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Cronologia del Partito Radicale -
1987

DOCUMENTI

Vi consegniamo Prima Linea... di Maurice Bignami e Sergio D'Elia NR62 del 18 marzo 1987
Questa volta sono con il Pci di Marco Pannella IL MANIFESTO, 7 marzo 1987
Usa: non uccidere di Ivan Novelli e Paolo Pietrosanti NR165 21 luglio 1987
Mozione del Consiglio Federale Chianciano 3/5 luglio 1987
Stati Uniti d'Europa subito! Il laboratorio politico è il partito transnazionale di Gianfranco Dell'Alba NR165 del 21 luglio 1987
Droga: si aggrava il flagello, che fare? di Marco Pannella IL TEMPO, 14 agosto 1987
Thomas Sankara: il cielo si è squarciato di Ouattara Gaoussou NR283  7 dicembre 1987
Assassinio del capitano Thomas Sankara  Risoluzione PE 26 ottobre 87
L'ultimo messaggio di Thomas Sankara di Marco Pannella NIGRIZIA 12/87  NR283/87
La sconfitta di Pirro dei nostri avversari di Marco Pannella L'AVANTI, 11.11.87
Rapporto sulla Polonia di Lucio Bertè e Olivier Dupuis NR201 16 dicembre 1987
Partito transnazionale di Lorenzo Strik Lievers NR302 del 31 dicembre 1987
Polonia: Obiezione all'est di Piotr Niemczyk NR87 del 28 aprile 1988
Intervista a Pannella Di Jasna Kobe TELEKS Lubiana, dicembre 1987
Caro Craxi, il Pr scompare di Marco Pannella IL MANIFESTO 29 dicembre 1987
Appunti per il Congresso di Marco Pannella NR302 31 dicembre 1987

Vi consegniamo Prima Linea...

di Maurice Bignami e Sergio D'Elia NR62 del 18 marzo 1987

Vi consegniamo Prima Linea, ci aspettiamo una tecnica della speranza e della nonviolenza

