gennaio nella sede di Radio Radicale e la mattina
del 5 nella sede del Gruppo parlamentare: 1) accertare nell'ambito rigoroso
dell'art. 67 della legge 26 luglio 1975, n. 354, le condizioni del carcere
e quelle dei detenuti dopo la rivolta sedata dall'intervento dei GIS il
28 dicembre 1980; 2) rendersi interpreti, se ne fosse rilevata la necessità,
delle voci dei detenuti, nel rigoroso ambito della norma citata.
"La nostra posizione è diversa'' - dice Pannella nella sua conferenza
stampa - "da non violenti riteniamo che non si debba mai, in nessuna
forma, collaborare o offrire omaggio di qualsiasi tipo alla violenza;
di conseguenza ribadiamo che le posizioni trattativiste, come le altre
cosiddette dure, di fermezza, furono i due volti della stessa politica
che portò all'assassinio di Moro e che continua a provocare lo sfascio
dello Stato. La democrazia è anche una questione di procedura, e sin dal
primo giorno del caso Moro, ma anche da prima, noi dicemmo che il problema
innanzi tutto è di rispettare le responsabilità e gli alvei costituzionali
per arrivare alla formazione delle volontà politiche dello Stato e dei
governi, nonché dell'amministrazione dello Stato in tutti i suoi momenti.
Meno che mai, quindi, di fronte a violenze o assassini, lo Stato può eludere
e cedere sulle sue leggi''.
Invece, prosegue Pannella, ``si è creata nel nostro paese una situazione
mostruosa, in modo particolare attraverso le politiche di unità nazionale
fra il '76 e il '79, che hanno messo sempre più duramente fuori legge
lo Stato. Settori fondamentali, come quello della giustizia, lo abbiamo
difeso palmo a palmo contro i rigurgiti feroci e giacobini di sfascio,
che venivano in particolare assicurati grazie all'efficienza del partito
comunista nel nostro Parlamento; abbiamo lottato palmo a palmo contro
l'imbarbarimento ulteriore delle nostre leggi e delle nostre strutture.
Alle "realpolitik" dei difensori delle leggi Reale e altre,
ai difensori cossighiani e pecchioliani, strettamente uniti nel sabotaggio
della riforma carceraria e di ogni altra indicazione tardiva e inadeguata
nata con il centro-sinistra, noi opponemmo e opponevamo che lo Stato non
avrebbe potuto che raccogliere altra violenza, e che i riflessi autoritari
ed efficientistici in realtà stavano producendo lo sfascio del diritto
e della giustizia''.
Pannella illustra ancora il senso del dialogo da lui proposto ("noi
dialoghiamo ogni giorno, con la nostra vita, il nostro mestiere di non
violenti e di parlamentari, con questo Stato, perché la legge e il diritto
siano rispettati; vogliamo dialogare con le br nello stesso modo''), che
in riferimento al comunicato numero 8 delle br potrebbe essere questo
(illustrativo anche delle ragioni della visita di parlamentari radicali
a Trani): "le br, con tale comunicato, sembrano farsi carico di un
diritto, come scrisse Moro dal carcere, e credo giustamente abbia ricordato
D'Urso, ed è il diritto pieno, nell'ambito del rispetto della legge e
del codice penale, del detenuto, di esprimere il proprio pensiero, di
manifestare le proprie idee, di informare sulle condizioni carcerarie;
e questo il detenuto deve farlo, anche quando ha paura di farlo, poiché
è un diritto che ha conquistato, e non una licenza che gli si elargisce.
Bene, diciamo alle br, non abbiamo difficoltà, fino a prova contraria,
nel credere in quello che diciamo, e i delegati radicali si fanno carico
dei diritti di Trani e di Palmi".
Ed è significativo, secondo Pannella, che in realtà la decisione di una
verifica nelle carceri di Trani e Palmi è venuta molto prima del comunicato
numero 8 delle br, in coincidenza con la telefonata della giovane Daniela
che denunciava le gravi violenze sui detenuti di Trani, durante o dopo
il blitz. La visita, specificamente prospettata immediatamente dopo, rientra
del resto nel programma di visita alle carceri già deciso dal Gruppo radicale.
Dopo la telefonata di Daniela se ne anticipano solamente i tempi e se
ne precisa la duplice finalità, come si evince chiaramente dal comunicato
che annuncia la partenza per Trani della delegazione radicale: accertare
se davvero i detenuti avevano subito violenze, e come, dove, quando e
da chi, nonché se dopo erano stati almeno curati; conoscere dai detenuti
stessi quali fossero le loro istanze in ordine ai loro diritti, di carcerati,
certo, ma comunque egualmente diritti costituzionalmente sanciti, in quanto
diritti umani inalienabili.
Né fa da ostacolo a questa impostazione l'insistenza delle br sulle perversità
del trattamento differenziato nelle carceri, sì da apparire che questo
per loro sia il punto più importante, poiché anche al riguardo, dice Pannella,
i radicali hanno preceduto di parecchio le br. "Noi siamo stati sempre
contrari ai trattamenti differenziati - spiega - anche perché semplicemente
non capiamo come mai il Governo debba garantire unità di tempo e di spazio
alle organizzazioni terroristiche, cioè organizzare direttamente le brigate
in carcere".
Fra il pubblico che assiste alla conferenza stampa ci sono Paola Negri,
mogli di Toni, e la moglie di Baumgartner, l'autonomo condannato con Pifano
per il trasporto del missile. In particolare Paola Negri ha ricordato
che suo marito è stato selvaggiamente picchiato, nonché che concordemente,
gran parte della stampa, ha tentato di farlo passare come il capo o l'organizzatore
della rivolta. La moglie di Baumgartner, invece, segnala che nelle carceri
esiste un ambiente composito, un arco di orientamenti politici differenziato,
ed anche per questo la visita dei radicali è quanto mai opportuna. Le
br - dice - non possono appropriarsi della leadership di tutti i detenuti.
Analogo giudizio esprime il vicesegretario liberale Biondi, benché mantenga
riserve formali, non di sostanza, sulla singolarità e sui modi sorprendenti
di maturazione e formazione delle decisioni e iniziativa radicali. "I
radicali - egli dice - si muovono su posizioni e con iniziative particolari,
sicché non stupisce che dal loro punto di vista la provocazione obbedisca
a criteri anche importanti e tali da smascherare la propaganda delle br
con una contropropaganda di stampa, appunto, radicale". Egli riconosce
che l'odierna iniziativa è "una specie di contropiede politico e
istituzionale in un paese dove il ritardo e la stagnazione sono regole.
Gli stimoli radicali possono stupire, ma come liberale non sono di quelli
che si indignano". 1769
A chi serviva, chi se l'è venduta,
come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco
Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo
1981
6 gennaio - "
E' nel nome di questa guerra - commenta il 6 gennaio
Pannella in una intervista apparsa sul "Messaggero" - che ormai
si fanno e si disfanno governi e maggioranza, si misurano successi e insuccessi,
si fanno delegare parole e immagini, attraverso la televisione e i mass-media,
nelle case degli italiani. E' nel nome di questa guerra e delle sue pretese
esigenze che si fanno leggi e si disfanno, che si fanno e si rinnegano
scelte di civiltà giuridica''. E aggiunge: ``In un mondo in cui a tre
ore d'aereo da Roma stanno agonizzando, perché gli si nega il cibo, una
decina di milioni di bambini e di vecchi, di donne e di uomini, in un
paese in cui a tre ore di macchina da Roma sono morti in migliaia, uccisi
in piccola parte dal terremoto e in grandissima parte dalla mancata difesa
dal terremoto e dal mancato soccorso, in questo mondo posti al centro
della Repubblica gli assassini di meno di quaranta persone nel 1980. Per
quale aberrazione?''. Al rilancio dell'interrogativo da parte dell'intervistatore
Pannella risponde: ``La causa profonda è che la cultura dominante, ad
un tempo e per giustapposizione cattolica e comunista, ``antifascista''
e fascista, ritiene l'assassinio politico, o religioso, o bellico, ``naturale'',
o a suo modo più ``nobile'' dell'assassinio occasionale o comune. Ma la
causa più immediata, anche se strutturale, ormai, è nel fatto che non
esiste letteralmente una "forza di governo", né forza di governo
nelle ideologie e negli interessi dominanti: si governa e si sottogoverna
l'esistente, consumandolo. Mentre si ignorano, si rimuovono, si censurano,
da parte delle istituzioni o nelle istituzioni, le enormi realtà che si
stanno formando, le scelte politiche, economiche, tecnologiche e ideali
che condizioneranno per decenni la nostra vita e quella delle generazioni
future, se vi saranno generazioni future. E' in questo vuoto politico
che si fa il pieno, nei mass-media, di morte e di distruzione... A tutto
questo urge rispondere: Basta! Vogliamo innanzi tutto governare in modo
che chi assassina cento persone non abbia che il giusto posto nella cronaca
nera, ma abbia posto nella cronaca nera, e non in quella delle istituzioni
e del governo del paese, anche chi ne assassina migliaia o milioni. Vogliamo
governare in modo che la cronaca nera abbia, in totale, uno spazio marginale
rispetto alla cronaca democratica, alla cronaca fatta dalle istituzioni
e dai 57 milioni di cittadini che non praticano assassini... Se non si
scioglie questo nodo nulla può essere fatto. Se non si ha la capacità,
la forza o l'interesse di mettere all'ordine del giorno del paese e dei
governi i grandi, drammatici, problemi del nostro tempo (e non Moretti
e Curcio), nulla è fattibile. Occorre comunque capire che le br e i terroristi
minacciano e si affermano dove ingiustizia e tradimenti dello Stato forniscono
alibi alle disperazioni e ai fanatismi, alla negazione di qualsiasi altra
legge che non sia quella della giungla. Se invece di negarla e distruggerla,
si fosse fatta la riforma carceraria conforme alla Costituzione e alla
giustizia, all'umanità e alla ragione, se si fosse fatta la riforma degli
agenti di custodia, e quella della polizia, cioè una riforma dello Stato
nato negli anni del fascismo e tenuto in vita per trentacinque anni dall'antifascismo
ufficiale, Moro non avrebbe scritto inutilmente le sue splendide, tragiche
lettere invocanti Cesare Beccaria contro Francesco Cossiga e Ugo Pecchioli''.
Dal gruppo dei belligeranti si sono staccati in volata i repubblicani
trainando la formazione verso il traguardo. ``In un solo giorno - dichiara
sempre Pannella - dopo le farneticazioni cripto-fasciste di Forlani ("allusione
al discorso rivolto dal Presidente del Consiglio ai carabinieri"),
abbiamo ora quelle degli eredi crispini e trasformisti, i cosiddetti repubblicani.
Chiedono, nei fatti, prigione a vita senza giudizio, invasione poliziesca
nella responsabilità di amministrazione della giustizia, tribunali speciali
appena mascherati. La storia ha poca fantasia. Così come il vecchio partito
repubblicano, altrimenti nobile e vicino alle sue gloriose battaglie risorgimentali,
dette un alto contributo alla formazione del regime e del partito fascista,
il nuovo cerca di trovare oggi un analogo spazio di sopravvivenza. Fatto
senatore a vita per meriti preistorici e pseudomilitari, il senatore Valiani,
divenuto "maitre a penser" della catena giornalistica sindoniana
e delle P2 ritrova oggi, con maggior successo, linfa dalle sue vecchie
radici dannunziane e poi staliniste''. 1770
A
chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino
Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento
a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981
8 gennaio
- "Un comunicato del Gruppo e del Partito radicale annuncia
contemporaneamente da Roma la decisione di rendere noto alle 17 dello
stesso giorno un documento del ``Comitato di lotta'' dei detenuti di Trani,
cioè dei detenuti delle br. ``A questo documento - aggiunge il comunicato
- noi riteniamo inutile ed impossibile dare una qualsiasi risposta. Ci
occupiamo di politica di diritti umani e civili. Il tragico e squallido
gioco della guerra non ci interessa: riguarda purtroppo coloro che ci
credono e lo proclamano, nelle carceri, nel paese e, purtroppo sempre
più numerosi e prestigiosi, nelle istituzioni. Noi ripetiamo alle br:
liberate D'Urso, senza condizioni! Noi ripetiamo: con chi ricatta, con
chi ricatta nel modo più infame tenendo il grilletto pronto a sparare
sulla nuca di una persona, non si tratta. E' un rifiuto che si deve anche
a chi crede di essere forte perché può essere assassino o esserlo già
stato, perché corregga questo suo tragico errore. Noi ripetiamo: è per
noi titolo di onore non trattare, non aver trattato, non tollerare trattative
né da parte dello Stato né di chicchessia. Le br, esse per prime lo sanno.
