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Cronologia del Partito Radicale -
1982

DOCUMENTI
Le azioni città per città  NR6, 28 maggio 1982
Perché chiediamo le elezioni a ottobre di Marco Pannella NR7, giugno 1982
Pannella dopo la pausa "tecnica" riprende con lo sciopero della sete Lettera di Marco Pannella CORRIERE DELLA SERA, 13 luglio 1982
LA CAMORRA DEI PARTITI SGOMINA LEGGE E VERITA' di M. Pannella NR28, 2 agosto 1982
P2, mafie, soldi sporchi di un regime putrefatto NR10, 15 luglio 1982
Il documento del Consiglio Federale del Partito Radicale sulla marcia Milano-Comiso Chianciano, 21.11.82
AI CITTADINI NON FAR SAPERE... COMUNICATO STAMPA, 9 ottobre 1982
San Marco scaccia il Diavolo  di Francesco De Vito L'ESPRESSO, 14 novembre 1982

LE AZIONI CITTA' PER CITTA'

NR6, 28 maggio 1982

Da Bucarest a Radio Radicale, da Mosca a Bruxelles; in tutti questi luoghi i radicali, dal segretario del partito ai "tecnici" della radio, hanno lavorato ininterrottamente giorno e notte: qui ricordiamo come.

MOSCA
L'appuntamento a Bruxelles giovedì 15 aprile a casa di Annie Braquemont, la nostra responsabile stampa. Arriviamo stravolti, Gianfelice ed io, dopo 24 ore di treno. Dobbiamo metterci subito attorno ad un tavolo, insieme a Jean Fabre ed Annamaria e gli altri che rimarranno lì per definire orari e codici delle comunicazioni.
Qui conosco Luc e Marc, francesi, e Pedro e Fernando, spagnoli, con cui faremo l'azione. Mostriamo loro il materiale che abbiamo portato dall'Italia per fabbricare i volantini (matrici, inchiostro e rullo per spalmarlo), e lo scotch per lo striscione. Il primo problema sono le matrici: le nascondiamo nei bagagli o le mettiamo addosso? Le infileremo nei calzini e faremo bene perché i bagagli verranno perquisiti fino all'ultimo fazzoletto.
Decolliamo per Mosca dopo solo tre ore di sonno; in aereo una hostess avvia un insidioso dialogo sul perché del nostro viaggio. E' il primo di una serie di episodi che ci faranno sentire sempre seguiti e spiati. Arriviamo all'aeroporto che è, alle tre del pomeriggio, un deserto inconcepibile; ricorda la Stazione Tiburtina alle tre di notte. A Marc Mosca sembra un monolito di ghiaccio ed in effetti, attraversandola per raggiungere l'albergo, ammantata da un cupo grigiore, riporta alla memoria di tutti solo oscure fobie.
La sera andiamo a fare il primo sopralluogo sulla Piazza Rossa; Luc, guardando un'enorme cannone ed una smisurata campana mai usati osserva che la Russia è il paese delle grosse realizzazioni inutilizzate: la campana e il cannone, oltre ad essere rappresentativi strumenti di potere indicano, con la loro inutilizzabilità quello che l'Unione sovietica ha fatto dell'ideologia comunista: una mostruosità.
Dedichiamo due giorni al turismo per non destare sospetti nella nostra pignola guida che ci imbottisce di propaganda politica pacifista raccontandoci, tra la storia del metrò e quella di Lenin come i russi siano costretti ad amarsi "un po"' per difendersi dagli americani che non ratificano i Salt2 etc, etc. La notte, invece, discutiamo sui particolari da mettere a punto: volantineremo ai piedi del Mausoleo di Lenin e non faremo resistenza passiva; noi e gli spagnoli avremmo voluto, ma i belgi ed i francesi no. E non è una decisione che si possa prendere a maggioranza. La notte prima dell'azione prepariamo tutto il materiale ed andiamo a dormire, per poche ore. L'ultimo ostacolo lo pone Gianfelice, vivendo a Bologna non ha avuto modo di conoscere a sufficienza l'organizzazione generale dell'azione e teme sei mesi di Siberia. Gli dico che se non se la sente nessuno potrà rimproverargli nulla. Al mattino mi dirà che partecipa e che la motivazione ultima l'ha trovata nella mia calma e sicurezza: ne sono felice. Alle 13, sulla Piazza Rossa apriamo lo striscione ma dopo pochi secondi i poliziotti di cui è gremita la piazza, forse avvertiti dalle agenzie di stampa internazionali contattate mezz'ora prima, ci sono subito addosso. In tre minuti siamo nel vicino commissariato dove, per la prima volta, provo paura; mi conforta Marc che osserva giustamente come in fondo tutti i commissariati e tutti gli agenti di polizia siano simili. L'interprete che abbiamo chiesto è un personaggio da film: squallido, con un sorriso sadico e cattivo che praticava una forma di tortura psicologica che lasciava assai poco sperare in un miglior trattamento fisico. Dopo 4 ore e dopo aver interrogato solo due di noi ci rimettono in libertà.
La sera, prima di prendere l'aereo, di fronte allo spettacolo della steppa alla periferia della città, osservando gli operai che ritornano stanchi alle loro case la nostra allegria svanisce. Ci sembra, partendo, di abbandonarli alla tirannia; ci pesa la consapevolezza che i diritti umani si basano sulla solidarietà e che perciò dovremmo fare di più.
Il fatto di essere stati liberati subito è un riconoscimento del valore delle nostre idee e delle nostre azioni; non si prestano ad ambiguità; però sarebbe bello, come dice Luc poter fare un congresso del Partito Radicale a Mosca.

PRAGA
I
giorni precedenti la partenza devo fare un controllo generale dell'organizzazione, lavorando anche la notte; un vero stress. Giovedì parto per Parigi dove bisogna prendere gli accordi con Bernard, il nostro responsabile stampa che deve andare la sera stessa a Praga, e dove incontro Olivier (belga) e Jean-Paul (francese) con cui partirò l'indomani con il peggior treno che abbia mai preso.
Arriviamo al confine in tre scompartimenti diversi con le matrici dei volantini messe addosso ed il materiale da "pittore" nascosta nella valigia di Jean. Attimi di tensione, ma nonostante l'incredibile quantità di militari e doganieri Jean evita, con uno stratagemma, la perquisizione dei bagagli. La sera siamo nell'hotel; la mattina dopo siamo dei pacifici turisti che incontrano per caso un conoscente (Bernard) e che visitano la città; in realtà in una atmosfera che è a metà tra 007 e Silvio Pellico: Olivier e Jean temono perfino di essere seguiti. Io, più tranquillo, mi godo a fondo una città meravigliosa, ricca del fascino asburgico e mitteleuropeo che contrasta con un tenore di vita stile anni '50.
La mattina dell'azione, prevedendo che per molte ore digiuneremo, ci avviamo tesi ma di buon umore verso P.zza S. Venceslao armati dei volantini, che sono venuti solo grazie all'bilità di Olivier, e dello striscione. Jean teme che l'intervento della polizia sarà rapidissimo, io scherzo sil pericolo costituito dall'essere ignorati; pericolo che, dopo mezz'ora che reggiamo bene in alto lo striscione, nel posto dove nel 68 si bruciò Jan Palach mi sembra giustificato. Ma l'evidente simpatia dei Ceki ed il loro costante assembrarsi in diverse centinaia costringe la Polizia ad intervenire. Prima vengono due agenti in divisa che tentano solo di prendere lo striscione e che se ne vanno quando la folla ci applaude metro lo ritiriamo in alto; poi, dopo che ho dato altri volantini alla gente che si raduna in capannelli per leggere (manifestiamo ormai da un'ora) arrivano poliziotti armati di manganelli. Ci sediamo per terra e ci facciamo portare via mentre i praghesi ci applaudono sorridendo o gridano con rabbia all'indirizzo degli agenti: Bernard, poco lontano sente volare parole come "democrazia" e "totalitarismo".
Alle 12.15 siamo nel I° distretto di polizia di Praga; per i funzionari che m'interrogano in inglese per 5 ore, mentre Olivier e Jean aspettano in corridoio, siamo dei provocatori e dei terroristi. Ricordo loro che non abbiamo violato né codici né costituzione (li abbiamo studiati prima di partire) e che vogliamo consegnare una lettera a Husak. Alla fine siamo al punto di prima con un grosso vantaggio per noi: li ho sommersi di informazioni sul senso della nostra azione e sulla reale situazione delle lotte pacifiste, vere e di facciata, in Europa. Hanno capito talmente bene che, tranne il "capo", al termine dell'interrogatorio ci stringeranno la mano e uno di loro ci augurerà buona fortuna.
Dopo tre ore siamo ciascuno in una cella diversa nelle carceri della Questura; alle 11 di sera spiego ad un secondino che siano digiuni dalle 10 del mattino e che portasse a Jean ed Olivier qualcosa da mangiare; non capisce ma è gentile e gli porterà delle sigarette (Jean poverino non fuma). Alle sette del mattino dopo, non ho dormito perché in cella la luce rimane accesa tutta la notte, ci portano separatamente nelle stanze degli interrogatori dove aspetteremo 9 ore al giorno con un'interruzione per il pranzo che ci riguarda poiché Olivier ed io stiamo facendo lo sciopero della fame. Approfitto di queste ore per rovesciargli addosso tutte le informazioni possibili sulla lotta contro la fame nel mondo, sulla diversa concezione del Partito che hanno i radicali, sulla situazione politica dell'Europa.
Sono molto interessato, il "gran capo" (quello che non ci ha stretto la mano) entra di continuo nella stanza per leggere, sulla macchina da scrivere, il prosieguo delle copie di ogni foglio del verbale che gli mandano. Il pomeriggio ho i nervi a pezzi e sarei anche disposto a firmare i verbali scritti in ceko pur di andarmene. Solo la ferma opposizione di Jean Paul, con cui ho chiesto di consultarmi per 5 minuti, mi convince a desistere. Il problema è politico: loro non vogliono fare la traduzione perché dovrebbero ufficializzare il provvedimento ammettendo così di averci arrestati; Jean ha ragione: non firmerò.
Tra inglese, francese e cecoslovacco, non capisco più niente, ritorno in cella stanchissimo e imparo che non ci si può sedere sul letto prima delle nove di sera (il regolamento è durissimo) e poiché ci sono solo due sgabelli su cui sono seduti due ceki decido che se non ne porteranno un altro mi siederò sul letto. Entrano due secondini che, dopo avermi dato qualche manganellata, di fronte al mio atteggiamento di resistenza passiva accettano di portarmene uno. Sembrerebbe cosa di poco conto, ma da quel momento la considerazione con cui mi tratteranno secondini e compagni di cella dimostra, una volta di più, la forza dei comportamenti nonviolenti.
Il terzo giorno di detenzione, digiuno e insonnia, apprendiamo che verremo espulsi in nottata; ma prima di farmi riportare in cella il "gran capo" mi fa domandare se accetto di parlare con lui. Discuteremo per mezz'ora in piena libertà della situazione Est-Ovest, del Partito Radicale, della fame nel mondo, delle false trattative tra Reagan e Breznev, di Jaruzelski, Khabul, Walesa e Shakarov. Alla fine mi stringe la mano anche lui; per me è la maggiore soddisfazione personale e politica. Ritorno in cella per uscirne definitivamente la sera per andare, finalmente, insieme a Jean Paul ed Olivier, sul treno che alle 4 del mattino arriva al confine tedesco, lì siamo di nuovo liberi.

