NR1, 10 gennaio 1983
Il programma di opposizione
messo a punto dai parlamentari radicali
I deputati e i senatori radicali, riuniti a Trevi, hanno messo a punto
la piattaforma della loro opposizione, che condurranno utilizzando al
massimo le risorse e gli strumenti della nonviolenza e della democrazia
politica.
1) DECRETI FINANZIARI
- Essi individuano nell'imminente voto parlamentare sui decreti finanziari
del Governo e nel successivo esame della Legge Finanziaria e del Bilancio
dello Stato un momento di scelta che la situazione del Paese, avviata
ormai verso il disastro irreversibile, non consente di rinviare. In un
Paese gravato da un disavanzo strutturale che per 30-40 mila miliardi
l'anno è dovuto alla evasione fiscale e per 40-50 mila miliardi l'anno
agli sprechi allocativi e distributivi delle risorse conseguenti alla
spesa assistenzialistica e corporativa (secondo le quantificazioni prodotte
dallo stesso presidente della Commissione tecnica per la spesa pubblica
Reviglio), ogni manovra fiscale non ha titolo di legittimità se non consegue
all'impegno di eliminare evasione e sprechi.
La sinistra di opposizione in particolare può scegliere di opporsi al
Governo e alla sua politica per batterli o per consentirne la continuità.
La sua forza numerica, se si traduce in forza politica, le permette di
bloccare in Parlamento il Governo sui suoi decreti. Sarà in tal modo agevole
svincolare le scelte alternative che investono l'immediato e prossimo
futuro del Paese dai calcoli, dai patteggiamenti, dai traffici e dal incapacità
di governo della partitocrazia e affidarle ad una consultazione elettorale
immediata. I parlamentari radicali si muoveranno con tutte le loro risorse
lungo questa direttiva e solleciteranno nella stessa direzione tutta la
sinistra d'opposizione.
2) LOTTA CONTRO LO STERMINIO
PER FAME
- I parlamentari radicali ribadiscono che la lotta contro lo sterminio
in atto nel terzo e nel quarto mondo, è la discriminante fondamentale
per una politica alternativa fondata su scelte reali di pace e di vita.
Pertanto confermano la validità dell'obiettivo fissato dalla proposta
di legge dei Sindaci, la salvezza di 3 milioni di vite umane.
A questo fine decidono:
a) di promuovere un dibattito alla Camera dei deputati attraverso la presentazione
di una mozione di indirizzo;
b) di attivare tutti gli strumenti parlamentari di sindacato e di controllo
in ordine all'amministrazione dei fondi destinati alla cooperazione e
allo sviluppo, in particolare sollecitando l'indagine conoscitiva già
decisa dalla Commissione esteri del Senato poco prima della crisi;
c) di tener vivo e rafforzare il moto di adesione popolare che richiami
alle loro coerenze e responsabilità le forze politiche e in particolare
quelle di ispirazione cristiana e socialista, per rigenerare la politica
italiana ponendola al servizio della vita e della qualità della vita degli
uomini.
3) POLITICA DEL RIARMO
- Ritengono disastrosa la scelta che ha posto l'Italia fra i protagonisti
della corsa al riarmo e l'ha fatta complice di una situazione internazionale
regolata dal terrore atomico, dalla guerre regionali sempre più estese,
dalla compensazione di un immane olocausto di vite umane quale mai si
è verificato nella storia. Occorre rovesciare queste scelte, perché sia
effettivamente perseguibile anche il risanamento economico del nostro
Paese; occorre recuperare agli impieghi destinati alla difesa della vita
e della qualità della vita le immense risorse ipotecate dai programmi
di acquisizione di nuovi sistemi d'arma (120 mila miliardi nei prossimi
sei anni). Occorre bloccare i nuovi impegni Nato, in particolare quelli
relativi alle nuove installazioni di sistemi missilistici che non solo
in Italia ma nel mondo rischiano di rendere irreversibile una politica
di dominio, di guerra e di militarizzazione della società.
A questo scopo decidono:
a) di promuovere un urgente
dibattito parlamentare sugli impegni Nato;
b) di chiedere l'immediata discussione e approvazione della p.d.l. sulla
esportazione delle armi, bloccata in Commissione da due legislature;
c) di sollecitare l'iter del d.d.l. di riforma sull'obiezione di coscienza;
d) di rafforzare in ogni sede istituzionale la lotta contro la politica
riarmista e interventista in Africa del Ministro Lagorio;
e) di far valere nella Legge Finanziaria e nel Bilancio un piano alternativo
di utilizzazione delle risorse destinate agli armamenti, stornandole su
pensioni, case, occupazione.
4) MORALIZZAZIONE DELLA VITA
PUBBLICA E RIFORME ISTITUZIONALI
- Rilevano il nesso che unisce la dilagante immoralità pubblica con il
governo delle istituzioni. La P2 di Gelli e le P2 insediate in Italia
altro non sono che i punti di focalizzazione de quella immensa P2 che
è la gestione del potere nel nostro Paese. Anche il risanamento finanziario
dello Stato non può prescindere dalla eliminazione delle enormi tangenti
che la partitocrazia, con l'occupazione dello Stato, la privatizzazione
delle istituzioni, l'egemonia di potere sulla società civile, impone al
sistema produttivo e al sistema democratico, al coperto di un intollerabile
meccanismo di immunità, privilegi, omertà. Fra gli impegni immediati su
questo fronte i parlamentari radicali assumono quelli:
a) di imporre l'immediata discussione delle leggi sulla immunità parlamentare
e sulle incompatibilità, ferme in Parlamento da due legislature;
b) di sbloccare l'iter della riforma dell'Inquirente, bloccata al Senato;
c) di esigere dalle Presidenze delle due Camere la sospensione del finanziamento
pubblico a quei partiti politici che hanno contratto ingenti e occulti
debiti con il Banco Ambrosiano, sino a quando non ne sarà chiarita l'incidenza
sulla insolvenza dello stesso Banco;
d) di presentare subito una legge sui servizi segreti, proponendo anche
l'abolizione della cosiddetta Commissione interparlamentare di controllo
che ha confiscato i poteri del Parlamento a vantaggio esclusivo dei tre
maggiori partiti (DC, PSI, PCI), delle loro contrattazioni e dei loro
mercimoni; e di intensificare le iniziative parlamentari di sindacato
di controllo degli scandali di regime e sulla pratica della lottizzazione;
f) di promuovere a brevissima scadenza il dovuto dibattito parlamentare
sulle conclusioni della Commissione di inchiesta Sindona;
g) di non consentire al chiusura della inchiesta sulla P2 e il conseguente
affossamento della ricerca della verità.
5) PENSIONI
- Non è tollerabile che, eludendo le loro responsabilità e i loro doveri
di scelta e di voto di fronte all'elettorato, le forze politiche rinviino
ancora la riforma delle pensioni. I deputati e i senatori radicali:
a) si batteranno perché l'esame della relativa legge avvenga al più presto
e di conseguenza richiameranno con forza in Aula il D.D.L. di riforma
del sistema pensionistico;
b) promuoveranno in sede di esame di Legge Finanziaria e di Bilancio l'adeguamento
immediato delle pensioni sociali e dei minimi delle pensioni previdenziali.
6) ENERGIA NUCLEARE
- Il Piano energetico nazionale (PEN) voluto da uno "schieramento
energetico" che include le maggioranze di governo e di opposizione,
non è un progetto per il governo dell'energia ma un espediente per operare
la pura e semplice sostituzione del petrolio con il nucleare innanzitutto
e col carbone; lascia totalmente irrisolto il problema del risparmio energetico
e sacrifica alle sue scelte la tutela della vita e della salute dei cittadini.
I parlamentari radicali ricordano che hanno combattuto da soli, per mesi
e mesi, contro l'approvazione del così detto "art. 17" che,
con il concorso attivissimo delle sinistre di governo e di opposizione
(PSI, PCI), ha privato i Comuni del diritto sancito dalla Legge 393 (art.
2) a far valere il loro parere sulle installazioni di centrali sul loro
territorio ed ha autorizzato l'ENEL a superare le opposizioni delle popolazioni
con consistenti elargizioni che non hanno altro segno se non quello della
corruzione e delle spreco.
In questa situazione i parlamentari radicali opereranno innanzitutto perché
le questioni relative alla scelta del nucleare vengano discusse in Aula
e non nel chiuso delle Commissioni parlamentari, come sin qui è avvenuto,
in modo da rendere più difficile alla stampa di regime di tenere il Paese
allo scuro su quanto accade e sulle conseguenti responsabilità.
Specificamente i parlamentari radicali pretenderanno:
a) che il Ministro dell'Industria pronunci senz'altro indugio in Aula
la Relazione sullo stato di attuazione del PEN, che era impegnato a presentare
oltre un anno fa;
b) che il Ministro del Bilancio non più avvalendosi del silenzio complice
della maggioranza e delle opposizioni, renda pubbliche in Parlamento le
risultanze della Commissione tecnica per l'esame del PEC, il reattore
sperimentale al plutonio che rischia di costruire la saldatura fra il
nucleare civile e quello militare;
c) che il Governo presenti il D.D.L. di scorporo della DISP dall'ENEA
(ex CNEN) disposto dalla legge di riforma su proposta dei deputati radicali.
7) INFORMAZIONE
- Denunciamo lo stato di degradazione a cui il regime ha ridotto la stampa
e il persistente e se possibile ancora più grave stato di asservimento
e di lottizzazione dell'informazione pubblica radiotelevisiva a cui si
aggiunge l'equilibrio anch'esso lottizzato degli oligopoli delle tv private;
senza onestà e verità dell'informazione non esiste democrazia politica.
Questa situazione esige un'immediata e ferma azione;
a) per richiamare la Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai-Tv
all'adempimento dei suoi compiti istituzionali, d'indirizzo e di controllo,
e imporne il rispetto alla Concessionaria;
b) per correggere - attraverso l'intensificazione ed efficacia delle trasmissioni
di Tribuna politica - le sistematiche e intollerabili distorsioni e censure.
c) per assicurare nella prospettiva di elezioni il massimo di partecipazione
e di ascolto alle trasmissioni elettorali, unica garanzia dell'onestà
e democraticità della campagna elettorale.
Non sono, questi, tutti gli obiettivi specifici che i parlamentari radicali
hanno deciso di darsi. Sono soltanto i più significativi. Da qui alle
imminenti elezioni politiche anticipate, come chiedono, o da qui alla
fine della legislatura, se gli altri lo imporranno o lo consentiranno,
con l'intera sinistra di opposizione, come vogliono o sperano, o soli,
i deputati e i senatori iscritti al PR; concordi fra loro e con le scelte
del Partito, con o senza la compagnia dei "radicali" pentiti
del loro Partito e di questa sua politica, forti della riconfermata solidità
e chiarezza del loro impegno militante, ricorreranno a tutte le risorse
della nonviolenza e della democrazia politica per difenderli e affermarli.
2130
Intervento di Marco Pannella al PE 8 marzo
1983
"Signor
presidente, la qualità della relazione non ci sorprende. Noi conosciamo
le qualità del relatore e la sua conoscenza profonda e appassionata di
questo argomento.
Detto questo, se siamo d'accordo con la relazione e, delle grandi linee
con l'azione della nostra Comunità, siamo del parere. signor Presidente,
signor presidente del Consiglio, ma soprattutto onorevoli colleghi deputati
e soprattutto collega Bettiza, siamo del parere che è un errore trattare
la Jugoslavia con compiacenza.
Perché non chiedere alla Jugoslavia quel che chiediamo ai nostri paesi?
Come non esprimere il voto che la Repubblica jugoslava sottoscriva la
Convenzione europea dei diritti dell'uomo? La cosa vi spaventa. Non volete
che ciò figuri nella relazione. Io lo auspico e ho presentato un emendamento
in questo senso.
Perché non nominare il Kossovo? In Italia c'è gente che è rimasta quattro
anni in prigione prima di passare in giudizio. Adesso si grida che è cosa
ignobile, indegna di una giustizia europea, della giustizia di uno Stato
di diritto. Perché non porre lo stesso problema per il Kossovo e perché
i nostri amici e compagni jugoslavi avrebbero un tale complesso d'inferiorità
da offendersi se dicessimo sul loro conto quel che diciamo sul nostro?
Non sono affatto d'accordo onorevole Bettiza, Lei lo sa con le Sue prudenze...
che mi sembrano imprudenti.
Inoltre perché non parlare dell'illusione nazionale-nazionalista e sul
piano culturale isolazionista in Jugoslavia quando noi siamo qui perché
non crediamo nella dimensione nazionale, perché non crediamo che, in modo
indipendente gli uni dagli altri, gli Stati potrebbero risolvere i problemi
cui ci troviamo di fronte? Perché non dire in tutta chiarezza che auspichiamo
l'associazione della Jugoslavia alla nostra Comunità? Questa politica
da 1814, questa politica di potenza, era bella solo nel 1814! Era proprio
necessario che si rendesse ancora una volta omaggio al mito delle rivoluzioni
nazionali, quando siamo qui per fare una rivoluzione contro la stoltezza
dell'illusione nazionale e nazionalista?
Nessuno potrà rimproverarci di affrontare questi argomenti. Parliamone
dunque con la Jugoslavia, perché, solo raggiungendo questo livello nelle
nostre relazioni potremo veramente dare la prova della nostra amicizia
per questo paese. L'amicizia esige anzitutto fiducia. Gli Jugoslavi possono
insegnarci molte cose: perché, insomma, non discutere dei nostri rispettivi
valori fondamentali?" 6306
di Mario Signorino
ed. PR maggio 1983
Considerato finora un paradosso o una curiosità della politica europea,
il ``caso italiano'' rappresenta oggi un'incognita che va svelata. Il
sistema che sembrava reggersi su una ricetta provinciale e arretrata,
in ritardo o comunque ai margini della grande politica europea, dimostra
invece una tenuta e una capacità progettuale che nessun politologo ha
voluto o saputo cogliere.
La concatenazione di fatti che esporremo consente, malgrado la sua parzialità,
una prima presa d'atto del nuovo che in Italia si va producendo. Può essere
superfluo o fuorviante, in questa fase, presentare anche l'interpretazione
che noi diamo di questo processo: l'importante, ora, è cogliere il filo
che unisce fatti apparentemente slegati, liberando il campo dal timore
di far proprie, con questo, le posizioni di una parte politica.
LA FUNZIONE LEGISLATIVA
Nei 35 anni della repubblica si sono alternati 38 governi. Tutti, meno
4, sono caduti per decisione extraparlamentare. E' una prima prova dell'inesistenza
del parlamento italiano.
Alle Camere sono sottratti, di fatto, anche la decisione e il controllo
sul bilancio e sulla legge finanziaria dello Stato, momento principe della
funzione parlamentare. Contrattati tra governo, enti locali, sindacati
dei lavoratori e degli imprenditori, gruppi di pressione, il bilancio
e la legge finanziaria vengono di consueto stravolti con decreti-legge
fino alla scadenza ultima e sottoposti quindi, in tempi brevissimi, alla
ratifica formale delle Camere.
Queste non hanno poi modo né strumenti per controllarne l'attuazione.
Sicché l'effettivo flusso della spesa avviene al di fuori del controllo
pubblico.
Per impedire un dibattito reale ed eliminare il dissenso, nel 1981 e nel
1983 il governo ha imposto il voto di fiducia anche su singoli articoli
della legge finanziaria; e nel 1982 ha accorpato decine di articoli eterogenei
in uno solo.
La funzione legislativa è impedita dal continuo ricorso del governo alla
decretazione d'urgenza, che la costituzione prevede solo per casi eccezionali
(art. 77).
Nell'ultima legislatura (1979-'83) il governo ha presentato per la conversione
alle Camere 269 decreti-legge: uno ogni tre giorni e mezzo di lavoro parlamentare.
Il lavoro delle Camere risulta così paralizzato; il che diviene motivo
per l'emanazione di nuovi decreti.
Secondo la costituzione, i decreti-legge dovrebbero essere convertiti
in legge dal parlamento entro 60 giorni, ma il governo elude il termine
ripresentando gli stessi decreti dopo la loro scadenza e sanando con nuovi
gli effetti di quelli decaduti.
Il ricorso abnorme alla decretazione d'urgenza si è accentuato con la
VII legislatura (1976-'79), con l'avvento cioè dell'unità nazionale e
del cosiddetto governo d'assemblea basato sulla formula anomala della
``non sfiducia''. La maggioranza quasi unanimistica (oltre il 90 per cento)
che allora si costituì formalmente e che andava dalla democrazia cristiana
al partito comunista era nei fatti particolarmente fragile a causa della
separazione dalla realtà sociale che pretendeva di rappresentare. Anche
in seguito, malgrado il cambio della formula, la prassi dell'unità nazionale
è rimasta operante e, con essa, tutti i fattori di debolezza e di precarietà.
E' stato l'impegno dell'opposizione radicale a rendere esplicito questo
processo.
Contestualmente al potere delle Camere, è stata eliminata l'autonomia
dei singoli parlamentari. L'art. 67 della costituzione afferma che ``ogni
membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni
senza vincolo di mandato''. Gli eletti, invece, ricevono un mandato imperativo
dai loro partiti e devono sottostare alla disciplina dei loro gruppi parlamentari,
che a loro volta emanano direttamente dai partiti.
IL REGOLAMENTO DELLA CAMERA
Da due legislature la presidenza della maggiore delle due Camere non viene
assegnata alla maggioranza ma l'opposizione, e in particolare al partito
comunista. Con questo procedimento anomalo sono stati sanciti la rinuncia
del PCI all'opposizione ed il suo coinvolgimento di fatto nella maggioranza
parlamentare e nelle scelte del governo. E' grazie ad esso che si è accelerato
lo svuotamento dell'istituto parlamentare, giunto adesso alla sua fase
estrema attraverso l'attacco al regolamento della Camera.
Già nella VII legislatura, il regolamento della Camera era stato stravolto
da una serie di atti interpretativi della presidenza in danno della minoranza.
Nella legislatura appena troncata, con un ricorso esasperato a ``interpretazioni
in via sperimentale'' del regolamento, con modifiche radicali e con successive
``interpretazioni'' in senso sempre più restrittivo, si è determinata
una situazione di arbitrio totale e di assenza di qualsiasi regolamentazione.
Eliminata ogni possibilità d'ostruzionismo, elemento estremo ma essenziale
dei sistemi parlamentari, con le interpretazioni regolamentari della presidenza
e con nuove proposte di modifica si perseguono i seguenti risultati:
a) "abrogazione del diritto di emenda del deputato" attraverso
l'attribuzione alla presidenza del potere discrezionale di sottoporre
al voto gli emendamenti ``al fine dell'economia del dibattito'';
b) "abrogazione del diritto di parola del deputato" attraverso
il ``contingentamento'' dei tempi di discussione e l'assegnazione a ciascun
gruppo di ``pacchetti'' di minuti per gli interventi: in nessun caso il
singolo deputato potrà prendere la parola senza il permesso del proprio
capogruppo, quindi del proprio partito;
c) "abolizione del voto segreto", cancellando la possibilità
oggi data a tutti i gruppi di chiedere lo scrutinio segreto e aumentando
a 30 il numero dei richiedenti, il che limita questa facoltà solo ai gruppi
maggiori (nell'ultima legislatura sarebbero stati esclusi i gruppi radicale,
repubblicano, liberale, socialdemocratico, missino, del PDUP, misto).