Checché la stampa, specchio fedele del potere corrotto e corruttore ne
scriva noi non abbiamo trattato la liberazione di D'Urso. Diamo atto a
quanti abbiamo incontrato, cui si può riconoscere una qualsiasi rappresentanza
delle br, di aver tenuto con noi un analogo atteggiamento. Con noi non
hanno trattato né tentato di trattare. Per questo ripetiamo che il dialogo
non solo è possibile, necessario e tentabile, ma che è forse sul punto
di essere avviato, è forse già avviato. Se così è, ne rendiamo grazie
ai nostri compagni assassini, bestialmente troppo legati al fascino della
morte...''
``Pubblicheremo a nostre spese su quotidiani il testo del documento, come
atto dovuto e corrispondente a quello dei detenuti di Palmi che, se le
notizie sono esatte, sono andati oltre a quanto era lecito attendersi
in base al comunicato n. 8 delle br nella direzione della vita e del dialogo,
quali che siano le ragioni per le quali lo hanno fatto''.
``Noi continueremo nel nostro lavoro per la democrazia, per il diritto,
per i diritti umani e civili, per le riforme delle leggi, dei codici,
delle carceri, delle pene, da democratici, da parlamentari, da nonviolenti,
denunciando ancora una volta l'infamia di un potere, di maggioranza e
di ``opposizioni'' parlamentari che hanno negato al Parlamento e al Paese
di compiere quei doveri costituzionali, che debbono poi, in qualche misura,
almeno riconoscere come tali quando la violenza che è la loro regola,
rischia di rivolgersi contro di loro, e di ferirli''.
Nel pomeriggio, all'ora annunciata, il documento dei detenuti di Trani
viene diramato alla stampa e trasmesso da Radio Radicale." 1770
A
chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino
Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento
a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981
13 gennaio
"
E' ovvio che sui radicali, rimasti soli, converga la violenza
di una polemica senza precedenti. "Il Corriere della Sera",
forse per la prima volta nella sua storia, giunge a pubblicare contro
di essi, in prima pagina un corsivo riquadrato, che è il corrispondente
di una interrogazione parlamentare. Eccone il testo: "Chi ha autorizzato
i radicale a visitare con tanta frequenza le carceri di Trani e di Palmi?
E' stato rispettato pienamente lo spirito dell'articolo 67 della legge
penitenziaria? E per quale motivo il Ministro di grazia e giustizia non
è intervenuto per impedirlo, come avrebbe potuto in base all'articolo
90 dello stesso?".
Le accuse si fanno più che mai esplicite, corroborate da toni di estremo
livore; non incontrano nessuna remora di plausibilità, di civiltà e di
pudore: sono per la capitolazione dello Stato, sono complici delle br,
ne sono i portavoce. Non esitano dinanzi a smaccate speculazioni ed evidenti
menzogne coperte da una inaudita guarentigia offerta dai giornali della
``fermezza'' che garantiscono tutto lo spazio alle voci d'accusa e negano
il minimo spazio alle voci radicali o a quelle che suonano, direttamente
o indirettamente, a loro difesa. Lo scopo è chiarissimo: chiuderli in
un ghetto di criminalizzazione, disarmarli con la violenza, vietarne l'ascolto
non potendone mortificare la credibilità. Sorgono voci inquietanti che
serpeggiano insidiose negli anfratti di Montecitorio. Si dice che siano
pronti, nel caso D'Urso venga ucciso, i mandati di cattura per complicità
in sequestro e assassinio a carico dei radicali componenti la delegazione
di Trani e di Palmi nonché a carico di quelli che da Radio Radicale hanno
divulgato i documenti delle br e tenuto incessantemente per giorni e notti
il "filo diretto" con gli ascoltatori. Voci, certo, non necessariamente
rispondenti al vero ma che traducono in ogni caso una volontà di ricatto
e di persecuzione minacciando una improbabile e assurda criminalizzazione
giudiziaria oltre che la criminalizzazione politica.
Le accuse persecutorie, sopite al momento della liberazione del giudice
D'Urso, riprenderanno fiato non molto tempo dopo, fronteggiate sempre
dai radicali con la testarda coerenza della loro azione politica e con
risposte esplicite sempre e comunque ignorate dalla stampa. Ne riportiamo
due di Marco Pannella che, sebbene successive alla felice conclusione
della vicenda D'Urso, sintetizzano felicemente i motivi della contropolemica
radicale in tutto il suo percorso.
Con riferimento al PCI [ dice Pannella] : "Le sordide, immonde
insinuazioni, gli anatemi e le menzogne con cui la stampa comunista sta
cercando di liberarsi dei radical-brigatisti oggi come dei radical-fascisti
del partito d'azione ieri per cercare in qualche modo di salvarsi imbarbarendo
sempre più la vita politica, mi costringe a prendere atto che, nel partito
in cui per trent'anni si sono giustificate e esaltate le più ignobili
pagine del secolo, quelle naziste e comuniste, gli stermini, i processi,
le invasioni, le torture, la criminalizzazione di partiti e ideologie
intere, qui riflessi sono di nuovo vivi, dominanti, tentano disperatamente
di mantenere nell'ignoranza e nel falso la lotta politica".
"Non a caso, ormai è il direttore del "Corriere della Sera"
(e quale direttore) ad auspicare che il Ministero degli Interni, e quanto
del governo deve applicarsi all'ordine pubblico, sia tenuto da comunisti
quali Pajetta e Pecchioli, a dichiararlo dalle colonne di "Repubblica"
che colano lacrime e pietà, di fronte alle sventure del povero Di Bella.
Il compromesso storico con il mondo cattolico e clericale, voluto dagli
stalinisti e da Togliatti, ha impedito il sorgere della prima repubblica
in Italia. Ciò che gli epigoni impazziti e frustrati stanno ormai cercando
di realizzare con il ``capitale'' (salvando Calvi, Gelli, Agnelli, la
finanza massonico-repubblicana e quella clerico-sindoniana, aprendo perfino
i salotti romani al tentativo di sfruttare l'azione delle br per destabilizzare
ulteriormente governi e Parlamento, per giungere al governo detto Visentini;
sotto la sferza degli editori dell'"Espresso" e "Repubblica",
e del capofazione Scalfari), ciò che tentano di realizzare gli ambienti
andreottiani, punta ad affermarsi sulle macerie, e con le macerie, della
Repubblica e della democrazia. Questi apprendisti stregoni e questi personaggi
non di rado uniti da una vera e propria associazione sovversiva, lavorano
da prussiani, per il Re di Prussia. Cioè per un intervento alla turca".
Con riferimento al PRI: "la nota repubblicana che accusa il PR
"di aver già praticato e di cercare per il futuro alleanza br"
e che incita la magistratura a risolvere penalmente la vicenda radicale
nel suo insieme, è, oltre che grottesca, ridicola. Se il PRI dovesse essere
ritenuto responsabile dei fatti penalmente rilevanti e perseguiti cui
si sono esposti da lustri i suoi dirigenti nazionali e periferici, si
sarebbe già da tempo dovuto procedere al suo per associazione a delinquere.
Dagli scandali (plurimi) dei petroli, con i segretari amministrativi salvati
dall'ignobile Inquirente, a quelli connessi a molte vicende criminali
e mafiose in Sicilia e altrove, è indubbio che solo una situazione di
regime ha salvato il PRI da simile imputazione e condanna."
"Ma un fatto è certo: l'accusa ai radicali di essere alleati
delle br e di ricercarne l'alleanza, è semplicemente da mentecatti che
farneticano contro lo Stato dalle colonne finanziate da Sindona e compagni.
Mentre quella di essere ladri, peculatori e corrotti, che elevo nei confronti
della segreteria autrice del comunicato suddetto, è un'accusa già elevata
da più magistrati, che per mio conto ritengo vera e ribadisco".
1770
A
chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino
Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento
a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981
14 gennaio - "
Abbiamo conquistato una vita - dice subito Pannella - è un giorno
fausto per tutti, per tutti senza eccezione. Non abbiamo vinto ma convinto.
Lo Stato non ha trattato, questa volta nemmeno con i Viglione, fino a
prova del contrario. La legge non è stata violata, né contrattata. Nessuno
ha ceduto nulla a nessuno. L'onestà intellettuale di qualche giornale,
ultimi e primi "Il Messaggero" e "Il Secolo XIX",
ha salvato anche l'immagine di una stampa che si è rivelata dominata dal
partito della forca, che riunisce ormai, per la seconda repubblica, borbonici,
giacobini e mestatori internazionali".
"Si stava tentando un vero e proprio golpe legale. In attesa di un
cadavere, che doveva esser dato in olocausto, si stavano facendo appello
perfino al Presidente della Repubblica".
"Con D'Urso vivo, la rabbia stalinista e fascista resta scoperta.
Il fantasma ha preso corpo. Lo sconfiggeremo. Nelle istituzioni e nel
paese. E ora si torni al regime, agli scandali del regime: questa volta
le br non hanno potuto funzionare. Si raccolgano, ora, subito, le firme
per l'incriminazione di Gioia, e si richiami in servizio il generale Lo
Prete, per accusarlo di alto tradimento. I radicali sottolineano con gioia
che ha vinto il dialogo, contro la trattativa, la fermezza e il potere.
Mi si è chiesto cosa fosse il dialogo: è questo. Un atto di umanità in
luogo di un assassinio".
Il fronte della fermezza è indubbiamente spiazzato. Vi pone riparo "Repubblica"
che paradossalmente e in modo maldestro rivendica alla linea dura qualche
merito di aver contribuito alla liberazione del magistrato. E ne chiede
un grato riconoscimento tenendo fermo tuttavia il giudizio di demerito
per quelli che hanno ``ceduto''. La protervia di tale giudizio, e l'ovvio
bisogno di mitigare in qualche modo la smentita che alla linea dura dei
giornali della ``fermezza'' oppure clamorosamente la sopravvivenza del
magistrato, le cui condizioni sono state così evidentemente determinate
dal ``cedimento'' della stampa ``capitolarda'', questa protervia difensiva
avrà un riflesso in sede parlamentare, dove i repubblicani, con l'appoggio
dei comunisti, tenteranno senza successo di proporre un o.d.g. di "riconoscimento"
a favore dei giornali del black-out.
" 1770
"da Almirante a Valiani, da Scalfari a Berlinguer il partito
della forca, il partito dei giacobini e dei borbonici si è ricostituito,
e ha bisogno, come il fascismo di allora, di inventare, creare, nutrire
il caos, di sfornare e far sfornare cadaveri per legittimare il nuovo
``fascio'' delle forze sane e salvatrici dell'ordine.
"Solamente per questo gli assassini di non più di trenta persone
in un anno sono stato posti al centro della vita del paese, della vita
dello Stato. Per questo, esplicitamente, si è detto e scritto che D'Urso,
ormai, serve come martire e vittima, e che si ha il dovere di non far
altro che lasciarlo al suo destino. Per questo, in primo luogo Rizzoli,
ha smentito in modo clamorosamente, dinanzi alla vita o alla morte di
D'Urso, ogni sua prassi precedente".