BERLINO
Per Berlino siamo partiti in quattro Luis Boris, Miguel Angel Sanchez, Juan Antonio Herrero e Miguel Alarcon; tutti membri della Lega degli Obiettori di Coscienza spagnola. I contatti per la stampa e per la nostra sicurezza li avrebbero tenuti Mariam in Spagna e Helen Krauser a Berlino.
Il nostro gruppo, per la difficoltà dei contatti e per risparmiare denaro, si è mosso con minore coordinazione rispetto a quelli delle altre capitali; ma tutti gli obiettivi politici, gli orari e ovviamente le città, erano stati concordati da Mariam che aveva partecipato a tutte le riunioni internazionali di coordinamento.
I primi problemi, per altro divertenti, iniziano a Stutgard: arriviamo in gran fretta un giorno prima dell'appuntamento fissato con Helen; pensiamo per sbaglio di essere arrivati un giorno in ritardo e che Helen se ne sia già andata. Ci rendiamo conto poi che il giorno dopo è quello giusto, per cui, soddisfatti, andiamo alla stazione dove all'ora convenuta ci viene incontro una ragazza bionda e simpatica che porta addosso una spilletta con il simbolo del Partito Radicale: era lei... un graziosissimo "contatto". Nel proseguire il viaggio verso Berlino l'unica cosa che ci auguriamo è che il 19 aprile arrivi presto. Ci consoliamo pensando al freddo che sicuramente farebbe in Siberia questa primavera; anche in Germania, d'altronde, a mano a mano che ci avviciniamo c'è chi sente aumentare il freddo. Arriviamo alla frontiera tra il capitalismo e il socialismo; nessun doganiere sospetta di noi; anzi i doganieri di ambedue le parti ci domandano sorridendo se siamo spagnoli e noi rispondiamo: "esattamente...! olé". E' forse grazie alla nostra fama di gente simpatica che non abbiamo perquisizioni. Arriveremo a Berlino Est alle 2 del mattino e nonostante l'insistenza con cui telefoniamo al nostro contatto non otteniamo alcuna risposta.
Ci mettiamo a cercare un hotel per dormire ma sono tutti completi (per lo meno quelli che le nostre finanze ci permetterebbero). Non ci resta che prenderla con filosofia ed escogitare una soluzione geniale: dormire in macchina; detto e fatto. Alle dieci del mattino veniamo ospitati da un amico presso il quale stamperemo i volantini in tedesco con l'attrezzatura che ci siamo portati appresso per tutto il viaggio e che funzionerà molto meglio, come abbiamo saputo, di quella degli altri gruppi. Nel preparare lo striscione, discutiamo a lungo della sorte che ci attende; le opinioni sono le più varie. Conclusione: "vedremo".
A questo punto, come eravamo rimasti d'accordo, bisogna telefonare a Madrid per comunicare il "tutto OK"; facile a dirsi ma non a farsi, poiché un attentato terroristico ha tagliato la maggior parte delle comunicazioni telefoniche. Alla fine, tramite Jean Fabre sappiamo che a Madrid va tutto bene e che tutto è pronto per la conferenza stampa; in codice diamo il nostro "via"; "le patate sono cotte" e Jean ci augura buona fortuna.
Passiamo la frontiera con la metropolitana (che va da Berlino Ovest a Berlino Est) senza problemi, nessuno pensa che abbiamo con noi 300 volantini e uno striscione; il nostro comportamento è impeccabile. Arriviamo in Alexanderplatz attraversando una città piena di poliziotti che ci ricorda, come atmosfera, la Spagna franchista degli anni '70; abbiamo l'impressione di ritornare dietro nel tempo.
Alle 11 in punto, dopo esserci augurati "in bocca al lupo" ci dividiamo: Luis e Miguel Angel salgono qualche gradino dell'ingresso del museo per stendere lo striscione mentre Miguel Alarcon resta ai piedi della scalinata per distribuire i volantini. L'arresto di Miguel Angel e di Luis è fulmineo, pochi secondi, mentre invece Miguel continua a distribuire i volantini per circa un quarto d'ora; la Polizia lo lascia fare sino al momento in cui Miguel non inizia a offrirli anche a loro. All'inizio restano intontiti senza sapere cosa fare, poi un graduato arresta anche Miguel. Saranno state le 11 e 20 quando arriviamo in un commissariato di polizia dove per prima cosa ci sottopongono all'esame di controllo del tasso alcoolico (la famosa pignoleria germanica); poi si passa alle domande.
In realtà le nostre storie, così come la chiarezza della nostra azione, devono essere convincenti poiché, prima di lasciarci, un alto ufficiale ci spiega che anche loro sono d'accordo con le nostre richieste e sono favorevoli al disarmo ma la politica riarmista degli altri paesi li obbliga a rimanere armati. Sarebbe più convincente se non aggiungesse con lo stesso tono che saremo espulsi a Berlino Ovest, non potremo più ritornare nella Repubblica Democratica Tedesca e che, poiché ci hanno ritirato il visto, non possiamo riportare dietro l'automobile attraverso il territorio della Germania Orientale che circonda Berlino. Forse per delicatezza poi aggiunge se abbiamo qualcosa da domandargli; gli chiediamo, visto che sono "pacifisti" anche loro, perché mai ci hanno arrestato, perché ci impediranno di tornare nella Germania Orientale e perché ci hanno ritirato il visto; non potrà risponderci nulla. Certo è un curioso modo di d'essere pacifisti.
Siamo molto stanchi per il viaggio e per la tensione nervosa accumulata, ma a Berlino Ovest invece del riposo ci attende una conferenza stampa, che terremo nella sede del Parlamento, davanti a un gran numero di giornalisti.
Bisogna peraltro dire che anche i nostri compagni in Spagna non se la passano meglio. Mentre erano intenti ad una manifestazione pacifica, che si svolgeva davanti all'ufficio nazionale di collocamento, per solidarietà con la nostra azione, la polizia li ha arrestati e detenuti per 32 ore solamente perché chiedevano meno armi e più lavoro a fronte di un programma governativo di investimenti per 2.500 miliardi nel settore militare che servirà ad agevolare l'ingresso della Spagna nella Nato.
Ripensando, sulla strada del ritorno, a quello che aveva detto l'ufficiale di polizia sul loro pacifismo, mentre notiamo convogli militari, assolutamente simili a quelli che abbiamo incontrato all'andata, in Spagna come negli altri paesi che abbiamo attraversato, ci viene naturale pensare come tutte le nazioni siano solidali tra loro in questa strana specie di "pacifismo"... voi mi capite, vero?

SOFIA
Il gruppo di Sofia doveva organizzarsi in 4 giorni invece che in tre mesi; esattamente la sera del 13, infatti, Marino Busdachin convoca Nicoletta Figelli, Antonio Zappi e Paolo Ghersina per la prima riunione organizzativa.
Il 17, alle 21, partiamo con il furgone di Mario Pujatti, il nostro responsabile stampa, ed arriviamo dopo 12 ore filate di guida a Belgrado dove ingolliamo un caffè. Alle 2, "on the road", mangiamo un boccone e arriviamo al confine. Dopo mezz'ora di attesa in cui invece di perquisirci controllano che non siamo sulla lista nera dei contrabbandieri o dei "politici" ripartiamo alla volta di Sofia. Guida sempre Pujatti, morto di sonno, mentre gli altri, per tenerlo sveglio gli "raccontano" la Bulgaria: la situazione sociale è evidentemente arretrata sia economicamente che sociologicamente; la gente vive in condizioni di estrema semplicità. Sofia in particolare, dove arriviamo alle 16, mostra, da una una parte, un centro storico ben tenuto con negozi dalle vetrine impeccabili (ma solo quelle); dall'altra una periferia con strade fangose, case che ricordano più un paese che una capitale e la gente che vive come nel meridione dell'Italia degli anni '50.
Dobbiamo subito cercare gli alberghi, Pujatti andrà al Balkan mentre noi dobbiamo trovare un altro posto in modo che la polizia non possa risalire sino a lui dopo lo svolgimento dell'azione. In albergo approntiamo tutto il materiale e, stravolti dopo quel po' po' di viaggio, ci mettiamo a dormire poco dopo la mezzanotte.
La mattina verso le 9 ci avviamo al luogo dell'azione, i magazzini ZUM posti al centro della città, per fare in primo luogo un'abbondante colazione. Uscendo, alle 11, Paolo Marino ed Antonio iniziano a spiegare lo striscione tra gli applausi dei passanti che si fermano immediatamente intorno ad esso, mentre Nicoletta inizia ad offrire i volantini. Alcuni dei passanti che li hanno presi, costretti dalla fame di notizie dei capannelli di gente che li ha circondati, si mettono a leggerli ad alta voce. Per noi, e crediamo anche per loro, sono momenti di vera felicità.
Dopo circa 40 minuti arrivano due macchine della polizia, su cui veniamo caricati dagli agenti, che ci trasportano verso la centrale di Sofia.
Dopo un quarto d'ora di attesa e di tensione, cerchiamo di reagire scherzando tra di noi ma con scarso successo, arrivano due funzionari: uno, che parla francese; è molto cortese, l'altro prende Marino, lo sbatte contro il muro, gli apre le gambe con un calcio e comincia a perquisirlo. Riserverà lo stesso trattamento agli altri ma manteniamo tutti un atteggiamento tranquillo senza mostrare paura e la situazione non peggiora ulteriormente. Frattanto Nicoletta viene portata in un'altra stanza, e perquisita da un agente femminile che la fa spogliare completamente. Dovrà poi aspettare per più di due ore il termine dell'interrogatorio degli altri.
Nel medesimo tempo Pujatti, dopo aver nascosto le foto nella scatola dello sterzo, supera il confine con la Jugoslavia e ci aspetta a Nish, annegando la preoccupazione in una bottiglia di vodka, non prima di aver avvertito Roma e Bruxelles dell'esito dell'azione.
Mentre Pujatti viaggia Marino, Antonio e Paolo vengono interrogati da una polizia che si mostra perfettamente informata sul Partito Radicale (avendo solo duemila iscritti è una setta); sulle Brigate Rosse (agenti del capitalismo); sui capitalisti (guerrafondai e violenti) che sono tutti meno gli abitanti del blocco dell'Est. Per la polizia le cose stanno così e basta.
Dopo più di due ore, ci portano con un cellulare all'albergo dove ci restituiscono i bagagli ed i passaporti con il timbro dell'espulsione. Alle 7.30 di sera troviamo la corriera che ci porterà a Nish dove mangiamo qualcosa mentre Pujatti avvisa Radio Radicale della nostra liberazione.
La mattina dopo partiamo per Trieste dove ci tocca la conferenza stampa, il racconto ad amici e parenti, etc. Insomma il vero riposo comincerà solo il 22. Il miglior ricordo rimane l'espressione dei visi dei bulgari che leggevano il volantino; il migliore per noi ma, crediamo, il migliore anche per loro.