Questa volta, ragazzi, non siamo venuti all'Ergife Hotel a testimoniare col cuore in mano la nostra fedeltà alla democrazia.
Non siamo venuti a manifestare la nostra incondizionata simpatia al partito che della democrazia ha fatto una bandiera ed un'arma.
In questi mesi, siamo andati oltre il momento della dichiarazione e del giuramento. Siamo orgogliosamente incatenati alla speranza che opera e riscatta, siamo saliti sul treno e viaggiare ci piace e manco a calci ci allontanerete da voi.
In questi mesi, siamo andati oltre la fase dell'innamoramento e della seduzione reciproca. Non aspettatevi un panegirico del Partito Radicale, siamo già sposi ed ora ognuno deve fare il suo dovere.
Questa volta, soci, non aspettatevi chiacchiere o documenti scritti. Abbiamo già dato. Leggetevi i nostri interventi precongressuali. Poi, se avete problemi... parliamone.
Siamo venuti all'Ergife Hotel per rinnovare un impegno e per fare una consegna.
Uno è il tema che da sempre popola i nostri ed i vostri sogni.
Una è la promessa che ci obbliga: "diritto all'informazione ed alla comunicazione, al migrare degli uomini e delle idee".
La storia degli uomini è sempre stata attraversata dal pericolo e dalla paura. Vi è sempre stata una minaccia, una questione di vita o di morte per un uomo, una comunità, un popolo. La catastrofe ha sempre affollato i nostri incubi.
Una volta, era vento ardente, ti afferrava, ti scuoteva e poi ti lasciava. Passata, tiravi un sospiro di sollievo. Eri nel novero di quelli che ce l'avevano fatta.
Era una storia, una storia della sofferenza e della speranza, forse della redenzione e della salvezza, una storia nella quale l'uomo si scrollava di dosso il timore e la disgrazia ed operava il possibile.
V'era una convenzione tra gli uomini, un Patto nel Patto, una Promessa, un Diritto, una Tavola di Legge, una Costituzione. V'era l'inizio di una storia, altra dalla paura, ed un diritto positivo a salvare l'uomo, la sua gente e la sua terra.
La forza e la felicità della politica si sono veramente sentite quando gli uomini hanno saputo ad un tempo guardare indietro e guardare avanti, quando hanno saputo trarre dalla storia del Patto e della Promessa una speranza possibile, una salvezza non disperata.
Il primato della politica si è unicamente manifestato quando gli uomini hanno saputo trarre dalla propria storia i dettami per un governo delle possibilità che operasse il fattibile, realizzasse quel tanto di Promessa scritta nel Patto.
Il nostro tempo è animato invece da infinite, continue e planetarie catastrofi. Catastrofi vere e catastrofi non vere, ma terribili quanto le prime. Sciagure, misfatti e guerre rimbalzano come pallottole impazzite.
Non vi è lingua franca, non vi è territorio off-limit alla paura. Non vi è uomo che non soffra la paura dell'altro.
Nella società dell'informazione, la paura si emancipa e si autonomizza nel linguaggio dei media. Le informazioni sovrabbondano annullando le cose, eccedono liberandosi dal principio di realtà, perdono il senso della misura.
Le informazioni sono merci pregiate e prive di valore in un mondo della simulazione, dove tutti vendono clamorose saponette, dove tutti montano impazzite biciclette. Non si discerne il vero dal falso, tutto è vero e tutto è falso. Tutto è iperreale, vale a dire più vero del vero e più falso del falso.
Tutto è allacciato, ma non vi è nessuna correlazione tra le parole e le cose, gli uomini ed il mondo.
L'informazione è priva di conoscenza e non consente opinione. L'informazione è dissociata.
Nella società dell'informazione, causa ed effetto di un
mondo di contrastante e varia umanità, limitrofa e discordante, dissimile e promiscua, sola ed affollata, i pericoli e le paure proliferano come figli di una miseria priva di riscatto.
La paura corre sul filo. Il pericolo è una voce al telefono. Il messaggio teletrasmesso lega uomini diversi e fatti lontani a tempo reale ed a spazio zero. Non importa che il pericolo sia vicino o distante, reale od irreale, la paura si diffonde liberamente. La paura è il pericolo.
L'informazione è priva di conoscenza e non consente opinione. L'informazione è psicogena.
Il nostro tempo mostra senza possibilità di equivoci che il vero pericolo si annida nelle relazioni tra gli uomini.
La catastrofe oggi è nell'informazione.
E' l'informazione che relaziona l'uomo da quando il lavoro, la classe o la geografia non offrono più nessuna identità certa.
E' l'informazione che allontana e avvicina gli uomini, dà loro uno specchio nel quale riflettere l'immagine di sè e dell'altro.
E' l'informazione che media gli uomini e dona una identità che li fa tutti diversi e tutti uguali.