"Comunisti e fascisti, un certo mondo finanziario e capitalistico
internazionale, forze della P2, sindoniane, mafiose, puntano alla seconda
Repubblica, al golpe strisciante che già stanno realizzando, anche con
appelli espliciti al Presidente della Repubblica. Speriamo che sia la
follia di un momento e che tutto questo non duri quanto la la follia delle
unità nazionali che portarono lo Stato in ginocchio dinanzi al terrorismo
ed allo sfascio". 1770
"Lo scontro si ripropone a liberazione D'Urso avvenuta ed
è sempre Pannella a fronteggiare ``le reazioni invereconde e scomposte''
che seguono al rilascio del magistrato e che ``provano molto di più di
quanto si era intuito e temuto''. "D'Urso - dice Pannella - serviva
cadavere. Gli appelli martellanti al Presidente della Repubblica che venivano
da due gruppi editoriali (quello sindoniano e quello che è giunto fino
a pubblicare le autointerviste delle brigate rosse e i verbali degli immondi
processi dei terroristi), perché intervenisse in modo straordinario nella
vita delle istituzioni, non hanno questa volta potuto contare sull'infamia
degli assassini. E hanno perso.
"Scalfari e Valiani, oggi, sono eloquenti. Il senatore a vita, catapultato
per un errore che può rivelarsi gravissimo nella vita delle istituzioni,
chiede oggi a gran voce la costituzione, in Italia, del Tribunale speciale,
a somiglianza di quella Corte di Sicurezza francese che tutte le forze
democratiche francesi denunciano, ormai, come intollerabile offesa alla
giustizia ed alla Repubblica. Scalfari, come impazzito, mostra che il
governo al quale puntava doveva aver poteri straordinari e dittatoriali
contro l'opposizione radicale".
"Se non ci si intende censurare, il mio pensiero si sintetizza dunque
in questo modo: Il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando
un vero golpe. Per questo, come il fascismo nel '21, ha bisogno di cadaveri.
Ma questa volta, al contrario di quanto è accaduto con Moro, è stato provvisoriamente
battuto. Per una volta, le br non sono servite". 1770
"Ci chiediamo: avrebbe avuto questa felice conclusione la sua avventura
senza l'azione svolta dai radicali? Sarebbe sopravvissuto senza l'iniziativa
testarda di chi ha posto il rispetto della vita di un uomo al di sopra
di ogni rischio, di ogni tornaconto, di ogni strumentalizzazione? Sarebbe
tornato senza l'ostinata presunzione dei radicali di portare su terreno
scoperto il gioco delle responsabilità e il confronto dei convincimenti,
la coscienza dei fini e il calcolo degli infingimenti, la lettura spietata
delle strategie e delle manovre? Sarebbe andata come è andata se un gruppo
di ``cialtroni'', di ``avventurieri'', di ``demagoghi'', di ``destabilizzatori'',
di ``complici'' non avessero investito nell'azione politica i loro pregi
e i loro difetti, i loro vizi e le loro virtù? Dei difetti e dei vizi
soprattutto essi si fanno carico rivendicandoli come segno delle loro
diversità, ``incomprensibili'' certo, ma solo perché respinge ciò che
essa significa e configura: alternativa di scelte, di contenuti, di metodi,
di cultura. 1770
Intervista a Leonardo Sciascia,
di Sandro Viola, LA REPUBBLICA, 17 gennaio 1981
ROMA - Sebbene conosca,
in queste prime giornate della liberazione di Giovanni D'Urso, un affievolimento,
la polemica non è certo esaurita. Si doveva o no trattare con le Br? Chi
ha avuto ragione: i giornali che si sono rifiutati di pubblicare i documenti
dei terroristi, o i giornali che li hanno pubblicati? Sembra niente, quasi
una discussione sul sesso degli angeli mentre tutt'attorno rovinano i
pilastri dell'edificio nazionale. E invece (almeno per chi non crede alla
fine della Repubblica) non si tratta d'una esercitazione retorica. L'attacco
terrorista si ripeterà, su questo ci sono pochi dubbi: e allora è utile
fare un bilancio dei comportamenti di questi giorni, cercare di capire
sin da adesso come si comporteranno, domani, gli attori sulla scena.
Ad un giornale come "Repubblica", che crede nella necessità
di respingere recisamente il ricatto dei terroristi (e che manterrà inalterata,
in futuro, questa posizione), compete l'obbligo di dare ai propri lettori
l'opinione degli "altri": di coloro cioè che nei giorni del
sequestro D'Urso lanciavano appelli alle Br, premevano sui giornali perchè
si decidessero a pubblicare i testi brigatisti, reclamavano la priorità
dei principi umanitari su ogni altra logica o opportunità politica. Ma
a chi rivolgersi nel composito, esagitato - e spesso gravemente intimidatorio
- "fronte della trattativa"? Non potevamo certo rivolgerci a
Pannella e ai pannelliani, che ci chiamano "il partito della forca,
della morte, del golpe". Qui ogni possibilità di dialogo sembra ormai
chiusa. Abbiamo scelto allora Leonardo Sciascia: non solo per il suo prestigio
intellettuale, ma anche perchè - pur attorniato da gente che lanciava
accuse pazzesche contro chi non condivideva le loro scelte - lo scrittore
siciliano ha mantenuto nella vicenda atteggiamenti più riflessivi.
Domanda: Questa nostra conversazione,
onorevole Sciascia, può svolgersi, per fortuna, nelle condizioni migliori.
D'Urso è vivo, infatti, e restituito alla sua famiglia. Pensiamo quindi
che questo ci consenta di discutere con tutta obiettività, senza soprassalti
emotivi, il problema dei due "fronti". Intanto, che cosa ne
pensa delle definizioni correnti: fronte della fermezza e fronte della
flessibilità, della trattativa e della non trattativa? E poi: può riassumere
la posizione sua e dei radicali, o, se esistono delle differenze, la posizione
di Sciascia e quella dei radicali?
Sciascia: "Queste definizioni
della fermezza o della trattativa, del cedimento o del non cedimento,
sono in realtà parecchio approssimative. La verità è che esistono molte
posizioni intermedie, e intermedia è anche la mia posizione personale.
Devo ricordare che durante il caso Moro io non volli firmare l'appello
di "Lotta continua" per una trattativa con le Br. Dunque io
non avevo, allora, proposto cedimenti di sorta. Rimproveravo soltanto
al governo del tempo il fatto che subito dopo il rapimento di Moro (e
prima ancora che le Br avanzassero un qualsiasi ricatto) era stata chiusa
la porta in maniera irrevocabile a qualsiasi trattativa. Pensavo allora
che il governo non dovesse dichiarare nulla, neppure la fermezza, in quanto
la fermezza doveva essere implicita nella sua funzione di governo. Esso
avrebbe dovuto invece, non pronunciandosi, tenere mano al gioco di Moro,
che era quello di guadagnar tempo così da fare in modo che la polizia
lo trovasse. Perché questo è il punto essenziale della mia posizione d'allora:
e cioè la convinzione che la salvezza di Moro potesse venire soltanto
da un'azione di polizia ben riuscita.
"NON PREDICO LA POLITICA
DEI CEDIMENTI"
"Quando le Br hanno
sequestrato D'Urso, la storia m'è apparsa subito diversa. Ho avuto l'impressione
che le Br si sarebbero mosse in una logica differente da quella del caso
Moro. Che avessero capito, cioè, che per loro era più vantaggioso lasciare
D'Urso vivo. Di conseguenza, ho pensato che una minima risposta alle loro
richieste poteva accelerare, rendere attuabile la loro intenzione di partenza.
Ecco, serenamente non credo che la salvezza di D'Urso si debba - se non
in minima parte - agli appelli lanciati da me o da altri. Credo che essa
facesse parte del piano delle Br.
"Quanto alle differenze tra me e i partito radicale, direi che per
il Pr è difficile parlare di 'partito'. Siamo diciannove parlamentare
eletti nelle liste radicali, e quello che ci ha unito nei giorni scorsi
era la volontà di salvare la vita di Giovanni D'Urso. Per il resto, ognuno
di noi ha valutazioni e comportamenti diversi".
Domanda: Lei ha insomma
creduto che alle Br fosse dovuta una pur "minima risposta".
La nostra posizione è diversa. Noi consideriamo che lo Stato repubblicano
versa in condizioni d'estrema debolezza, e questo non certo per colpa
delle forze politiche alle quali negli anni siamo stati vicini, ma essenzialmente
per colpa del sistema di potere democristiano. Concordavamo, infatti,
col suo apologo del 1978. Ricorda? Un ufficiale della Gestapo mostrava
a Picasso una riproduzione del quadro "Guernica" (in cui era
descritto l'orrore d'uno dei primi bombardamenti a tappeto dell'aviazione
tedesca), e diceva complimentoso: "Questo l'ha fatto lei". Ma
Picasso, secco, aveva risposto: "No, questo lo avete fatto voi".
Concordavamo cioè col senso di quest'apologo, col giudizio secondo cui
l'Italia del terrorismo è un fenomeno in buona parte imputabile al governo
della Dc. Ma qui le nostre posizioni divergono. Noi crediamo che trovandosi
la Repubblica in condizioni tanto debilitate, dare ulteriori prove di
cedimento subendo le imposizioni del "partito armato" equivarrebbe
a decretare la fine delle istituzioni. Non solo: ma equivarrebbe ad esporsi
ad altri ricatti; a ritrovarsi ogni volta di fronte al dilemma "salvare
una vita o aprire nuovi varchi al progetto terrorista"; a dover ogni
volta essere costretti ad esercitare un diritto di grazia o di morte.
Che cosa c'è secondo lei di "inumano", di politicamente pericoloso
(come si continua a dire nel suo partito) in questa posizione?
Sciascia: "Prima di
tutto vorrei chiarire che io non predico la politica dei cedimenti. In
una recente intervista all' "Espresso", dicevo che con la chiusura
dell'Asinara il governo non aveva fatto altro che adempiere (sia pure
in un momento sbagliato, che poteva far pensare ad un cedimento) ad un
dettato costituzionale. Ma aggiungevo che, presa la decisione dell'Asinara,
il governo aveva altre risposte da dare alle Br; nè io mi sentivo di chiedere
ulteriori concessioni.
"Veniamo ora al "black-out" dei giornali sui documenti
delle Br. Bene, voglio dire che non ho nulla - in linea di principio -
contro questo tipo di silenzi. Solo che la regola andava stabilita prima
che avvenisse il sequestro D'Urso, oppure va stabilita adesso in previsione
di altri sequestri. Questo va fatto: stabilire la regola del "black-out"
per il futuro, e osservarla nella maniera più recisa da oggi in poi. Ma
nel momento del sequestro D'Urso, era differente. I giornali non essendo
il governo, non essendo lo Stato, essendo anzi un fatto privato, dovevano
sentire la necessità di subire il ricatto per salvare la vita d'un uomo".
"CI SAREBBE BISOGNO
DEI COMUNISTI"
Domanda: Che vuoi dire che i giornali sono "un fatto privato"?
Quante volte i cittadini hanno dovuto surrogare da sè stessi le funzioni
d'uno Stato o troppo debole o addirittura scomparso? Non fu certo lo Stato
dei re e di Badoglio ad organizzare la Resistenza: furono, appunto, i
cittadini.
Sciascia: "Il mio punto
di vista è che non si può scegliere la morte di altri. Se le Br dicessero
'Se non fai questa cosa ti ammazzo', io posso scegliere di non farla.
Ma se mi dicono 'Se fai questa cosa ammazzo il tuo vicino di casa', allora
subisco il ricatto. Capisco che questa è una posizione quasi religiosa,
piuttosto che politica. Però resto convinto che ogni giornalista avrebbe
dovuto porsi il problema in questi termini".
Domanda: Intanto, questa
divisione dei due "fronti" ha accentuato le altre divisioni
del paese. E le Br ne sono, purtroppo, consapevoli: "La campagna
D'Urso", hanno scritto, "ha messo a nudo tutta la debolezza
politica di questo regime, ha scompaginato i patti d'omertà e complicità
tra forze politiche, magistratura, stampa...". Lasciamo stare il
linguaggio, le "omertà" e "complicità", ma certo nel
paese è intervenuta un'altra spaccatura.