BUCAREST
Partiamo da Milano, Gaetano Dentamaro, Gerard Buchard e Philippe Gautier la sera del 15: un viaggio tragico! Perdiamo le coincidenze del treno per Vienna, arriviamo con un giorno di ritardo al confine Rumeno, in taxi dopo aver fatto anche l'autostop, oltre a svariate notti in bianco.
Al confine non abbiamo problemi di tensione sopratutto perché non abbiamo i visti ed è tale il casino che dobbiamo fare per averli che non possiamo pensare ad altro.
Dopo 15 ore di treno siamo a Bucarest; una città fatta di caseggiati a schiera, di una tristezza infinita, ammantati di grigiore. I militari, che pure qui come in ogni altro paese dell'Est sono una "casta" importante, vestono con divise di pessima lana, che sembrano più costumi da teatro che abiti. La gente, inoltre sembra fuori moda, e non solo perché non ha un'abbigliamento "occidentale", quanto perché nulla del loro comportamento lascia trasparire un minimo di atmosfera di versa di quella "post-II guerra mondiale". Anche la stazione, buia ed affollata di poveri, sembra solo uno spazio.
La sera del 18, in albergo, iniziamo a fare lo striscione ed i volantini. Il primo viene fatto senza problemi; i volantini invece sono una disperazione. La mattina dopo, il 19, alle ore 9.30 siamo all'appuntamento con Francesco Tullio, il nostro responsabile stampa, che si è già messo in contatto con il corrispondente locale dell'Ansa, molto disponibile, che ci dà alcuni consigli sul luogo della manifestazione (davanti al Circolo Ufficiali in Via Victoriei).
Alle 12.45 del mattino dopo Gerard e Philippe aprono lo striscione mentre io inizio a distribuire i volantini. In pochi secondi sono circondato da mani fameliche e depredato completamente, salvo l'ultimo volantino e dopo aver girato da un campanello all'latro di quelli che si erano formati intorno a lo striscione, invitando la gente a "far girare" i volantini, salgo su un capitello che si trova lì accanto con la scritta "Vita, pace, Pinedzarmari" e, approfittando della somiglianza tra il rumeno e l'italiano inizio a leggere io stesso il volantino: la gente applaude e saluta, costringendomi a rileggere più volte il testo.
Quando arriva la "Militiei", a Gerard qualcuno indica pure una via di fuga, passiamo tra due ali di folla plaudente che ci porge mani da stringere e ci avvisa di fare attenzione.
Alla centrale, dopo averli convinti che il rumeno lo capiamo ma non lo sappiamo parlare, spieghiamo a turno alla traduttrice chi siamo e da dove veniamo, la portata dell'azione etc. etc., e soprattutto chiediamo di parlare con Ceausescu per consegnargli la lettera. Qui avviene il miracolo: ci rilasciano subito con l'indirizzo del Comitato Centrale del PCR. Prima di arrivare facciamo un salto alla sede dell'ANSA da dove facciamo resoconto in diretta a Radio Radicale; aiutiamo il corrispondente dell'Ansa a fare un pezzo di resoconto sull'azione; incontriamo esponenti di "Fronte Democrazia ed Unità" - che è un'organizzazione pacifista nongovernativa - e fissiamo alcuni appuntamenti con esponenti della diplomazia rumena per il giorno dopo.
Il 23 siamo di ritorno; un viaggio peggiore di quanto immaginassimo per un'azione come non avremmo mai immaginato: ma ci siamo lasciati indietro dei contatti e degli impegni ben precisi; per noi l'azione non finisce qui, vedremo nei prossimi mesi quali frutti potremo raccogliere.

BUDAPEST
I
l 9 aprile io e Frederique otteniamo il visto turistico per l'Ungheria; è uno scoglio superato; se ci danno il visto non sanno niente. Il 13 chiedo ad Adele Faccio di avvisare e tranquillizzare la mia famiglia che ho tenuta all'oscuro per evitare angosce e preoccupazioni; il 16 Frederique, Nicola Cantisani, ed io siamo a Milano per l'appuntamento. Il 17, a Vienna ci dividiamo, Frederique e Nicola, che è nonvedente dalla nascita, in uno scompartimento, io nell'altro. Al confine l'atmosfera è u po' tesa ma loro, con un aria da innamorati, passano tranquilli. L'Ungheria mi sembra un paese massicciamente controllato da militari e polizia, grigio; a Budapest si vive in un'atmosfera pesante, con sorrisi e rapporti umani ridotti al minimo. A Frederique, più esperta di me sull'Est, il paese sembra meno duro e meno povero di altri che ha visto. Il giorno dopo siamo all'appuntamento con Patricia, nostra responsabile stampa, cui comunichiamo il luogo della manifestazione e gli ultimi accordo.
La sera, rintanati nella camera dell'hotel come carbonari lavoriamo sino alle quattro del mattino per fare lo striscione ed i volantini (a mano ed in ungherese!). Il sonno di Frederique è funestato da cadaveri nascosto sotto il letto ed assassini vari, ma la mattina alle 11 in punto, siamo in Piazza Rakoczi, apriamo lo striscione con la traduzione "Pane, Vita, disarmo" ed iniziamo a distribuire i volantini. Frederique, mentre tenta d'attaccarne uno su un monumento, viene bloccata da un agente in borghese, un altro, a cui chiedo prima il tesserino, mi "disarma" di volantini e striscione; lo stesso accade a Nicola. gli agenti si comportano con discrezione in modo che nessuno si renda conto di cosa sta accadendo; non vogliono essere visti mentre impediscono una manifestazione pacifista. Dopo mezz'ora ci pregano di seguirli sino ad un angolo della strada dove ci caricano su due 1100 e ci portano nella sede della polizia; un funzionario con cui parliamo si dichiara d'accordo con i nostri motivi di fondo ma spiega che il suo paese non ha colpa nella corsa agli armamenti; che i mass-media non informeranno sulla nostra azione perché il volantino "non è giusto" e che la lettera al Presidente non potrà essere consegnata perché non siamo un'organizzazione ufficiale; siamo arrivati intanto nell'ufficio stranieri della Questura dove ci interrogano per sapere soprattutto quali altri stranieri o cittadini ungheresi ci abbiano aiutato nelle traduzioni.
Gli spieghiamo ridendo che l'abbiamo fatte a Roma, poi protestiamo per il trattamento subito in contrasto con il trattato di Helsinki e con la loro stessa costituzione che tutela il diritto di qualunque cittadino ungherese a presentare le proprie proposte alle istituzioni.
Dopo due ore ci accompagnano in albergo dove perquisiscono i bagagli ci offrono da mangiare e da bere, ricostruiscono la preparazione dell'azione, si distendono rendendo i rapporti con noi perfino "cordiali".
Ci riaccompagnano poi con un pulmino alla frontiera con l'Austria dicendo che quanto è accaduto risulterà dal passaporto. E' il momento in cui il morale di Frederique tocca il punto più basso poiché pensando ai pochi volantini giunti nelle mani degli ungheresi, le sembra quasi di aver lavorato due mesi per un risultato minimo.
Dopo la frontiera vediamo che sui passaporti non risulta nulla; si è voluto, evidentemente, fare in modo che non risultasse da nulla che si era svolta una manifestazione pacifica e pacifista nella capitale ungherese. Quanto a cancellazione della storia non hanno nulla da imparare da nessun altro regime dittatoriale; anzi forse qualcosa da insegnare alla RAI o ai nostri giornali. Ma molto poco. 2352


PERCHE' CHIEDIAMO LE ELEZIONI A OTTOBRE

di Marco Pannella NR7, giugno 1982

SOMMARIO: Uno stralcio della conferenza stampa tenuta lunedì 12 luglio 1982, dopo l'ultimo consiglio federale, dal segretario del Partito radicale Marco Pannella, nella quale ha illustrato il significato della proposta politica di elezioni anticipate ad ottobre.

"L'8 luglio il segretario del Partito, Marco Pannella, dava notizia dell'inizio di uno sciopero della sete (oltreché della fame) "a sostegno delle buone volontà, degli impegni che non riescono a concretarsi, per ottenere un decreto di vita anziché di sterminio".
Già a 65 ore dall'inizio, l'équipe medica che seguiva il leader radicale lo invitava a desistere, emanando prognosi riservata sulle sue condizioni di salute. Pannella sospendeva lo sciopero della sete l'11 luglio, guadagnando così qualche ora alla sua iniziativa, per riprenderlo il 12 alle ore 22. Il 15 luglio, decideva di passare dallo sciopero della sete a quello della fame, "per eludere pericoli immediati e irreparabili", ma il 17 annunciava che sabato 24 avrebbe ripreso lo sciopero della sete più rigoroso."

"La decisione del consiglio federale credo che sia di straordinaria importanza. Nell'ordine, oggi il partito è mobilitato, primo, perché sia il Paese a decidere fra due linee di ricostruzione dello Stato e della società civile e della situazione economica del nostro Paese; meglio sarebbe a dire, da una parte nel proseguirsi dell'attuale linea di distruzione (della quale il pentapartito in tutte le sue componenti è pienamente responsabile), e dall'altra per continuare giorno dopo giorno, ora dopo ora, la lotta - che è lotta umanista, umanitaria, internazionalista, democratica di classe - di salvaguardia delle conseguenze dell'olocausto.
Questa lotta noi la continueremo giorno dopo giorno: in crescendo, tanto è vero che per quello che mi riguarda avendo, come sapete, deciso di passare dallo sciopero della sete a quello della fame un'ora dopo l'annuncio della proposta di compromesso Andreotti che sia pure non soddisfacentemente, ma riprendeva buona parte delle esigenze dei sindaci, riprenderò invece domani il digiuno della sete.
Secondo punto, la mobilitazione elettorale. Di questo si tratta: non riscontriamo che la bancarotta fraudolenta da caratteristica dei centri di potere dello Stato periferici e dei centri del parastato, della industria e della finanza parapubblica, pubblica eccetera, si è trasferita ufficialmente nel cuore stesso dello Stato: il presidente Spadolini ha dichiarato che lui stesso tuttora ignora quale sia l'ammontare del debito complessivo dello Stato, che noi cifriamo ad oltre cinquecentomila miliardi di lire.
Solo l'anno prossimo, solo per interessi passivi dei Buoni del Tesoro si raggiunge il tetto che Spadolini e il pentapartito aveva indicato come il tetto per quest'anno; si raggiungono forse 40-45.000 miliardi solo di interessi passivi sui Buoni del Tesoro! Quando il capo del governo non è in condizioni di comunicare al paese le cifre e la realtà della sua situazione economica parlare di bancarotta fraudolenta - insisto sul fraudolenta - è necessario.
Noi riteniamo che quanto è accaduto anche nei giorni scorsi a livello di cosiddetto superamento della crisi e adesso di proposta di assestamento di bilancio dimostra che quest'anno, fra marzo, aprile, maggio e ora, il pentapartito è riuscito a portare lo Stato a rifiutare la necessità della "ricostruzione" (di questo si parla dopo un dissesto: "ricostruzione" dello Stato stesso nel suo complesso, delle sue intenzioni, ma innanzitutto ricostruzione economica e sociale).
Noi chiediamo che sia chiamato il Paese, che siano chiamati i disoccupati, i sottoccupati, i pensionati, i senza casa, le vittime di questo regime di corruzione e di dissesto, a compiere una scelta, piuttosto che continuare ad essere subalterni nel lamento, nella rabbia, nella disperazione: questo è il quadro all'interno del quale nascono le ribellioni violente, quella terroristica compresa.
Sicché rivolgo un appello a queste categorie, che rappresentano decine di milioni di famiglie di questo Paese. Queto Paese ha al massimo dieci milioni di persone non toccate dalla crisi, dieci milioni di persone che consentono di ignorarla, perché il cuore, il centro della città moderne non è altro che la Città-spettacolo che opera e vive nei centri storici, vetrina ancora delle nostre città. Dietro le vetrine, poi, ci sono i retrobottega delle evasioni fiscali, delle somme all'estero, delle barche con bandiera panamense e via dicendo...
A questi milioni di famiglie va il nostro appello a rendersi conto che solo loro possono scegliere: e la scelta è fra il lasciare centomila miliardi di spese in armamenti per il prossimo triennio (più altri centomila che reperiremo e preciseremo entro trenta giorni) o se questa cifra debba essere spesa investendola nella crisi sociale, per le pensioni, per la casa, per la disoccupazione, per creare cioè occupazione e il diritto all'occupazione, per dare quella riforma qualitativa e quantitativa delle pensioni senza la quale non si esce dalla stretta della mancanza del companatico e dell'ipoteca sul pane, per frange non marginali di pensionati.
All'Italia del giusto lamento e della pericolosa disperazione il Partito Radicale dice: "Sta a voi indicare dove si reperiscono le volontà politiche e dove i denari, perché quello che voi volete e di cui avete bisogno sia assicurato".
Il contesto di questa proposta elettorale del Partito Radicale è, reste e resterà, quella di un'alternativa di governo della sinistra. Da questa piattaforma di deresponsabilizzazione dei ceti proletarizzati del nostro paese - gran parte dei ceti medi, non poca parte della stessa borghesia (perché essere sottoproletarizzati significa semplicemente essere oggetto di politica e non soggetto di politica ad ogni livello) - noi passiamo la mano, e diciamo che la scelta devono farla loro e diamo loro la possibilità: diciamo e ribadiamo che il programma di governo che verrebbe a delinearsi deve marciare sulle gambe dell'unità democratica, laica, socialista, umanista, internazionalista della sinistra nelle sue componenti, ma soprattutto nelle sue ispirazioni e aspirazioni libertarie, democratiche, socialista, laica e cristiana.
Quindi elezioni nuove, nuovo tipo di elezioni. Cifreremo i costi dei posti di lavoro; prepareremo da qui a ottobre, a novembre, tutto questo; ma adesso la scelta elettorale è già posta. I ceti proletarizzati devono dire dove si devono trovare le volontà politiche, e i denari per quello che chiedono; e allora già diciamo che ci sono i centomila miliardi, in lire '83 a "dollaro fermo", che devono essere strappati alla loro destinazione che non solo Giovanni Paolo II dichiara folle (i folli armamenti) per essere riportati nell'investimento produttivo e sociale capace di "ricostruire" lo Stato, perché la classe dirigente postfascista sta lasciando il Paese, come quella fascista, in rovina. 2361