Uno è il tema che da sempre popola i nostri ed i vostri sogni, che l'uomo dimezzato dalle ideologie, dai partiti e dai razzismi diventi un uomo completo, vale a dire capace di confrontarsi liberamente con l'altro, con la sua diversità e la sua somiglianza, ovverosia con tutta l'umanità.
E' la qualità dell'informazione che pone il suo marchio alla qualità della vita e delle relazioni tra gli uomini.
Se il mio vicino di casa è distante, allacciato, mediato a me quanto un congolese, un'altra qualità dell'informazione può avvicinare, collegare, relazionare a me il congolese quanto un vicino di casa.
Una è la promessa che ci obbliga: "diritto all'informazione ed alla comunicazione, al migrare degli uomini e delle idee".
Non vogliamo rimodellare l'altra faccia della terra, vogliamo affermare il diritto di tutti a conoscere lo spettro delle opzioni possibili, vogliamo stabilire l'inalienabile diritto di ognuno a decidere la propria vita: cambiare se si vuole e se è possibile, in ogni caso poter partire.
Allora, vediamo tre fondamentali piani di intervento.
Obbligare il Diritto Internazionale e il Diritto dei singoli stati al rispetto delle leggi a tutela dell'informazione, della libera circolazione degli uomini e delle idee. In questa battaglia trova la sua ragione d'essere un Partito Transnazionale, un partito dello spazio giuridico autentico.
Valorizzare le competenze autorevoli per una nuova alleanza tra scienza e politica affinche l'informazione possa trasmettere conoscenza sui gradi reali di pericolo e permettere un'opinione sulle opzioni possibili. In questa ricerca trova la sua ragion d'essere una Convention Transnazionale, una convenzione per un governo delle risorse e delle difese.
Garantire comunque attraverso l'azione nonviolenta e la rete militante un diritto alla Salvezza-Subito per lanciare e captare segnali di aiuto e operare rapidamente sulle emergenze. In questo servizio trova la sua ragion d'essere una Green-Peace Transnazionale, una Green-Peace degli uomini.
Amici, su questo impegno noi intendiamo giocarci il futuro.
Qui ed ora facciamo una promessa e nella promessa un patto.
L'anno prossimo a Gerusalemme!
Questo grido non è soltanto un saluto, un augurio rituale, è un impegno ed una promessa, è un patto.
Noi tutti vogliamo che questo grido sia sentito ed ascoltato ovunque.
Noi tutti vogliamo che l'anno prossimo a Gerusalemme si vada davvero.
Noi tutti vogliamo che i nove prigionieri di Sion
Josef Begun
Grigory Lemberg
Alexei Magarik
Marat Osnis
Dora Kostantinovskaya
Grogory e Natalia Rosenstein
Cherna Goldort
Ida Nudel
abbiano il diritto all'informazione, alla comunicazione, il diritto a migrare, ad andare l'anno prossimo a Gerusalemme.
V'è in noi una solidarietà spregiudicata ed intima. Una solidarietà senza pregiudizio, perché ora sappiamo ed è semplicemente doveroso e giusto rispondere. Una solidarietà fraterna, perché siamo pur sempre in galera ed è naturale muoversi per chi non può.
Però, v'è soprattutto una strana e coinvolgente affinità elettiva, che comprende noi tutti, ci accomuna e fa convenire.
Noi e voi, siamo sempre stati affini, vale a dire non indifferenti. Non ci siamo mai tappati gli orecchi.
Noi armati di umanità ingenua e straziante, voi di umanità intelligente e nonviolenta, abbiamo risposto con eguale forza ed opposta umanità all'uomo che soffre e, privo di voce, chiede aiuto.
Giunti poi alla democrazia, ci è apparso un roseto, fitto ed indistinto, privo di sfumature. Un nido di rose da amare ed odiare chiacchierando sul tram, da sopportare per abitudine, senza passione. Un mucchio di rose indifferenti e grigie.
Poi, per caso, per normale gentilezza, per simpatia immediata, ci siamo incontrati, ed abbiamo scelto una rosa, la nostra rosa, una rosa da amare, unica, per un'eternità determinata.
Abbiamo scoperto il gioco distinto ed accattivante delle qualità, l'unico gioco per cui, in definitiva, valga la pena in politica come in amore di rispettare le regole ed impegnarsi alle buone maniere. Perché, tutto sommato, il rispetto delle regole è sempre un piacere e le buone maniere sono in ogni caso un obbligo, ma veramente difficile è appassionarsi, conoscere ed amare, creare legami e fedeltà, sentirsi responsabili ed operare nella vita delle qualità la qualità della vita.
Patto e stile delineano insieme una disposizione dello spirito, la non indifferenza limitata e formata.
Questa parte, la parte migliore di noi, ve l'abbiamo offerta gratuitamente, subito, come dono unilaterale.
Oggi, vogliamo offrirvi qualcosa di più, vogliamo offrirvi tutta la nostra storia, la parte luminosa e quella buia, consegnarvela e liberarcene.