Sciascia: "La spaccatura
sarebbe avvenuta in ogni caso. Il fatto è che le Br sono oggi una forza
parlamentare, in quanto non fanno che evidenziare quelle incomunicabilità
e quelle rotture che già esistono. C'è una maggioranza divisa, c'è una
sinistra divisa, e questo a prescindere dalla Br...".
Domanda: Ma il profilarsi
d'una minaccia simile, le Br che condizionano la vita politica del paese,
non dovrebbe spingere ad uno sforzo d'unità?
Sciascia: "Certo, certo.
Ma a quale tipo d'unità? Una unità come quella che s'era profilata nel
'78, che consisteva nel governare tutti assieme lasciando fuori soltanto
i fascisti, è proprio quel che vogliono le Br. Contro lo sfondo d'una
simile situazione, esse potrebbero infatti assumersi il ruolo dell'opposizione.
Mentre il modo di emarginare il 'partito armato', di neutralizzarlo, è
quello di creare una situazione in cui tutti i mali vengano messi a nudo,
in cui tutte le persone che devono andare in galera ci vadano, e cioè
affrontando sul serio e senza doppiezze la questione morale".
Domanda: Ma un'operazione
del genere si può tentare soltanto con l'appoggio dei comunisti, e non
risulta che il suo partito si stia battendo per la partecipazione del
Pci al governo.
Sciascia: "E' evidente
che ci sarebbe bisogno dell'apporto del Pci. Ma per il momento, del Pci
come forza d'opposizione. In questo consiste la vera solidarietà nazionale.
In una collaborazione del Pci dal di fuori del governo, nella funzione
di controllo che dovrebbe esercitare, nell'incentivo da fornire a quella
parte della sinistra che sta al governo, e cioè il partito socialista.
Questo, ripeto, nella fase attuale. Mentre un domani, alle prossime elezioni,
si potrebbe avere una sinistra unita che va finalmente al potere ...".
Domanda: Senta, onorevole
Sciascia: lei sa che cosa stanno dicendo i mezzi d'informazione del suo
partito a proposito dei giornali che si sono rifiutati di pubblicare i
documenti delle Br. E allora le chiedo: ha un giudizio da dare sulle etichette
che ci vengono incollare dagli esponenti radicali, quando veniamo definiti
"partito della forca, della morte, del golpe"? Ha un giudizio
da dare sull'appello di radio radicale con cui s'invitavano gli ascoltatori
a telefonarci per condannare la nostra posizione, telefonate che si sono
risolte (come chiunque, a radio radicale, poteva prevedere) nell'accusa
d'essere noi gli eventuali "assassini" di D'Urso? Che giudizio
può dare sul fatto che Pannella stia indicando direttamente, per nome,
alcuni giornalisti come soli responsabili del rifiuto ad una qualche forma
di dialogo con le Br, esponendoli così (inconsapevolmente speriamo) al
mirino terrorista?
"RINASCONO ANTICHE INTOLLERANZE"
Sciascia: "Devo ammettere
che in questi giorni l'atmosfera s'è molto arroventata, rigenerando antiche
intolleranze. Mi ha impressionato, per esempio, che i giornali abbiano
attribuito all'infamia di Pannella la lettura del comunicato delle Br
da parte della figlia di D'Urso, in televisione. Posso dire che Pannella
non c'entra per nulla, che s'è trattato d'una decisione della famiglia.
Il Pr ha offerto lo spazio televisivo a sua disposizione, e i D'Urso hanno
deciso di far parlare la ragazza.
Per quanto mi riguarda, ritengo che i milioni di telespettatori che hanno
visto quella ragazzina leggere il comunicato in cui si dava del 'boia'
a suo padre, hanno segnato nel loro cuore la fine delle Br. I giornali
l'hanno preso invece come un'accusa rivolta a loro: il che poteva anche
essere, in una certa misura, ma il fine era un altro, non un fine polemico.
Ora, in presenza di queste accuse a Pannella, mi sembra di poter giustificare
anche certe sue risposte.
Quanto a me, io ho cercato di mantenere un linguaggio e uno stile assolutamente
rispettosi delle opinioni altrui. Ed una cosa è certa: se D'Urso fosse
stato ucciso, non mi sarei mai sognato di dire che la colpa era dei giornalisti
che avevano mantenuto il "black-out".
di Gianni Baget
Bozzo LA REPUBBLICA, 11 febbraio 1981
La decisione
della Corte Costituzionale di escludere la parte maggiore e migliore dei
referendum proposti dai radicali è una scelta grave. Essa colpisce l'istituto
del referendum, che ha svolto nella dinamica politica dell'Italia degli
anni '70 un ruolo assai maggiore di quello previsto dalla Costituzione.
In questi anni una crisi profonda di estraneità allo Stato ed alle sue
istituzioni si è abbattuta sul paese. Il regime democristiano è uno specifico
italiano della crisi, ma l'ingovernabilità è il problema comune di tutte
le società sviluppate, con la sola eccezione del Giappone felice che vince
sonoramente la guerra perduta. Lo è anche delle società dell'Est che sono
costrette a mantenersi entro schemi rigidi non solo dalle loro insufficienze
economiche ma anche da una crisi culturale che è la stessa dell'Occidente,
che dissocia la persona e le istituzioni, separa la società dallo Stato.
Il referendum è stata una risposta italiana originale alla crisi, la grande
invenzione radicale: rispondere alla disaffezione verso la democrazia
rappresentativa mediante l'esercizio della democrazia diretta. Ed è il
referendum che, in tema di divorzio, ha registrato la prima grande crisi
istituzionale, la più imprevedibile in Italia: quella della famiglia.
L'altra risposta specifica italiana, anche se diffusa fuori d'Italia,
è stata la violenza: quella terroristica e quella non terroristica, quella
rivoluzionaria e quella corporativa, quella delle bande e quella delle
mafie.
I dieci referendum radicali proponevano la figura del messaggio non violento.
Nella pressoché totale latitanza delle chiese, i radicali offrivano un'alternativa
politica che era anche un'alternativa morale e civile: la partecipazione
al posto della disperazione e del rifiuto, il voto diverso dal sistema
al posto del rigetto violento del sistema.
Si potrà dire che questo messaggio è tenue, ma non ne conosciamo al presente
altro più efficace. Esso sta pervadendo di sé, nonostante l'antipatia
per i radicali a causa delle forme graffianti e vistose della loro differenza,
anche la sinistra storica, nella sua base come nei suoi quadri. Il messaggio
radicale opera nelle zone di confine tra la violenza e la non-violenza:
e solo orologi fermatisi al tempo di Giolitti possono misurare i due tempi
come se fossero uno solo, e vedere nel partito radicale una sorta di volto
politico del terrorismo.
I dieci referendum miravano a creare un clima di partecipazione e d'impegno
politico, cioè a ritrovare la fiducia civile al di sopra della crisi congiunta
dell'amministrazione pubblica e dei partiti. Temi come la caccia, le centrali
nucleari, i reati di opinione, le droghe leggere investivano quei problemi
del morale e del civile che danno oggi la maggior densità umana al politico.
Perfino il referendum, un po' singolare, sulla smilitarizzazione della
Guardia di Finanza acquistava un suo senso proprio dopo che lo scandalo
dei petroli aveva rivelato il pessimo uso che si poteva fare, in materia
tanto delicata quanto la fiscale, della disciplina militare.
Insomma, i dieci referendum costituivano un tutto unico ed erano proprio
quelli più carichi di dinamica e di attualità che davano senso al tutto.
Ma sono stati essi quelli tolti di mezzo.
Non conosciamo gli argomenti giuridici della Corte e sappiamo del resto
che l'esegesi giuridica non è mai logicamente incontrovertibile. Ma non
dubitiamo dell'istinto politico della Corte: essa ha selezionato, come
giustamente ha notato su questo colonne Rodotà, proprio i referendum che
davano significanza politica al tutto.
Con ciò la Corte ha rivelato la sua fisionomia politica: la proposta Rodotà
di rendere pubbliche le divisioni che in essa si verificano, implica la
presa d'atto di questa natura della Corte. Ma apre al tempo stesso una
discussione sulla sua figura, in un ordinamento in cui la politicità si
legittima con la democrazia e dà come regola il consenso popolare.
La consultazione referendaria rischia ora di cambiare segno politico e
di essere dominata dai referendum sull'aborto: un argomento non entusiasmante
per nessuno e che è quindi, al livello in cui ci troviamo, nutrito di
passioni artificiali.
Referendum così svincolati dal loro contesto come quelli sui tribunali
militari o sul porto d'armi o sul medesimo decreto Cossiga, da cui però
è stato escluso il fermo di polizia, saranno vissuti più come un appello
tacito alla maggioranza silenziosa che come una vera apertura di dibattito
sulle stesse questioni che la maggioranza silenziosa pone.
Sconfitti i tavolini radicali sono comparsi, segni dei tempi, i tavolini
missini per la pena di morte. I referendum radicali offrono ora a questi
tavolini l'occasione di trasformarsi in pulpiti. Questo clima referendario
incide sulla campagna elettorale amministrativa, vista la concomitanza
delle due consultazioni. E questa combinazione dovrebbe impensierire i
socialisti.
Avendo scelta la vita del referendum come via principale della loro figura
politica, i radicali, con una coerenza che era sembrata perfino eccessiva,
avevano scelto, nell'ultima tornata, di disertare le urne amministrative.
Era una decisione rara, in un paese dove i partiti non rinunciano né ad
un seggio né ad un voto. Dell'astensione radicale, i socialisti avevano
beneficiato, e, in cambio, avevano offerto il loro patrocinio politico
ai referendum. Questo patrocinio sembra ora essere stato modesto, ed i
radicali accusano addirittura i socialisti di essere stati discreti sostenitori
del rigetto dei migliori referendum.
Questo dibattito forse continuerà: sta il fatto che i socialisti non hanno
criticato la decisione della Corte ed hanno perfino espresso la solidarietà
al suo presidente. Non si tratta ovviamente qui di questioni personali
ma di questioni politiche. Il rischio è che, mentre l'intesa tra socialisti
e radicali era stata un elemento significativo delle precedenti elezioni
amministrative, la polemica tra socialisti e radicali sarà una caratteristica
della prossima consultazione: assieme alla polemica tra socialisti e comunisti.
Del resto, il contenzioso tra socialisti e repubblicani sul caso D'Urso
è stato troppo vistoso per non avere eco elettorale e per non continuare,
come tuttora accade, ad alimentare la polemica politica.
Il risultato paradossale è che i migliori amici dei socialisti sembrano
divenuti i democristiani del preambolo, cioè proprio quelli cui i socialisti
vorrebbero togliere la presidenza del Consiglio. L'isolamento dei socialisti
può essere splendido, perché si accompagna ad un vorticoso ricambio delle
alleanze. Ma è forse proprio questo equilibrio instabile del Psi la premessa
immediata al rischio di nuove
elezioni. 4218
Il
manifesto-appello dei Premi Nobel
SOMMARIO: Il 24 giugno
1981, su iniziativa del Partito radicale, veniva diffuso nelle maggiori
capitali dell'Occidente un documento contro lo sterminio per fame sottoscritto
da decine di Premi Nobel. Era la risposta degli uomini di scienza all'indifferenza
dei governi, dei mass media e dei singoli alle spaventose cifre che annunciavano
la sicura morte di milioni di persone per fame nel Sud del mondo. Il Manifesto
indicava con precisione cosa fare per porre fine all'olocausto dei nostri
giorni. Attuare gli obiettivi del Manifesto, salvare dalla morte per fame
il maggior numero di persone, divenne l'impegno prioritario del Partito
radicale.