La gravità eccezionale di queste misure si spiega con la volontà di neutralizzare
l'opposizione del partito radicale, entrato in parlamento nel 1976 con
4 deputati (1 per cento dei voti) e passato a 18 deputati con le elezioni
del '79 (3.4 per cento dei voti). Questo partito è stato l'unico a forzare
le regole del gioco con le quali il blocco dei vecchi partiti, di governo
e d'opposizione, aveva impedito per trent'anni l'ingresso nelle istituzioni
di nuovi partiti (le uniche eccezioni sono rappresentate da scissioni
di partiti preesistenti). Ma soprattutto, attivando al massimo il parlamento
e i suoi poteri attraverso un uso estremo del regolamento, i parlamentari
radicali hanno svelato il coinvolgimento del partito comunista nelle scelte
della maggioranza e lo svuotamento dell'istituto parlamentare, realizzato
gradualmente ed in modo indolore nel passato.
L'eliminazione del dissenso radicale è oggi la condizione per annullare
gli ultimi residui di autonomia parlamentare.
LE ESPULSIONI DEI DEPUTATI
Gli attacchi diretti contro l'opposizione sono giunti ormai all'espulsione
fisica dall'aula di Montecitorio.
Se si raffronta il periodo precedente con quello successivo al 1976, si
nota che nelle prime sei legislature - in 28 anni - la presidenza della
Camera ha comminato complessivamente 35 giornate di interdizione dai lavori
parlamentari. Nelle due ultime legislature, in soli 7 anni, le interdizioni
sono salite a 90 giornate, di cui 75 a carico dei soli deputati radicali.
Il grosso delle sanzioni è degli ultimi due anni: 74 giornate dal gennaio
'81 al marzo '83, di cui 59 a deputati radicali.
Se si considerano poi le motivazioni delle interdizioni, si notano eccezionali
sperequazioni a danno dei deputati radicali. In passato, per aver rovesciato
le urne durante una votazione a scrutinio segreto, il 13 dicembre 1953,
al deputato Messinetti (PCI) vennero comminate 5 giornate d'interdizione.
Semplice censura al deputato Pozzo (MSI) per aver divelto il 29 ottobre
'54 una tavoletta dal banco e minacciato con quella altri deputati; e
al deputato Laconi (PCI) che nella stessa seduta fu tra i più violenti.
Semplice censura anche al deputato Cianca (PCI) per aver afferrato un
calamaio il 25 gennaio 1955 e al deputato Scarpa (PCI) che nella stessa
seduta brandì un microfono.
Nessun provvedimento per il deputato Pozzo (MSI) per essere sceso minacciosamente
nell'emiciclo il 6 novembre '56; 2 giorni d'interdizione al deputato Leccisi
(MSI) per avere aggredito altri deputati il 14 marzo 1958.
10 giorni d'interdizione, invece, al deputato radicale Crivellini che
il 27 febbraio 1980 rese pubblica la registrazione di una seduta segreta
della commissione bilancio, per protestare contro l'imposizione del segreto
di Stato e copertura dello scandalo ENI-Petromin.
12 giorni al deputato radicale Cicciomessere che, il 10 dicembre '81,
saltò sul banco del governo per richiamare l'attenzione della presidenza
della Camera sull'aggressione in atto contro la sua capogruppo, Adelaide
Aglietta, schiaffeggiata da un deputato comunista. Nessun provvedimento
per il deputato che schiaffeggiò Aglietta e sanzione nettamente più lieve
(4 giorni) al deputato Spataro (PCI) che in quell'occasione colpì con
calci e pugni Cicciomessere.
Negli stessi giorni il deputato Madaudo (PSDI) ebbe 8 giornate d'interdizione
per aver messo KO un ministro con un pugno sferrato all'improvviso.
6 giorni a testa ai deputati radicali Facio, Tessari e Calderisi che l'8
luhlio 1982 rifiutarono di lasciare l'aula dopo la seduta per protestare
contro la presidenza che gli aveva negato la parola.
15 giorni d'interdizione al deputato radicale Cicciomessere per ``insulto
alla presidenza'' nella seduta del 24 marzo '83, vale a dire per avere
definito con parole gravi (``è politicamente oscena'') la decisione della
presidenza di non mettere ai voti gli emendamenti dell'opposizione alla
legge finanziaria. 6 giorni invece alla capogruppo radicale, Emma Bonino,
per un reato più grave: per avere, cioè, ripetuto il giorno dopo il giudizio
di Cicciomessere.
IL GOVERNO INESISTENTE
L'espropriazione dei poteri e delle funzioni del parlamento non si traduce
in un rafforzamento dell'esecutivo, che anzi, se possibile, è ancora più
debole e precario del parlamento stesso.
Se 34 governi, dei 38 succedutisi dal dopoguerra ad oggi, sono caduti
per decisione extraparlamentare, ciò non denuncia soltanto l'impotenza
delle Camere.
I governi vengono fatti e disfatti dai partiti.
Il potere non appartiene al presidente del consiglio, ma ai capipartito.
Ministri e sottosegretari sono ufficialmente ``delegati'' dei partiti,
sono scelti in base a rigide e pubbliche regole di lottizzazione e rispondono,
non al parlamento, ma ai partiti che li hanno scelti.
Il consiglio dei ministri non è l'organo collegiale previsto dall'art.
95 della Costituzione, ma luogo di contrattazione tra ``delegazioni''
di partiti ufficialmente riconosciute. Tutte le decisioni politiche importanti
vengono prese al di fuori di esso, nei ``vertici'' periodici tra i capipartito
e il presidente del consiglio.
La distinzione di competenze tra potere centrale e poteri locali è talmente
sfumata da eliminare ogni effettiva autonomia, non solo degli enti locali,
ma dello stesso governo. Si pratica di conseguenza una quotidiana contrattazione
tra governo, regioni ed enti locali, o più precisamente tra le forze politiche
che nell'uno e negli altri detengono la maggioranza (è uno dei meccanismi
attraverso cui si spiega come il PCI non possa essere considerato una
forza di opposizione, ma piuttosto compartecipe della regola spartitoria
che viene praticata nelle varie sedi).
L'esecutivo, insomma, è espropriato di ogni potere.
E' la conferma di una prassi instaurata ancor prima dell'entrata in vigore
della costituzione, nel periodo di passaggio dalla monarchia alla repubblica,
e che ebbe nel governo Parri del 1945 - il governo della Resistenza -
la sua prima vittima. Dimissionato per volontà dei partiti coalizzati,
il 24 novembre del '45, Ferruccio Parri lasciò il governo denunciando
alla stampa il ``colpo di stato'' sommerso che così si realizzava. Pochi
gli badarono allora. Ma quella prassi è sopravvissuta all'avvento della
costituzione e vi si è infine sostituita.
COSTITUZIONE E CODICI FASCISTI
Fin dall'indomani della sua entrata in vigore, la costituzione è stata
ridotta a un ruolo marginale, a favore di una politica di continuità con
il passato regime che ha portato in questi anni al pieno dispiegamento
del sistema corporativo progettato e avviato dal fascismo.
Non è un caso che le maggiori riforme prescritte dal costituzione siano
state realizzate con grande ritardo o siano tuttora inattuate.
La riforma delle regioni è stata attuata 15 anni dopo l'entrata in vigore
della costituzione, nel 1963.
L'istituto del referendum popolare è stato reso operante con 23 anni di
ritardo, nel 1971, quando la coalizione dei partiti - di governo e di
opposizione - ha ritenuto di aver raggiunto la coesione necessaria per
impedire o neutralizzare le iniziative extraparlamentari.
Infatti, quando negli ultimi anni, la politica referendaria del partito
radicale ha forzato questo disegno, la legge istitutiva dei referendum
è stata di fatto abrogata attraverso numerose sentenze interpretative
della corte costituzionale, fortemente condizionata dai partiti.
I codici penali in vigore sono ancora quelli fascisti del 1931 elaborati
dal guardasigilli Alfredo Rocco. Ad essi sono stati apportati limitate
modifiche e numerosi peggioramenti.
Due esempi: la legge n. 15 del 6 febbraio 1980 (``legge Cossiga'') che
ha portato la carcerazione preventiva a oltre 10 anni; e la legge n. 304
del 29 maggio 1982 sui terroristi pentiti che attribuisce valore di prova
alle dichiarazioni dell'imputato che, in cambio dell'impunità totale o
parziale, accusa i suoi complici (``fornisce prove'') vere o presunti.
Questa legislazione speciale, giustificata con la lotta al terrorismo
ma estesa nei fatti a qualsiasi processo penale, ha vanificato le garanzie
processuali del cittadino. In conseguenza di ciò, l'Italia è stata più
volte colpita da condanne internazionali.
LA PRESA DI POSSESSO DELLA
PARTITOCRAZIA
La controversia in corso fra i sostenitori della ``grande riforma'' istituzionale
e i sostenitori dell'attuazione integrale della costituzione è un equivoco.
Si tratta di una disputa nominalistica che lascia in ombra gli elementi
essenziali del caso italiano.
Non è più questione, infatti, di costituzione formale o materiale, né
di costituzione inattuata, tanto meno di costituzione obsoleta. Non è
più questione di costituzione. Le forze che appaiono formalmente in disaccordo
su questo o quel punto sono in realtà d'accordo nel portare a compimento
la vera ``grande riforma'' che hanno avviato da tempo.
Ormai è chiaro: in un contesto costituzionale ridotto a mero formalismo
e con la sistematica violazione della legalità, si è affermato un nuovo
assetto dei poteri che sfugge alla definizione e quindi al controllo e
alla sanzione. La tradizionale distinzione dei poteri è stata annullata,
le istituzioni espropriate delle loro funzioni, i momenti e i poteri decisionali
trasferiti dagli alvei costituzionali alla coalizione dei partiti, che
agiscono come organi dello Stato.
La costituzione prevede la formazione di partiti politici come espressione
del diritto dei cittadini di associarsi per ``concorrere a determinare
la politica nazionale''. Nella realtà si tratta di strutture di potere
volte a produrre, organizzare e mantenere il consenso: una funzione più
vicina a quella del partito nazionale fascista che non al modello costituzionale.
Oggi si parla molto in Italia di partitocrazia. Tale sistema fa sì che
i partiti non siano più forze tra loro antagoniste: essi infatti non rappresentano
posizioni ideali e politiche diverse che, nel momento elettorale e nella
quotidiana lotta politica, si disputano la direzione del paese; e neppure
coerenti concentrazioni di interessi capaci di proporsi come maggioritari.
Sono piuttosto correnti litigiose di un'unica corporazione arroccata a
difesa dei suoi privilegi, senza confronto reale con l'opinione pubblica:
una sorta di superpartito che si è sostituito al parlamento e al governo
ed occupa tutti i livelli e le articolazioni della struttura pubblica.
In un sistema siffatto il meccanismo del potere si basa sulla mancanza
di alternativa, che è sostituita da un metodo di contrattazione corporativa
che, al di là delle maggioranze formalmente costituite, realizza di volta
in volta nella spartizione del potere coinvolgimenti più ampi, tendenzialmente
unanimistici. Così la pratica della cosiddetta unità nazionale è un requisito
essenziale e permanente dell'attuale regime.
Paradossalmente, dopo essere stata praticata per 20 anni in forma occulta,
essa è entrata in crisi solo nel breve periodo (1976-'79) in cui è stata
formalizzata in maggioranza quasi unanimistica parlamentare e di governo.
Fallita questa esperienza, si è dovuti tornare a forme occulte di compromesso
corporativo e di unità nazionale.
SINDACATI E POTERI LOCALI
Le cerniere di questo sistema di potere sono essenzialmente due: il sindacato
e i poteri locali.
Un sindacato diviso secondo schemi partitocratici ma unito nell'interclassismo
corporativo; che non garantisce alcun controllo democratico da parte dei
lavoratori iscritti e nei posti di lavoro; portato a compensare la sua
mancanza di rappresentatività nelle funzioni tradizionali e sue proprie
con poteri di carattere corporativo che gli vengono riconosciuti dal regime.
Un sindacato che tratta ormai molto più con il governo che con le parti
sociali, negozia e conclude su problemi che nei sistemi democratici appartengono
all'autonomia e alla sovranità del parlamento. Per rendersi conto del
peso di questa struttura corporativa, basterà ricordare che le tre federazioni
ufficiali gestiscono complessivamente un bilancio annuale di almeno 1.000
miliari di lire, al di fuori d ogni controllo amministrativo e politico.
Ugualmente anomalo il quadro dei poteri locali. Alle regioni è stata negata
l'autonomia legislativa prevista dalla costituzione in numerose materie
di cui avrebbe dovuto essere sgravato il parlamento nazionale, che continua
invece ad esserne ingolfato. Gli sono stati invece trasferiti in misura
crescente poteri amministrativi delegati allo Stato, che la costituzione
prevede solo in via eccezionale.
Le regioni non hanno alcuna forma di autonomia finanziaria. E' stata altresì
eliminata anche quella di cui disponevano tradizionalmente, con proprio
potere impositivo, i comuni.
Una delle conseguenze di ciò è che il partito comunista, che gestisce
oltre un terzo dei poteri locali - avendo toccato in passato anche la
metà - deve contrattare con i partiti di governo l'entità dei trasferimenti
finanziari dallo Stato agli enti locali. Un'altra conseguenza è che le
regioni, da organi di decentramento legislativo, e di autonoma programmazione
territoriale, sono state trasformate in organi di decentramento del potere
clientelare della partitocrazia.
Ma gli effetti generali sono ancora più pesanti. Quando i ministri convocano
gli assessori regionali quasi fossero prefetti; quando gli assessori regionali
contrattano direttamente con il ministro delle finanze; quando l'Anci,
l'associazione nazionale dei comuni che un tempo rappresentava le istanze
istituzionali delle autonomie, opera anch'essa come strumento di contrattazione
corporativa; quando i sindacalisti democristiani, comunisti e socialisti
dettano ai loro partiti, attraverso trattative dirette, le soluzioni legislative
su problemi non di loro competenza: non è solo la democrazia ad esserne
stravolta, ma la stessa politica dei partiti ne è condizionata e svuotata.
In questo sistema di potere, sulle diversità formali tra le forze politiche
prevale una solidarietà di fondo che accomuna i partiti nella manipolazione
del potere e nella violazione della stessa legge penale (come vedremo
più avanti). Di conseguenza il voto popolare perde il suo significato
e mantiene solo la funzione di conta delle diverse clientele.
La solidarietà partitocratica si manifesta poi nell'intolleranza verso
qualsiasi forza politica - in particolare il partito radicale - che rifiuti
l'omologazione e tenti invece di ridare alle istituzioni e ai partiti
le funzioni e i poteri stabiliti dalla costituzione.
IL CONTROLLO DELL'INFORMAZIONE
L'arma principale che la partitocrazia usa per conservare il proprio potere,
controllare il dissenso ed evitare il confronto con l'opinione pubblica
è il sistema dell'informazione. E' attraverso di esso che i gruppi dirigenti
dei partiti diffondono e impongono l'immagine che vogliono dare di sé,
indipendentemente dalla politica realmente attuata.
L'editoria è probabilmente l'industria più assistita, in un paese in cui
l'assistenzialismo si è imposto come pratica di governo e come cultura.
Non esiste la figura dell'editore puro, indipendente dai partiti e dai
centri di potere. I partiti ricattano la stampa con le provvidenze governative,
la ripartizione della pubblicità, la concessione di mutui bancari; e la
controllano direttamente attraverso le quote di proprietà detenute da
enti pubblici, banche e imprese lottizzate. La Sipra, la società pubblica
che gestisce la pubblicità televisiva (diretta da un comunista, un democristiano
e un socialista) finanzia direttamente la stampa di partito.
L'impero editoriale Rizzoli, finito ora in bancarotta, costituisce l'emblema
dell'intreccio tra politica, finanza, editoria.
Quel che colpisce - ha detto in un'intervista del settembre 1982 il direttore
generale delle Fiat, Romiti - non è solo l'aspetto morale, quanto l'enorme
quota di risorse così sottratte agli usi produttivi e destinate a investimenti
che non hanno mai prodotto neanche un posto di lavoro. E lo ha detto con
cognizione di causa.
Il mezzo televisivo, al di fuori di ogni controllo reale del parlamento,
ha accresciuto enormemente il suo peso sulla vita politica.
Anche questo però è avvenuto in violazione del dettato costituzionale,
che pone come condizione del monopolio pubblico la completezza, l'imparzialità
e l'obiettività dell'informazione, assieme all'apertura a ogni espressione
di opinione, di pensiero e di propaganda (art. 21 costituzione e sentenze
della corte costituzionale).
Lo sviluppo recente dei network privati ha aggiunto un nuovo volano agli
stessi centri di potere che controllano il mezzo pubblico e che si apprestano
ora a lottizzare anche i privati. Sulle nuove emittenti non si legifera
per non comprometterne il controllo oligopolistico del mercato e, insieme,
per mantenerle sotto il ricatto della precarietà.
Il ministro per le poste e telecomunicazioni, cui la magistratura ha richiesto
di indagare sulle emittenti televisive private, ha ordinato invece con
diffida del 2 aprile 1983 la chiusura delle radio radicali che trasmettono
in diretta, su gran parte del territorio nazionale, i lavori del parlamento
e i congressi di tutti i partiti, assicurando così quel servizio pubblico
finora negato dalla televisione di Stato.
LE CIFRE DELLA CENSURA
Il 12 aprile 1983 la Camere dei deputati ha respinto la relazione di maggioranza
sull'attività della commissione di vigilanza sulla Rai-Tv. In effetti,
l'uso attuale di questo mezzo è la negazione del servizio pubblico prescritto
dalla costituzione, volto com'è a mantenere il potere partitocratico imbavagliando
l'opposizione.
Il partito radicale, che più coerentemente è impegnato in una politica
di reale opposizione, è stato letteralmente eliminato dall'informazione
di Stato. Bastano pochi esempi.
Negli ultimi due anni (da febbraio 1982 ad aprile 1983) il telegiornale
di maggiore ascolto della prima rete ha accordato al segretario del partito
radicale due interventi in voce per un totale di 2 minuti e 39 secondi,
poco più di 1 minuto l'anno. Nello stesso periodo il segretario del partito
della Democrazia cristiana ha avuto 2 ore, 6 minuti e 25 secondi. I segretari
di partiti con forza elettorale inferiore o uguale a quella radicale hanno
avuto tempi che vanno da 23 a 57 minuti. Analoga la ripartizione dei tempi
al telegiornale di maggiore ascolto della seconda rete.
Sulla campagna contro lo sterminio per fame promossa dal partito radicale
l'informazione televisiva, quasi nulla agli inizi (1979), è andata diminuendo
man mano che cresceva il consenso anche a livello internazionale (appello
di 80 Premi Nobel; proposta di legge prima di 1000 e poi di 3200 sindaci
italiani, in rappresentanza di circa 30 milioni di cittadini; dichiarazioni
di teologi, parroci, vescovi e dello stesso pontefice, censurato come
Pannella; deliberazioni del parlamento europeo, di quello italiano, del
senato belga, ecc.).