Siamo venuti all'Ergife Hotel per rinnovare un impegno... e per fare una consegna.
In questa Convenzione Democratica, noi vi consegnamo un'organizzazione terroristica, nuda, mani e piedi, cuore ed anima finalmente liberati.
Noi abbiamo sciolto la banda armata Prima Linea nel 1983, oggi ve la consegnamo pura moralità e patto di non indifferenza, vi consegnamo uomini e donne armati di compassione e tolleranza, per tornare a vivere e lottare con le ragioni e nelle speranze del Partito della Vita e della Nonviolenza.
Vi consegnamo:
Sergio Segio e Susanna Ronconi
Roberto Rosso e Liviana Tosi
Nico Solimano e Barbara Graglia
Ciro Longo e Alba Donata Magnani
Salavatore Carpentieri e Elvira Arcidiacono
Paolo Cornaglia e Federico Alfieri
Paolo Zambianchi e Adriano Roccazzella
Bruno Russo Palombi e Ernesto Grasso
Roberto Marrone e Raffaele Iannelli
Marco Solimano e Luca Frassineti
Nando Cesaroni e Zazà Palmieri
Roberto Vitelli e Giancarlo Scotoni
Fausto Amadei e per ultima Mariateresa Conti
Vi consegnamo Prima Linea, però... vogliamo un riscatto.
Vi abbiamo offerto disposizione dello spirito e piena dedizione, da voi ci aspettiamo un dono più grande, ci aspettiamo una tecnica della speranza e della nonviolenza, un sentimento della politica e della conoscenza, ci aspettiamo una filosofia politica ed una educazione sentimentale... finalmente al servizio della Democrazia.
Maurice Bignami Sergio D'Elia