PANNELLA DOPO PAUSA TECNICA RIPRENDE CON LO SCIOPERO DELLA SETE

di Marco Pannella CORRIERE DELLA SERA, 13 luglio 1982

SOMMARIO: Migliaia di sindaci, sostenuti da altrettanti prelati e parroci, hanno presentato alle Camere un progetto di legge d'iniziativa popolare contro lo sterminio per fame che rivoluziona l'approccio al problema, impegnando il Governo non a maggiori, generici stanziamenti in favore dei paesi sottosviluppati, ma a realizzare un intervento pilota in un'area determinata e in un tempo prestabilito volto ad assicurare la sopravvivenza di almeno tre milioni di persone, altrimenti destinate a sicura morte per fame, sete, malatttia. Marco Pannella guida la campagna impegnandosi in uno sciopero della fame e della sete, diretto soprattutto ad attivare con la massima urgenza le volontà politiche dei segretari dei maggiori partiti di governo e di opposizione. Centinaia di cittadini in vario modo sostengono, con lettere, telegrammi, altre concrete forme di pressione, l'azione nonviolenta di Pannella, che incontra, fra gli altri, il segretario del Pci Berlinguer, il quale dichiara "l'accordo del Pci con le linee fondamentali del progetto dei sindaci e l'impegno perché questo progetto sia approvato nei temp più rapidi". Nell'articolo che segue, Marco Pannella fa il punto sull'azione nonviolenta sua e sui risultati conseguiti dallo sciopero della fame intrapreso da Negri, Spadaccia e Vecellio con l'obiettivo di precisi riscontri d'informazione circa la campagna "Sopravvivenza 1982".

"Riceviamo e volentieri pubblichiamo"

C'è un diritto alla propria identità, alla propria storia, alla propria vita che dovrebbe essere in democrazia inalienabile.
Ho posto in essere l'estrema arma della non violenza, di fronte al rischio di sterminio in atto e aggravato di decine di milioni di persone, non per polemica verso chicchessia, non per convincere chi ha altre convinzioni, ma per sostenere in questo modo le tante, prevalenti speranze e intenzioni del mondo politico e istituzionale italiano in sintonia e concordia con ministri dello Stato, ministri della chiesa, oltre che gli 80 premi Nobel, la stragrande maggioranza di parlamentari europei, i sindaci italiani presentatori della proposta di legge di iniziativa popolare. Ho detto, ripetuto, tentato di gridare questa semplice verità, e per contribuire a rafforzare moralmente, nelle ore decisive, questo inedito e prestigioso, possente fronte della vita contro i pericoli di una politica disavvezza a sperare e a credere in se stessa che ho compiuto e sto compiendo il mio dovere di non violento e di radicale. I mass-media sono ancora una volta riusciti a stravolgere il senso di questa azione e di questo messaggio, che - in altro modo - era lo stesso di quello di Spadaccia, Vecellio, Negri.
Spadaccia e Vecellio sono riusciti ad ancorarsi al cuore stesso del problema: le istituzioni dovevano riuscire a rispettare le intenzioni e gli annunci tante volte dati, in uno scadenzario di decisioni finalmente precisato e acquisito. Senza questa loro lotta la mia non sarebbe stata nemmeno tentabile.
Giovanni Negri è - per suo conto - riuscito a realizzare un'azione di straordinario valore politico e civile: il fronte che ha unito e unisce in questi giorni la commissione parlamentare di vigilanza (cioè il parlamento), il consiglio di amministrazione della Rai-TV, una parte rilevante dei giornalisti e degli operatori radiotelevisivi delle più diverse famiglie politiche in una presa di coscienza senza precedenti dei limiti e dei pericoli che gravano sul funzionamento del servizio di stato dell'informazione radiotelevisiva, deve molto alla sua iniziativa di dialogo, di collaborazione, di disarmata, quotidiana scelta di attiva fiducia e di speranza verso coloro che da sempre non apparivano che come avversari e nemici. Questa azione ha portato ad almeno questi risultati:
1. Si è isolata con ogni evidenza l'area, ristretta anche se potentissima, di coloro che erigono un muro deliberato fra paese e politica democratica, fra diritto alla conoscenza come fondamento del gioco democratico e sistematica violenza dell'inganno; quest'area ha reagito quasi con disperata determinazione a violare la legge, regolamenti, ogni principio morale e professionale.
2. Si è ottenuto che i margini significativi e consistenti della informazione audiovisiva, in gran parte di quella radiofonica, circolasse una informazione inedita sulle lotte contro lo sterminio per fame nel mondo, preziosa per queste ore.
E, infine, ha consentito alla teoria e alla pratica delle lotte non violente radicali un prezioso passo in avanti, per il quale lo ringrazio in modo particolare, così come ringrazio tutti e ciascuno gli impareggiabili compagni del partito radicale, quelli che stanno consentendo più che mai, a questa organizzazione, di poco più di 1500 cittadini europei, di dar corpo, letteralmente, ad una politica di pace, di vita e di speranza.
Ma era ed è necessario, vitale, in queste ore sempre drammatiche e di straordinario segno, ricordare e chiedere il diritto alla propria identità che m'è parso spesso crudelmente stravolto per quanto riguarda Negri e me stesso, e negato ai parlamentari e ai militanti che hanno in questi giorni (e su questo dovremo presto tornare) operato e operano con forza, intelligenza e dedizione strenue, censurati e abrogati dalla stampa scritta e parlata. A qualche ora dalla ripresa del mio digiuno, sappiano quanta forza ed amore per la vita e i nostri ideali essi mi danno e devo loro.
Siamo ormai sul punto di farcela; sono ormai sul punto di vivere milioni di persone già iscritte all'anagrafe dello sterminio.
Sarà ancora tremendamente difficile, ma ce la faremo, dobbiamo farcela.
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ROMA - E' ripreso ieri alle 22, dopo un'interruzione di 24 ore ("le mie condizioni si erano aggravate al punto di precludermi totalmente di assolvere impegni già assunti e necessari"), lo sciopero della sete di Marco Pannella. Una pausa "tecnica" insomma, che ha permesso al leader radicale di affrontare un'importante scadenza, l'incontro con il segretario del PCI Enrico Berlinguer. Il segretario comunista ha confermato l'impegno del suo partito "per l'approvazione in tempi rapidi da parte del Parlamento del progetto di legge di iniziativa contro lo sterminio per fame per una conseguente nuova, organica politica di sviluppo, presentato da numerosi sindaci".
Anche per questa mattina è fissato un importante colloquio, quello col segretario della DC Ciriaco De Mita: e potrebbe essere il passo decisivo verso una definitiva e veloce approvazione di una legge che si propone di salvare entro l'82 tre milioni di persone.
Se anche il leader dc aggiungerà il suo "placet" a quelli già pronunciati dal socialdemocratico Longo, dal missino Romualdi, dalla delegazione di Dp e dallo stesso partito comunista, è possibile che entro oggi dal comitato ristretto della commissione Esteri esca un risultato concreto. Spetterà alla stessa commissione, subito dopo, una volta avuto il parere favorevole, della commissione Finanze, approvare il provvedimento in sede legislativa. Pannella sembra ottimista: "siamo ormai sul punto di farcela - dichiara - sono ormai sul punto di vivere milioni di persone già iscritte all'anagrafe dello sterminio. Sarà ancora tremendamente difficile, ma ce la faremo, dobbiamo farcela".
A rafforzare questa speranza è stato anche l'impegno del segretario comunista - ha dichiarato Berlinguer a ``Radio radicale'' - l'accordo del PCI con le linee fondamentali del progetto dei sindaci e l'impegno nostro perché questo progetto sia approvato nei tempi più rapidi. 1897


LA CAMORRA DEI PARTITI SGOMINA LEGGE E VERITA'

di M. Pannella NR28, 2 agosto 1982

Cari compagni, ho riempito fogli, per una notte intera, ed oltre. Ho ritardato l'uscita di questo giornale, tentando di trovare concetti, frasi, parole non logore e non disperate per meglio comunicarvi le ragioni delle mie dimissioni da Segretario del Partito, il loro significato di lotta, e anche di speranza. Invano.
In troppi ci siamo assuefatti a non credere al valore dell'intelligenza e della parola. Accade quel che avevano previsto, e annunciato; senza forza sufficiente per scongiurarlo, come pure era nel suo contrario, come pure era possibile.
Il sistema dei partiti e delle forze di regime travolge tutto nella melma della sua rovina. Per le nostre generazioni la qualità della vita, e la vita stessa, sono pregiudicate. Il perimetro della violenza e della morte s'estende fuori di noi, e nelle nostre coscienze. Scissa da ragionevolezza e da ragione, la politica diventa folle, com'era sennato prevedere. Questa politica ha oggi paura di sé, di noi, del futuro, del presente, della gente; della propria legge e del mancarvi. La democrazia, offesa per trent'anni, si vendica, e ci lascia; e, con essa, la vita civile.
Non c'è più nessun valore che tenga, che sia rispettato, da questa sciagura accolita di irresponsabili e di impotenti, se non gli attributi violenti del potere e del crimine.
Sterminando centinaia di milioni di nostri simili, colpevoli solamente d'essersi lasciati ridurre - non di rado per mitezza e ingenuità - alla miseria, rubano qui il pane della verità e del dialogo, come ogni altro, e ovunque.
E' ormai il fondamento stesso del gioco democratico che viene distrutto, irreversibilmente, con la violenza della censura, della menzogna, degli ostracismi. Il diritto vitale in democrazia ad essere informati, a conoscere, per poter scegliere e giudicare è tolto senza remissione agli italiani.
Il volterriano: "Signore, detesto le sue idee ma sono pronto a morire per difendere il suo diritto a manifestarle" non vive che come manifestazione della fastidiosa e plebea dabbenaggine radicale fin nei più remoti ripostigli di coscienze insospettabili; cristiane, socialiste, liberali, dei Craxi, degli Zanone, degli Zaccagnini o dei De Mita, profittatori e negatori degli ideali che proclamano di servire o perseguire.
Come segretario federale del Partito Radicale avevo il compito costituzionale di rappresentarlo, di operare pubblicamente per il perseguimento dei nostri ideali e dei nostri obiettivi, di assicurare alla democrazia italiana la conoscenza delle nostre proposte e dei nostri giudizi.
Come documentiamo nel "dossier" che rendiamo pubblico in questi giorni, ogni nostra, prerogativa, ogni nostra immagine, ogni nostra azione è stata abrogata. Il Gruppo parlamentare radicale sembra non esistere che per esser pubblico oggetto di ludibrio e di violenza, di espulsioni e di censure.
E' per questo che, con l'iniziativa delle dimissioni, ho inteso sottolineare una verità, una situazione di fatto già acquisita: se per il paese il Segretario del PR non può esistere, allora è inutile che ci sia. Ed è doveroso fare il possibile per far sapere che, se non c'è, è semplicemente perché è stato eliminato, giorno dopo giorno, dal regime.
Il fatto che nemmeno la notizia delle mie dimissioni sia stata oggetto di informazione, che non si sia consentito agli italiani di ascoltare dalla mia voce le mie e le nostre ragioni, ne è la riprova. La Rai-Tv è logica: se non c'è politica radicale su cui informare il paese, le dimissioni del Segretario radicale non possono esistere: non ci si dimette da niente.
Quanto a me, non ho altro da aggiungere. Ma vi attendo, compagne, compagni, amici, domenica 10 ottobre in piazza del Parlamento, o a Bologna, per il congresso, dal 27 ottobre al 1 novembre. Intanto la parola resta a voi; a partire da quella delle iscrizioni e delle sottoscrizioni. Spero, ho bisogno, di udirvi. 2372