I due principali telegiornali, dal 1° giugno al 31 luglio 1981, hanno
dedicato allo sterminio per fame rispettivamente lo 0,21% e lo 0,48% del
tempo totale. Dopo un indirizzo approvato dalla commissione parlamentare
di vigilanza che impegnava la Rai-Tv a garantire un'informazione adeguata
sul problema nelle ore di maggiore ascolto, i tempi passavano rispettivamente
a 0,56% e 0,47% (1° agosto 1981 - 30 aprile 1982). Si mantenevano stazionari
dopo un secondo indirizzo della commissione (0,62% e 0,57% dal 1° maggio
al 31 luglio '82), per crollare successivamente al di sotto dei livelli
del 1981 avvicinandosi allo zero (0,14% e 0,25% nel periodo dal 1° agosto
'82 al 26 marzo '83).
Ma oltre ai radicali e alle loro iniziative, lo stesso parlamento è stato
eliminato dall'informazione televisiva; rubriche di pochi minuti e trasmissioni
speciali vanno in onda dopo la mezzanotte o nel pomeriggio con indici
di ascolto insignificanti. In più, l'informazione è dedicata esclusivamente
ad illustrare le posizioni del governo.
LA CORRUZIONE COME SISTEMA
Dai ministeri agli enti locali, dalle imprese pubbliche alle banche, dalla
stampa e dalla Rai-Tv alle università e agli istituti culturali, dalla
miriade di enti pubblici ai porti, agli enti acquedotti, alle centrali
del latte, agli stessi servizi segreti, la partitocrazia occupa ogni articolazione
della vita pubblica.
La lottizzazione ha valore di legge.
Malgrado siano finanziati dallo Stato (circa 80 miliardi di lire nel 1983),
i partiti violano costantemente la legge per accaparrarsi risorse finanziarie
sempre crescenti.
Il recente scandalo dell'amministrazione comunale di Torino ha fatto venire
alla luce l'esistenza di un superpartito politico-affaristico che coinvolgeva
amministratori e consiglieri comunali e regionali del PSI, del PCI e della
DC, nonché uomini della Fiat. Lo scandalo di Torino rappresenta un'eccezione
solo perché alcuni fattori imprevisti - un sindaco comunista onesto che
ha attivato la magistratura, un imprenditore che ha rifiutato l'omertà,
un gruppo di giudici realmente indipendenti - lo hanno reso manifesto
e quindi perseguibile; per il resto, rappresenta la norma praticata in
tutti i comuni.
I contratti e le forniture all'amministrazione pubblica, le licenze edilizie,
il credito agevolato all'industria, il sistema intricato dei contributi
statali e regionali alle attività produttive: tutto questo è regolato
dalla lottizzazione che i partiti effettuano a favore dei propri aderenti
e delle proprie clientele.
La tangente ai partiti è la regola.
La corruzione ha investito il corpo militare della guardia di finanza,
forse anche a causa dell'enorme potere discrezionale che gli deriva dalla
farraginosità e dalle disfunzioni del sistema fiscale. Comandanti del
Corpo, generali, colonnelli, ufficiali sono stati incriminati dalla magistratura
per scandali assai più gravi dell'affare Lockheed.
Dirigenti di partito, amministratori locali, imprenditori, funzionari,
militari vengono quotidianamente inquisiti dalla magistratura. Un lavoro
di Sisifo che viene di consueto neutralizzato - oltre che da pressioni
sui settori lottizzati dalla magistratura - dall'uso abnorme dell'immunità
parlamentare e della commissione inquirente sui reati ministeriali.
Per assicurare l'immunità, i segretari amministrativi dei partiti sono
tutti parlamentari.
Il segreto di Stato viene normalmente opposto dal governo per coprire
scandali, peculati, tangenti.
Rispetto ad altri paesi, dove la corruzione non è certo sconosciuta, il
caso italiano ha una singolarità: sembra che non esistano mezzi di riequilibrio.
Essere conosciuti come corrotti o prevaricatori non rappresenta un incidente
molto grave per governanti e dirigenti di partito. Di fronte alla conoscenza
assai diffusa e particolareggiata di frodi, corruzioni, concussioni e
peculati di ogni genere, il caso di politici che paghino per i loro crimini
è irrilevante. Qualcuno, anzi, vede aumentare il proprio potere e il timore
di cui è circondato.
POTERE OCCULTO E PARTITOCRAZIA
La partitocrazia è solidamente legata a centri di potere occulti. Documenti
giudiziari e parlamentari provano che esiste da anni un intreccio tra
partiti e criminalità organizzata: dalla mafia alla camorra, al traffico
d'armi; dal bancarottiere Sindona, oggi in carcere negli Stati Uniti,
al bancarottiere Calvi finito sotto un ponte del Tamigi.
Negli archivi di Licio Gelli, capo della loggia eversiva P2, sono stati
trovati i nomi di tre ministri e tre sottosegretari, di un segretario
di partito, di un capogruppo parlamentare, di un ex ministro.
E ancora: il capo del cerimoniale del Quirinale, il segretario generale
della Farnesina, più capi di gabinetto del presidente del consiglio.
E ancora: il capo di stato maggiore delle forze armate, 4 generali e 5
ufficiali superiori dell'aeronautica, 14 generali e 24 ufficiali superiori
dell'esercito, 6 ammiragli e 22 ufficiali della marina, 6 generali e 39
ufficiali superiori dei carabinieri, il comandante, 5 generali e 18 ufficiali
superiori della guardia di finanza; i massimi vertici di tutti i servizi
segreti (Sismi, Sisde, Cesis) e del disciolto Sid.
E ancora: numerosi dirigenti dell'industria pubblica e privata e delle
banche: in particolare, il presidente e il vicepresidente dell'Eni, il
presidente della Finsider, il presidente della Condotte, il presidente
della Stet-Selenia, il direttore generale dell'Italimpianti; 56 dirigenti
di imprese private, di cui 12 presidenti di società.
E ancora: il vicepresidente e numerosi dirigenti della Rai-Tv; proprietari,
amministratori e direttori della maggiore concentrazione editoriale italiana;
il proprietario del più importante network televisivo privato; numerosi
politici, parlamentari, giornalisti, magistrati, docenti universitari.
Il numero uno della P2, Gelli, ha mantenuto per anni rapporti con le maggiori
autorità della Repubblica, a cominciare dall'ex presidente del consiglio
Andreotti.
E' ormai provato che il maggior gruppo editoriale italiano era completamente
controllato da Gelli e dai suoi accoliti della P2 tramite un'intricata
vicenda proprietaria che coinvolgeva Calvi, Ortolani e Tassan Din (il
progetto di assetto proprietario formalizzato nel 1980 è stato redatto
da Gelli).
Il maggior quotidiano nazionale, il "Corriere della Sera", era
sotto il completo controllo di Gelli. E ciò è potuto avvenire grazie alla
connivenza dei partiti, che prima hanno determinato le cause dello strozzamento
finanziario dell'azienda e la dilapidazione delle sue risorse, e poi l'hanno
abbandonata alla mercé della finanza vaticano-piduista.
Tutte le informazioni sulla P2 che abbiamo dato e daremo più avanti sono
tratte da documenti parlamentari o giudiziari.
LA LOGGIA P2, CALVI E I PARTITI
La DC, il PCI, il PSI, il PSDI o giornali ad essi collegati hanno ricevuto
finanziamenti per un totale di circa 88 miliardi di lire dal Banco Ambrosiano
del piduista Calvi, ritrovato cadavere a Londra il 17 giugno 1982.
La Democrazia cristiana, su richiesta del suo presidente Piccoli, ha garantito
un finanziamento di circa 40 miliardi di lire dalla Centrale ai giornali
"Il Gazzettino" di Venezia e "L'Adige".
Il partito socialista, tra il 1975 e il 1982, ha contratto con l'Ambrosiano
un debito di circa 15 miliardi.
(Il 10 luglio 1981, intervenendo alla Camera nel dibattito sulla fiducia
al primo governo Spadolini, il segretario del PSI Craxi trascurò i maggiori
temi politici per impegnarsi in una serrata difesa del banchiere Calvi
che i magistrati milanesi avevano appena arrestato).
Il partito comunista, tra il 1980 e il 1982, ha contratto con il Banco
Ambrosiano debiti per 11 miliardi direttamente e per circa 21 miliardi
attraverso la società editrice del quotidiano "Paese Sera" (venduto
poi ad acquirenti occulti ed oggi in fallimento).
Il PSDI ha contratto un debito di circa mezzo miliardo. Mentre il PRI
ha ottenuto dal Banco, tra il 1979 e il 1981, due scoperti di conto corrente
di 600 milioni, non utilizzati.
Malgrado questi fatti inquietanti, lo schema di bilancio dei partiti deciso
dalla presidenza della Camera con decreto del 28 luglio 1982 non contiene
l'obbligo di indicare la situazione patrimoniale: i debiti verso le banche,
le partecipazioni azionarie, le proprietà immobiliari. La dimenticanza
non è casuale ed è in contrasto con la legge sul finanziamento pubblico
dei partiti: la partitocrazia non accetta di essere sottoposta a processo
e il presidente comunista della Camera si è abbassato a strumento di essa.
Molti episodi di coinvolgimento e interconnessione tra partiti, personalità
politiche e sistema piduista sono stati oggetto di manovre di occultamento
soprattutto tramite la sottrazione dei procedimenti alle singole magistrature
su iniziativa della Procura di Roma avallata dalla Corte di Cassazione
(decisione del 2 settembre 1981).
Il 4 giugno 1982 il procuratore generale Gallucci, successore del piduista
Spagnolo, ha chiesto il proscioglimento, l'archiviazione o l'amnistia
per politici, magistrati ed altri affiliati con cariche pubbliche. Nel
marzo 1983 la richiesta è stata accolta dal giudice istruttore Cudillo.
Anche in Parlamento è in atto un'offensiva volta a coprire le responsabilità
dei politici. Nella riunione dell'8 febbraio 1983 la grande maggioranza
della commissione d'indagine sulla P2 ha posto il veto all'audizione dei
politici implicati in fatti connessi alla loggia; si è optato per ``consultazioni''
con i segretari di "tutti" i partiti, peraltro poi non realizzate
con il pretesto delle elezioni anticipate. Nello stesso tempo il capogruppo
socialista al Senato, che doveva essere interrogato, è stato trasformato
in inquirente entrando a far parte della commissione. Con il passare dei
mesi, l'ostruzionismo contro i tentativi di approfondire l'inchiesta si
è fatto sempre più pesante.
Dai tanti capitoli della vicenda P2, peraltro non ancora esplorati pubblicamente
perché oggetto dell'inchiesta parlamentare, emerge come la storia della
Repubblica dell'ultimo decennio sia stata segnata da una guerra per bande,
ognuna delle quali ha visto associati politici, uomini dei servizi segreti,
dirigenti dell'industria pubblica, finanzieri, altri gradi dei corpi militari,
affaristi, che hanno trovato nell'organizzazione della P2 il luogo d'incontro
e di composizione dei conflitti.
Fin dal 1969 Gelli ha avuto l'incarico di costituire una superorganizzazione
occulta da parte di tutti i rami della massoneria, probabilmente su iniziativa
di qualche branca dei servizi segreti nazionali ed esteri. Democristiani
come Andreotti, i fanfaniani dell'entourage del presidente, Flaminio Piccoli;
socialisti come Craxi, Martelli, Formica e Labriola risultano coinvolti
ripetutamente in vicende interne al sistema piduistico. Senza il consenso
o l'omissione di controllo del sistema dei partiti che sono stati nella
maggioranza di governo nell'ultimo decennio, certamente il sistema piduistico
non si sarebbe potuto sviluppare.
MADE IN ITALY...
Il cerchio si chiude. La partitocrazia rappresenta ormai un sistema di
potere parallelo a quello costituzionale e si alimenta con la corruzione
e l'illegalità. Lobbies finanziarie e militari, centri di potere occulti,
cosche mafiose, logge eversive attraversano orizzontalmente ogni settore
dello schieramento politico e determinano la politica dei vari partiti.
Gli uomini legati a questi traffici detengono in modo pressoché inamovibile
il potere negli apparati di partito. Si consideri inoltre che, pur agendo
ormai come istituzioni pubbliche, i partiti non sono soggetti ad alcun
obbligo di osservare al loro interno leggi e statuti che garantiscano
l'effettiva partecipazione degli iscritti ed il ricambio dei gruppi dirigenti.
E' dunque solo in apparenza paradossale affermare che il potere effettivo,
di cui sono state espropriate le istituzioni, non è identificabile neppure
nei singoli partiti e nei loro organi statutari. Il sistema della partitocrazia
li ha svuotati, estraniandoli dal confronto politico reale.
Da molti mesi i maggiori leader degli industriali si fanno portavoce di
un governo ombra che pare reclamare la direzione del paese. Si parla già
di ``golpe bianco'', ma si continua a ignorare o a sottovalutare i processi
reali che abbiamo descritto. L'allarme appare dunque poco credibile, come
qualsiasi evento improvviso, estraneo al contesto, privo di preparazione.
Concludiamo, per ora: quel che distingue la situazione italiana e la trasforma
in ``caso'' non sono i singoli fenomeni di involuzione né i singoli episodi
di autoritarismo, bensì il fatto che rientrano tutti in un "sistema"
coerente che si è sviluppato fuori degli alvei costituzionali. Crediamo
che il modo migliore di definirlo sia quello di descriverne le manifestazioni.
Lasciamo comunque ai lettori d'interpretarlo in un modo o nell'altro.
Ci siamo proposti soltanto di richiamare l'attenzione sulla gravità di
quel che avviene e sulla necessità di reagire, di vincere la rassegnazione
e l'apatia.
La cultura democratica è da sempre assai sensibile alle denunce di colpi
di stato. Qui non si parla di accadimenti di tipo tradizionale ma, forse,
di una terza via nella storica contesa fra regimi autoritari e democrazia.
La stampa nazionale ha sempre prodotto silenzio o sollevato polveroni.
La stampa estera ha nei confronti di questa situazione lo stesso atteggiamento
che teneva negli anni '30, quando le azioni e la presenza degli oppositori
antifascisti venivano presentate nel modo a tutti noto.
E' un errore grave. Forse, quel che oggi sta avvenendo in Italia interesserà
domani altri paesi europei. Non sarebbe la prima volta.
Volantino diffuso
dal Partito Radicale a Montecatini 30.5.83
Signora, Signore,
denunceremo alla magistratura
gli organizzatori e gli esecutori di questo spettacolo, che costituisce
la più immonda, sacrilega, vergognosa delle truffe di un regime che non
rispetta ormai più nulla, nessun valore umano, nemmeno se stesso.
Truffa fondata sui migliori sentimenti di tutta la gente idealmente invitata,
come Lei, a parteciparvi, ad applaudirla, a realizzarla: quasi venti milioni
di italiani.
Di nuovo, stasera, si cerca di riscuotere una tangente enorme sullo sterminio
per fame e armi nel mondo, sullo sterminio che nella sola giornata di
oggi, 27 maggio 1983, ha provocato la morte di almeno 30 mila persone
del Terzo e Quarto mondo. Dopo le tangenti sui petroli, sul commercio
e la produzione delle armi e della droga, sull'infanzia e perfino quello
sulle bare, in Italia, si passa ora alle tangenti politiche ed elettorali
sulla politica di morte che impongono al mondo ed a noi tutti.
La RAI-TV ha rifiutato l'ordine del Parlamento di organizzare serate di
massimo ascolto sulle proposte di legge europee e italiane, sostenute
da 80 Premi Nobel, dal Parlamento Europeo, da 400 cardinali, vescovi,
autorità di tutte le religioni del mondo, da 3.200 sindaci italiani in
rappresentanza di 30 milioni di cittadini, per salvare, "già nel
1982", almeno tre milioni di agonizzanti per fame. Costoro sono stati
sterminati, tutti fino all'ultimo.
"Le proposte di legge prevedevano una spesa di 3.000 miliardi".
Per comprare nuove armi, di qui al 1990 si sono ipotecati "120.000"
miliardi di lire. Aumentare i minimi di pensione a quattrocentomila lire
costerebbe 1.600 miliardi l'anno. Il solo scandalo Calvi costa ai lavoratori
italiani 2.500 miliardi. In un solo giorno l'ENI ha 7 miliardi di passivo.
Dunque quella proposta sostenuta dai massimi economisti ed esperti mondiali
costava poco o nulla, e la cifra era quella che Colombo e Spadolini avevano
proclamato in sede ONU.
Per un decreto di vita, invece che la conferma del decreto di sterminio,
i radicali hanno dato tutto di se stessi. Circa l'80% del loro bilancio
del 1982 è stato impegnato su questo fronte: ed il loro bilancio è dato
dai soldi degli iscritti. Hanno anche cercato e cercano di lottare perfino
con la fame - la "loro" fame dei digiuni gandhiani - contro
la fame nel mondo, oltre che quella dei pensionati e dei poveri italiani.
Cosa si fa invece con questo immondo spettacolo? Per raggranellare in
modo ignobile qualche miliardo di truffa la generosità e l'intelligenza
degli italiani, mentre migliaia di miliardi vengono loro rubati par finanziare
la politica di armamenti, di sterminio, di morte, di corruzione.
Si chiede di finanziare micro-progetti, fornendo cifre false, sia sul
loro impatto sia sulla loro situazione, cercando così di rimuovere la
dimensione di nuovo olocausto e le sue ragioni politiche; si cerca di
far apparire i responsabili di questa politica di sterminio come benefattori
dell'umanità e individui generosi.
In tal modo si organizza la telefonata del Ministro degli Esteri Colombo
e tutta l'Italia si commuove per l'annuncio di mezzo miliardo da lui prelevato
dalle nostre tasche e già stanziato a queti fini. Si organizza la telefonata
dalla sede della DC di Roma, si fa propaganda elettorale a Ciriaco De
Mita, a Clemente Mastella che promettono "50" milioni (perché
non rendono i venti miliardi che Piccoli deve all'Ambrosiano, e il denaro
riscosso in tutti gli "affari" di questi anni?). Si applaudono
ditte e industriali che in tal modo realizzano una pubblicità quasi gratuita,
altra speculazione sugli agonizzanti e sui morti.
Così gli elettori potranno votare per la DC, il governo, la partitocrazia
tutta intera, in pace con la propria coscienza.
Signora, Signore,
non applauda questo spettacolo. E quando si parlerà magari di nuovo del
micro-progetto somalo, ricordi che i profittatori di questo spettacolo
immondo hanno regalato al corrotto e feroce dittatore locale per "acquisto
di armi" oltre "cento, ripetiamo cento miliardi" di lire,
togliendole dalle somme che i radicali erano riusciti a far destinare
alla lotta contro la fame nel mondo. In questo momenti di ricordi che
Lei ha la possibilità e la responsabilità di dar voce, volto, forza ai
sentimenti degli italiani, dei venti milioni che nelle loro case vi ascolteranno.