Noi
sottoscritti, donne e uomini di scienza, di lettere, di pace, diversi
per religione, storia, cultura, premiati perché ricerchiamo, onoriamo
e celebriamo verità nella vita e vita nella verità, perché le nostre opere
siano testimonianza universale di dialogo, di fraternità e di civiltà
comune nella pace e nel progresso, noi sottoscritti rivolgiamo un appello
a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà, ai potenti ed
agli umili, nelle loro diverse responsabilità, perché decine di milioni
di agonizzanti per fame e sottosviluppo, vittime del disordine politico
ed economico internazionale oggi imperante, siano resi alla vita.
Un olocausto senza precedenti, il cui orrore comprende in un solo anno
tutto l'orrore degli stermini che le nostre generazioni conobbero nella
prima metà del secolo, è oggi in corso e dilata sempre più, ogni attimo
che passa, il perimetro della barbarie e della morte, nel mondo non meno
che nelle nostre coscienze.
Tutti coloro che constatano, annunciano e combattono questo olocausto
sono unanimi nel definire come innanzitutto politica la causa di questa
tragedia.
Occorre quindi una nuova volontà politica e un nuovo specifico organizzarsi
di questa volontà, che siano direttamente e manifestamente volti - con
assoluta priorità - a superare le cause di questa tragedia e a scongiurarne
subito gli effetti.
Occorre che un metodo ed una procedura adeguati, fra i tanti esistenti
o immaginabili, vengano subito prescelti o elaborati ed attuati; occorre
che un sistema di progetti convergenti e corrispondenti alla pluralità
delle forze, delle responsabilità, delle coscienze li sostanzi.
Occorre che le massime autorità internazionali, occorre che gli Stati,
occorre che i popoli - troppo spesso tenuti all'oscuro della realizzabilità
piena di una politica di vita e di salvezza - così come già chiedono,
angosciate, alcune tra le massime autorità spirituali della terra, operino
unendosi o uniti nell'operare, con obiettivi puntuali, certi e adeguati
perché venga attaccata, colpita e vinta, nelle sue sedi diverse, la morte
che incalza, dilaga, condanna ormai una grande parte dell'umanità.
Occorre ribellarsi contro il falso realismo che induce a rassegnarsi come
ad una fatalità a quel che invece appartiene alla responsabilità della
politica ed al "disordine stabilito".
Occorre realisticamente lottare perché il possibile sia realizzato e non
consumato, forse per sempre.
Occorre che si convertano in positivo sia quegli assistenzialismi che
danno soprattutto buona coscienza a buon mercato e che non salvano coloro
cui si rivolgono, sia quelle crudeli e infeconde utopie che sacrificano
gli uomini di oggi in nome di un progetto d'uomo e la società di oggi
in nome di un progetto di società.
Occorre che i cittadini e i responsabili politici scelgano e votino, ai
rispettivi livelli, elettorali o parlamentari, governativi o internazionali,
nuove leggi, nuovi bilanci, nuovi progetti e nuove iniziative che immediatamente
siano volti a salvare miliardi di uomini dalla malnutrizione e dal sottosviluppo,
e centinaia di milioni, per ogni generazione, dalla morte per fame.
Occorre che tutti e ciascuno diano valore di legge alla salvezza dei vivi,
al non uccidere, e al non sterminare, nemmeno per inerzia, nemmeno per
omissione, nemmeno per indifferenza.
Se i potenti della terra sono responsabili, essi non sono gli unici.
Se gli inermi non si rassegneranno ad essere inerti, se dichiareranno
sempre più numerosi di non obbedire ad altra legge che a quella, fondamentale,
dei diritti degli uomini e delle genti, che è in primo luogo Diritto,
e diritto alla vita; se gli inermi andranno organizzandosi usando le loro
poche ma durature armi - quelle della democrazia politica e le grandi
azioni nonviolente ``gandhiane'' prefiggendosi e imponendo scelte ed obiettivi
di volta in volta limitati ed adeguati; se questo accadesse, sarebbe certo,
così come oggi è certamente possibile, che il nostro tempo non sia quello
della catastrofe.
Il nostro sapere non può consistere nel contemplare, inerti e irresponsabili,
l'orrida fine che incombe.
Il nostro sapere, che ci dice che l'umanità intera è essa stessa e sempre
più in pericolo di morte, non può che essere scienza della speranza e
della salvezza, sostanza delle cose da noi tutti credute e sperate.
Se i mezzi di informazione, se i potenti che hanno voluto onorarci per
i riconoscimenti dei quali siamo stati insigniti, vorranno ascoltare e
far ascoltare anche in questa occasione la nostra voce e l'opera nostra
e di quanti in queste settimane stanno operando nel mondo nella stessa
direzione, se le donne e gli uomini, se le genti sapranno, se saranno
informati, noi non dubitiamo che il futuro potrà essere diverso da quello
che incombe e sembra segnato per tutti e nel mondo intero.
Ma solo in questo caso.
Occorre subito scegliere, agire, creare, vivere, fare vivere.
Il Manifesto-Appello è stato
sottoscritto dai Premi Nobel:
Vincente Aleixandre Letteratura
1977 - Hannes Alfven Fisica 1970 - American Friends Service Committee
Pace 1947 - Philip Anderson Fisica 1977 - Christian Anfinsen Chimica 1972
- Kenneth Arrow Economia 1972 - Julius Axelrod Medicina 1970 - David Baltimore
Medicina 1975 - Samuel Beckett Letteratura 1969 - J. Georg Bednorz Fisica
1987 - Saul Bellow Letteratura 1976 - Baruj Benacerraf Medicina 1980 -
Gerd Binning Fisica 1986 - Baruch S. Blumberg Medicina 1976 - Heinrich
Boll Letteratura 1972 - Norman E. Borlaug Pace 1970 - Daniel Bovet Medicina
1957 - Willy Brandt Pace 1971 - Joseph Brodsky Letteratura 1987 - Bureau
International de la Paix Pace 1970 - Elias Canetti Letteratura 1981 -
Owen Chamberlain Fisica 1959 - Subrahmanyan Chandrasekhar Fisica 1983
- Stanley Cohen Medicina 1986 - Mairead Corrigan Pace 1976 - André Cournand
Medicina 1956 - Jean Dausset Medicina 1980 - Gérard Debreu Economia 1983
- John Carew Eccles Medicina 1963 - Odysseus Elytis Letteratura 1979 -
Ernst Otto Fischer Chimica 1973 - Paul John Flory Chimica 1974 - William
A. Flowler Fisica 1983 - Alfonso G. Robles Pace 1982 - Sheldon L. Glashow
Fisica 1979 - William Golding Letteratura 1983 - Ragnar Granit Medicina
1967 - Roger Guillemin Medicina 1977 - Haldan Keffer Fisica 1964 - Hartline
Medicina 1967 - Odd Hassel Chimica 1969 - Dudley Hershbach Chimica 1986
- Gerhard Herzberg Chimica 1971 - Dorothy Hodgkin Fisica 1979 - Robert
Hogfsadter Chimica 1964 - David Hubel Medicina 1981 - François Jacob Medicina
1965 - Brian Josephson Fisica 1973 - Alfred Kastler Fisica 1966 - Lawrence
R. Klein Economia 1980 - Georges Kohler Medicina 1984 - Polykarp Kusch
Fisica 1955 - Yuan Tseh Lee Chimica 1986 - Jean Marie Lehn Chimica 1987
- Rita Levi Montalcini Medicina 1986 - Wassily Leontief Economia 1973
- Salvador Luria Medicina 1969 - André Lwoff Medicina 1965 - Sean Mc Bride
Pace 1974 - Cweslaw Milosz Letteratura 1980 - César Milstein Medicina
1984 - Franco Modigliani Economia 1985 - Eugenio Montale Letteratura 1975
- Rudolf Massbauer Fisica 1961 - Nevill Mott Fisica 1977 - Gunnar Myrdal
Economia 1974 - Daniel Nathans Medicina 1978 - Louis Neel Fisica 1970
- Marshall Nirenberg Medicina 1968 - Philip Noel-Baker Pace 1959 - Severo
Ochoa Medicina 1959 - Linus Pauling Chimica 1954 e - Pace 1962 - Arno
Penzias Fisica 1978 - Adolfo P. Esquivel Pace 1980 - John Polanyi Chimica
1986 - Rodney R. Porter Medicina 1972 - Ilya Prigogine Chimica 1977 -
Quaker Peace and Service Pace 1947 - Isidor Isaac Rabi Fisica 1944 - Tadeus
Reichstein Medicina 1950 - Burton Richter Fisica 1976 - Heini Rohrer Fisica
1986 - Carlo Rubbia Fisica 1984 - Martin Ryle Fisica 1974 - Anwar El Sadat
Pace 1978 - Andrei D. Sacharov Pace 1975 - Abdus Salam Fisica 1979 - Frederik
Sanger Chimica 1958 e 1980 - Arthur Schawlow Fisica 1981 - Jaroslav Seifert
Letteratura 1984 - Kai Siegbahn Fisica 1981 - Claude Simon Letteratura
1985 - Robert M. Solow Economia 1987 - Albert Szent Gyorgy Medicina 1937
- Henry Taube Chimica 1983 - Hugo Theorell Medicina 1955 - Jan Tinbergen
Economia 1969 - Nikolaas Tinbergen Medicina 1973 - Sir Alexander Todd
Chimica 1957 - Susumu Tonegawa Medicina 1987 - Charles Hard Townes Fisica
1964 - Desmond Tutu Pace 1984 - Simon Van Der Meer Fisica 1984 - Ulf von
Euler Medicina 1970 - George Wald Medicina 1967 - Lech Walesa Pace 1983
- Ernest Walton Fisica 1951 - James Dewey Watson Medicina 1962 - Patrick
White Letteratura 1973 - Elie Wiesel Pace 1986 - Torsten Wiesel Medicina
1981 - Maurice Wilkins Medicina 1962 - Betty Williams Pace 1976 -
di Adriano Sofri
LOTTA CONTINUA, 27 settembre 1981
L'intervista appare sul numero
del giornale che esce in concomitanza con una importante Marcia Perugia-Assisi
ed è parte di un servizio di tre pagine dedicato al tema della fame nel
mondo.
Bruxelles, 22 settembre
Per incontrare Pannella, e far raccontare a lui le ragioni e le speranze
della sua lotta, sono venuto a Bruxelles, negli uffici del parlamento
europeo. Uffici strani. Le stanze dei radicali assomigliano, più o meno,
alle stanze dei radicali, da ogni parte del mondo. Poi ci sono altre stanze,
numerosissime, con tavoli sgombri, sedie vuote, scaffali nudi, porte spalancate,
e targhette col nome dei deputati titolari: ci si chiede se sono già andati
via per sempre, o se devono ancora arrivare per la prima volta.
Pannella è arrivato oggi da Strasburgo; sta per partire per New York,
facendo una rapida sosta a Parigi. Poi di nuovo a Strasburgo, e domenica
conta di essere a Perugia. Moltiplicare l'attività durante il digiuno
è per lui una norma. Secondo qualcuno esagera. E' dimagrito, finora, di
14 chili. A un giornale francese ha spiegato: "Per i mass media la
questione è chiara: al contrario del maiale, che si vende bene quando
è ingrassato, lo scioperante della fame si vende tanto meglio quanto più
è calato di peso. E' la legge del mercato...". Mi dice della risoluzione
presentata al Parlamento europeo, ormai avviata a raccogliere una clamorosa
maggioranza di firmatari.
"Firmano, uno per uno, nonostante che nessun capogruppo abbia deciso
di aderire. E non solo i deputati di sinistra. Dei conservatori inglesi,
che sono una specie di reparto prussiano del parlamento europeo, ha già
firmato oltre un terzo. Hanno firmato Tyndemans, Zaccagnini, Gonella.
Hanno firmato gli indipendenti di sinistra italiani, Baduel, Glorioso,
Carettoni, Ippolito, Squarcialupi. L'unico gruppo che, compatto, non ha
firmato è quello del Pci.".
Come mai questo risultato sorprendente?