P2, MAFIE, SOLDI SPORCHI DI UN REGIME PUTREFATTO

NR10, 15 luglio 1982

Solo una stampa disattenta (colpevolmente disattenta) o asservita può ormai trascurare, per depotenziarla, la tenace, costante, testarda azione radicale nella lotta contro le mafie. Forse non è un caso: quale partito, quale gruppo politico, quale schieramento parlamentare diventa più "temibile", più "pericoloso" nel momento in cui la vita della Repubblica è infangata da un regime occupato e attraversato da una vera e propria spirale di sangue e di ricatto?
Nessuna forza politica può avere tanta credibilità ed efficacia di azione quanto il partito del caso Lockheed, della cacciata di Leone, del referendum sul finanziamento pubblico ai partiti-lobbies, dell'abolizione dell'inquirente... Non la può avere né chi ha sempre propugnato una politica di "larghe intese" con i partiti del regime-mafia, né chi è adesso obbligato a difendere le dichiarazioni "pulite" della segreteria democristiana perché scandalo chiama scandalo, e alla conta dei mafiosi in un partito corrisponderebbe magari la conta dei piduisti in un altro. Un serio elemento di riflessione, questo sulle grandi responsabilità dei radicali verso il paese, particolarmente in questo momento. Perciò vogliamo ripercorrere, in questo numero di NR, il quotidiano fluire dell'iniziativa radicale attraverso le vicende dell'assassinio di Dalla Chiesa, il riesplodere del Caso Gelli, le collusioni fra partiti e gruppi Calvi e Rizzoli, con le relative coperture istituzionali. Giorno dopo giorno, l'azione si sta infittendo. Mentre il regime continua a imputridire.
"3 settembre. Con Marcello Crivellini ed Emma Bonino i radicali denunciano la vera e propria truffa istituzionale che deve sancire una sorta di "diritto al furto" per i partiti". "La Presidente della Camera - si legge in un comunicato congiunto del Gruppo Parlamentare e del Partito Radicale -, infatti, cui la legge delega la definizione del modello del bilancio dei partiti, ha deciso di omettere lo stato patrimoniale e la situazione finanziaria effettiva. In questo modo continuerà senza controlli e conoscenza alcuna la politica di corruzione, di fondi neri, di finanziamento illecito da enti e Banche pubbliche e di inquinamento delle decisioni politiche e di governo. Il Partito Radicale, che ha già rinunciato a nominare suoi revisori dei conti delegando invece l'Ordine Nazionale dei Dottori Commercialisti a farlo, presenterà comunque il suo stato patrimoniale anche contro le attuali decisioni della Presidente della Camera. Il Gruppo Parlamentare Radicale e il Partito Radicale chiedono alla Presidente della Camera di cambiare le sue decisioni in merito".
"Lo stesso giorno, a poche ore dall'eccidio di Palermo, intervengono la segreteria ed il vicepresidente del PR Francesco Rutelli": "A questo punto è immediatamente necessario sapere se il Gen. Dalla Chiesa viaggiasse o no su una macchina blindata. Se, come potrebbe sembrare dalle prime notizie, la macchina non lo era occorre immediatamente far sapere all'opinione pubblica come mai questo sia accaduto, essendo noto che il Generale aveva dimostrato sempre, anche su questo piano, il massimo senso di responsabilità e di prudenza".
"Ricordo ciò che il Prefetto Dalla Chiesa aveva affermato recentemente: che la forza della mafia consiste nell'abdicazione dello Stato, cui il potere criminale si sostituisce nel rapporto con i cittadini. Questo è l'insegnamento che le istituzioni e le forze politiche devono cogliere per estirpare il cancro della mafia e della camorra, per restituire certezza democratica ai cittadini, per onorare la memoria di tanti servitori della Repubblica assassinati da poteri occulti che con terribile frequenza hanno intessuto rapporti con settori cruciali del potere politico e di quello statale".
"Il 4 settembre, Emma Bonino riassume la posizione del gruppo radicale avanzando precise richieste": "E' la stessa sicurezza del Paese che viene minacciata da una organizzazione internazionale che può contare su un "bilancio" paragonabile a quello dello Stato, su migliaia di uomini disseminati nei maggiori centri di potere, sulla stessa natura clientelare e parassitaria dell'Amministrazione dello Stato e degli Enti locali. Per queste ragioni è innanzitutto necessario che il Paese, le forze politiche e il Governo percepiscano esattamente l'entità della minaccia e prendano coscienza che le possibilità di vittoria sulla mafia sono subordinate all'entità degli stanziamenti, alla qualità e quantità dei mezzi, alla natura degli strumenti normativi resi disponibili per questa lotta.
Siamo quindi impegnati ad impedire che con il corpo di Dalla Chiesa si voglia seppellire definitivamente ogni serio impegno di lotta a questa potente organizzazione eversiva e, nel contempo, l'accertamento delle responsabilità connesse all'assassinio del prefetto di Palermo...
I partiti dovranno rispondere davanti al paese sulle loro responsabilità in ordine al processo di espropriazione dei poteri e delle stesse funzioni dell'Amministrazione dello Stato, degli Enti locali e dei centri economici e finanziari pubblici. Sulle strutture clientelari e parassitarie imposte dalla partitocrazia si è infatti affermata e consolidata la mafia. E' del resto urgente riformare ed aprire alla partecipazione di tutte le componenti politiche quel comitato sui servizi di sicurezza che ha dimostrato l'assoluta incapacità di vigilare sulla correttezza e sulla efficienza dei servizi di sicurezza.
"Sull'agenzia Notizie Radicali compare invece una nota in risposta alle prime, prevedibili richieste di leggi speciali e provvedimenti d'emergenza. E' il più scontato (ma non per questo meno pericoloso) meccanismo istintivo di quelle forze e quei personaggi che tentano in tal modo di scaricare le proprie responsabilità e colmare la loro impotenza": "Questa volta è troppo. E' troppo davvero. Non è possibile sopportare le grida sciagurate, impotenti, irresponsabili di coloro che traendo spunto dall'uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa chiedono già oggi nuove leggi e provvedimenti speciali.
In prima fila, tanto per cambiare, vi si trovano Valiani e il valianesimo, un'ideologia ormai apertamente pericolosa ed eversiva. Questa ideologia, un'ideologia che oggi suggerisce fra l'altro l'introduzione di un fermo di polizia per sei giorni, ha largamente influenzato negli anni passati le scelte politiche di coloro che si sono alternati al Governo del Paese in materia di ordine pubblico. La loro ideologia di morte è nemica della Repubblica. In quanto tale, essa va posta in liquidazione. Padre della Repubblica o meno, Leo Valiani deve andare a sfogare altrove le sue fobie forcaiole e consumare in altra sede i suoi fallimenti.
Quella che con l'eccidio di Palermo è virtualmente sotto processo è infatti la dissennata gestione dell'ordine pubblico che è figlia della demenzialità dei Valiani e di coloro che accanto a questi personaggi si sono schierati.
Con in mano le leggi del duce del fascismo, Benito Mussolini, e del suo guardasigilli Rocco, i padroni del vapore non hanno saputo, né potuto, né spesso voluto affrontare la delinquenza organizzata, comune o politica. Terrorismo, mafia, camorra, collusioni con i poteri dello Stato sono fioriti e hanno imperversato. Lo Stato-mafia, lo Stato-P2, lo stato delle stragi si è potuto affiancare e ha potuto colpire il lento lavoro degli uomini che in prima fila tentavano di edificare lo Stato democratico, la Repubblica della Costituzione.
Non contenti delle leggi che avevano a disposizione e di fronte alla loro inettitudine, costoro hanno esposto il nostro diritto positivo in una china di degradazione sul piano dei principi e di inefficacia sul piano del contenuto l'Italia è così diventato il Paese rifornito di uno dei bagagli legislativi più autoritari delle democrazie occidentali. Ebbene, nel giro di pochi anni, è infuriata la strage, di magistrati, di agenti delle forze dell'ordine, di giornalisti, di cittadini, di agenti di custodia. Le loro leggi hanno prodotto la morte di oltre cento cittadini assassinati dall'"errore" o dai "fatali incidenti".
Con queste leggi in vigore, nel marzo del 1978, mentre si insediava il Governo Andreotti, veniva rapito l'uomo più potente del regime e Presidente del più grosso partito italiano. Oggi, nel settembre del 1982, mentre si insedia il Governo Spadolini, viene assassinato il generale di ferro, l'uomo che più di ogni altro rappresenta per l'italiano il cuore dello Stato sul fronte delle forze dell'ordine. A questo quadro possiamo aggiungere che solo due uomini sono usciti vivi dai carceri del popolo dei macellai delle Brigate Rosse. Il Giudice D'Urso, grazie non alle forze del regime bensì ad una lotta durissima condotta proprio sul filo del confronto fra uno schieramento civile e democratico e i fautori della falsa "fermezza" affiancati dal piduismo di Stato. Il generale americano Dozier è quindi in sostanza l'unico uomo che la politica di governo in materia di ordine pubblico ha ricondotto vivo alla famiglia. Oggi come allora, oggi più di allora c'è da chiedersi perché ciò si avvenuto solo con il generale della NATO, e non con Peci, non con Taliercio, non con gli altri.
Basta, dunque, con i pubblici delirii e con le invocazioni dello Stato-fortissimo.
Costoro sanno perfettamente che dal punto di vista legislativo questo Stato è - secondo la loro stessa concezione di forza - fortissimo. Chiunque oggi chieda lo Stato più forte ancora, senza pronunciare chiare parole sullo Stato più forte ancora, senza pronunciare sullo Stato marcio, sullo Stato-mafia, sullo Stato-P2, sullo Stato-strage, sullo Stato dei Sindona, sullo Stato dei Calvi, sullo Stato di certi settori dei servizi segreti, sullo Stato-ladro, sullo Stato-clientela che innanzitutto opprime, offende, umilia le popolazioni meridionali impedendo il loro riscatto, non può che essere o incapace o un mentitore o un incapace o un mentitore. In ogni caso, pericoloso. E' semplicemente vergognoso che Valiani ancora abbia il coraggio di rivolgere prediche simili alle menzogne e agli insulti dei tempi del caso D'Urso, quando contro di noi faceva il portatore d'acqua di Gelli dalle colonne del giornale di Tassan Din. Sostituire questa ideologia e questo personale politico al Governo non è più un diritto ma un dovere di servizio alla Repubblica, prima che prendano corpo le previsioni di Pasolini, per il quale o gli uomini di autentico senso dello Stato avrebbe celebrato il processo al "Palazzo", oppure gli uomini del "Palazzo" avrebbero trascinato insieme a loro, nel fango in cui precipitavano la Repubblica e gli italiani.
Se Dalla Chiesa è stato colpito, è perché qualcuno aveva la certezza che le sue spalle erano meno coperte, che al potere politico romano alla sede della prefettura di Palermo le distanze si erano allungate.
E' caduto a Palermo il deputato Pio La torre. E' caduto a Palermo il generale Dalla Chiesa. Ma ha ragione quel Direttore di giornale (per fortuna ancora ve ne sono) che oggi denuncia coma Milano o a Roma, in questo Stato, non vi sia meno aria di mafia che in Sicilia. E aggiungeva che sono inutili tutti i tentativi di lotta alla mafia da parte di un sistema che pretende di combattere gli stessi nemici che tollera e protegge e di cui al volte si fa forte. Queste sono le uniche voci utili, le uniche voci della ragione. Quelle dei Valiani e dell'ideologia di morte, della quale sono protagonisti i grandi guastatori dello Stato, hanno solo provocato degenerazioni nel diritto e hanno totalmente fallito. Se ancora vogliono mandare alla forca qualcuno, ci vadano loro.