2172
di Marco Pannella
NR8, maggio 1983
Deposito
delle liste radicali e campagna per il "voto di proposta": il
consiglio federale del partito ha così rafforzato all'unanimità, con due
astensioni, le decisioni congressuali.
In conformità e a difesa delle
ragioni e degli obiettivi del 28° Congresso che ha mobilitato il Partito
contro elezioni-truffa di un Parlamento costituzionalmente degradato e
privato delle sue prerogative e dei suoi diritti, per un'alternativa democratica
e per assicurare elementari difese del diritto della vita, alla qualità
della vita, e del diritto stesso, negati dalla partitocrazia che occupa
lo Stato, il Partito radicale ha definito le seguenti misure.
1. Constatato che ogni residuo diritto politico e costituzionale è stato
ulteriormente sequestrato riservandone l'esercizio solamente alle forze
politiche che abbiano depositato liste elettorali e che solamente in tal
modo, quindi, il Partito radicale potrà tentare di rovesciare il fine
di consolidamento partitocratico e di liquidazione costituzionale, per
cui le elezioni sono state indette, organizzando per qui ed oggi la risposta
democratica, informando almeno milioni di cittadini - poiché è vietato
farlo con l'intera nazione - dei propri obiettivi e delle proprie analisi,
il Pr ha stabilito di depositare le sue liste, quale strumento tecnico-politico
pregiudizialmente necessario a questi fini;
2. ogni mezzo sarà dunque usato per propagandare, organizzare, affermare
il boicottaggio nonviolento di una gravissima operazione volta a imporre
nei prossimi mesi in Italia il compiersi della "grande riforma",
dell'"amministrazione controllata", della svolta autoritaria
e militarista, che il regime ai suoi ultimi colpi di coda ha in fase di
avanzata realizzazione per succedere a se stesso e far pagare ai cittadini
l'insopportabile peso dello sfascio istituzionale, economico, produttivo,
sociale, morale e civile che ha provocato;
3. il Partito radicale potrà in tal modo illustrare, già nell'immediato,
la specifica, totale fiducia che può e deve esser fatta all'arma del rifiuto
del voto valido il 26 giugno da parte del maggior numero di elettori,
e la necessità di altre forme di lotta nonviolenta di disobbedienza civile
e di non-collaborazione, di obiezioni di coscienza da parte dei democratici.
Potrà in tal modo potenziare, com'è vitalmente necessario, la sua lotta
per assicurare la vita di almeno tre milioni di persone condannate da
una politica folle e suicida allo sterminio per fame nel 1983; quella
per un'immediata imposizione alla partitocrazia e ai suoi organi (governo
e Parlamento in primo luogo) della riforma pensionistica, dell'aumento
dei minimi pensionistici a 400 mila lire. Il massimo sforzo sarà compiuto
per utilizzare ogni mezzo derivante dall'aver depositate le liste, a sostegno
delle sei petizioni già sottoscritte da oltre duemilionitrecentomila cittadini,
per il processo contro i profitti e i crimini del regime partitocratico,
per scelte energetiche alternative, per colpire il commercio di Stato
e del parastato di armi e di droga, per rovesciare il rapporto fra investimenti
di risorse per la ricostruzione produttiva, economica e sociale del Paese,
oltreché ottenere l'approvazione della legge dei 3.200 sindaci italiani
contro lo sterminio per fame, e le sue misure pensionistiche già citate;
4. il Partito radicale, infine, ribadisce che allo stato "degli atti"
del 26 giugno "non" si procederà in alcun caso all'elezione
di rappresentanti della nazione e del Parlamento quali previsti dalla
Costituzione, legittimi e legali, anche se continuerà a lottare perché
la situazione muti. Di conseguenza eventuali eletti radicali non assumeranno
nessun impegno tra quelli derivanti dalle indicazioni costituzionali,
appunto perché violate. Essi opereranno nel quadro della politica del
Partito radicale come militanti nonviolenti per la democrazia, e della
democrazia, e per il raggiungimento degli obiettivi statutari in tema
di vita e di qualità della vita. Il deposito delle liste potrà anche consentire
di offrire una subordinazione a quanti intendessero, con l'elezione e
al liberazione di Toni Negri, privilegiare l'attacco a una fra le più
degradanti e incivili vicende anticostituzionali e lesive dello Stato
di diritto e dei diritti umani e civili in Italia;
5. così stando le cose, è in tal modo che il Partito radicale parteciperà
dunque ai cosiddetti comizi elettorali. Ma la lotta per mutare queste
condizioni sarà condotta avanti con assoluta decisione e con ragionevole
speranza, ed è anche per questo che tra l'altro, come annunciato, il Segretario
del Partito radicale continuerà lo sciopero della fame iniziato il 12
maggio, ad oltranza. 2167
NR9, 16 maggio
1983
Lettera di 516 detenuti
di Rebibbia a Marco Pannella
Caro Pannella,
avevamo appreso con molto piacere il fatto che il PR candidasse nelle
sue file Toni Negri, una scelta senza dubbio coraggiosa, ma nello stesso
tempo coerente con la linea politica del PR, e ci preparavamo a salutare
la sua sicura elezione a deputato e l'uscita dalle "patrie galere"
ove è tenuto da ben 4 anni, al pari di molti di noi, in attesa di giudizio.
Purtroppo abbiamo constatato con rammarico che il PR non s'impegna, se
non minimamente, nel sostenere la candidatura di Negri pur disponendo
di un discreto apparato di partito e pur avendo degli spazi televisivi
e radiofonici.
Molti di noi, quelli che ancora godono dei diritti civili, avrebbero votato
scheda bianca in queste elezioni, ma la presenza di Negri nelle liste
radicali ci ha convinto a votare, "a votarle", pertanto siamo
rimasti veramente sconcertati dallo slogan elettorale del PR: "Votate
scheda bianca, o al limite, in via subordinata, votate Negri": noi
crediamo che ciò non basti. Siamo convinti che l'elezione di Negri possa
accelerare quel processo, oggi appena all'inizio, di un ripensamento critico
sugli "anni di piombo" per portare al superamento della legislazione
d'emergenza, per sanare una situazione giuridica sempre più deteriorata,
per applicare finalmente la riforma penitenziaria oggi sempre più disattesa
con l'istituzionalizzazione di fatto del famigerato art. 90 O.P.
Il processo "7 aprile", di cui Negri è l'imputato di maggiore
spicco, è nato prima da una scelta repressiva e poi da una giudiziaria
(teorema Calogero) cosicché per ritornare nell'alveo prettamente giudiziario
è necessaria una nuova politica e l'elezione di Negri potrebbe contribuire
a determinarla.
Ti ricordiamo, inoltre, che la nostra non è la semplice solidarietà a
un detenuto, seppur politico e famoso, è molto di più: è la consapevolezza
che le leggi speciali promulgate in questi ultimi 8 anni non hanno prodotto
guasti solo nei processi politici, ma hanno provocato un'involuzione giuridica
che ci coinvolge tutti e come imputati e come detenuti. Come imputati
perché ormai in tutti i processi si assiste all'inversione dell'onere
della prova fra accusa e difesa, all'incerta e fumosa determinazione delle
fattispecie delittuose, alla sostituzione nel corso dell'istruttoria dei
mandati di cattura, al palese tentativo d'introdurre la figura del "pentito"
in ogni procedimento, a lunghissime attese, anni ed anni, per essere giudicati,
all'estensione dei termini di custodia preventiva (il disposto congiunto
degli artt. 416, 416 bis C.P., 165 ter C.P.P. e 10 della legge Cossiga
permette l'aumento anche per i reati comuni, fino ad un massimo assurdo
di 18 anni e 8 mesi), al divieto assoluto per alcuni tipi di reati della
concessione della libertà provvisoria. Anche come detenuti siamo consapevoli
dei guasti portati dalla legislazione d'emergenza in quanto constatiamo
sulla nostra pelle che la legge di riforma penitenziaria del '75 è rimasta
sulla carta e perché tutti noi abbiamo sospesa sulla testa la minaccia/intimidazione
del trasferimento in un carcere speciale.
Noi siamo convinti che per superate questo stato di cose, per ritornare
alla "normalità" del 1975, per varare finalmente il tanto atteso
nuovo Codice di procedura penale occorra una scelta politica di fondo
a sua volta determinata da un ripensamento critico sugli "anni di
piombo" che abbiamo attraversato.
Siamo convinti che il PR continuerà a frasi promotore di queste istanze
libertarie e garantiste e per questo motivo chiediamo un impegno più diretto
e meno formale del tuo partito per l'elezione di Toni Negri alla Camera
dei Deputati, un'elezione che contribuirà di certo al progetto politico
per il superamento della legislazione d'emergenza e di tutte le barbarie
giuridiche e penali che ha prodotto. 2178
di Marco Pannella
IL MANIFESTO, 16 giugno 1983
"Il segretario radicale
ci ha chiesto di ospitare questa sua risposta alla lettera inviatagli
da 516 detenuti del carcere romano di Rebibbia"
Caro Buzzi, a te ed ai 516
detenuti dei raggi G9 e G11 devo un ringraziamento ed una risposta. Il
ringraziamento è per l'aver voi compreso ed il vostro sostenere la gravità
e la portata della nostra decisione di candidare nelle nostre liste Toni
Negri, fra capilista delle tre circoscrizioni più popolose e prestigiose
del paese, con la ferma intenzione di farlo eleggere, a preferenza di
qualsiasi di noi, esponendoci al linciaggio dell'intero arco partitocratico
e della stampa e mass media italiani. Lo ripeto: intendiamo far decretare
al popolo italiano, in nome del quale la giustizia è amministrata, quella
libertà provvisoria e quella scarcerazione per decorrenza dei termini
che è prescritta dalla Costituzione, e negata dalle leggi inique imposte
contro la nostra sola piena opposizione dal Pci, dalla Dc e dai loro complici
parlamentari e politici.
Voi potete ben constatare la viltà o comunque l'assenza anche da questa
battaglia dell'intero ceto intellettuale, "garantista" quando
non costa nulla e anzi consente di esser ben remunerati per la propria
prestazione pubblicistica, cosiddetto "di sinistra" che vale
né più e né meno di quello cosiddetto "liberale". Se si eccettuano
Rossana Rossanda e Franco Fortini, il gruppo con Agamben e Masi, gli altri
sono dediti all'elezione del 340° o del 350° parlamentare del Pci, in
nome di un'"alternativa" che è quella della menzogna e della
continuità con la linea delle leggi eccezionali e dell'unità con ladri,
piduisti, riarmisti, corporativisti di ogni segno e provenienza. Compito
svolto all'insegna di elezioni truffaldine, piene di violenza contro il
diritto del paese di conoscere prima di deliberare, contro il Partito
radicale, a favore di chiunque gli sia ostile.
Hanno perfino accattato Giorgio Almirante, arruolandolo su tutti i giornali
"borghesie per meglio sparare contro la nostra ``diserzione'', contro
la nostra ``pederastia'', contro la scheda bianca, nei confronti della
quale quella comunista è certamente migliore".
Da venti giorni ci affanniamo a spiegare, in tutte le occasioni, quale
sia la nostra posizione: chi ritiene che non sia possibile per un democratico
avallare la truffa elettorale e la violazione dei principi costituzionali,
si astenga, voti nullo o bianco, per obiezione - o affermazione - di coscienza
contro la violenza del potere, contro il porsi fuori-legge delle istituzioni
sequestrate dalla partitocrazia; chi invece ritenga di dover normalmente
votare, voti radicale, per l'immenso patrimonio di lotte, di speranze,
di obiettivi, di forza potenziale che le nostre liste rappresentano. Tre
milioni di vivi invece che di sterminati per fame; quattrocentomila lire
al mese subito per i più miseri e affamati dei pensionati e il voto immediato
della riforma, rispetto della legge fondamentale, abrogazione dei codici
fascisti e delle leggi eccezionali di stampo "pcista" e partitocratico,
alternativa di sinistra e democratica fondata su valori e obiettivi di
radicale chiarezza in termini di diritto, di pace, di vita, di qualità
della vita.
La stampa ed i mass-media continuano invece a trasmettere solamente il
primo segnale: l'astensione. Contro questa mobilitano tutto il loro armamento
di censura, di violenza fascista. Contro la possibilità stessa del voto
radicale la censura è di allucinante unanimità. Basta scorrere i giornali
di oggi, e delle due ultime settimane.
Non potete davvero chiederci di più. Se dovessimo dirci di aver sbagliato,
prima che per il decreto di libertà provvisoria per Toni, di liberazione
della giustizia italiana da questa vergogna e da questo delitto, lo faremmo
per i tre milioni di assassinandi che possiamo e vogliamo vivi per il
1983. Son certo, so che Toni ed i compagni del 7 aprile, e tutti voi,
non solamente lo comprendete ma non potete non esser d'accordo.
Lottiamo, dunque, compagni e amici, detenuti e no, fino allo spasimo se
necessario in questi giorni residui. Moltiplicate le vostre iniziative,
informate i vostri familiari e amici, lanciate altri documenti, che ve
li censurino o no. Possiamo farcela. E comunque la lotta non termina il
26 giugno. Occorre che vi sia un partito per tutto questo. Non illudiamoci,
non illudetevi: o questo, o la sconfitta.
Un abbraccio e un grazie; "un coraggio!" e un "liberi per
libertà di tutti, anche dei nemici". Ciao.
Il giudizio
della classe politica e giornalistica è stato unanime, anche se per lo
più inespresso sui mass-media: il Partito radicale è uscito politicamente
rafforzato dalla prova elettorale.
Nella riunione della Direzione del Psi che ha analizzato i risultati elettorali,
il Presidente dei deputati Rino Formica ha rilevato che un partito che
fino all'ultimo, perfino nell'appello ufficiale agli elettori, chiede
in un primo luogo di non essere votato e fa l'apologia del non-voto riscuotendo
oltre il 2% dei suffragi, dà prova di una solidità e di un radicamento
nel paese del tutto eccezionali.
Possiamo aggiungere, a questa considerazione, che il contesto del voto
è stato truffaldino; che a nostro carico ha pesato una selvaggia opera
di disinformazione e di linciaggio pluriannuale; che decine di milioni
di cittadini erano stati messi in condizione di non poter votare radicale,
facendogli credere che le liste non erano state depositate; che contro
la nostra proposta politica centrale erano scese in campo tutte le forze
egemoni della società: mas-media, Chiesa, sindacati, tutti i partiti,
con nessuna possibilità di risposta da parte nostra sulla stampa scritta
e quella audiovisiva di Stato, tranne i ghetti delle "tribune".
Dovevano essere elezioni di ratifica del potere partitocratico, di stabilizzazione
sostanziale della sua politica ed anche dei suoi equilibri interni fondamentali.
Per questo erano state indette. Sono state invece le più "disordinanti",
le più "nuove" da un trentennio a questa parte.
Ne abbiamo fatto l'occasione per una campagna di delegittimazione civile
e politica della partitocrazia; abbiamo affermato che il voto è diritto
e non dovere, e che è anzi dovere negarlo se la politica non lo merita;
che "solo mutando un poco se stessi e i propri comportamenti si può
sperare di mutare il mondo"; abbiamo attaccato in primo luogo la
Dc, e in secondo luogo il Pci come suo alleato di fatto in Parlamento
e nel paese.
Ecco i risultati: rispetto al 1979, il 5,1% degli elettori in più ha negato
qualsiasi voto valido, ponendosi anche ufficialmente fuori dal recinto
della politica partitocratica; fra voti dati al Pc, al Partito dei pensionati,
alla Liga Veneta, al Partito Sardo d'Azione, al Melone quasi altrettanti
hanno votato, da posizioni diverse, ugualmente e sicuramente contro il
sistema dei partiti, i quali si sono distribuiti fra di loro, quindi,
i suffragi di meno del 70% degli elettori aventi diritto, contro l'80%
nel '79, l'88% nel 76.
Ancora: al proprio interno, la partitocrazia ha visto penalizzata la Dc
in misura inedita dal 1953 ad oggi, oltre il 5% in meno; il Pci, Pri,
il Msi e il Pli, cioè forze politiche che meno delle altre sono state
ritenute responsabili della politica partitocratica; il Psi raccolto un
leggero incremento che, senza il crollo Dc e il calo Pci, sarebbe equivalso
ad una sconfitta politica.
Che il paese si sia mosso nella direzione delle nostre richieste e attese
ci sembra doveroso riconoscerlo.
Abbiamo ancora una volta assunto le posizioni più difficili, più rischiose;
difeso posizioni di principio, ideali, culturali, civili accentuando la
nostra obbligata diversità rispetto a chiunque altro è presente nella
politica e nella cultura politica del paese; abbiamo alzato bandiere ideali,
speranze irridotte di pace, di vita, di democrazia, di civiltà giuridica
attorno alle quali altri si sono raccolti, e ora sono con noi o sono a
noi più vicini di ieri.
Abbiamo meglio potuto difendere e far conoscere i nostri obiettivi per
la vita e la qualità della vita; e illustrato le caratteristiche del nostro
partito, i pericoli che lo minacciano, le speranze che lo animano.
Questo bilancio è ottimistico? Ma per quanto ancora dovremo rispondere
che quanto più siamo forti, cresciamo, tanto più eliminarci diviene necessario
per il regime? E ripetere, inascoltati da troppi, che solamente una crescita
straordinaria, un salto di qualità della forza di iscritti e di militanti,
può porci al riparo, dopo un successo ulteriore, dal sempre maggior rischio
di non farcela, di esser aboliti?
Ma, come per l'esito dei referendum, ci si lasci ringraziare il paese
e i compagni del partito per la forza straordinaria di speranza, di rigore,
di moralità civile e politica che hanno saputo e voluto dare alla vicenda
radicale. 2188
NOTIZIE
RADICALI, 23 giugno 1983
Gli eletti
radicali, deputati e senatori, in conformità con le posizioni del Partito,
di fronte al vizio di nullità della prova elettorale ed al sequestro di
qualsiasi regola parlamentare da parte della partitocrazia hanno convenuto
quanto segue:
Fin quando e se non sarà garantito il rispetto del regolamento, per quanto
riguarda i tempi di esame e di voto delle proposte e dei disegni di legge,
tranne nei casi in cui questo rispetto fosse preventivamente e politicamente
assicurato, "gli elettori radicali"
- non presenteranno proposte di legge (1); né interpellanze, né interrogazioni
orali (2);
- non parteciperanno ai voti sia in Aula sia in Commissioni;
- non presenteranno di conseguenza emendamenti a proposte e disegni di
legge;
- prenderanno eventualmente la parola per dichiarazione di voto onde riaffermare,
anche in relazione allo specifico evento parlamentare, i propri motivi
di non partecipazione al voto stesso;
- parteciperanno invece ai dibattiti generali sia in Aula sia in Commissione
onde assicurare la conoscenza dei loro punti di vista e delle loro proposte.