"Perché la gente, quando sbatte contro il problema, ci sta. Se circola
l'informazione lo sterminio è vinto, e questo vale già per gli uomini
politici, che molto spesso non hanno idea dei termini del problema, e
tantomeno di come sia possibile affrontarlo".
Già l'appello dei premi Nobel aveva riscosso un'adesione eccezionale,
54 firmatari.
"Non l'avremmo mai sperato. Prima, documenti collettivi di Nobel
non avevano mai raggiunto le dieci firme. E ce n'e stato qualcuno, come
Pauling, che non ha firmato perché trovava addirittura che non fosse abbastanza
sottolineato il nesso col disarmo! Peraltro ce ne sono stati (meno delle
dita di una mano) che avrebbero voluto condizionare l'adesione a un pronunciamento
per il controllo delle nascite, o, come un vecchio grande scienziato,
che hanno detto che è proprio terribile veder morire tanta gente, ma o
muore lei, o moriamo tutti..."
Perché una così risoluta avversione del Pci?
"Non è una novità. Basta sfogliare gli atti parlamentari italiani.
Il Pci si è opposto all'autoconvocazione, si è opposto alle iniziative
simboliche (e gratuite) come la settimana di lutto, ecc. Sarà un caso,
ma nel periodo dell'unità nazionale è stato toccato il livello più basso
nella quota di aiuto italiano al Terzo Mondo: e sì che era difficile scendere".
Vediamo la sostanza di quello che proponete.
"L'uovo di Colombo. Smettere di lasciare che la gente crepi oggi
in nome della necessità di uno sviluppo a venire".
Prova a descrivere quello che può accadere, nei dettagli, come in un sogno.
"E un sogno realistico, a occhi bene aperti. La cosa comincia con
un capo di uno stato e di un governo - facciamo conto che sia l'Italia
- che va in Tv e annuncia una dichiarazione di guerra alla fame. Ne spiega,
semplicemente e precisamente, i termini. Obiettivo: salvare per dodici
mesi la vita di tre, quattro milioni di persone; localizzazione, procedure,
strumenti, costo. Contemporaneamente vengono convocati i ministri competenti
(Difesa, Esteri, Sanità, Lavori Pubblici) e i capi di stato maggiore,
e si dà loro mandato di concordare un programma operativo, a una data
scadenza. Io propongo, per esempio, che l'operatività prenda avvio il
primo gennaio 1982. Intanto l'Italia comunica agli altri governi, attraverso
i suoi rappresentanti diplomatici e attraverso una delegazione speciale
alle Nazioni Unite, che potrebbe essere guidata dallo stesso capo dello
stato, la decisione unilaterale di elevare la propria quota di aiuti allo
sviluppo all'1,4 per cento. Come nei casi di guerra, si richiede l'intervento
di urgenza. Si invitano a Roma i responsabili di organismi internazionali,
la cui cooperazione è determinante per il successo del piano: i signori
Morse, direttore generale del Pnud, l'organismo per la programmazione
dello sviluppo delle Nazioni Unite, Saouma, direttore della Fao, Williams,
del Consiglio Mondiale dell'Alimentazione, Pisani, responsabile della
Commissione Europa, e ancora i direttori dell'Organizzazione mondiale
della sanità, dell'Ufficio internazionale del lavoro, dell'Unicef. Non
si tratterebbe di una conferenza consultiva, di quelle che nella migliore
delle ipotesi rinviano alle calende greche, come con qualche buona intenzione
ma con un equivoco totale ha appena proposto il ministro Colombo; bensì
di una riunione operativa, di applicazione della decisione di salvare,
per la durata di dodici mesi, tre milioni di esseri umani. Molto semplicemente,
si tratterebbe di rafforzare e coordinare operazioni già esistenti nelle
zone a più alto tasso di mortalità, cominciando con il censire i programmi
deliberati e mai attuati".
Come si sceglierebbe la regione di questo intervento?
"Dati alla mano. Il terzo-mondo non è tanto un certo numero di stati,
quanto alcune oasi all'interno di paesi diversi, circondate dal quarto
mondo. Nel 1995 ci saranno nel terzo mondo 35 megalopoli con più di 5
milioni di abitanti. Prendiamo i 6 milioni e 500 mila morti in un anno
in Africa. Con un tasso di mortalità "normale", cioè sempre
superiore a quello europeo, ce ne dovrebbero essere 2 milioni e 600 mila.
Inoltre si deve tener conto dei paesi più sviluppati, come il Sudafrica,
in cui la mortalità media è certo assai più bassa; e della differenza
locale, per cui, se nell'insieme del Corno d'Africa c'è un tasso di mortalità
medio del 25 per mille e ad Addis Abeba scende a 14 per mille, questo
vuol dire che nell'Ogaden si arriva fino al 40-50 per mille. Aggredire
i tassi di mortalità non è difficile. L'esperienza della Cambogia è eloquente:
in 14 mesi lì si è passati dal 180 al 19 per mille, e la spiegazione non
si riduce certo alla fine delle atrocità di Pol Pot. In molti casi la
questione è brutalmente di disponibilità di soldi. Per esempio, l'Organizzazione
mondiale della sanità afferma che per far scomparire il paludismo basterebbe
un miliardo di dollari. Oppure, di fronte a carestie, occorrono interventi
di urgenza per fornire beni alimentari. Se si elimina il paludismo continua
la morte per fame e per miseria. Se si interviene in una carestia, continua
a sussistere il paludismo (ed anche di certi alimenti si può morire, come
è noto). Un coordinamento, che assicuri l'aiuto integrato, è decisivo.
E' ovvio, m è incredibilmente raro".
Perché fai riferimento all'impiego di strutture militari?
"Perché non è pensabile oggi nessun efficiente intervento di urgenza
se non attraverso una conversione delle strutture militari. Basta pensare
ai trasporti, il cui costo falcidia gli aiuti, e i cui tempi ne distruggono
l'efficacia. Un esercito che si comporti col territorio della fame, come
una truppa di invasione, è l'unico in grado di costruire le infrastrutture
indispensabili. E' la differenza tra aspirare che venga costruita una
strada asfaltata o decidere di aprire una pista e andare avanti. Ci sono
aspetti di questo aiuto che hanno effetti a distanza di giorni, medicinali,
alimentari, interventi di medici. Altri che cominciano ad essere efficaci
dopo mesi: sementi, utensili, ecc. Per assicurare la durata diventa conveniente
o necessario costruire dei silos, dei magazzini. Ecco un esempio del modo
in cui dall'intervento di emergenza può essere messo in modo un processo
strutturale. Si tratta di gettare una testa di ponte, nient'altro, e garantire
la vita. Poi si vedrà. E tieni conto degli effetti ideologici e psicologici,
oltre che tecnici, che un impiego di questo genere avrebbe sugli eserciti
dei paesi ricchi".
Sembra fin troppo semplice.
"Ma lo è. Se sapessi quali sono le cose che contano concretamente.
Per esempio che le lattine di butteroil siano di dieci chili invece che
di venti, cosicché le donne possano andarsele a prendere a piedi, e portare
sulla testa invece di dipendere dai trasporti centrali. Oppure un cambiamento
nella larghezza delle maglie delle reti da pesca, come quello che si è,
dopo secoli, realizzato nel Niger, e che per la prima volta rende economica
la pesca al di là dell'autosussistenza".
Non viene naturale l'obiezione salvare 3 milioni di persone va bene, ma
gli altri 27?
"Ma è proprio questo il punto. Ci sia chi si impegna, per parte sua,
a salvare un decimo dei condannati a morte per fame. Potranno gli altri
restare fermi? E non è importante che nasca una nuova emulazione? Che
i paesi del Terzo Mondo guardino con riconoscimento al ruolo del paese
guida? Ha ragione, inoltre, Servan Schreiber quando dice che tra le ragioni
della paralisi di immense ricchezze come quelle dei paesi dell'Opec c'è
l'assenza, nel nostro tempo, di "grandi cose", capaci di attrarre
e di esaltare, e di legittimare investimenti".
Tu dai molto peso al carattere di legalità della vostra azione.
"A maggior ragione in questo campo. Assai più che a Norimberga, un
processo contro il genocidio per fame ha oggi una ineccepibile base di
diritto. Nelle risoluzioni dell'Onu la condizione del primo e del secondo
mondo è già completamente delegittimata. Anche perché si vota più facilmente
sui principi (compreso il Diritto alla alimentazione) per non votare sui
soldi. Questa però diventa la base più solida di un'azione che intende
costringere gli inadempienti - per interesse, per malafede o per stupidità
- alla applicazione degli impegni presi".
Quali sono le obiezioni maggiori alla linea dell'intervento immediato?
"A parte i pregiudizi ideologici e gli interessi costituiti, una
linea come questa suscita paradossalmente, diffidenze maggiori in paesi
come l'Olanda o la Danimarca, in cui più tradizionale è una politica di
aiuti, cosicché si diffida dell'assistenzialismo, si mitizza lo sviluppo,
etc.
Tuttavia un uomo come Gunnar Myrdal molti anni fa sosteneva posizioni
simili alla nostra, ma fu frettolosamente liquidato come umanitario".
Voi, pur insistendo sul nesso fra lotta alla fame e opposizione agli armamenti,
attribuite comunque alla prima una priorità morale.
"E' più giusto dire politica, se non nel senso che il rispetto per
la vita viene prima di ogni politica e il rispetto per la vita altrui,
per il suo carattere laicamente sacro, è la condizione del rispetto per
se stessi. La morte accettata fuori di sé è già accettata dentro. E comunque,
anche nel senso più strettamente politico, che cosa ci si può aspettare
sulle pensioni o sulla disoccupazione da chi accetta di convivere passivamente
con la morte per fame? Quanto al nesso con la lotta antimilitarista esso
è strettissimo - viene quasi da dire la parola malfamata "dialettico".
Quello che sappiamo è che non bisogna mai puntare sulla paura, sulla paura
fa leva il fascismo.
Comunque le superpotenze e i loro satelliti potrebbero anche, a rigore
di cifre, continuare a giocare al rialzo sugli armamenti per un paio d'anni,
e trovare lo stesso il modo di far sopravvivere, come enunciava esplicitamente
la Commissione Carter, trenta milioni di persone".
Qual è la vostra posizione di oggi sui pericoli di guerra?
"Posso dirti che cosa farebbe un governo radicale. Uscirebbe dal
patto militare Nato, restando nell'alleanza atlantica. Non si stancherebbe
di ripetere, catonianamente, che il totalitarismo sovietico delendum est
- come il nazismo e il fascismo negli anni '30, come i regimi che portano
nel grembo, inevitabile, strutturale la vocazione alla guerra. Da anni
e anni trattiamo l'Urss con la politica di Monaco, con l'illusione di
ammansire il mostro. Torniamo al nostro governo: annuncerebbe il disarmo
assoluto entro un termine di dieci anni e ne preciserebbe le scadenze
progressive. Si disporrebbe a reagire ad ogni mossa aggressiva dell'avversario
con una moltiplicata campagna non violenta, di verità. Impiegherebbe l'efficacia
positiva della propaganda, che fa più paura dell'aggressione. Se una quota
anche ridotta della spesa militare venisse impiegata per produrre, potenziare,
e impiegare la gamma infinita di tecnologie di informazione; se agli atti
aggressivi si opponesse il bombardamento della verità, nei mille modi
oggi possibili, tra la gente dei paesi "nemici", si otterrebbe
forse un effetto minore?
Chi crede nella corsa agli armamenti come base al negoziato propone un
folle gioco al rincaro: i risultati di questa linea stanno sotto i nostri
occhi. Chi crede che il disarmo unilaterale sia il cedimento, potrebbe
riflettere meglio, anche in termini puramente militari, a esperienze come
quella dell'lran, dove è crollato rovinosamente il bastione fortificato
dell'occidente: e quello che è successo in Iran non rischia di succedere
altrove? E se ci si acconcia a tirare avanti dopo aver subito simili tracolli
militari, perché non si potrebbe autonomamente decidere di autorizzare
un paese al disarmo, innescando un processo a catena? Perché, quando la
Romania dichiarava una disponibilità, si è dilapidata l'occasione?