"Nel frattempo, a causa dell'ovvio rilievo dato dai mezzi di comunicazione di massa ai fatti di Palermo, passa praticamente sotto silenzio l'incredibile episodio del Tribunale di Bologna. Degli "sconosciuti" sono potuti penetrare nel palazzo di giustizia, visionare documenti riservati sulle indagini e fotocopiarli. Traffico internazionale delle armi, vicenda Calvi, stragi, incominciano ad essere fenomeni collegati. Sin dal 28 agosto viene avanzata una richiesta di chiarimenti, viste le numerose indiscrezioni della stampa. La dichiarazione è del vicesegretario Giovanni Negri":
"Alcune notizie pubblicate da quotidiani italiani non fanno che confermare i torbidi legami fa gli ambienti piduisti italiani e il traffico internazionale delle armi.
Calvi raggiunse Londra con un aereo messo a disposizione dagli svizzeri fratelli Kunz, trafficanti internazionali d'armi, con i quali si incontrò prima di sparire per realizzare una transazione di mezzo miliardo di dollari che avrebbe avuto il placet dell'Unione banche svizzere, sigla ricorrente nella vicenda Calvi-P2. A questo proposito non si può non ricordare che il ministro della Difesa da mesi rifiuta sistematicamente di affrontare queto tema in Parlamento, pur essendo il nostro Paese uno dei primi esportatori mondiali di armi.
Altresì appare curioso il costante disinteresse della stampa italiana per la connessione sempre più profonda fra settori del potere politico e tale fiorente commercio, visto che è dal Financial Times di Londra che si è potuto per esempio apprendere della fornitura italiana di armi alla Somalia. Eppure ci sembra sempre più evidente che diversi capitoli di storia italiana ancora oscuri potrebbero proprio essere scritti a partire da queste allegre brigate e dai loro affari".
"Ma chiarimenti non vi saranno, né su questo né sui documenti di Dalla Chiesa dei quali tanto di parla, a sostegno della tesi che dipinge l'assassinio del prefetto come causato dalla forza dello Stato, uno Stato che era "sul punto di assestare dei colpi mortali alla mafia". Il 6 settembre, l'agenzia NR pubblica una nota, intitolata "Da Palermo a Bologna, il governo parli subito"":
"Potrà forse far dispiacere all'onorevole Piccoli, ma in queste ore non possono più continuare le indecenze dei giorni del rapimento Moro, quando un ristretto circolo di potentati di partito impedì alle assemblee parlamentari di dibattere per un solo minuto. Non bastano i comunicati di tre righe della Guardia di Finanza. Il Governo è moralmente e politicamente obbligato a fare immediata e pubblica luce sulle inquietanti notizie di queste ultime ore, perché il Paese ha il pieno diritto di poter conoscere e giudicare. In particolare deve chiarire:
1) Se è vero che Dalla Chiesa disponeva di tre precisi elenchi. Cioè la mappa degli appalti fornita dai sindaci della Provincia di Palermo, un dossier sui finanziamenti alle imprese forniti dalla Regione Sicilia, oltre al dossier di schede elaborate dalla finanza sul potere economico mafioso.
2) Qualora la notizia risulti autentica, quali documenti non siano più stati reperiti e come abbiano potuto essere sottratti.
3) Quali ragionevoli giustificazioni vengono addotte dinnanzi al fatto che al Tribunale di Bologna alcuni documenti riservati relativi all'indagine sulla strage della stazione, abbiano potuto essere visionati e riprodotti.
Non è lecito che non se ne discuta nelle istituzioni e che un'opinione pubblica già sconcertata sia in balia di indiscrezioni. Mentre l'episodio di Bologna è rivelatorio del complessivo degrado al quale si è giunti non si devono lasciar crescere gli equivoci attorno ai documenti di Palermo per un minuto di più. Se non c'erano, la si pianti con le proclamazioni di supposti imminenti successi di questo o di quel corpo dello Stato contro la mafia. Se c'erano, si dica di che cosa trattavano e che fine hanno fatto".
"Banco Ambrosiano e partiti, proposte di lotta alla mafia. Con lettere e dichiarazioni il 6 settembre i radicali tentano di correggere le risposte disorganiche e totalmente inefficaci del governo. Marcello Crivellini si rivolge ai commissari liquidatori del Banco Ambrosiano, scrivendo fra l'altro:
"Tra i crediti di cui la stampa ha dato ampia notizia, ve ne sono alcuni direttamente o indirettamente relativi a partiti politici ed, in particolare, ve ne è uno del PSI di cui è possibile e doveroso pretendere la restituzione. Si fanno a questo proposito le cifre di 7, 14 o 20 miliardi: quale che sia la cifra comprensiva di capitale e di interessi, noi ci permettiamo di proporvi le seguenti azioni":
1) rendere pubblici entità, tempi, modalità, interessi, restituzioni o mancate restituzioni da parte di partiti o di altre operazioni finanziarie effettuate da partiti, dal momento che in un modo o nell'altro il contribuente sarà chiamato a pagare in tutto o in parte gli allegri finanziamenti dell'Ambrosiano;
2) Chiedere a tutti partiti la restituzione del denaro dovuto, fra cui quello accertato da parte del PSI, e dal parte del PCI per "Paese Sera", come è stato fatto per l'accettazione bancaria della Rizzoli e con le stesse modalità ed eventuali conseguenze;3) cautelarsi da eventuali dichiarazioni di insolvibilità chiedendo il blocco della quota annuale di rimborso elettorale che i partiti riscuoteranno il 1° Ottobre 1982 e soprattutto, il finanziamento pubblico che sarà riscosso nel febbraio 1983 (dell'ordine di 8 miliardi per il PSI)".
"Gianfranco Spadaccia, anticipando un suo intervento al Senato (e non sarà facile ottenerne la convocazione tempestiva), indica 5 punti-cardine per la lotta alla mafia":
"1. immediata ricostituzione degli organici carenti e loro rafforzamento nella magistratura, nella polizia, nei carabinieri; ricostituzione della reta ormai dissestata delle stazioni di carabinieri periferiche, rafforzamento dei commissariati e loro decentramento nel territorio delle città;
2. indagare sugli illeciti arricchimenti e colpirli penalmente se necessario con la severità di nuovi provvedimenti legislativi;
3. intervenire nel sistema degli appalti, con procedure straordinarie e del tutto nuove che prevedano, se necessario l'intervento diretto dello Stato come imprenditore;
4. un piano nazionale per affrontare i problemi economici e sociali della Sicilia, a cominciare da quelli dell'occupazione, dell'acqua, dei trasporti con stanziamenti adeguati e con progetti e obiettivi adeguati;
5. recidere i gangli mafiosi nell'amministrazione e nei partiti".
"Emma Bonino critica invece le decisioni che sono state prese dal consiglio dei ministri (in una riunione contrastata, dove è a stento prevalsa una linea di mediazione)":
"L'equazione mafia-terrorismo è errata ed è stata ed è una imperdonabile e colpevole leggerezza quella di tentare di portare in Sicilia, nella lotta alla mafia, gli stessi metodi adottati nella lotta al terrorismo, addirittura nominando nei mesi scorsi, a prefetto di Palermo un generale dei Carabinieri. Così come oggi si appalesa estremamente grave e foriero di risultati non esaltanti la confusione nella stessa persona del compito di Alto Commissario nella lotta alla mafia e di Prefetto di Palermo. Prefetto di Palermo doveva essere nominata una personalità cui potessero guardare con fiducia le popolazioni siciliane per quello che avrebbe significato nella realtà isolana chi, rappresentando il Governo, non presentasse dello stesso il volto repressivo e poliziesco ma quello civile e costituzionale".
"I telegiornali intanto strombazzano la scontatissima legge "antimafia" che in poche ore il Parlamento è chiamato ad approvare. Sono i giorni nei quali Spadolini proclama l'impotenza sua, del governo, del sistema di potere che provvisoriamente rappresenta: "Bisogna stroncare mafia, camorra, P2". Quella P2 alla quale si era risposto con una "legge speciale", speciale nella sua inadeguatezza quanto quella ora sottoposta all'esame del legislativo, chiamata "antimafia". La classe politica dirigente rifiuta, evidentemente, di prendere il toro per le corna. Anche perché dovrebbe prendere innanzitutto se stessa. Il 7 settembre, Franco Roccella prima e poi i deputati delle commissioni giustizia e interni, Franco De Cataldo e Geppi Rippa prendono posizione":
"Questa società politica, debole e cinica nel caso Moro, debole e cinica nel caso D'Urso, debole e cinica di fronte al terrorismo, è più che mai debole e cinica di fronte alla mafia. Incapace di forza morale e politica, tanto ai livelli della normalità quanto ai livelli della eccezionalità, crede di rifarsi con la "forza" delle misure speciali, le procedure d'emergenza, i pieni poteri, ricorrendo a interventi tanto inutili agli effetti che si prefigge quanto rischiosi per la democrazia: ieri i decreti Cossiga, oggi la commistione delle cariche accumulate da De Francesco".
"Il nostro voto contrario a questa nuova legge antimafia nasce dalla convinzione che non è con le leggi "eccezionali", "speciali" che una classe politica cinica e debole, incapace di forza morale e politica, coinvolta nell'intreccio sotterraneo tra poteri occulti e mafiosi e intrallazzi di sottogoverno, possa recuperare una credibilità alla lotta a questo cancro della nostra società. Non è con interventi autoritari che si batte la mafia o il terrorismo, ma facendo funzionare la democrazia che questa classe politica ha reso esangue e inesistente. Non si può essere contemporaneamente complici e vindici".
"Franco Roccella torna poi sull'argomento, e sul dibattito politico (tristemente rituale) che attorno ad esso si sviluppa con due comunicati stampa del 9 e dell'11 settembre":
"Così come hanno fatto alla Camera, i radicali si opporranno con forza al Senato alla così detta legge antimafia ritenendola analoga al decreto antiterrorismo Cossiga, un provvedimento, cioè, inutile e pericoloso.
Si tratta infatti di una legge speciale che, per la parte accettabile non può avere altro effetto che quello di indurre chi di dovere ad applicare le leggi ordinarie già esistenti ma paradossalmente inerti, e per la parte innovativa sconvolge i principi democratici più elementari del nostro diritto conferendo il potere di violarli ad una classe dirigente compromessa oltre i limiti del compatibile, priva di forza e di onestà politica, oltre che morale, incapace di far valere e far funzionare la democrazia con le sue regole e le sue garanzie di libertà".
"La proposta del Partito Comunista Italiano, di un governo in Sicilia svincolato dagli schieramenti precostituiti e connotato da una esplicita volontà di combattere la mafia, può essere degnissima di considerazione se di eliminano con estrema chiarezza e puntualità i riecheggiamenti del milazzismo e si contesta senza riserve quella "sicilianità" che è inclusa nell'idoleggiamento della autonomia regionale.
Il che equivale, nella situazione data, a proporsi una revisione di fondo dello statuto della regione siciliana e a sostituire la lotta politica, la più leale e limpida in termini costituzionali e di responsabilità democratica, al feticcio di una autonomia che è servita sin qui a coprire una contrattazione di potere sostanzialmente unanimistica".