Le ragioni di queste scelte sono evidenti: il nessun rispetto per le regole
del gioco che vengono continuamente mutate; la sede decisionale partitocratica
e non parlamentare e democratica che governa il Parlamento; la vanificazione
del diritto-dovere di esaminare e votare speditamente proposte e disegni
di legge per trasferire altrove il processo formativo delle volontà e
delle decisioni, e - d'altra parte - la convinzione radicale della necessità
di dialogo e di iniziativa democratica nei confronti di persone e di istituzioni,
le motivano chiaramente e ampiamente.
------
1) - Nella VIII legislatura su 3018 proposte di legge presentate ne sono
state discusse e approvate solo 42 in aula e 368 in Commissione, a fronte
di 271 decreti-legge presentati per la conversione.
2) - Su 7883 interrogazioni e 2544 interpellanze presentate nella VIII
legislatura ne sono state svolte rispettivamente 1819 e 1143. 3081
La campagna
elettorale, per quanto ipotecata e inquinata da regole del gioco truccate,
ha comunque consentito a sufficienza di comprendere i motivi della scelta
che ha indotto il Partito Radicale a candidare nelle sue liste l'imputato
Toni Negri e a consentirne l'elezione.
Lo ha compreso la classe politica. Lo ha compreso la stampa. Lo ha compreso
un numero sufficiente di elettori che hanno trasformato l'imputato Toni
Negri in deputato, decretandone la libertà provvisoria e la scarcerazione.
Abbiamo letto in molti articoli di provocazione radicale, si scandalo,
perfino di carnevalata.
Certo abbiamo fatto esplodere uno scandalo, anzi più scandali: lo scandalo
del caso Negri e del caso 7 aprile; lo scandalo della carcerazione preventiva;
lo scandalo delle immunità parlamentari. Abbiamo ancora una volta operato
per impedire che questi scandali si consumassero nelle segrete del Palazzo,
nel consolidamento di leggi anticostituzionali, nella accettazione di
una prassi giudiziaria indegna di uno Stato civile, nel corrente uso partitocratico
di regime dell'istituto delle autorizzazioni a procedere.
Abbiamo appreso con qualche stupore che direttori di giornali, giuristi
insigni, commentatori politici deplorano la carcerazione preventiva e
quelle che eufemisticamente vengono indicate come disfunzioni e le lentezze
della giustizia. Dunque si dovrebbe concordare l'antico detto: Oportet
ut scandala eveniant. Oportet: è necessario, è doveroso, ma è anche opportuno.
C'è "bisogno" di scandali. Grazie a questo scandalo il caso
7 aprile è di nuovo un "caso nazionale". Si può o si dovrebbe
discutere di nuovo, un dibattito drammatico e realmente, anche appassionatamente,
contraddittorio, dei colpi che gli anni di piombo hanno lasciato sulla
nostra convivenza civile e sul nostro ordinamento giuridico. Si può e
si dovrebbe discutere nello stesso modo della carcerazione preventiva
e dell'immunità parlamentare, per risolvere sia il problema della carcerazione
preventiva, sia quello dell'immunità parlamentare.
Ma si ha paura degli scandali, questo regime ha paura degli scandali.
Le regole della giustizia sommaria - di cui il Msi si è fatto solo, portavoce
- sembra imporsi di nuovo alla stampa e si vogliono imporre al Parlamento.
Si chiede al Parlamento di comportarsi da giustiziare anziché da istituzione
di giustizia e di legge. In questo pericolo si è già caduti. Occorre uscirne
fuori.
Risulta assolutamente evidente che, quando vi è la volontà politica, la
giustizia e il parlamento funzionano speditamente: la richiesta di autorizzazione
a procedere è stata evidentemente stilata - dobbiamo ritenere - quando
ancora l'imputato Toni Negri non era stato scarcerato. E' giunta al Ministero
di grazia e giustizia il 9 luglio: tre giorni prima dell'apertura del
Parlamento. E' giunta alla Camera due giorni dopo, l'11 luglio. Un gruppo
parlamentare, dopo l'annuncio in Aula, ha chiesto l'immediata riunione
della Giunta delle autorizzazioni a procedere.
Dunque il problema dell'autorizzazione a procedere e dell'autorizzazione
all'arresto di Toni Negri sembra ridursi al tentativo di violare "eccezionalmente"
la regola e le prassi che ha fatto di queste procedure il momento e il
luogo di accordi inconfessabili e nascosti tra le forze politiche bisognose
di assicurarsi reciproca impunità.
Per il Partito radicale, che dovrebbe essere nelle intenzioni di molti
"vittima" di questa vicenda, il trittico finanziamento pubblico-inquirente-immunità
parlamentare ha costituito occasione per l'azione convergente di referendum,
iniziative legislative, campagne elettorali, ed ora di una petizione popolare
già sottoscritta da 475 mila cittadini. Le autorizzazioni a procedere
sono al centro della nostra iniziativa politica e parlamentare dal 1976,
da quando siamo entrati per la prima volta in Parlamento. Per noi il caso
Negri ha oltretutto il pregio e il merito di averle poste al centro anche
e finalmente, dell'attenzione generale. 3083
Il Consiglio Federale riunito
a Roma il 2 e 3 luglio 1983,
RILEVATO innanzitutto che
il 25% degli italiani aventi diritto al voto ha in vario modo rifiutato
di votare per la partitocrazia, dall'MSI al PCI, il 19% obiettando in
coscienza con lo sciopero del voto o astenendosi o votando scheda bianca
o nulla, gli altri o votando radicale o Partito Nazionale Pensionati,
Partito Sardo d'Azione, Liga Veneta, altre forze diverse e anche fra loro
opposte, ma tutte di chiaro rifiuto della partitocrazia,
RILEVATO che il chiaro successo elettorale e politico del partito é unanimemente
riconosciuto e che il partito riscontra in pari tempo una crescita senza
precedenti, più che raddoppiando gli iscritti alla stessa data dell'82
e oltrepassando del 40% gli iscritti dell'intero anno precedente,
RILEVATO che dai militanti iscritti e sostenitori non iscritti sono stati
finora versati contributi per 600 milioni, cifra e prova d'impegno e forza
civile e politica senza possibili confronti,
RILEVATO che lo scontro elettorale ha confermato vistosamente il carattere
violentemente truffaldino delle elezioni e il persistente carattere istituzionalmente
degradato e vanificato del Parlamento partitocratico,
RILEVATO che in tali condizioni la lotta per la legalità e la democrazia
e contro la partitocrazia assume sempre più carattere di lotta per un'alternativa
storica anche sul piano istituzionale oltre che nei contenuti e negli
obiettivi politici,
RILEVATO che gli obiettivi congressuali e statutari del partito esigono
l'accelerazione dell'iniziativa politica, fin dai prossimi giorni, con
una forza adeguata all'ultimatività delle scadenze,
APPROVA le relazioni e le indicazioni del Segretario e del Tesoriere del
Partito,
DELIBERA la mobilitazione straordinaria ed immediata di tutto il Partito
con tutte le iniziative politiche e nonviolente per:
a) raggiungere gli obiettivi prioritari per la salvezza di tre milioni
di sterminandi per fame, l'aumento dei minimi pensionistici a 400.000
lire al mese, la riforma pensionistica;
b) rilanciare la raccolta delle firme e la campagna politica per le sei
petizioni;
c) assicurare come avvio della nuova legislatura una prima risposta positiva
alle esigenze manifestate dal Paese il 26 giugno, attraverso l'approvazione
di riforme senza spese di chiaro segno antipartitocratico già indicate
dal segretario: limitazione dell'immunità parlamentare, riforma dell'Inquirente,
riforma del finanziamento pubblico ai partiti, disciplina giuridica dei
partiti nonché dell'informazione scritta e televisiva. 3461
NR34,
15 agosto 1983
Com'era
prevedibile, dopo il polverone alzato da non pochi giornali attorno alle
mie affermazioni e dichiarazioni - che confermo letteralmente tutte, ma
nella versione di N.R. e non in quella di chi come "L'Unità"
usa virgolettare proprie affermazioni per spacciarle come mie - oggi è
il festival: "... Pannella ammette... Pannella smentisce... Pannella
ritratta... Pannella sostiene di non aver prove...". Altro "leit-motiv":
ma Pannella cosa vuole, realmente? A cosa mira?
Allora torniamo a precisare.
Non ci risulta esserci nessun complotto "diretto" contro il
Capo dello Stato. Ci risulta essere in pieno sviluppo un complotto sempre
più grave contro la Repubblica che comporta e include necessariamente
il fare i conti con il più pericoloso ed efficace dei nemici della Repubblica,
piduisti e partitocrati così spesso uniti o convergenti.
Gli autori di questo complotto, che s'estende e rafforza, hanno dimostrato
ampiamente di far ricorso ai maggiori metodi criminali, incluso l'assassinio,
incluse le stragi. Essi operano in un contesto internazionale che ha portato
al tentato assassinio del Papa, all'assassinio di Dalla Chiesa, di Galvaligi,
di La Torre, di Chinnici e di decine d'altri impegnati contro di loro,
o comunque pericolosi, o la cui scomparsa poteva servire alla destabilizzazione
ed alla "riforma" gelliana dello Stato italiano.
Lo Stato italiano, in tutti questi casi, è stato accusato di imprevidenza,
e - dalle fonti più autorevoli - e si è non di rado, soprattutto di recente,
sottolineato che questa "imprevidenza" poteva avere il segno
di complicità e di collusioni nello Stato stesso. La stessa Presidente
della Commissione di inchiesta sulla P2, on. Anselmi, ha di recente avanzato
il sospetto che i servizi di sicurezza dello Stato, diretti a lungo da
militari della P2, potevano essere responsabili dolosi dell'esito della
tragica vicenda Moro.
Per anni abbiamo visto giusto. Abbiamo indicato verità che oggi sono confermate,
ed allora furono liquidate o con la congiura del silenzio o con la denigrazione.
Eravamo previdenti, e se fossimo stati dunque al governo non saremmo oggi
nella situazione attuale, e non avremmo quel bilancio tragico e allarmante
che tutti fanno sulle condizioni dello Stato italiano.
Continuiamo ad essere gli stessi. Riteniamo, e ritenevamo ancor più nei
giorni scorsi, che il Presidente Pertini sia esposto a gravi pericoli,
più di quanto non voglia essere ammesso per superficiali buone fedi o
per malafede, dai più fra coloro che contano. Questi pericoli sono conseguenti
all'esistenza del complotto che tutti ora conosciamo: sono pericoli di
ogni tipo. Dall'eliminazione fisica a quella politica, cioè della politica
repubblicana condotta e rianimata non di rado direttamente dal Presidente
Pertini e dal democratico Pertini.
Coincidono con gli obiettivi della P2 quelli di molta parte della nostra
classe dirigente, imputridita, corrotta e corruttrice, che in passato
ha avuto con la P2 e direttamente con Gelli rapporti politici, d'affari,
di malaffare. La P2 - per molti versi rappresenta anche un tentativo di
"razionalizzazione" della partitocrazia ormai boccheggiante,
di fornire al "mondo" una Italia "stabilizzata", "fedele
alle proprie alleanze", energica contro "i terrorismi"
(e perciò bisogna che ci siano, dilaghino, diventino sempre più "potenti"
e mostruosi). Se non ci fosse stato anche un "volto pulito"
della P2, se non si fossero potute coinvolgere anche "buone fedi"
si pensa davvero che l'intera - quasi - classe dirigente militare dell'epoca
sarebbe stata impegnata e arruolata da Gelli e dai suoi burattinai nazionali
e internazionali?
In questo contesto la successione - e comunque l'ostilità necessaria contro
il suo incarico anche per l'immediato - di Sandro Pertini, problema legittimamente
già di per sé mobilitante gli interessi dei partiti e degli uomini, assume
un valore straordinario, e caratteristiche peculiari.
Sicché abbiamo posto, non da oggi, un altro problema: gli schieramenti
politici attuali sono naturalmente, e per motivi meno nobili e assolutamente
gravi e negativi, già oggi determinati dalla scadenza "naturale"
dell'elezione del Presidente della Repubblica del 1985.
Ma il Paese, e ufficialmente gli stessi partiti, non ne sanno nulla.
Occorre rendere alla vita democratica, alla responsabilità politica anche
questo aspetto del presente e del futuro del Paese.
E' solamente nel chiuso dei corrotti corridoi e delle sporche cantine
del potere che il peggio può continuare ad affermarsi indisturbato. Ed
è solamente nella certezza o nella probabilità che l'eventuale "innaturale"
successione al Presidente Pertini, prima dello scadere del suo mandato,
possa portare al successo di candidati complici, burattinai, burattini,
ricattabili, appartenenti ad un ambiente partitico coinvolto, che la P2
e connessi può ritenersi costretta a giocare carte le più temerarie e
folli.
Allora, chiediamo: quale "indipendenza", quale tranquillità
può dare - e a chi - un Presidente della Repubblica che ha frequentato
a lungo e con intensità Gelli o altri esponenti maggiori della P2 essendo
Presidente del Consiglio, e che è stato indotto a mentire manifestamente
sulla ragione dei suoi rapporti con lui?
Quale senso avrebbe, per esempio, una elezione di un Presidente già segretario
della Dc che è stato per lustri amico e sostenuto da Ortolani, che ha
avuto rapporti finanziari con costoro, e che - se quanto pubblicato per
esempio dall'"Espresso" fosse vero - non si capisce come non
sia ancora coimputato con Gelli per la bancarotta fraudolenta del gruppo
Rizzoli, lancia di ferro nei "mass-media" e nel Paese della
P2 e della campagna di "normalizzazione" dell'Italia, cioè della
destabilizzazione della Repubblica?
E l'eventuale Presidenza della Repubblica dell'attuale Presidente del
Senato, Francesco Cossiga che, da Ministro degli Interni e poi da Presidente
del Consiglio, ha assistito tragicamente incapace allo sfacelo delle istituzioni
ed alla azione di arruolamento di tanta parte dell'amministrazione dello
stato nella P2?
Coerentemente con la sua natura di puro uomo di potere, e solo su questo
piano efficace, questa candidatura (di De Mita, a quel che si dice) corrisponde
al disegno dell'attuale leadership dc di contrapporre alle sfortune elettorali
e politiche un assetto di "maggioranza istituzionale", di spartizione,
cioè, con il Pci e con gli uomini della corrente di "base",
dei poteri formali dello Stato.
O, ancora, quale credibilità avrebbero candidati socialdemocratici, dopo
che il segretario del loro partito ha dimostrato - come minimo - una incredibile
leggerezza, si è addirittura arruolato nella P2, quando era uno dei pochi
- in Italia - a sapere di cosa si trattasse? E dopo che nessun socialdemocratico
in Italia ha mostrato quanto meno di ritenere doveroso un minimo di discussione
in proposito?
E il Psi, il partito che è anche quello di Sandro Pertini? E' purtroppo
anche il Partito che, a livelli dirigenti, ha trafficato con Calvi, visto
arruolarsi e poi difeso suoi esponenti non secondari nelle armate del
complotto. E' il meno che si possa dire, anche se fino al caso D'Urso
è stato l'oggetto d'ostilità e di attacchi espliciti di quel "partito
della fermezza" che ha avuto nella P2 - dai servizi segreti alla
editoria stampata e audiovisiva - la sua ala marciante, e le sue truppe
d'assalto.
E i moralisti del Pri? Credono davvero che l'appartenenza di Corona alla
segreteria del Pri, fino alla scoppio degli scandali massonici, dei suoi
rapporti con Carboni, con Pazienza e altri, possa esser liquidato come
episodio e realtà inconsistente e marginale?
Insomma nessun candidato della partitocrazia, né attraverso i suoi massimi
esponenti, né attraverso scoloriti re travicelli, o "esterni"
inadatti o inetti a vivere in proprio responsabilità di uomo di Stato,
può esser temuto dai nemici della Repubblica, se non quale espressione
di una delle fazioni che pur si oppongono all'interno della loro area.
Finché questa sarà la situazione storica nella quale l'Italia - e il mondo
- si trovano, finché questi saranno i suoi nemici, ripetiamo che nessuno
come Sandro Pertini può essere miglior candidato alla propria successione,
che sgombrare il campo - come contribuimmo a fare un mese fa, esponendoci
una volta di più, - alle speculazioni di corvi e di sciacalli sulle sue
effettive condizioni di salute che, ben conoscendole, proprio noi ritenemmo
fosse necessario esser poste al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica
e sottratte a un losco clima che vedeva giornali già preparare "coccodrilli",
azioni politiche e alleanza di potere saldarsi in nome dell'imminenza
della scomparsa e degli impedimenti del Presidente.
E se, ci chiedemmo allora, le preziose alleanze estorte o conquistate
in vista di un evento che noi sapevamo per fortuna assolutamente improbabile,
avessero sollecitato la P2 a provocare l'evento stesso? E quando scriviamo
- ora - "P2" non riferiamo più ad una "disciolta organizzazione".
Ci riferiamo ad un'intera area politica partitocratica nella quale sono
posti sia i singoli che hanno ritenuto a suo tempo di poter dominare e
usare il potere nazionale e internazionale di Gelli, sia il partito -
il Pci - che, come tale, ha giocato manifestamente la stessa carta, attraverso
la quotidiana collaborazione dei Pecchioli e dei Minucci, per tacer d'altro
e d'altri, con i vertici militari e i vertici della propaganda e stampa
della P2 in Italia. 2190
LA PROPOSTA DI AUTORIZZAZIONE
ALL'ARRESTO DI TONI NEGRI
In nome della partitocrazia
Il 12 luglio 1983 il direttivo
dei deputati Dc (in realtà quello scaduto con la precedente legislatura)
inviava al Presidente della Camera una lettera per invitarlo (a presiedere
la seduta di apertura avrebbe dovuto essere Scalfaro) a non permettere
a Toni Negri di entrare in aula ed a trovare il modo per impedirgli l'esercizio
del mandato parlamentare.
Quello stesso giorno veniva letta in aula dal Presidente della Camera
Iotti la domanda di autorizzazione a procedere, formulata dalla Procura
Generale di Roma lo stesso giorno della proclamazione di Negri a deputato
trasmessa dal Ministro di Grazia e Giustizia al Presidente della Camera
prima ancora della data di convocazione del nuovo parlamento. Ammirevole
celerità, visto che per le stesse operazioni nei confronti di Almirante,
degli amministratori del Partiti, dei protagonisti degli scandali di regime,
erano stati impiegati mesi, con ripetute scadenze di legislatura, etc.
etc. Ma più che di celerità si doveva parlare di fretta, di cui la domanda
di autorizzazione a procedere in giudizio ed all'arresto portava il segno.
Il Procuratore generale non indicava neppure i reati per i quali l'autorizzazione
era richiesta, parlando di insurrezione armata, bande armate "ed
altri reati", facendo un guazzabuglio tra il processo di Roma ed
altri processi che, con il sistema "rotazione" delle accuse,
altre magistrature si erano affrettate ad imbastire sulla base delle stesse
accuse e dello stesso materiale del processo originario.
Una domanda di autorizzazione a procedere del genere andava semplicemente
restituita perché fosse redatta in termini di certezza e di chiarezza.
Invece in gran fretta si è nominata la nuova Giunta, si è proceduto alla
conferma del vecchio ufficio di Presidenza, prima ancora della costituzione
dei gruppi parlamentari, si è messa all'ordine del giorno quella domanda
di autorizzazione che si è data per buona. Si è nominato relatore il deputato
liberale neoeletto De Luca.