Noi siamo contro i nuovi missili, contro nuove installazioni militari,
contro la bomba N. Ma sappiamo anche che in una società in cui la stragrande
maggioranza dell'investimento per la ricerca riguarda l'apparato militare,
è una illusione insensata quella di limitare il livello tecnologico degli
eserciti".
Qualcuno dice che, dopo l'Irlanda, o non si ricorre più allo sciopero
della fame, o si deve morire.
"Con altri due deputati europei, avevo fatto un appello per la elezione
a deputato di Bobby Sands. La stampa conservatrice inglese ci accusò addirittura
di essere responsabili del suo successo. Altra cosa è la vocazione necrofila
degli ufficiali dell'Ira. Quanto all'obbligo di morire, lo aveva già detto,
da par suo, Montanelli: "O Pannella morirà, o si sputtanerà".
Non è una forma smisurata di superbia, questa tua, di farti carico di
milioni di persone?
"Intanto io non sono solo; e anzi, raramente abbiamo lavorato tanto
insieme come nel corso di questa lotta. Non superbia, non credo. Ci penso
molto. So, e non da oggi, già da quando nel 1953 mi capitò di assumere
la presidenza dell'Ugi - che non era il carrozzone di politicanti che
è diventato poi - so che una cosa che dipenda solo da me, è una cosa che
non va bene. Quello che un uomo politico come io sono, e rivendico di
essere interamente, può fare di buono e di importante dipende da molti
fattori, e anche dalle qualità e dalla mediocrità degli altri politici.
Io ho dalla mia, questo sì, la lunga durata delle mie speranze e del mio
amore".
Se ora ti telefonasse un ragazzo, e ti dicesse che è completamente d'accordo
con te, e vuole fare anche lui uno sciopero della fame a oltranza, che
cosa gli risponderesti?
"Di lasciar perdere, che non c'è bisogno di un suicidio. Il significato
di un digiuno come questo dipende dalla storia, dalla cultura che ha dietro.
La nostra lotta è un modo di vivere - non un'attività particolare, né
un modo di morire. Direi a quel ragazzo di scrivere ogni giorno una lettera
ai giornali, e, se se la sente, di scriverne dieci invece di cercare d'un
tratto la forza e la debolezza di un digiuno a oltranza". 4199
Marco
Pannella NR51, 2 marzo 1990
Alcuni
brevissimi stralci della trascrizione di un intervento pronunciato da
Pannella nel corso del Consiglio federale del PR riunito a Chianciano
nel novembre 1981. Come ogni trascrizione di interventi orali, anche questa
è necessariamente infedele.
"L'iscrizione al Partito radicale rischia di essere anche per noi
quello che è l'iscrizione agli altri partiti. Anche noi, ad esempio, abbiamo
dato per scontato che l'iscrizione è annuale.
Il parametro temporale, la configurazione dell'atto che si compie, al
quale quindi è anche rapportato l'importo del contributo, dell'azionariato
(non della tassa, perché è chiaro che qui c'è un dato di azionariato,
in qualche misura volontario, e non di tassa) è in rapporto all'anno,
ed è un errore direi culturale, teorico per noi radicali che invece operiamo
attraverso la concretezza del corpo, attraverso il quotidiano, attraverso
la necessità morale o vitale e non attraverso l'enfatizzazione del bisogno
o dei bisogni come fatto esistenziale.
E' un errore: il nostro rapporto è nel quotidiano anche da questo punto
di vista.
Il problema di teoria è che se noi vogliamo vivere associati, libertariamente,
attraverso la conferma quotidiana della nostra volontà comune associativa
dello stare insieme, ci vuole un atto corrispondente quotidiano. Anche
se poi, sette volte al giorno o, come in questo caso, sette volte all'anno,
sette volte al mese o sette volte alla settimana non lo compiamo, non
ne siamo all'altezza, non ci riesce. Deve esserci una lettura diversa,
analoga a quella di quei compagni che dicono: "Io ogni giorno, in
un modo o nell'altro, con una telefonata o andandoci, materializzo, do
corpo a questa associazione libertaria", cioè a qualcosa che comporta
ogni volta la riconquista o la riconferma o la crescita per sedimentazione
storica della volontà associativa e della responsabilità.
E allora, ecco una riforma di statuto possibile (anche se poi sotto un
altro aspetto la quota resta annuale): la quota è quotidiana.
Se cominciate a ragionare in questi termini, intanto rianimate il dibattito
sui partiti che nessuno ha più ripreso da quasi un secolo e mai rianimato
concretamente, e lo rianimate in polemica, con lo sforzo di acquistare
una coscienza nuova e quindi più ricca, più forte del significato di questo
genere di scelta.
(...)Il problema è qualitativo. E' un problema diverso, è un problema
di crescita, del valore di questo punto statutario. E' il valore che può
essere dato al denaro, recuperando non un atto liturgico, anche se importante,
solenne, grave, bello e sostanzioso come quello che si compie quando si
dice "per quest'anno vi do un milione di lire"; ma una cosa
diversa: il dire nel quotidiano "questo contributo lo traggo dalle
mie giornate, dal mio lavoro, dal mio riposo, dalla notte, dal giorno,
per dar corpo, per dare un'abitazione, per vestire, per rendere visibile
l'esistenza del partito in cui ci associamo"." 1109
di Angiolo Bandinelli NR42,
15 dicembre 1981
Marco Pannella nuovamente segretario
del Partito radicale, dopo diciotto anni di assenza dagli incarichi del
partito, e circa dieci anni persino di non iscrizione. Questo il risultato
più clamoroso ed evidente del XXVI congresso, svoltosi a Firenze dal 28
ottobre al 1 dicembre. Un risultato a sorpresa, inaspettato, maturato
attraverso un processo di tipo "carismatico", secondo l'ormai
consolidata rappresentazione che nei congressi radicali dà la stampa italiana?
Da anni ci eravamo abituati a leggere il titolo-cliché: "Pannella
arriva e vince il Congresso". E il gioco viene tentato anche questa
volta. Il "Messaggero" può titolare: "Pannella segretario
con un mare di voti". Ma questa volta c'è dell'altro, e, sia pure
con imbarazzo e reticenza, la stampa ne prende atto.
E' il "Manifesto" che il 3 novembre, a congresso appena chiuso
grazie all'attenzione di Michelangelo Notarianni, dà una chiave di lettura
dei fatti piena di politicità e di spessore. "Attenzione a Pannella",
scrive Notarianni. "Il personaggio era dato per morto, pochi mesi
fa, assorbito e triturato da un sistema politico che ne ha viste e digerite
di ogni sorta. Invece no..." E' vero, le cronache del congresso confermano
il giudizio riferito da Notarianni. Non solo Pannella, ma anche il partito.
Salvatore Sechi scrive, il giorno dell'apertura del congresso, un articolo
che consente al titolo: "I radicali di fronte a una scelta";
dove la scelta sarebbe nientemeno che tra l'essere "partito"
o tornare ad agire come "movimento". E' il giudizio più esplicito,
ma il tono di tutta la stampa, nel suo complesso, non consente dubbi.
Questa volta non è questione di folklore; questa volta il Partito radicale
è dato per spacciato. I dissensi interni, la defezione delle componenti
non radicali del gruppo parlamentare, la mancanza di prospettiva, tutto
quanto viene registrato sembra contrastare il cammino del partito della
rosa. O così viene fatto apparire. Ripetiamo, questa volta il folklore
viene accantonato. Il congresso viene presentato come un vistoso, ma pericoloso
momento dell'ormai prossima, definitiva eclissi radicale.
Sono in molti ad essere interessati a che questa rappresentazione passi
e si affermi. Il "Popolo" è, con i radicali, acido per tradizione,
ma non conta la DC. Qui c'è il PSI di Craxi, in primo luogo. E c'è anche
il PCI che contende al PSI lo spazio dei "diversi", dell'"emergente",
dei "nuovi soggetti" già attribuito ai radicali. C'è infine
il PRI di Spadolini, e magari Zanone. Persino nell'area già extraparlamentare
lo scetticismo, il riflusso antiradicale è alto.
Le prime corrispondenze della stampa sono di tono basso. Questa volta
è di scena la contestazione di Rippa, che si è presentato come candidato.
Poi si monta il caso Negri: si candiderà anche lui? E che farà Rutelli?
Sarà insomma un fedelissimo di Pannella o un "pannelliano" a
vincere? Da dove avrà inizio la diaspora radicale?
Il congresso prende quota. Prende quota attraverso un dibattito di grosso
respiro. "Lotta Continua" scrive che in nessun altro posto o
congresso, come qui, si discute di vita, di pace, di guerra, di sviluppo;
magari di morte. Le tre candidature si esplicitano. Ma si esplicita anche
un fatto importante, e cioè che non viene messo in discussione l'assunto
centrale del congresso, quello che è stato posto come asse centrale del
partito non tanto dai tre mesi di iniziativa militante di Pannella, quanto
da tre anni di paziente, difficile costruzione: la "priorità delle
priorità" attribuita alla lotta contro lo sterminio per fame nel
mondo, il nuovo Olocausto. Certo, restano i dubbi e i problemi. Quale
è il ruolo del partito, come potrà sostenere il confronto su questo tema
così aspro e nuovo? Come lo collegherà con l'esigenza di "governare"
in Parlamento, ma anche nei Comuni e per le strade? E cosa fare del finanziamento
pubblico, che tutti, indistintamente temono possa diventare il cavallo
di Troia del regime, all'interno del partito? Come restituire vigore all'autofinanziamento,
alla partecipazione, alle iscrizioni? Come superare positivamente il grave
scoglio, che nessuno contesta, della crisi dei partiti regionali, nessuno
dei quali ha raggiunto la soglia minima stabilita un anno fa? Il dibattito,
in aula e nelle commissioni, mette in luce anche altri dati positivi:
sul "preambolo" c'è spessore e solidità di consensi, anche nella
diversità di impostazioni e di punti di vista; sul disarmo, la commissione
registra un livello di dibattito tra i più elevati e costruttivi degli
ultimi anni; il partito ha intatta la lucidità dei suoi riflessi sul tema
della pace, delle marce della pace, dello scontro con gli altri partiti
sul disarmo, su Comiso, sul confronto est-ovest e sulla priorità da attribuire
al dialogo nord-sud.
I panelliani? Gli antipannelliani? Lo svolgersi del congresso logora la
montatura. Intanto, Negri avanza la possibilità della candidatura Pannella
alla segreteria. L'indicazione acquista, col passare delle ore, in plausibilità,
ma non determina sbandate o crisi congressuali. Entra nel novero delle
possibilità, ma il partito non mostra di reclamare né un padre né un salvatore
della patria. Il dibattito ha messo in luce un partito che ha acquistato
definitivamente sicurezza, consapevolezza di sé e responsabilità, e rifiuta
soluzioni di emergenza o posticce. Quella definizione, che si è appiccicata
su Pannella e sul partito, di essere il primo un portatore di "carisma"
e il secondo una creatura inerte nella mani del leader, si affievolisce
e diventa sempre meno propria.
Sempre in piena evidenza, dinanzi agli occhi di tutti, Pannella, Negri,
Rippa, Rutelli si incontrano, discutono, seduti o passeggiando nei corridoi
del congresso. Una giornata intera: mattina, pomeriggio, la notte, ora
assieme ad altri militanti del partito, testimoni aperti della ricerca
di una soluzione che abbia forza e chiarezza politica. La mattina della
domenica, circola tra i congressisti nervosismo e preoccupazione: nelle
lotte degli imbrogli si è lottizzato il partito?
L'intervento con il quale Pannella racconterà il lungo iter della discussione
metterà fine ad ogni speculazione. Il percorso appare quello che è stato;
difficile, ma senza concessioni; rigoroso nel metodo e nelle conclusioni.