"Sempre nelle stesse ore, riprende attualità l'affare Sindona e i partiti si affannano a lanciare anatemi antimafiosi, giurando e spergiurando sulle future "inflessibilità". Ma già si incaricano di fare i portatori d'acqua della DC e del suo segretario (dopo l'intervista di Nando Dalla Chiesa) i liberali, i socialdemocratici e il segretario del PSI con una intervista "elogiativa" al TG1. Su mafia e partiti Marcello Crivellini dichiara":
"I partiti di governo in Italia sono vissuti e vivono economicamente come delle cosche mafiose. Hanno preso tangenti su petrolio, tabacchi, commesse militari e non, ed ogni altro genere commerciabile. Sono vissuti di ricatti reciproci e di furti comuni. Taglieggiano dite ed aziende sui maggiori appalti pubblici, statali, comunali e regionali. Saccheggiano la finanza pubblica e privata facendosi "prestare" somme che mai restituiscono. Quali le differenze, dunque, con la mafia? Poche e tutte a vantaggio della mafia. La mafia non gode dell'immunità parlamentare per i suoi cassieri. Gli amministratori dei partiti (si vedi soprattutto democristiani e socialisti). Rubare per la mafia è reato: rubare per il proprio partito no, almeno secondo quanto deciso recentemente dal Parlamento assolvendo gli amministratori della DC, PSI, PRI e PSDI rei di furto e truffa in favore dei propri partiti. La mafia traffica con la droga. I partiti hanno da trent'anni "trafficato" con la Cassa del Mezzogiorno saccheggiando e sperperando decine di migliaia di miliardi. In Sicilia ci sono fortune nate dal nulla? E perché non si fanno delle indagine serie anche sui patrimoni reali di alcuni politici italiani? Craxi, Andreotti e soci cosa e quanto possiedono realmente? Basta con l'ipocrisia. Ho più rispetto di un ladro con il piede di porco che di un ladro in auto blindata con autista pagato dallo Stato".
"Membro della commissione Sindona Massimo Teodori ritorna su questa vicenda":
"La legge del contrappasso sembra inverarsi nella vicenda Sindona. Quando Sindona era libero negli USA e incriminato in Italia, la battaglia contro l'estradizione costituì uno dei cardini dell'azione della `banda Sindona" che impedì dal 1974 al 1979 il rientro del bancarottiere in manette in Italia. Condannato a 25 anni in USA, imprigionato e con in vista altri pesanti processi, il già `salvatore della lira' vuole oggi essere estradato in Italia.
Al di là di questo balletto, sarebbe forse opportuno che finalmente il bancarottiere parlasse sulle reali connivenze politiche, massoniche clerical-vaticane e mafiose della sua avventura finita nel crimine.
La commissione parlamentare d'inchiesta cercò di interrogare direttamente Sindona ma egli si oppose. Oggi, più che mai, dopo Calvi, Marcinkus, Gelli e Dalla Chiesa, è l'ora di ricercare le radici degli intrecci fra potere e criminalità, e Sindona potrebbe dirne molte".
"11 settembre. Il marcio non dà tregua. Tra un cadavere eccellenze e l'esplodere di scandali, il rischio è davvero quello della rassegnazione. Rizzoli, sollecitato dai liquidatori dell'Ambrosiano a saldare venti miliardi di debito, chiama a sua volta tre partiti di governo a saldare un debito di circa 15 miliardi di lire. E' possibile che in Parlamento non se ne parli immediatamente, che queste operazioni restino "Cosa nostra". Evidentemente sì. Emma Bonino presenta comunque a nome del gruppo radicale un'interpellanza per sapere":
"1. se risponde a verità che i partiti Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano e Partito Socialdemocratico Italiano sono debitori, rispettivamente, di 15, 3 e 1 miliardo nei confronti della Rizzoli Editore, e che questi debiti sono da tempo già giunti in scadenza, e la Rizzoli ha quindi il diritto di chiederne il saldo immediato;
2. se risponde a verità che il prestito al PSI sia stato negoziato e garantito da Nerio Nesi, esponente socialista e Presidente della Banca Nazionale del Lavoro, una delle componenti del pool che ha rilevato la gestione del Banco Ambrosiano; se sia dunque corretto che questo stato di cose possa continuare a lungo;
3. se le cifre in questione risultano essere mai state iscritte nei bilanci dei partiti in questione, e se ciò sia ritenuto corretto ai sensi della legge sul finanziamento pubblico dei partiti".
"E Marcello Crivellini può adesso denunciare a chiare lettere quali siano i numerosi motivi per i quali la presidenza della Camera ha predisposto un determinato modello di bilancio per i partiti":
"La Presidenza della Camera, secondo quanto previsto dalla legge sul finanziamento pubblico dei partiti, ha deciso in agosto di adottare un particolare modello di Bilancio per i partiti: da esso è completamente assente la situazione debitoria e le partecipazioni a società.
In molti ci siamo chiesti se ci fosse stato un motivo particolare.
Oggi sappiamo che di motivi ce ne erano più di uno; per la precisione 19 miliardi di motivi: tanti sono infatti i soldi che DC, PSI e PSDI devono alla Rizzoli tramite loro società e che grazie alle recenti decisioni della Presidenza della Camera non compariranno mai sui bilanci di quei partiti.
In un Paese dove tutti parlano di questione morale e di moralizzazione si arriva invece a questa situazione paradossale: per conoscere parte dei debiti di alcuni partiti bisogna affidarsi non alla Presidenza della Camera ma ai ricatti reciproci tra Rizzoli, Ambrosiano e partiti di governo".
"Il 13 settembre Franco Roccella ritorna sulla opportunità di una ferma iniziativa politica (poiché è con la politica, attraverso la politica, che è indispensabile agire) in Sicilia, proponendo lo scioglimento della assemblea regionale siciliana ed un serrato confronto attraverso una campagna elettorale, capace di imprimere una svolta nella lotta per la pulizia":
"Con tutta la buona volontà di questo mondo è difficile credere e dar credito a questa improvvisa ed eroica disposizione della vecchia classe di potere siciliana a combattere senza quartiere la mafia.
Molte, troppe volte si è unita sotto il segno ambiguo della autonomia per consumare la sua perizia gattopardesca e creare le condizioni migliori per un regime di accorte e unanimi spartizioni.
E' ormai un dato di cultura, sorretto da un consolidato di interessi e di strutture, che non muta per il solo fatto che si cambia gabbana.
E mi riferisco non solo, anche se principalmente, alla DC, per il fatto semplicissimo e storicizzato che essa ha trovato validissimi collaboratori nei suoi partners di governo e perfino in carissimi antagonisti. Le gestioni del credito, degli enti regionali (ente minerario e ESPI in testa), dei piani regolatori e dell'edilizia, dei vari programmi di intervento, delle sovvenzioni regionali ecc. ecc. ne sono una testimonianza di scandalosa evidenza.
Se si vuole fare sul serio, per un impresa di questa portata si vada alle elezioni regionali anticipate. Simboli, liste, nomi, volti, storie individuali e progetti si espongano al confronto, il più leale e spietato, della lotta politica e al giudizio dell'elettorato, notificando l'azzeramento della situazione. E dalla lotta politica rigenerata, che ridefinisca per prima cosa l'istituto e la politica dell'autonomia regionale, nascano convergenze e schieramenti.
I compagni comunisti ci pensino: non sciupino occasioni ed opportunità che hanno il privilegio di poter cogliere; formulino e sostengano la loro proposta in termini di lotta politica.
"Il 13 sera piomba su Roma la notizia della "cattura" di Licio Gelli. Il regime è percorso senza dubbio da diversi brividi. Prima preoccupazione di chi cerca la verità è garantire che la famosa "fogna" stia il più possibile alla larga. Con questa parola, fin dai primissimi anni '70, i radicali avevano descritto e qualificato la procura di Roma (con diversi titoli, fra l'altro, sul quotidiano Liberazione, e senza mai ricevere una sola querela dai diretti interessati, anche quando sollecitati). Massimo Teodori rilascia la seguente dichiarazione":
"Ci rallegriamo dell'arresto di Gelli. Ora non si dia inizio al balletto della magistrature e, soprattutto, si impedisca che in grandi insabbiatori della Procura di Roma entrino in azione.
Molti tremeranno. Gelli ha fra le sue maggiori specialità quella del ricatto. Troppi piduisti sono rimasti in circolazione nei partiti, nelle istituzioni dello Stato e in altri ruoli di alta responsabilità pubblica. Solo facendo in modo che Gelli non resti o non torni in contatto con piduisti pentiti o no, si può evitare che il ricatto penda sulla Repubblica".
"La mattina seguente la notizia dell'arresto in Svizzera di Licio Gelli Radio Radicale ha infine intervistato Franco De Cataldo, membro della commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2.
Alla luce delle notizie di stampa e di agenzia disponibili De Cataldo ha Manifestato la sua perplessità sulle modalità dell'arresto di Gelli.
Questa la sintesi del suo intervento":
"La possibilità di protrarre la latitanza doveva per Gelli essere certo più che ampia.
Il caso del generale Lo Prete, latitante dai tempi dello scandalo dei petroli, è in questo senso significativo: non è stato ancora preso eppure le sue "coperture" sono sicuramente minori.
Ritengo dunque possibile che Gelli, più che essere catturato, si sia consegnato ai poliziotti svizzeri.
Le modalità dell'arresto sono infatti singolari: la riscossione di un conto di quelle dimensioni non usa certo farsi di persona allo sportello di banca.
Soprattutto però va posto l'accento sul rapporto fra quel deposito bancario e l'affare Calvi, ovvero i mille miliardi e forse più, stornati dai fondi dell'Ambrosiano con il concorso di Carboni, di alcuni banchieri svizzeri e di un collaboratore di Andreatta, il dott. Binetti. Nome, quest'ultimo, che per la prima volta ho fatto nell'intervento alla Camera lo scorso luglio in replica al Ministro del Tesoro, che rispondeva ad una interrogazione sul caso Calvi.
I miliardi che Gelli si apprestava a ritirare sono dunque la sua quota per l'affare Ambrosiano. A questo proposito sono sempre più convinto che Calvi sia stato ucciso; forse c'è chi punta a mettere le mani sui depositi creati dietro società anonime di comodo.
Ho chiesto che la Commissione P2 sia messa nelle condizioni di poter interrogare al più presto Gelli in Svizzera.
Vi è ora la possibilità che ai reati addebitati a Gelli dal P.M. Sica si aggiunga un mandato di cattura spiccato dal giudice bolognese Gentile, che lo accusa di essere uno dei mandanti della strage della stazione.
Su questo non sono convinto del modo di procedere del giudice istruttore di Bologna.
Perché ritenere che il testimone volontario Ciolini dica la verità su Gelli e Delle Chiaie, e il falso su Ciampi, Monti e Agnelli, pure chiamati in causa? E quale ruolo ha avuto Palladino, estremista di destra che ora sarebbe inquisito nella strage se non fosse stato ucciso in carcere da Concutelli? E cosa voleva raccontare Palladino a Pannella e a me, coi quali aveva chiesto di parlare prima di essere ucciso? E chi è veramente questo Concutelli che nelle carceri ha questo ruolo di "giustiziere"? E questa Loggia di Montecarlo non è forse nata in contrapposizione al potere di Gelli?
E, tornando all'arresto di Gelli, che ne è di Ortolani, che pure è in Svizzera, dove risiede tranquillamente pur essendo ricercato dalla giustizia italiana?
Su tutto questo torbido intreccio Magistratura e Commissione P2 devono operare alla ricerca della verità". 2370