Le evoluzioni del relatore, restio in un primo tempo a prendere posizione
sull'arresto, "stanato" poi dalle pressioni dei comunisti, impegnato
poi a sua volta a "stanare" i comunisti ripiegati su posizioni
più sfumate, sono note. I comunisti, dopo aver dichiarato di essere favorevoli
all'arresto oltre che all'autorizzazione a procedere per bocca di Loda,
sono usciti con un comunicato del direttivo del gruppo che precisava che
non avevano ancora deciso e che lo avrebbero fatto in una apposita riunione.
Poi veniva fuori la "proposta Spagnoli": diamo l'autorizzazione
a procedere, ma per quanto riguarda l'autorizzazione dell'arresto preventivo
decidiamo dopo la sentenza (cioè quando l'arresto non sarà più preventivo)
così sapremo se le accuse sono fondate. Una proposta che ha tutta l'aria
di essere fatta perché gli altri la respingano. Ed infatti in Giunta un
po' tutti l'hanno respinta.
Contrari all'arresto e favorevoli comunque alla proposta di rinvio a dopo
la sentenza, i due socialisti, in verità senza troppo impegno.
Per rispedire in carcere Negri sono state sfoderate tesi che, se fossero
destinate a divenire norma costante, eliminerebbero ogni polemica sull'istituto
dell'autorizzazione a procedere, perché comporterebbero che questa non
venga mai negata. Così abbiamo inteso sostenere che non si può invocare
il "fumus persecutionis" quando il procedimento è iniziato prima
dell'elezione del pervenuto al Parlamento; che il "reato politico
è solo quello d'opinione, purché la sua espressione non travalichi il
lecito (!!!!????); che l'inconsistenza delle prove ed il metodo aberrante
con il quale esse siano state impostate e raccolte non sono rilevanti
al fine di parlare di persecuzione; che, quando si dà l'autorizzazione
a procedere per reati per i quali il mandato di cattura è obbligatorio,
l'autorizzazione a procedere anche alla cattura è automatica; che, quanto
meno, l'autorizzazione all'arresto può essere negata solo se si dimostri
che se non l'azione penale, l'emissione del mandato di cattura avrebbe
carattere intenzionalmente persecutorio e formalmente irregolare; che
la lunghezza della patita carcerazione preventiva ed il fatto che il tempo
di essa abbia consentito all'autorità giudiziaria di disporre della persona
dell'imputato per tutte le incombenze istruttorie, sono fatti irrilevanti
ai fini dell'autorizzazione del nuovo arresto; ed infine che occorre autorizzare
l'arresto per garantire la parità di trattamento con gli altri coimputati.
Non uno solo di tali principi è stato mai applicato per l'autorizzazione
a procedere. L'arresto è stato quasi sempre negato, anche per le imputazioni
gravissime, quale omicidio, tentato omicidio, insurrezione armata, etc.,
per le quali veniva concessa l'autorizzazione a procedere in giudizio.
Non ho votato, non perché "arrabbiato", ma perché mai come in
questo caso da radicale mi sono trovato di fronte a un "non parlamento",
al quale ho potuto dare il contributo di idee, di argomenti, di tentativi
di ottenere il ritorno alla ragione ed alla Costituzione, ma non quello
della mia partecipazione ad una operazione condotta in realtà in nome
e nella logica della Costituzione di fatto partitocratica.
Ultimo inverecondo atto di questa commedia delle ipocrisie: costretti
per mia richiesta a votare l'autorizzazione a procedere l'autorizzazione
all'arresto capo di imputazione per capo d'imputazione, la Giunta ha autorizzato
l'arresto per tutti i reati contestati, compresi quelli, e sono la maggioranza,
per i quali, a ragione del loro titolo sono già scaduti anche gli incredibili
termini massimi di carcerazione preventiva e per i quali Toni Negri sarebbe,
indipendentemente dalla sua elezione a deputato già in libertà! 2199
di Gianfranco
Spadaccia NR 37, settembre 1983
Il "Caso Negri" non
è chiuso, è più aperto che mai. Chi pensava che il nuovo decreto d'arresto
ne costituisse la fine, dovrà convincersi invece che è appena all'inizio.
In un certo senso comincia ora.
Il decreto d'arresto aggrava la contraddizione, non la sminuisce. Gli
stessi partiti che hanno votato l'arresto e lo hanno lasciato passare,
con l'astensione, si affrettano a invocare nuove norme sulla carcerazione
preventiva. Lo fanno i comunisti in commissione giustizia, sollecitando
la discussione della loro proposta di legge e facendola iscrivere all'ordine
del giorno. Lo fanno i socialisti annunciando la presentazione di una
loro proposta. Lo stesso governo deve annunciare un proprio disegno di
legge.
La conferma che il "caso
Negri" è più aperto che mai è nei giornali che riportano queste notizie.
Sono gli stessi giornali ancora pieni delle notizie sul voto alla Camera
del "partito delle manette" e sull'astensione del Pci e del
Psi, determinante nel far passare il decreto d'arresto. Sono gli stessi
giornali, ancora pieni delle polemiche contro i radicali, da tutti aggrediti,
linciati, indicati per ventiquattr'ore come gli unici responsabili dell'arresto
di Negri.
Dunque il tema della carcerazione preventiva è di nuovo all'ordine del
giorno. Lo è per il governo, per i partiti, per il Parlamento. Il "caso
Negri" ha ottenuto già questo primo risultato. Anche se il ministro
Martinazzoli lo nega, sostenendo che il governo aveva già deciso indipendentemente
dal "caso Negri", anzi addirittura prima della candidatura di
Negri (quando? come?). Ma poi è lo stesso Martinazzoli a riconoscere che
è stata la commissione giustizia, è stato il PCI, sono stati i partiti
ad affrettare i tempi, a spingere e convincere il governo ad annunciare
la presentazione di un disegno di legge.
Per qualche ora questa semplice verità non è stata percepibile. Le pietre
che volavano contro i radicali erano tante da oscurare la visibilità.
Oggi, già oggi, ancora nel mezzo delle polemiche e delle lacerazioni,
ricomincia a farsi luce. Oggi, già oggi, sono i fatti a parlare. Figuriamoci
domani, dopodomani, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Saranno
i fatti a parlare. E parleranno tanto più chiaramente e clamorosamente
quanto più si ostineranno a tapparci la bocca sulla stampa e sulla televisione
di Stato e di regime.
Quel partito di improvvisati
garantisti
Nel momento in cui per pochi
voti è caduta la proposta di sospensiva, una valanga d'odio, un desiderio
di linciaggio politico si è di nuovo rivolta contro di noi. Odiati e insultati
per aver "liberato" Negri e aver costretto il Parlamento a discutere
della sua autorizzazione a procedere.
Odiati e insultati, ora, come responsabili del suo arresto. Moralisti
e politicanti, abituati a giocare con le vite e le libertà degli altri,
strumentalizzatori di Toni Negri, disposti per machiavellismo a sbatterlo
di nuovo in galera.
Un partito di improvvisati garantisti ci ha indicati per qualche ora come
l'avanguardia di un nuovo partito della fermezza. Responsabili dell'arresto
di Negri? E perché no, anche del processo 7 aprile, del "teorema
Calogero", delle leggi speciali? Del resto non era già accaduto?
Coloro che avevano votato la fiducia a Cossiga e al suo decreto non ci
avevano indicato come responsabili della carcerazione preventiva, per
il nostro ostruzionismo? A ripetere, fra lo stanco e il cinico, questa
stupida litanìa è il comunista ("liberal" e garantista, per
carità) Nicolini.
Ma anche stavolta sono bastate poche ore perché tutto questo garantismo
si dissolvesse. Pci e Psi decidevano di astenersi sulla richiesta di arresto.
Se avessero votato contro, l'arresto non sarebbe passato. Nel Pci la proposta
di astensione passa con 88 voti, contro 57 favorevoli all'arresto e 3
contrari all'arresto. Quanto al Psi, la conduzione di Formica ne mette
in luce tutta la fragilità. Se i comunisti annunciano la sospensiva, arriva
la sospensiva socialista; se i comunisti si annunciano l'astensione, arriva
l'astensione socialista.
I fatti parleranno per noi, e già cominciano a parlare. Ma facciamo subito
uno sforzo per ristabilire la verità sulle scelte che abbiamo compiuto
per diradare le mistificazioni e le manipolazioni politiche e di stampa.
Facciamo uno sforzo per guardare allo scenario, certo duro e difficile,
della lotta che abbiamo ingaggiato.
Il nostro codice di comportamento
Un anno fa abbiamo proposto
a Toni Negri la candidatura nelle nostre liste. Lo abbiamo fatto quando
nulla lasciava presagire elezioni anticipate.
Il 26 giugno ci siamo trovati di fronte a una campagna elettorale truffa,
e di fronte a una degradazione partitocratica delle istituzioni e del
Parlamento. Abbiamo risposta con una campagna elettorale tutta imperniata
sull'appello all'astensionismo, al voto bianco, al voto nullo. Abbiamo
chiesto agli elettori di negare i loro consensi alla partitocrazia, di
negarle legittimazione democratica. Ma l'impegno assunto con Negri è stato
forse l'argomento determinante che ci ha spinto a presentare ugualmente
liste radicali. Abbiamo indicato agli elettori una subordinata: usare
il voto per liberare Negri, per emanare un decreto di scarcerazione per
decorrenza dei termini e di libertà provvisoria, e per liberare in prospettiva
il diritto e la Repubblica dall'infamia della carcerazione preventiva
e dall'infamia delle leggi speciali.
Per parte nostra abbiamo da allora avvertito che non avremo onorato con
il nostro voto, con la nostra partecipazione al voto, un gioco politico
non democratico; non avremmo collaborato allo svuotamento della democrazia
e alla degradazione del Parlamento, almeno fino a quando i partiti non
avessero dato segni certi di voler rientrare nell'alveo della Costituzione
e della democrazia. Noi abbiamo indicato, anche con una mozione di fiducia,
quali potevano essere questi segnali, queste manifestazioni di volontà
di una svolta democratica e costituzionale.
Toni Negri è stato eletto. Undici parlamentari del Partito Radicale sono
stati con lui eletti.
Con il "caso Negri" è tornato in Parlamento il caso 7 aprile,
il teorema Calogero, la valutazione politica delle scelte compiute dal
partito della fermezza, e cioè le leggi speciali e la carcerazione preventiva.
Sono stati costretti a discuterne.
E' in questa discussione che si è delineata la proposta comunista di una
sospensiva.
Era un proposta di compromesso: costituiva una via d'uscita e un possibile
sbocco al dibattito parlamentare, ma soprattutto era un'abile via d'uscita
e un utile sbocco per un partito comunista profondamente diviso e in cui
si era finalmente riaperto il dibattito sulle leggi speciali.
In cosa consisteva? Invece di pronunciarsi con un sì o un no sulla richiesta
di autorizzazione a procedere all'arresto, si chiedeva al Parlamento di
sospendere la decisione fino al momento della sentenza di primo grado.
Potevamo sostenerla, accettarla, votarla? Ma soprattutto questa proposta
di compromesso era per noi un motivo sufficiente a rimettere in discussione
una decisione di comportamento parlamentare pubblicamente annunciata e
più volte ribadita? In altre parole questa proposta di compromesso costituiva
il segnale, la manifestazione di volontà di un rientro nell'alveo costituzionale
da parte se non dell'intera partitocrazia, almeno da parte di settori
importanti dello schieramento politico?
La risposta è no. E il perché è semplice.
La "sospensiva":
perché non potevamo votarla
Giuridicamente la proposta
di compromesso era assai discutibile perché rispondeva a una richiesta
di autorizzazione a procedere all'arresto con una clausola o condizione
sospensiva che trasformava il voto su una "carcerazione preventiva"
in una promessa di " carcerazione successiva" alla sentenza
di primo grado.
Proceduralmente essa ribaltava dal Parlamento alla magistratura giudicante
il compito di decidere l'arresto.
Politicamente creava un terreno insidioso perché, trasferendo sul processo
le pressioni dei "colpevolisti", faceva gravare sul giudizio
del Foro Italico un'ulteriore ipoteca: non solo condannare, ma condannare
in fretta.
Ogni volta che Negri e i suoi compagni, e i loro avvocati, avessero fatto
valere i diritti alla difesa, semplicemente per ristabilire alcuni elementi
di verità storica, politica e giudiziaria su una miriade di fatti che
investono un intero periodo storico, si sarebbero visti accusare, loro
e noi, di trasferire l'ostruzionismo radicale dall'aula parlamentare a
quella giudiziaria. E i primi a rivolgere questa accusa sarebbero stati
proprio i comunisti (Pecchioli, Violante) che avevano pensato e sostenuto
la proposta di sospensiva come espediente tattico e non per consentire
una svolta democratica ma per meglio difendere e rilanciare la linea della
"fermezza".
Dunque noi non potevamo né sostenerla né accettarla, se non al prezzo
di assumerci la grave responsabilità di rafforzare tutti gli elementi
di equivoco e di insidia che essa conteneva, se non al prezzo di correre
il rischio di rendere ancora più debole la posizione di Toni Negri, quella
dei suoi compagni in carcere, e delle altre migliaia in attesa di giudizio
e di giustizia.
Non ci eravamo battuti, candidandolo alle elezioni, e consentendone la
scarcerazione, per qualche mese in più di "aria", cioè di libertà
provvisoria e di immunità parlamentare per Toni Negri. Ci eravamo battuti
e ci battiamo, per riconquistare i diritti alla difesa degli imputati
7 aprile e per riportare nell'ambito della Costituzione i termini di carcerazione
preventiva, per Negri e per tutti.
Poiché tuttavia non siamo né cinici né settari, né tanto meno fautori
del "tanto peggio, tanto meglio", non abbiamo fatto nulla contro
la sospensiva, anzi abbiamo fatto di tutto perché passasse, e potesse
divenire anch'essa un elemento di ulteriore forza della battaglia di fondo
che avevamo ingaggiato.
Abbiamo fatto di tutto per incoraggiare i settori del Pci che ne avevano
fatto una bandiera di una possibile svolta democratica, per incoraggiare
i socialisti, per incoraggiare sul fronte avverso il voto di dissenso
e di coscienza.
Ma dovevamo lasciare a loro tutta intera la responsabilità. La scelta
fra la sospensiva e l'arresto non era motivo sufficiente per indurci ad
abbandonare il rigore del principio della scelta di non "collaborare"
ai voti di questo Parlamento.
PER QUALCHE MESE DI "ARIA" IN PIU'?
Noi non ci siamo mai illusi
né abbiamo mai illuso che gli atti della candidatura e della elezione
di Toni Negri fossero risolutivi, né per Toni, né per gli altri imputati,
né per la battaglia complessiva sulla carcerazione preventiva. Sapevamo
che avrebbero innescato di nuovo questa battaglia, l'avrebbero portata
in Parlamento, ma che avrebbero richiesto, e richiedono, grande coraggio
e determinazione nel portarla avanti fino a un esito positivo.
Li richiedono a noi, li richiedono a Toni Negri, ai suoi compagni, ai
detenuti che hanno intrapreso lotte nonviolente nelle carceri, a tutti
coloro che sono scesi in campo in modo diverso in questi mesi.
Altro che tatticismo radicale! Ma quale tatticismo? Caso mai da parte
nostra c'è stato eccesso di chiarezza, nel manifestare la nostra volontà
di non lasciarci travolgere dal tatticismo degli altri!
Durante tutto il corso del dibattito parlamentare, e perfino in conferenze
stampa, ci siamo sforzati di avvertire sul seguito di questa battaglia,
sia nell'ipotesi che passasse la sospensiva, sia che si verificasse il
decreto d'arresto.
A chi voleva l'arresto, abbiamo spiegato di non far conto sui precedenti
di Moranino e di Saccucci. Abbiamo detto a chiare lettere che avrebbero
avuto l'arresto, se lo avessero votato e voluto, e glielo avremmo ritorto
contro. Avevamo ricordato i nostri precedenti: quelli di Roberto Cicciomessere,
di Adele Faccio, di Gianfranco Spadaccia, di Emma Bonino.
Ne avevamo parlato con Toni, e Toni ha accettato, di mettere nel conto
e di preparare, gli atti successivi di questa lotta. Ne avevamo parlato
con i suoi compagni in carcere. Quello che gli abbiamo proposto è uno
scenario di lotta nonviolenta, di dura lotta nonviolenta a cui dar corpo
con la sua libertà, la sua persona, la sua vita. Lo abbiamo proposto proprio
a lui, sbattuto sempre di più in questi giorni in prima pagina, come il
"mostro", come il "cattivo maestro" della violenza.
Toni ha accettato. Ed ha accettato di mettersi al sicuro. Si è messo al
sicuro. Perché nello scenario di una lotta nonviolenta è il nonviolento
che sceglie il momento e il luogo della propria lotta, non se lo fa imporre,
e se possibile lo fa precedere da tutti gli atti che possano renderlo
più efficace e significativo.
La campagna di linciaggio a cui è e siamo sottoposti, tende anche a spingere
Toni Negri a scoraggiarsi, a costringerlo a legittimi ripensamenti (non
è forse uno che rischia l'ergastolo?), ad abbandonare il campo. Ci riusciranno?
Noi speriamo, riteniamo di no. Per Toni sono sufficienti punti di riferimento
i compagni in carcere e la nostra determinazione nell'essergli a fianco
in questa battaglia.
Un copione ancora da scrivere
Il letterato
Arbasino, divenuto deputato e fautore dell'arresto, ha cercato di guardare
dentro gli scenari di questa lotta nonviolenta, ipotizzando una candidatura
di Negri alle elezioni europee e un Parlamento europeo chiamato a pronunciarsi
fra un anno su una nuova autorizzazione a procedere all'arresto. Certo
perché no? Ma non credere, Arbasino, che come nella cattiva letteratura
e nel cattivo cinema il copione di questa vicenda sia già tutto scritto
e tutto immaginabile. La buona politica richiede creatività, esattamente
come la buona letteratura. Non sono tutti già scritti gli atti, i soggetti,
i tempi e i luoghi di questa vicenda. Non cercare, Arbasino, in questa
vicenda qualche tardiva conferma ai tuoi "Fratelli d'Italia".
Questo è dramma autentico, non un cattivo pamphlet. Toni Negri è già stato
quattro anni e quasi due mesi in galera, ed è già stato condannato da
tanti Arbasino ad altri due anni almeno di carcerazione preventiva, se
non muta la legge. I suoi compagni sono in galera da più di quattro anni
e mezzo. Migliaia di altri si trovano nelle stesse condizioni.
Attendiamo che questo dramma non-violento si sviluppi. Lasciamo che siano
i fatti a misurare la moralità e l'efficacia delle scelte. Lasciamo pure
gridare vittoria a coloro che parlano di "fuga di Negri" dal
processo; fra costoro c'è il povero Scalzone con le sue povere (e solo
per questo comprensibili e rispettabili) contraddizioni politiche e intellettuali,
oltre che esistenziali; ci sono i "pentiti" che sperano che
sia Negri a sottrarsi a quel confronto con i suoi accusatori che finora
solo questa giustizia ha impedito.