Rippa, Negri e Rutelli "desistono". Senza contrattazioni, né
richieste né offerte nei confronti di nessuno. Il rigore di Negri, la
lucidità di Rippa, la responsabilità di Rutelli non lasciano alcun margine
di equivoco. E' a questo punto, acquista questa chiarezza che è garanzia
per tutto il partito, Pannella può annunciare di accettare la candidatura.
E' ora il candidato di Negri, di Rippa e di Rutelli, ma non è il "salvatore
della patria, il salvatore del partito". E' un candidato che accetta
una responsabilità, un'indicazione politica. Che rivendica la propria
politicità e di diritto-dovere di difendere e sviluppare la sua linea
politica. Nulla di più, e nulla di meno.
E' il trionfo. Il congresso accoglie e comprende. Saluta il leader politico
che indica una strada da percorrere dura e difficile, con l'impegno ad
accogliere e risolvere i problemi, tutti i problemi emersi dal congresso,
e a tentare di scioglierli nel cammino. Un cammino - si avverte subito
- sul quale tutto il partito è chiamato a muoversi. Tutto il partito.
Il congresso avverte anche questa indicazione. E si costituisce, con immediata
e importante politicità, una unità di consensi e di impegno che conduce
in porto questo drammatico, decisivo congresso.
E' Notarianni che coglie ancora una verità essenziale. Certo attraverso
Pannella, ma con assunzione propria di proprie responsabilità, il partito
radicale è il partito che ha visto lucidamente, nella questione della
fame nel mondo, "il tema della nostra crisi". 2346
Di Marco Pannella
NR42 15 dicembre 1981
"
Ed ora passiamo,
come annunciato e probabilmente molti attendono, allo sciopero della fame,
al mio digiuno.
Una folla di spiegazioni preme, perché probabilmente non ve n'è ancora,
in me stesso, una sufficiente. Ognuna è esatta, corrisponde a ragionamenti,
a momenti realmente presenti, vissuti. Ma nessuna, evidentemente, riesce
ad essere sufficientemente profonda; sintesi, conquista di una chiarezza
adeguata, necessaria. Tento ugualmente di ricompitarli, di risillabare
qualcuno di questi pensieri.
Lo sciopero della fame illimitato occorre conquistarselo nel corso del
digiuno. Conquistarlo, fino a una forza ed a una chiarezza interiori che
siano chiarezza profonda, durata senza contraddizione. Per fortuna che
non credo nella dialettica! Nello sciopero della fame l'"antitesi"
non è immaginabile, perché distrugge semplicemente la tesi e afferma se
stessa come "sintesi". Non si può, non si può nutrirsi e poi
riprendere...
E per noi nonviolenti una decisione conclusiva, un impegno che concerna
la vita, a tal punto da scontarne sia pure in via di ipotesi il farla
mancare, lo spegnerla, non può essere assunto davvero senza contraddirsi,
senza smentire la speranza - se non altro nel punto in cui diventa certo
che tu sei dinanzi all'ultimo minuto, o secondo di vita... Ma quando,
quando è possibile dirsi che il "minuto" è l'ultimo, e non il
penultimo? Quel penultimo che è e dovrebbe essere il più possente in termini
di vita da conquistare, il più socializzato, il più comune e comunitario
e che va rischiato con serenità e intransigenza, fino in fondo, in caduta
libera senza rete nel nulla dell'eternità.
E' possibile, mi chiedo, questa sorta di matrimonio indissolubile, con
il rischio della vita, fino al subentrare d'una successione, in questo
matrimonio, della morte al posto della vita? La decisione di un momento,
per quale forza o sigillo, per quale mai "sacramento", dovrebbe
valere, esser rispettato, e non rivisto, superato? Ma c'è altro. Abbiamo
compreso, credo, che il digiuno "politico", lo sciopero della
fame come lotta nonviolenta deve, ed è bene che sia, essere non una gestualità,
non una sorta di attività, ma un modo diverso, più grave, più rigoroso,
più vigoroso ed esemplare di vivere la lotta, il confronto con la violenza,
di crescere e di rafforzarla. Dunque non la ricerca del silenzio interiore,
del raccoglimento, dando per scontato che si guadagnano nell'isolamento
e nella quasi immobilità. Si può essere nell'eremo, o stiliti, ed essere
abitati dal chiasso... "
di
Sandro Tessari NOTIZIE RADICALI, febbraio 1982
Per protesta i radicali avevano
interrotto i TG. Ora arrivano le comunicazioni giudiziarie.
SOMMARIO: Cronaca semiseria
dell'azione diretta nonviolenta di Cicciomessere, Crivellini, Tessari,
che la sera del 9 settembre 1981 s'introducono senza difficoltà nella
sede Rai di Via Teulada, e successivamente negli studi di registrazione
e messa in onda dei Telegiornali, allo scopo di interromperli al grido
di "Ladri di verità, furto d'informazione". Commento dei giornalisti
e dei direttori: il gesto dei radicali non è consono allo stile della
classe politica.
Sì lo confesso: sono un interruttore.
Ho interrotto un giorno la povera Piera Rolandi mentre al TG2 delle 19.45
raccontava a milioni di telespettatori paganti con rara abnegazione il
pesante canone radiotelevisivo - le solite bugie del regime. Ero entrato
alla sede della RAI assieme a Crivellini e Cicciomessere la sera del 9
settembre 1981. Essendo noi di casa alla RAI, come tutti sanno, e non
solo in effige come Piccoli, Craxi, Longo e Spadolini, nessuno ha pensato
di chiederci i documenti o controllare se avevamo il permesso di accesso.
Siamo così entrati dalla porta d'ingresso normale.
Il sottosegretario Leccisi, quello per intenderci che aveva organizzato
una raccolta di fondi neri per la corrente di Donat Cattin di oltre un
miliardo senza riuscire ad andare nei notiziari RAI, rispondendo alla
camera alla nostre interpellanze sulla RAI il 25 gennaio, affermava che
noi ci "eravamo introdotti" all'interno della RAI, dando alla
nostra iniziativa un grosso sapore d'avventura come dimostra il successivo
interesse del commissariato di polizia e dall'autorità giudiziaria che
ci hanno gratificato di una relativa comunicazione.
Entrati che fummo nei locali della RAI e dovendo attendere qualche minuto
per l'inizio del TG1 della sera (erano infatti le 19.50) ci siamo recati
al bar dove, per far passare il tempo, abbiamo dovuto consumare numerosi
cappuccini con brioches. Cicciomessere che guidava la spedizione ha proposto
di definire l'"azione": lui e Crivellini, notoriamente agili
e scattanti, avrebbero fatto irruzione nello studio del TG1 non appena
questo fosse iniziato. A me, in considerazione dell'età e delle mie origini
veneto-contadine hanno lasciato il compito più facile: quello di entrare
nello studio del TG2 e portarvi il messaggio che sale spontaneo ogni sera
da milioni di bocche di telespettatori quando accendono la televisione
di stato: ladri di verità! Debbo dire che non ci fu facile individuare
nel labirinto della RAI i due studi. Abbiamo bussato a tutte le porte
chiuse e chiesto gentilmente dove fossero le due sale regia. La previdenza
della RAI è tale tuttavia che ci è venuta incontro mettendo fianco a fianco
i due studi con porte quasi comunicanti.
Sono così entrato dopo aver bussato. Nessuno, debbo dire la verità, quando
sono entrato ha badato a me: erano tutti protesi a sentire quello che
stava dicendo Piera Rolandi. Mi sono inserito nel monologo sintetizzando
il mio pensiero: ladri di verità, furto di informazione. Nessuno dei presenti
ha fatto mostra di stupirsi troppo della mia affermazione come cosa forse
fin troppo ovvia. La Rolandi sempre molto contegnosa, faceva con una mano
il gesto di non avvicinarmi troppo a lei mentre parlava salvo poi interrompersi
del tutto. Forse voleva esprimersi sulle mie affermazioni ma la regia
non glielo ha consentito e ha mandato in onda un diverso programma. Dopo
qualche minuto di reciproco imbarazzo, non sapevamo a chi toccava la parola,
dalla regia ridanno la voce alla Rolandi che inizia a fare originali considerazioni
sulla situazione economica del paese. Io ribadisco il mio pensiero su
questo tema: ladri di verità e furto di informazione. A quel punto sento
che succede qualcosa: voci concitate da ogni parte, si interrompe il servizio,
si aprono le porte e comincia in concitato andirivieni di funzionari e
poliziotti del servizio interno. Uno mi afferra ad un braccio bruscamente:
non appena tuttavia gli faccio notare che forse noi non ci conosciamo,
subito mi fa le sue scuse ed usciamo urbanamente conversando con i tecnici
dello studio giusto in tempo per vedere nel corridoio, in uno schiamazzo
indescrivibile, trascinati come due cirenei il Cicciomessere e il Crivellini,
all'urlo concitato: sono radicali, sono radicali, sono Cicciomessere e
Stanzani. Io, da mezzo il pubblico che assisteva alla scena, dico subito
che quel signore distinto con l'aria tra Verdi e Mazzini non è Stanzani
ma Crivellini. Subito vengo guardato con sospetto e mi si chiede come
faccio a saperlo. Dico: ma come fate a non riconoscerlo, è sempre sugli
schermi della RAI. Un funzionario coi baffetti, molto autorevole a giudicare
dalle ore che passa alla buvette della Camera, esplode: da questo momento
basta coi radicali sul video! Non devono più mettere piede alla RAI, bisogna
rompere tutti i rapporti che abbiamo coi radicali, e via dicendo. Dispiaciuto
che non avesse colto la mia ironia cerco di fargli notare che è difficile
rompere i rapporti che non ci sono. Mi guarda sospettoso e dice: ma lei
è un amico dei radicali? un basista? un complice? Mi sento perso. Un altro
dice: è anche lui un interruttore. E' la fine. Veniamo agguantati e tutti
e tre trascinati dinnanzi al tribunale del direttore del TG1 come fossimo
malfattori, arraffa tangenti, piduisti ecc. ecc. Strada facendo siccome
erano molti i segni di divertita complicità del personale RAI alle nostre
malefatte, il giornalista televisivo Valentini ha pensato bene di farci
la paternale e con la sua ben nota voce pastosa e controllata, senza fare
neanche una papera, ci ha detto che lui aveva un'alta opinione della classe
politica (evidentemente pensava a Piccoli, Bisaglia, Gioia, Lima, Ciancimino,
Andreotti, Evangelisti, Longo, Labriola e a tanti altri che hanno ben
meritato con opere preclare su cui tuttavia la RAI ha esercitato una rozza
e inspiegabile censura) per cui riteneva, quello radicale, un gesto troppo
diverso dallo stile della "classe politica" e sul quale era
bene che la RAI stendesse un velo di silenzio. Così abbiamo capito che
è solo per una questione di diversità se i radicali non compaiono mai
sul video, come risulta dai numerosi libri bianchi che abbiamo fatto sui
disservizi televisivi.
Nello studio del direttore del TG1 il trattamento è diventato subito elegante:
non più vociferazioni e insulti. Ci hanno perfino offerto da bere. Poi
si è saputo che il direttore era contento che fossimo riusciti solo a
interrompere il TG2 della concorrenza e non il suo. Abbiamo subito fatto
le nostre rimostranze sulla inconsistente vigilanza che si esercita agli
ingressi di uno strumento così delicato come il servizio televisivo di
stato e l'indomani abbiamo fatto un'interrogazione ai ministri dell'interno
e delle Poste.
Una settimana fa ci è arrivato un foglietto gualcito: una comunicazione
giudiziaria per aver interrotto un servizio pubblico. Abbiamo subito compreso
la gravità del gesto da noi compiuto. Forse con la nostra azione abbiamo
impedito al segretario del PSDI di portare ai milioni di pensionati trepidanti
il suo messaggio di salvezza, a Craxi di spiegare come la cosa più importante
da fare per il paese sia il cambio della poltrona del presidente del consiglio
e a Spadolini che la questione morale è rinviata a data da stabilirsi.
E ne siamo profondamente dispiaciuti. Siamo anche noi interruttori pentiti.
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