Il DOCUMENTO DEL CONSIGLIO FEDERALE DEL PARTITO RADICALE SULLA MARCIA MILANO COMISO

"Il Consiglio Federale del Partito Radicale riunito a Chianciano il 19, 20 e 21 novembre 1982, profondamente preoccupato per l'ipoteca di sconfitta che grava sulla lotta contro l'installazione dei missili a Comiso, per la scarsa responsabilità e capacità politica di quanti hanno scelto di farne il fronte principale di scontro fra militanti disarmisti, democratici, e forze riarmiste internazionali e nazionali;
nel denunciare la gravissima responsabilità - non di rado dolosamente e politicamente assunta - di lasciare totalmente sguarnito il vero principale fronte di lotta anche per questa vicenda, che è quello istituzionale parlamentare, politico, di scelte annuali di bilancio riarmiste o disarmiste, di proposta e non di protesta, di dura speranza e non di coltivata, disperata paura;
nel rilevare e denunciare la pericolosa doppiezza di chi sta organizzando grandi demagogiche manifestazioni di massa, e lo scontro necessariamente finale, sul terreno di Comiso mentre ha lasciato passare e lascerà passare in Parlamento un nuovo Governo, il nuovo Bilancio dello Stato Italiano per paura di andare alle elezioni anche su questo punto, e su questa scelta pregiudiziale e prioritaria far pronunciare il Paese;
nel deplorare la sciatta, corriva pseudo-mobilitazione di intellettuali a favore di questa politica, riedizione incredibile dei comportamenti frontisti degli anni 50 o meccanica e caricaturale ripetizione delle lotte nonviolente anti-nucleari del CND agli inizi degli anni 60;
rilevato che sin dal primo momento il PR propose la via non violenta, politico-parlamentare e quella referendaria per aiutare la lotta dei cittadini di Comiso e siciliani, semmai consentendo loro di aver forza a Roma, a Bruxelles, in Parlamento e nelle strade delle città europee;
sottolineato il deliberato, costante rifiuto opposto alla proposta radicale di combattere questa lotta in nome della vita e della sopravvivenza di milioni di agonizzanti, vera sola alternativa presente ed immediata facendo quindi della lotta di Comiso e dei suoi abitanti la rappresentanza dei diritti alla vita ed alla pace di chi sta già scomparendo per uno sterminio in corso, e non per un altro, futuro;
rilevato che la forza propagandistica del PCI, e della maggioranza dei comitati operanti, di altre forze politiche e sindacali - si è così imposta non solamente in Italia, ma purtroppo - a scapito della verità - a livello europeo;
approvando di conseguenza la linea enunciata dal Segretario
impegna il PR tutto, ogni suo militante ad ogni livello di responsabilità ad operare immediatamente - pur nella imparità attuale di forza di espressione e di comunicazione politica -
perché si operi accentuando l'informazione e il dibattito sui veri terreni della lotta contro l'installazione dei nuovi missili in Europa, nella lotta e nelle azioni in corso contro lo sterminio per fame nel mondo, nell'azione parlamentare e di sostegno ad essa, nella lotta per destinare a finalità di vita e qualità della vita in Italia le risorse che l'Italia sta invece destinando alla politica di riarmo, e particolarmente i 74 mila miliardi di lire 1986 già ipotecati per l'acquisto di nuovi sistemi d'arma, sia in occasione della fiducia al Governo, sia nella discussione del Bilancio o della legge Finanziaria, sia per l'approvazione della proposta di legge dei Sindaci per assicurare, "subito", la vita ad "almeno 3 milioni di agonizzanti".
(approvato all'unanimità). 2336


AI CITTADINI NON FAR SAPERE

COMUNICATO STAMPA, 9 ottobre 1982

Dichiarazione di Marcello Crivellini, tesoriere del Partito Radicale
La Presidente della Camera ha ieri motivato la scelta da lei compiuta nell'adottare modelli di bilanci incompleti e senza stato patrimoniale per i partiti politici.
Tre in sintesi le motivazioni:
1) la legge non obbligava la Presidente ad inserire stati patrimoniali, partecipazioni azionarie e situazioni debitorie;
2) la Presidente della Camera può comunque chiedere chiarimenti ai responsabili amministrativi dei partiti;
3) la conoscenza completa di tutti gli aspetti economico-finanziari potrebbe "disorientare i lettori dei bilanci dei partiti" oltre che "mettere in imbarazzo alcuni partiti nei confronti dell'opinione pubblica".
Di fronte a tali motivazioni non si può che rimanere sconcertati.
Come cittadino mi aspettavo che dalla Presidente della Camera venisse un impulso alla chiarezza e alla pulizia della vita politica e non un atteggiamento di oggettiva complicità: la Presidente non era obbligata a scegliere modelli di bilancio completi, è vero; ma è anche vero che la legge non lo impediva: per questo la Camera dei Deputati ha un Presidente e non un Notaio.
Come cittadino non mi interessa se nel chiuso delle stanze del Palazzo la Presidente "chiederà chiarimenti" di cui fuori, nel Paese, nulla è dato sapere.
Come cittadino non sarei "disorientato" a conoscere realmente la situazione patrimoniale dei partiti. Sono disorientato ora che non so, che mi si impedisce di sapere o che mi si fa sapere con il metodo delle indiscrezioni, dei dossier, dei ricatti.
Questa vicenda è molto grave: vengono usate istituzioni e poteri democratici contro i cittadini, perchè essi non sappiano, perchè essi non giudichino. 5331


SAN MARCO SCACCIA IL DIAVOLO

di Francesco De Vito L'ESPRESSO, 14 novembre 1982

Bologna. "Non sono candidato alla segreteria, voglio sciogliermi dall'obbligo di vincere sempre". La dichiarazione perentoria di Marco Pannella lasciò interdetto lo stato maggiore radicale riunito in una sala dell'Hotel Crest, alla periferia della città, la notte di domenica 31 ottobre. "Come vuol dire", gli chiesero in molti, "che il partito può perdere e tu no?". L'indomani mattina, giorno di tutti i santi, nel vicino palazzo dei Congressi, Laura Radiconcini diede voce al pensiero di molti delegati: "Ci hai portato con il motoscafo in mezzo al mare e ora ci dici: remate. Finisci il viaggio tu". San Marco percorse più volte a lunghe falcate lo spazio dietro il palco della presidenza, quasi a dimostrare che stava pensando intensamente sul da farsi. Poi si impadronì del microfono e per due lunghissime ore lasciò tutti col fiato sospeso: "Si candida? Non si candida?". Alla fine si candidò, adducendo a motivo della scelta che alla seduta finale del congresso erano presenti oltre ottocento iscritti, la quota più alta in tutta la storia del Partito radicale, e il 93 per cento di loro avevano votato la mozione con la primo posto la lotta contro la fame nel mondo.
Un successo innegabile, che non sana però le rotture emerse in questo XXVII congresso radicale. Sono rotture su due fronti, l'uno rappresentato da quell'area di ex esponenti socialisti o di nuova sinistra che nel '79 erano confluiti nelle liste della rosa; l'altro rappresentato da un'area di militanti storici che più si sono battuti per dare al partito una struttura meno informale e una guida meno leaderistica.
Dal primo versante, la denuncia più puntuale è venuta da Marco Boato, che ha rievocato la difficile convivenza, ora giunta al definitivo divorzio, tra ``radicali deputati e deputati radicali''. "Dopo aver vinto la sfida elettorale del 1979 in forza di una proposta aperta, caratteristica sia nella composizione pluralistica delle liste sia nell'ipotesi istituzionale del governo ombra, il gruppo dirigente radicale si è sempre più chiuso in se stesso, perseguendo uno sforzo fallimentare di omologazione delle diverse esperienze politiche e culturali all'interno del gruppo parlamentare e portando avanti una strategia di sbarramento rispetto a tutte le altre forze della sinistra". Un altro deputato, ex Lotta continua, Mimmo Pinto, ha invitato i radicali a togliersi gli occhiali neri: "Non basta a togliere il buio dal mondo, ma serve a guardare il colore vero delle cose". Boato e Pinto, insieme a un terzo parlamentare, Aldo Ajello, aderiranno ora al gruppo misto, all'interno del quale costituiranno una équipe che si occuperà prevalentemente di questioni istituzionali. Quando si voterà, confluiranno nelle liste socialiste. In questo modo i deputati radicali si riducono a tredici, da diciotto che erano. Infatti oltre a Pinto, Boato e Ajello altri due, Marisa Galli e Pio Baldelli, sono già da tempo nella sinistra indipendente. Ad essi va aggiunto il deputato europeo Maria Antonietta Macciocchi, che ha aderito al gruppo socialista.
Sul fronte dei radicali storici, la secessione è stata guidata dai deputati Giuseppe Rippa e Franco De Cataldo, che insieme a una pattuglia di seguaci hanno abbandonato il congresso al secondo giorno dei lavori. I due deputati non hanno ancora scelto se lasciare o no il gruppo radicale. Lo decideranno al termine di un'assemblea nazionale che si svolge a Roma in questa settimana.
Grande regista di queste rotture è, secondo Marco Pannella, Bettino Craxi. A riprova, il segretario radicale ha citato un incontro riservato tra Rippa e il segretario socialista all'Hotel Raphael, quattro giorni prima del congresso. Rippa non smentisce la circostanza, ma replica: "Sarebbe come se io rivelassi che Gianfranco Spadaccia e Francesco Rutelli si incontrano un anno fa con Roberto Calvi, pur sapendo che lo presero a parolacce. Con Craxi ho avuto una conversazione molto amichevole, abbiamo discusso di questioni generali, non di tattica congressuale".
Resta il fatto che una delle critiche rivolte dai secessionisti alla gestione pannelliana riguarda la chiusura settaria verso l'area socialista. Un'altra critica investe la lotta contro la fame nel mondo come scelta onnicomprensiva, e coinvolge anche settori che non hanno abbandonato il congresso: una mozione di Gianluca Melega, che proponeva di affiancare a Pannella un cosegretario che si occupasse di tutte le altre questioni, ha riscosso il 27 per cento dei consensi.
Il congresso è stata la sede in cui la rottura sui due versanti si è consumata. Ma era nell'aria da tempo. Né Pannella ha fatto nulla per evitarla. A chi era in procinto di abbandonare il congresso ha chiuso la porta in faccia. Ad Emma Bonino, nella sua relazione di presidente del gruppo parlamentare, ha invitato Boato e Pinto ad emigrare altrove. Una scelta di disfarsi dei contestatori per avere un movimento più duttile, che mette in conto anche una non presentazione alle elezioni? La Bonino ha posto il problema se il Parlamento sia ancora una trincea praticabile. Pannella ha proposto di disertare le elezioni se in cambio viene approvata la legge per salvare tre milioni di vite. Ma cancellare la rosa dalla scheda elettorale non è decisione che può essere presa a cuor leggero. Provocherebbe fratture ben più profonde di quelle odierne. 4018