Intanto si torna a parlare da questo governo dei partiti, in questa camera
dei partiti, di carcerazione preventiva.
Intanto nel partito comunista si è riaperto un dibattito che non potranno
pensare di soffocare o di eludere con scelte tattiche e con voti di astensione.
Intanto la possibilità di avere processi di verità e di giustizia è aumentata
e non diminuita.
L'assalto democratico contro l'infamia delle leggi speciali e della carcerazione
preventiva è appena iniziato, non è finito. 2206
NR41,
22 ottobre 1983)
"Il
Consiglio Federale del Partito Radicale Riunito a Roma il 15 ottobre 1983
Udita la relazione del Segretario Federale e discusse le sue proposte
relative alle scadenze amministrative in particolare di Napoli, Reggio
Calabria, a quelle regionali del Trentino-Sud Tirolo, alla situazione
determinatasi a Torino;
Considerato l'evolversi in senso sempre più autoritario e usurpatore di
ogni spazio di legalità e di legittimità del regime partitocratico; la
sistematica violenza contro l'informazione ed il diritto dei cittadini
di conoscere per scegliere e giudicare con cui si vanifica il gioco democratico-costituzionale
delle istituzioni e dei momenti elettorali; il valore sempre più politico
generale - o di mero tentativo di ridistribuzione del potere di sottogoverno
locale - conferito alle elezioni locali; l'urgenza di sostenere, promuovere,
organizzare, potenziare, difendere, "convertire in proposta responsabile
e in speranza di rinascita" il dilagare della rassegnazione, dello
sdegno, della rabbia, della protesta, della miseria di ogni tipo, del
sentimento di condizioni impossibili ed ingiuste di vita, di fatalità
della corruzione; l'esigenza primaria di farne scaturire adeguato monito
alle oligarchie partitiche, sindacali, produttive, corporative che sono
al potere nel nostro Paese;
Rilevato che condizione e premessa necessaria di ogni seria riforma è
la riforma dei partiti stessi e dei loro comportamenti; che tale riforma
non può intervenire se non per il compiersi di lotte politiche e sociali,
civili e nonviolente, rigorose e radicali, di strati sempre più importanti
della popolazione e dell'elettorato che mostrino di esigere democrazia
e di rifiutare l'usurpazione e l'impostura partitocratica, delegittimandone
il potere, i metodi, le pratiche di governo ad ogni livello;
Ribadito che gli schieramenti, le liste, il personale partitico devono
ritenersi in quanto tali estranei agli interessi specifici degli Enti
Locali, e che non possono non rappresentare interessi ideologici o clientelari,
perniciosi per le comunità ed i territori da essi amministrati; e che
soggetti e protagonisti elettorali e di governo devono divenire forze
che si aggregano su programmi ed interessi specifici propri, forze cioè
alternative ed assolutamente autonome dalle gerarchie e dalle oligarchie
di regime, non meno che dai potentati padronali, sindacali, finanziari
che sono con queste al potere in Italia;
Preso atto che è stata esplicitamente respinta o non è stata raccolta
la proposta lanciata dal Segretario del PR perché a Napoli sorgesse, in
quest'occasione, una lista di questo tipo e rispondente a questa esigenza
- proposta che il PR, in questi giorni, rinnova rispetto alla situazione
di Torino;
Considerato il carattere straordinario anche di test politico che assumono
le elezioni a Napoli, ed anche a Reggio Calabria, rispetto all'esigenza
di sottolineare e far crescere la forza della linea scelta dal Partito
in occasione delle elezioni politiche anticipate del 26 giugno oltre che
per affrontare situazioni politiche, civili, sociali di gravissimo segno.
Rilevato altresì che occorre che il Partito sappia cogliere ogni occasione
per far crescere la linea di alternativa politica, democratica e legalitaria,
antipartitocratica e di proposta ideale, civile e sociale, affermata con
le elezioni del 26 giugno, e le lotte successive in questi mesi d'avvio
della nuova legislatura;
Nel denunciare il carattere surrettizio di estremi baluardi di regime
che le "opposizioni" comunista e missina assumono sempre più
chiaramente a livello nazionale e delle istituzioni, ovunque;
Delibera quanto segue:
1) Il Partito sarà presente ed impegnato al massimo compatibile con i
suoi obiettivi statutari e congressuali, in questa tornata elettorale,
per promuovere, sostenere, organizzare, far affermare obiezione di coscienza
e sciopero del voto, attraverso il più esteso uso della scheda di proposta,
della scheda bianca, dell'astensione dal voto da parte degli elettori;
2) Il Partito porrà a disposizione degli elettori anche proprie liste,
che avranno carattere di "liste nazionali" per assicurare al
massimo il carattere di strumento di lotta senza quartiere, specie nei
centri vitali del regime, contro la partitocrazia, per la democrazia,
per una diversa politica fondata sulla priorità assoluta della difesa
e della promozione di una politica della vita, di un ordine fondato sulle
esigenze di giustizia e di libertà, di pace e di dignità umana dell'immensa
maggioranza dei cittadini inermi e senza potere, onesti e pacifici, sfruttati
ed offesi del nostro Paese;
3) Tali liste saranno composte dal Segretario del Partito; dal Tesoriere;
dagli eletti radicali alle Camere e al Parlamento europeo; dai membri
di Giunta; dai membri del Consiglio federale; dai compagni iscritti, i
quali sin dalla campagna elettorale s'impegnino a comportamenti analoghi
a quelli stabiliti - tra l'altro - dal codice di comportamento degli eletti
alle Camere;
4) Tali indicazioni (punti 2 e 3) valgono per Napoli ed eventualmente
Reggio Calabria; mentre per il Trentino-Sud Tirolo non possono essere
realizzate in considerazione delle leggi regionali vigenti;
5) Il Consiglio Federale esprime una vigorosa raccomandazione a tutti
gli iscritti perché uniformino a questa decisione il loro comportamento
elettorale, essendo chiaro che la proposta del Partito, per il Partito,
per gli elettori è quella dell'"obiezione di coscienza" e di
"sciopero del voto" e non quella del voto alle liste "Partito
Radicale". 2221
di Marco PANNELLA-
NR
Numero unico" per il 35°
Congresso del Partito Radicale
Il 22 ottobre, in tutta Europa,
sarà giorno di mobilitazione contro l'installazione dei missili e - in
tal modo - per la pace e il disarmo.
Già in Germania occidentale Heinrich Böll, Gunther Grass, il pastore Niemoller,
tutta l'area dei "grünen" (verdi), settori cospicui del partito
socialdemocratico e del sindacato sono impegnati perché la mobilitazione
popolare, e degli animi, sia senza precedenti. (Ed è - credo - interessante
notare che il 1° settembre ho - da Bruxelles - constatato che le televisioni
belga, francese, olandese, tedesca, oltre che le radio britanniche, hanno
tutte dato l'informazione dell'inizio della campagna e l'appuntamento
del 22 ottobre nelle ore di massimo ascolto...).
In Olanda, Belgio, Danimarca, oltre che a Bonn, le Chiese evangeliche
assicurano tensione religiosa e anche materiale, prestigio ulteriore alla
campagna.
"Comiso" sta diventando una bandiera europea, o il campo più
suggestivo e emblematizzato dello scontro, della speranza che lo anima.
In Italia, PCI, PDUP, DP, l'arcipelago dei cristiani di base, degli "indipendenti
di sinistra", dei pacifisti apolitici, dei nonviolenti non-radicali,
insomma l'intero mondo "sociologico" della sinistra assieme
al corollario tradizionale e prestigioso di intellettuali e artisti che
ad ogni generazione si rinnova e ripete, daranno certamente vita a manifestazioni
possenti, quali da decenni non conosciamo.
Ovunque si chiederà a USA e URSS di concludere a Ginevra accordi adeguati
e immediati, di disarmo nucleare comune e controllato, ai governi nazionali
di ritardare l'installazione dei missili.
Successi saranno ottenuti: ma di quale tipo e portata?
Intanto, Andropov sta concedendo proposte e ipotesi che i governi occidentali
e la NATO giudicano interessanti e positive.
Lo fa, indubbiamente, perché la "risposta" occidentale di installazione
dei missili USA è stata efficace: è lui stesso a mostrarlo.
Lo fa, probabilmente, anche per armarci meglio, noi "pacifisti",
contro i nostri governi e le politiche che sostengono.
No, grazie. Andropov sa che in democrazia i popoli contano o possono contare,
che la democrazia parlamentare non può ignorare i sentimenti delle masse
e che l'informazione dei mass media occidentali, pur truccata, menzognera
che sia in molti casi, è tale da poter essere utilizzata come veicolo
anche - direttamente o indirettamente - delle sue ragioni e proposte.
Andropov può - inoltre - senza troppa fatica, ottenere che l'URSS proceda
nella sua politica estera, militare, sociale con rapidissime conversioni
tattiche, e perfino strategiche.
Gli investimenti militari, e controllati dai militari, possono aumentare
vertiginosamente, o diminuire, a spese degli investimenti sociali, senza
opposizioni istituzionali, senza che le masse dei lavoratori e dei cittadini
possano approvare o disapprovare, manifestare.
In termini strutturali l'URSS rappresenta per il nostro tempo un immenso
impero che risponde alle stesse logiche della Germania nazista, che ha
nei confronti dei governi più o meno democratici i vantaggi enormi, nell'immediato,
che hanno i governi dittatoriali.
E' vero, verissimo che se le lotte pacifiste destabilizzano unicamente
i paesi del Nord-Ovest, e bloccano la politica di difesa senza proporne
altra più valida e forte, se si limitano a lotte negative, a saldare le
proprie campagne di massa sul no e sulla legittima, sacrosanta paura,
a opporsi all'epifenomeno (il "nucleare") e non al fenomeno
(il "militare", gli "eserciti" come base della sola
difesa possibile), questa politica è perdente e irresponsabile, nel senso
letterale della parola: cioè non è una "politica" ma una reazione
di per sé pre-politica, neutra e non neutrale, perfettamente usabile e
strumentalizzabile.
Anche sul piano "morale" è dubbia: il suo eurocentrismo, il
suo carattere riservato ai popoli "ricchi", il suo mobilitarsi
in toto prioritariamente e di fatto esclusivamente contro il pericolo
di sterminio per guerra nucleare, ignorando totalmente - se non sul piano
degli slogan marginali e del moralismo strumentale - lo sterminio in corso
per guerra alimentare, o per guerre tradizionali, non nucleari, nell'intera
Africa, in gran parte dell'America latina, del Medio e dell'Estremo Oriente,
non facendo nulla, nulla di concreto per salvare decine di milioni, centinaia
di milioni di persone in un decennio, fa del "pacifismo" di
ritorno, dilagante e per lo spazio di un mattino ciclicamente trionfante,
un altro volto, un altro momento della politica e della cultura di morte,
che privilegia e aiuta proprio le forze più "fasciste", totalitarie,
barbare del mondo industriale, del Nord: cioè quelle che opprimono innanzitutto
i propri popoli, negano anche in teoria, oltre che in diritto, la democrazia
politica, e sono esse stesse espressione di una organizzazione militare
e armata della società intera, della produzione, della vita sociale. Non
si lotta contro il pericolo di annientamento dell'umanità, non si lotta
per la pace e per la vita, se non si lotta in modo alternativo e definitivo
contro la barbarie e l'immenso potere del comunismo reale, che ha prodotto
in intere nazioni quel che il nazismo ha realizzato in alcuni mostruosi
campi di sterminio.
Il dramma del nostro tempo, la tragedia che è in pieno svolgimento (che
non si limita a "incombere"), risulta da un "ordine mondiale"
dove i regimi democratici e no della NATO, ai loro vertici, mirano da
una parte a difendere o conquistare il massimo diritto di sfruttamento
e di dominio del terzo e del quarto mondo (e dello spazio) contro l'espansionismo
naturale e obbligato del blocco sovietico, a difendersi dall'insidia interna
che questo blocco potenzia, seconda, nei loro Stati metropolitani o di
conquista o di protettorato, ma - dall'altra parte - a difendere nel contempo
la stabilità del potere dittatoriale, militare - industriale sovietico
all'interno dei suoi Stati. In questo scontro, sempre più drammaticamente,
l'Occidente ha la necessità di assicurare il massimo "ordine interno",
il massimo di efficienza, di militarizzazione della società di tradizione
secolare democratica, di propria "stabilizzazione". Così per
il potere transnazionale, militare - industriale, non solo nei circoli
NATO, ma anche delle multinazionali alimentari, o di quelle che controllano
le fonti energetiche tradizionali o "nucleari", sempre più spesso
la vera guerra necessaria e vitalmente urgente è quella "interna",
contro il "disordine" democratico...
Fra forze al potere che vogliono circoscrivere l'ostilità e il confronto
al momento della forza e della "difesa" militare, partiti, Stati
e masse "di sinistra", pacifisti che ignorano o sottovalutano
(quando non ne sono controllate) il leviatano, la struttura e l'ideologia
barbare dell'URSS e del suo impero, e non si fanno carico di combatterlo
e di vincerlo, v'è un rapporto di contrapposizione e di unità dialettica:
sono i due volti del suicidio, e della libertà e della pace.
La guerra, la violenza sono riflessi e realtà naturali - come la malattia
lo è - per i paesi democratici; ma lo sono fisiologicamente, come condizione
cioè di "salute" per i paesi retti da sistemi totalitari, antidemocratici.
Combattere strenuamente ma ragionevolmente, politicamente, responsabilmente
contro la malattia - che sta divenendo mortale - dell'Occidente implica,
comporta la lotta senza riserve, concreta, qui e subito, contro l'URSS
e ogni sistema di barbarie totalitaria, per la liberazione dei popoli
vittime del comunismo reale, o dei regimi militar - fascisti che gli USA,
la NATO - e l'URSS - sostengono e fanno proliferare in tutto il mondo.
Occorre quindi che gli Stati "democratici" convertano progressivamente,
unilateralmente, le loro armi tremende e suicide, ideologiche non meno
che tecnologiche, in armi idonee a destabilizzare e abbattere i regimi
"comunisti", come ieri quelli nazisti. Come?
Ne parliamo, cerchiamo di farci intendere - per alcuni di noi - da almeno
vent'anni. I nostri discorsi parlamentari, congressuali, elettorali raramente,
ormai, non affrontano questo tema. Non v'è ora spazio per tornare a farlo.
Mi limito qui a ricordare che la Germania nazista e l'Italia fascista
non temevano tanto le armi di paesi infinitamente più ricchi e forti potenzialmente
di loro, quanto "Radio Londra" e i volantini ciclostilati di
qualche migliaio di militanti di Giustizia e Libertà.
Ecco rievocate, sommariamente, affrettatamente, le riflessioni e le convinzioni
per le quali stiamo con tanta difficoltà ma anche tenacia e passione ammonendo
i nostri compagni, le nostre sorelle e i nostri fratelli pacifisti nel
mondo, i democratici, le forze politiche e istituzionali, non solamente
italiane, sui rischi che le varie "Comiso", i vari "22
ottobre", non rappresentino altro che trappole, terreni di sconfitta,
per le comuni speranze e volontà, per le legittime, sane angosce e paure.
Non a caso da vent'anni, e nel 1983 più che in ogni altro, il nostro pacifismo
di nonviolenti politici e di radicali democratici e intransigenti, con
le sue vittorie istituzionali, con le sue marce di decine e decine di
migliaia di persone inorganizzate, le sue azioni nonviolente, i suoi digiuni
della fame e della sete, vive sui mass - media solo censura, o un'informazione
senza confronti con quella - apparentemente polemica - riservata agli
"antinucleari", agli "antimissili"...
Non a caso lo sterminio in atto, per fame e per guerre, e le lotte che
sono state e sono sul punto di contrastarlo, di interromperlo, di batterlo,
nella loro puntualità e nella loro complessa concretezza positiva, propositiva
e non protestataria, vengono politicamente fatti ignorare o subire come
fatalità, mentre viene politicamente accettato, in pieno, lo scontro e
il dibattito sul pericolo di sterminio.
Siamo, dunque, contro le lotte in corso a Comiso, contro le manifestazioni
del 22 ottobre?
Non scherziamo. Lasciamo questa tesi alla denigrazione stupida, volgare
e rabbiosa dei pacifisti d'accatto, e dell'ultima ora.
I fatti parlano, anche se poi sono taciuti e falsificati.
Fra i feriti, fra gli arrestati a Comiso vi sono più radicali di quanti
iscritti ad altri partiti, in totale, non si trovino.
A questi compagni radicali che sono lì perché sanno che il Partito radicale
- da solo - copre le altre postazioni di lotta deserte dagli altri, il
nostro grazie per la loro intelligenza, per il loro rigore, per la loro
scelta.
Ai lettori di queste pagine l'invito a raggiungere e sostenere, a costituire
con noi, nel corso dei giorni, delle ore che vengono questo straordinario
Partito della speranza e della vita. 695
Il messaggio dei
detenuti del 7 Aprile al Congresso radicale 26.10.83
di Renata Cagnoni, Lucio Castellano,
Arrigo Cavallina, Giustino Cortiana, Mario Dalmaviva, Luciano Ferrari
Bravo, Chicco Funaro, Paolo Pozzi, Gianni Sbrogiò, Giorgio Scroffernecmer,
Franco Tommei, Emilio Vesce, Paolo Virno.
NOTIZIE RADICALI n. 44, 25 novembre 1983
Care compagne e cari compagni
del Partito radicale, noialtri imputati detenuti del processo 7 aprile
abbiamo qualche motivo non formale per ringraziarvi e per intervenire,
sia pur brevemente, nel merito del vostro dibattito congressuale.
Vi ringraziamo per aver offerto l'occasione a cinquantamila elettori di
pronunciarsi contro l'"emergenza" e le leggi speciali, votando
per Toni Negri. Vi ringraziamo per aver introdotto la liberazione come
variabile concreta nel carcere senza fine dei detenuti politici; la libertà
di uno di noi ci rende tutti un po' neno prigionieri. Vi ringraziamo per
aver sfidato, con indubbio coraggio politico, l'arroganza di quella cultura
repressiva che troppo spesso, in questi ultimi anni, ha avuto campo libero
nelle istituzioni e nel paese. Vi ringraziamo, infine, per aver accelerato,
mediante la candidatura Negri, un'inversione di tendenza nella sinistra,
per aver messo in primo piano la questione di una soluzione politica alle
lacerazioni degli anni '70.
Nulla di tutto ciò è stato effimero, nulla deve andare sprecato. Coloro
che oggi speculano sulla fuga di Toni, su questo suo umanissimo errore,
sono gli stessi che hanno sostenuto con entusiasmo tutte le montature
giudiziarie, che hanno avallato tutti gli orrori dell'"emergenza".
Meritano solo disprezzo, oggi come ieri. La campagna di libertà e di pacificazione,
iniziata da tempo nelle carceri, ha avuto una forte spinta dalla candidatura
di Negri, ha "usato" la sua vicenda, ne ha tratto qualche buon
risultato, e ora va avanti, in un nuovo, più favorevole scenario. Ciò
che sta dietro l'elezione di Toni e che voi avete portato alla luce, è
qualcosa di troppo grosso per poter convergere sulla sua figura, sulle
sue scelte, va oltre Toni, matura nonostante i suoi errori. Andiamo avanti,
compagni. L'approdo di quel 27 giugno, così straordinario per i detenuti,
politici e no, è il carcere in fermento, sono i grandi processi in cui
si consuma ingiustizia, certo, ma nei quali ha luogo anche una forte quotidiana
battaglia politica.
Il carcere, oggi, e in special modo la realtà di migliaia di detenuti
politici, è una questione nazionale, un segno di contraddizione permanente
e di portata generale. Il carcere è al centro della vita delle istituzioni,
dell'equilibrio fra corporazioni di potere, dell'intera cosiddetta "società
politica". E' un nervo scoperto. Il dolore che emana può diventare
forza politica per il mutamento, per l'ampliamento dei diritti e delle
libertà, per una nuova pattuizione costituzionale aperta alla spinta dei
movimenti. Mai come oggi è giusto essere radicali e persino "provocatori"
riguardo al carcere. Che idea di "pace" hanno tutti coloro che
non colgono nel carcere e nel complessivo sistema della penalità la più
immediata materializzazione della guerra, la guerra abituale fino all'invisibilità,
divenuta quasi seconda natura? Che idea di "pace" hanno tutti
coloro che si adattano a vivere in un paese con migliaia di prigionieri
politici? E veniamo al nostro processo, cari compagni, al 7 aprile, a
questo mostro che s'aggira nelle coscienze, ipnotizzandole o terrorizzandole,
qualche volta riempiendole di un'indignazione senza limiti. Ancora oggi,
dopo quattro anni e mezzo, c'è, accanto alla cattiva coscienza per la
carcerazione preventiva patita dagli imputati, un diffuso atteggiamento
di delega alla magistratura, a questa magistratura, quanto al giudizio
nel merito. Ebbene, questa delega supina e fiduciosa, che spesso si ritrova
anche nei meglio intenzionati, è una trappola, un errore terribile. Spezziamola.
Che si fissi lo sguardo sul processo, sulle procedure che lo strutturano,
sui pregiudizi che vi circolano, sui "teoremi" che lo guidano
passo passo in dispregio ai fatti concreti di cui si discute. Che nessuno,
fra pochi mesi, quando ci sarà la sentenza, possa dire "Non sapevamo,
non credevamo che...". La battaglia, la denuncia va fatta ora, subito,
in aula e fuori, ora in particolar modo, quando stanno per giungere nell'aula
del Foro ltalico pressoché tutti i "grandi pentiti", gli autori
della verità di Stato, i mercanti di carne umana. Il nostro processo è
strutturalmente e irreversibilmente sleale. Per molti motivi. Eccone alcuni,
su cui vi chiediamo riflessione e iniziativa.
Anzitutto. La modificazione completa, verificatasi almeno tre o quattro
volte in questi anni, dell'intero impianto accusatorio. All'inizio: dirigenti
delle Br, assassini di Moro. Poi: Potere operaio focolaio di una decennale
insurrezione. Ancora: molte bande locali, coordinate fra loro, tutte,
a sentire l'accusa, più terribili delle Br pur non avendo a loro carico
un morto o un ferito. Come difendersi in questa condizione, di fronte
ad un criterio persecutorio che suona "ecco i colpevoli; i fatti,
o almeno gli pseudofatti, li troveremo?".
Inoltre. Praticamente tutti gli elementi in discussione del nostro processo
sono o saranno giudicati parallelamente in altri dibattimenti. Inutilmente
ci siamo battuti contro questa duplicazione o triplicazione dei procedimenti,
le nostre eccezioni sono state respinte. E', questo, un sistema accusatorio
perversamente "circolare": le diverse istruttorie, o sentenze,
si citano e sostengono a vicenda: ognuna, pur basandosi sull'altra, ne
costituisce il "precedente" indiscutibile. E' lealtà, questa?
Lo sapete che fra meno di un mese ci sarà la sentenza del processo "Rosso"
a Milano, mentre a Roma, al Foro Italico, molti imputati proprio di "Rosso"
devono difendersi? Se a Milano vi sarà condanna per quell'associazione
a che titolo questi nostri coimputati potranno ancora sperare in un processo
"equo"?
Infine. La Corte d'Assise di Roma sembrerebbe, fino ad ora, voler far
proprio il "teorema" accusatorio. Cerchiamo di capire cosa significhi
ciò. Noi tutti siamo stati "sovversivi" negli anni '70, interni
alle rivolte operaie e giovanili, decisi a contrastare il "monopolio
statale della forza", a difendere le lotte dalle aggressioni del
potere. Tutto questo alla luce del sole, senza mai indulgere all'orribile
mito della clandestinità, senza mai dar luogo a "bande". Ma
la storia di quegli anni, se letta con gli occhi di un "teorema"
che vuol omologare movimenti di massa, sia pure "sovversivi",
al terrorismo, verrà stravolta, e quindi ricostruita in modo irriconoscibile,
senza rispetto per le discontinuità, le fratture, la cronologia, i rapporti
reali. Così, della verità può essere fatto scempio, pur nell'ambito di
una correttezza formale e di un'olimpica serenità. I "pentiti"
potrebbero essere la sigla su tutto ciò. Ma a tutto ciò, alla produzione
di una verità di Stato, noi ci opponiamo e ci opporremo. Vorremmo la vostra
attenzione.
Cari compagni, nessuno di noi aveva la vocazione di "vittima"
o di "pietra dello scandalo". Ma non sempre si sceglie. Oggi,
agitare lo scandalo, brandirlo come uno strumento importante per tutti,
è il nostro mestiere. E il proprio mestiere, si sa, è sopportabile solo
se svolto con cura artigiana, pazienza, qualche ironia, e anche una certa
puntigliosità insistente. Buon lavoro.
Rebibbia, 26 ottobre 1983
AGENZIA
RADICALE, notiziario del MFR, 11 NOVEMBRE 1983
Roma, 11 novembre 1983 - Orwell
si è fermato a Napoli? E' quanto si chiede Leonardo Sciascia, riferendosi
alla vicenda in cui è coinvolto Enzo Tortora, una brutta oscura storia,
sempre più Kafkiana, sempre più dimenticata.
"A fare il punto sul problema della giustizia in Itala, mi pare che
il caso Tortora si configuri come esemplare. E dico il caso Tortora per
abbreviazione. Potrei anche dire: il caso di numerosi arrestati, insieme
a Tortora perchè omonimi, di persone indicate dai "pentiti"
come camorristi - che mi pare caso, qualitativamente e quantitativamente,
anche più grave. Voglio dire che non è soltanto quello della carcerazione
preventiva il nodo che viene al pettine, ma anche quello dell'affidabilità
conferita ai partiti e del mandato di cattura facile, dello strapotere
della magistratura inquirente, del suo essere al riparo da responsabilità.
Un argine bisogna metterlo, un rimedio bisogna trovarlo: a fronte della
giungla giudiziaria. Il 1984 di Orwell può anche, da noi, assumere specie
giudiziaria. Ce ne sono i presentimenti, gli avvisi. E allora questo paese
sarà veramente finito.
In quanto al caso Tortora vero e proprio, non solo sono convinto della
sua innocenza, mi pare che tutti, attraverso la fuga di notizie, vagliando
gli elementi d'accusa venuti fuori, possano convincersene. Dopo il mio
primo articolo sul "Corriere della Sera", mi pare in agosto,
Tortora mi ha scritto che stava leggendo - o rileggendo - la "Storia
della colonna infame" che io, direi molto opportunamente e tempestivamente,
ho ripubblicato l'anno scorso. E si fermava su quella frase del libro
che è, per così dire, il perno: "Un'ingiustizia che poteva essere
veduta da quelli stessi che la commettevano". Credo sia proprio così.
Ma è da credere che la cosiddetta "professionalità" è di impedimento
a una netta visione delle cose - e che ancora una volta spetti agli scrittori
(e i magistrati possono fare tutta la corporativa ironia che vogliono)
scrutare le evitabili e inevitabili ingiustizie. 4600
di Marco Pannella IL MATTINO, 24 dicembre 1983
(Marco Pannella in una lettera
al direttore de "Il Mattino" così documenta il primo posto al
"Partito dello sciopero del voto":
""Caro direttore,
consentimi di tornare ancora una volta - ma questa, spero, davvero ultima
- sulla questione della graduatoria nel campionato elettorale, testé concluso
a Napoli. Sono ora in grado di allegare le cifre, i risultati, definitivi,
dai quali risulta finalmente chiaro che il partito dello sciopero del
voto, il partito ``bianco'', è scattato nettamente in testa, rovesciando
qualsiasi precedente classifica non solamente napoletana ma italiana.
Prima di passare a questi dati, tramite il tuo giornale, vorrei anche
annunciare di aver preso la decisione di restare, per il momento, a Napoli
come Consigliere Comunale. Dovrò per questo rinunciare ad altri impegni,
nazionali ed internazionali. Ma devo a Napoli, in primo luogo a quel 25%
di elettori che - come noi radicali - hanno rifiutato di rassegnarsi a
votare per la politica partitocratica, oltre che ai nostri non richiesti
ma graditi elettori, questa decisione.
Passiamo dunque ai dati elettorali. In queste elezioni il ``Partito dello
sciopero del voto'' (Astenuti + Bianche + Nulle) ha riportato 206.542
voti. Secondo partito è il Pci, con 181.743 voti, terza la Dc, con 163.784,
quarto il Msi con 140.541 voti. In percentuali: Partito dello sciopero
del voto 23,5%, Pci 20,6%, Dc 18,6%, Msi 16,0%, se rapportiamo i voti
agli elettori iscritti; o, se li rapportiamo ai voti validi, Partito dello
sciopero del voto 30,6%, Pci 27%, Dc 24,3%, Msi 20,8%.
Rispetto alle ``politiche'' di pochi mesi fa il Pci passa da 42.823 voti
di vantaggio rispetto al ``partito'' bianco, a 24.808 voti di svantaggio,
perdendo quindi nel confronto, in 24 settimane, ben 77.631 punti. E così
via...
Mi sembra giusto rendere a Napoli quel che è di Napoli, caro Direttore,
visto anche lo scempio di interpretazioni e di rimozioni che la stampa
``nazionale'' ha, senza altra eccezione di ``Il Mattino'', compiuto ai
danni della verità e dell'identità vera della Napoli civile e politica.
E che tutto questo vada messo sul conto di un meccanico e squalificante
``assenteismo'', ma di una presa di coscienza democratica e di dignità
umana e civile, è dimostrato dalla tendenza ``oggettiva'' ad una maggiore
partecipazione elettorale negli altri Comuni in cui si è votato, e da
quel che i pretesi ``esperti'' sanno bene, ma dimenticano in questa occasione,
sulla maggiore partecipazione al voto sollecitata dalle amministrative
rispetto alle politiche, specie quando - come ora a Napoli - v'erano diverse
migliaia di candidati a causa delle circoscrizionali.
Ecco perché, senz'enfasi, possiamo esclamare: Viva Napoli, Grazie Napoli!"".
2025
di
Marco Pannella IL MANIFESTO, 31 dicembre 1983
L'abuso,
l'uso illegittimo della legge carceraria attraverso il regime dell'articolo
90 imposto come ordinario, viene protratto dal governo per altri novanta
giorni. Dal punto di vista della legalità costituzionale e della democraticità
politica anche un solo giorno di proroga è per noi inaccettabile e intollerabile
sul piano dei principi, ed i principi sono, in pratica e nell'oggi, il
discrimine per noi fra lotta e opposizione da una parte, collaborazione
e intesa dall'altra.
Questo atto di governo, questa assunzione di responsabilità politica da
parte del ministro della giustizia non può quindi che trovarci in chiaro
dissenso e critici. Era l'ora, era necessario rientrare quanto meno nella
legalità con una dichiarazione di principio di non proroga dell'articolo
90, salvo il diritto e l'opportunità certa di emanare contestualmente
tutti i provvedimenti amministrativi opportuni per garantire sul piano
tecnico il ritorno alla normalità.
Ciò detto, a ciascuno le proprie responsabilità. A noi quella di riconoscere
che modi e contenuti del provvedimento, o più esattamente degli strumenti
amministrativi di attuazione presi, costituiscono sicuramente una risposta
positiva alla grande proposta di dialogo e di rispetto del diritto che
dalle carceri italiana - dal digiuno iniziato dalle "comuni"
di Rebibbia ad agosto, a quello in atto da parte di quindici "brigatisti
rossi" della sezione speciale di Bad'e Carros - ha investito le istituzioni
e l'opinione pubblica del paese.
Per mio conto il "segnale" - umile ma certo - atteso e richiesto
(per ultimi e in modo esemplare dai nostri "compagni assassini"
di Nuoro, a cominciare da Franceschini, Ognibene, Bonisoli) è oggi in
tal modo sicuramente fornito.
Prima di passare a dimostrarlo con una analisi dei provvedimenti nella
loro specificità è bene precisare che questi 90 giorni devono essere sin
d'ora concepiti come occasione necessaria e indilazionabile per concludere
una lotta di diritto e di libertà, di umanità e di giustizia che per noi
passa attraverso più di un decennio di impegno popolare, democratico,
di referendum, di petizioni, di arresti e di processi, di impegno parlamentare
e umano, di iniziative e di speranza nonviolenta.
Con l'universo dei detenuti, di tutte le aree e provenienze che in questo
ultimo anno si sono mossi nella stessa direzione, e che vedono in questi
giorni forse i più preziosi nuovi impegni, occorrerà muoversi e sapersi
muovere con serenità, speranza, ragionevolezza, forza di determinazione.
Due premesse e puntualizzazioni:
1) so che per il ministro Martinazzoli, contrariamente a quanto mi sembra
appaia da servizio giornalistico per il resto ben informato comparso venerdì
sul "Corriere della Sera" questa "proroga" deve essere
l'ultima. Certo, a condizione che non si verifichino fatti di natura e
entità tali di rimettere tutto, e anche questo, in discussione. Ma Martinazzoli
(e l'amministrazione giudiziaria che sotto la sua responsabilità deve
assicurare il ritorno alla normalità e l'attuazione della riforma) sa
anche perfettamente che provocazioni anche gravi probabilmente vanno previste
e potrebbero anche in qualche misura non poter essere del tutto scongiurate,
e non è legittimo porre, pregiudizialmente, in dubbio la sua buona volontà
e la sua buona fede; 2) sono assolutamente certo che le misure oggi prese
o preannunciate saranno seguite da altre nella stessa direzione e che
in tal senso deve esser interpretato il lavoro straordinario in corso
malgrado il periodo festivo nel settore di competenza del direttore generale
Amato.
Veniamo dunque ai fatti. E' in corso di attuazione il passaggio di circa
300 detenuti delle "sezioni speciali" alla condizione normale.
Si tratta di un terzo della popolazione degli speciali.
Il "braccetto" di Pianosa è stato chiuso. I quattro detenuti
finora lì rinchiusi sono stati trasferiti. La notizia è importante per
il timore, da molti ritenuto fin qui fondato, che invece proprio a Pianosa
sarebbero stati concentrati i detenuti vittime di questo disumano e feroce
trattamento.
Il trattamento dei circa seicento detenuti che restano per ora nelle sezioni
speciali sarà modificato in modo non insensibile, a volte non secondario.
Tra l'altro una volta al mese i colloqui settimanali potranno svolgersi
senza più la separazione dei vetri e, per i familiari che risiedono ad
oltre 200 chilometri di distanza potranno durare due ore anziché una.
I bambini fino a cinque anni potranno stare direttamente con il congiunto
detenuto (l'innovazione, particolarmente richiesta dalle detenute, viene
estesa anche ai detenuti degli speciali. E' - se non vado errato - un
"privilegio" che si realizza rispetto ai detenuti comuni, ma
è lecito sperare che si estenda a tutti) durante il colloquio. Le ore
di "aria" inoltre diventano tre e mezzo (in luogo di tre, non
di rado teoriche finora), e i detenuti potranno essere raggruppati in
15 (anziché 12: ma a Nuoro finora erano solo 6), e possono richiedere
di esser posti nelle celle non singole con altro o altri detenuti da loro
indicati (a Nuoro, finora era escluso). Così come possono a giorni alterni
consumare i pasti a due, invece che isolati: viene istituito uno spazio
di "socialità" negli "speciali" di due ore e mezza,
a giorni alterni; la biancheria che può loro essere fornita non è più
solamente quella "intima" e potranno ordinare e ricevere libri
senza limitazioni (la copertina "dura" continua ad essere interdetta...);
potranno ricevere pacchi viveri (a condizione che non richiedano d'esser
cucinati); avranno diritto a un pentolino, un tegamino, posate di legno,
la "napoletana" per il caffè... Di che, insomma, far inorridire
il senatore Valiani.
Per i 24 detenuti dei "braccetti" la vita resta però infernale,
feroce, malgrado i miglioramenti: nove ore anziché sei settimanali di
aria; possibilità di sopravvitto a giorni alterni; quotidiani da due a
quattro, settimanali da uno a due; potranno inviare e ricevere un telegramma
o una lettera al mese. Unica speranza, per ora, e personale mia certezza,
che si proceda nei prossimi giorni allo sfoltimento spontaneo anche di
questa categoria di detenuti. Il resto, cioè l'essenziale, va conquistato,
e si lotterà per farlo, al più presto, subito.
Infine, ma non ultimo per importanza, il fatto che nella circolare contenente
le nuove disposizioni il presidente Nocolò Amato ha incidentalmente, almeno
a due riprese, precisato che i fatti e misfatti che annullano eventualmente
l'una o l'altra di queste nuove condizioni, devono essere "violenti".
E' la prima volta, da sempre, che sia pur indirettamente le iniziative
nonviolente vengono previste e, se non esplicitamente legittimate, poste
di fuori del tiro repressivo automatico.
Ho voluto minuziosamente render conto di quel che - in quei novanta giorni
e da questa settimana - muta nella condizione dei detenuti "speciali".
Chi volesse ritenere tutto questo irrilevante o anche non importante provi
a mettersi nei panni del detenuto e si vergogni di nulla aver fatto in
passato, e di suo riflesso di oggi. Domani, senza sosta, per quanto ci
riguarda, prenderemo, continueremo per nostro conto a fare quel che abbiamo
sempre fatto, anche in questi giorni e ore.
Spero che i detenuti di Nuoro possano oggi tornare a nutrirsi, possano
terminare quest'anno e iniziare il 1984 con quella volontà di speranza
e anche di gioia che sono stati capaci di vivere e di trasmetterci. Lo
ripeto: la legalità, la civiltà era con loro.
Auguri anche a Mino Martinazzoli e Nicolò Amato: nell'errore politico,
che persiste, essi hanno in questi giorni inserito un segnale concreto
e serio che non intendiamo sottovalutare. Noi, al contrario di altri,
non abbiamo bisogno di demagogici espedienti per cercare di far dimenticare
le responsabilità primarie di questa disumana e incivile vicenda. 2026
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