Roma Rebibbia/ Ergife Hotel 26, 27 28 febbraio, 1 marzo 1987.


Questa volta sono con il Pci

di Marco Pannella IL MANIFESTO, 7 marzo 1987

Per la prima volta dalla costituzione del Partito radicale, nel 1955, e dal suo ingresso nel Parlamento, nel 1977, mi sembra che i radicali possono pienamente concordare con una indicazione politico-istituzionale di grande rilievo presa dal Pci, in occasione della formazione di un governo della Repubblica.
Il Pci ha indicato al presidente Cossiga la sua preferenza per un governo ("istituzionale") che garantisca la tenuta dei referendum già convocati, salvatisi dalla decimazione inaudita e scandalosa operata dalla cosiddetta Corte costituzionale della Repubblica.
Con pari forza rispetto alle occasioni di dissenso gravissime che da un ventennio ci hanno opposto ai compagni comunisti, dobbiamo oggi dare atto, sottolineare il grande, grandissimo valore della scelta compiuta ieri. Il Pci, infatti, difende in tal modo iniziative istituzionali e politiche non proprie, ma assunte da altri, con la sua iniziale dura opposizione (referendum sulla giustizia), o con critiche e perplessità non secondarie (referendum sul nucleare).
Questa scelta è dunque, limpidamente e fortemente, una scelta in difesa della certezza del diritto, di un minimo di lealtà del gioco democratico, della dialettica corretta fra i vari poteri e le varie istituzioni. Ci perdonino i compagni del Pci, ma noi la riconosciamo pienamente come rispondente alla nostra tradizione ed alle nostre proposte di rinnovamento, per l'unità, della sinistra.
Noi radicali ci troviamo a far parte dei comitati promotori di questi referendum, sia di quelli sul nucleare, sia di quelli sulla giustizia. Se il Pci percorrerà con decisione questa strada, ad esso andrà il merito di aver difeso i diritti del popolo a pronunciarsi, ormai, sulle richieste referendarie, i diritti delle centinaia di migliaia di cittadini che hanno concorso al successo dell'iniziativa del Pli, del Psi, del Pr da una parte e, dall'altra, di quella di Dp, degli ambientalisti e dei verdi, del Pr e de "il manifesto".
Per chi, come noi, sta lottando, in modo politico e non per dopodomani, per la Riforma uninominale del sistema politico ed elettorale italiano, a partire dalla costituzione della unità delle forze laiche, dal prossimo anno o già da questo, con quel che comporta "questa" Riforma (e non quelle di Pasquino o di De Mita), questa rondine può far primavera, venendo dopo la battaglia parlamentare comune per la costituzione della Commissione d'Inchiesta sui "fondi neri", quella sul Sud-Tirolo/Alto-Adige, le forti opposizioni interne con cui il Pci ha (purtroppo) votato la Rognoni-Violante, il piccolo, ma serio segnale di attenzione e di distensione costituito dalla delegazione al nostro Congresso e dal suo "rango"...
Se non la formula indicata al Presidente della Repubblica, l'indicazione a favore dei referendum, della loro tenuta (per non rischiare una "180" della giustizia e del nucleare, nella fretta di votare comunque, in poche settimane, proposte non ancora concepite di leggi, dopo un anno di ricerche e di tentativi) coincide con la decisione dell'esecutivo del Psi, oltre che con le nostre delibere congressuali.
Poichè anche i compagni di Dp e della Sinistra indipendente sono - fino a prova del contrario - su questa posizione di fondo per la tenuta dei referendum, il presidente Cossiga, ma anche il Pli (membro del Comitato per i referendum sulla giustizia, anche se l'amico Renato Altissimo sembra un po' dimentico di questo impegno e delle delibere del congresso del Pli) e il Psdi non potranno certo ignorare, ciascuno per quanto gli compete, questo fatto nuovo, questo schieramento che è contrario al rischio dello scioglimento delle Camere (il quinto consecutivo: al limite della sostanziale incostituzionalità), al rischio della ennesima beffa contro l'istituto dei referendum (al limite, anch'essa, della sostanziale incostituzionalità; che ricorda che la Costituzione stabilisce che i referendum sono ammessi tranne che per i Trattati internazionali e le materie tributarie?).
Prevale, insomma, una maggioranza parlamentare pressoché assoluta, corrispondente a quella che i sondaggi rivelano nell'elettorato, anche se - qui - con una maggioranza dei due terzi. E chi ignora che non solamente il 58% degli elettori della Dc, ma la gran parte dei suoi dirigenti e dei suoi parlamentari sono favorevoli al referendum sulla giustizia, alla sua tenuta ed al suo sostegno; così come per elettori e parlamentari del Msi?
Durante questa crisi ci pare che il Presidente della Repubblica non possa ignorare che sono in causa interessi legittimati ad agire dei Comitati promotori, che rivestono caratteristiche piene di "Poteri dello Stato", e ci permettiamo sommessamente di augurarci che essi siano quindi normalmente consultati.
Il solo Partito repubblicano, da mesi, senza tentennamenti, ha fatto del sabotaggio dei referendum il suo obiettivo principale. In questo appare isolato, anche se il segretario della Dc, in queste ore, sembra cominciare a fargli eco.
Ci sembra giusto trarne le conseguenze. D'altra parte, dopo gli interventi, costanti, di Giorgio La Malfa, frequenti, di Bruno Visentini, nessuno dovrebbe troppo rimpiangere, anche all'interno del Pri, una breve cura di digiuno di potere e di sottopotere; né la rimpiangerebbe il paese, dopo i brillanti "exploit" di Spadolini alla Difesa.
Non ci sembra che esista, comunque, la possibilità di una maggioranza bipartita Dc-Pri, o anche tripartita, con il Pli, nel caso in cui Renato Altissimo decidesse di immolare la parola liberale all'imperativo categorico di salvare la lobby nucleare da una sconfitta psicologica, visto che è in causa circa il 2% del fabbisogno energetico e non una scelta nucleare di qualche consistenza.
Se sapremo tutti cogliere questa occasione, fino in fondo, a cominciare dai nostri compagni del Psi che - non dispiaccia a nessuno - si rivelano a questo punto centrali per una leadership in difesa del fronte referendario, con il Pci in posizione di apporto pressoché determinante, l'alternativa vera è quella fra un governo che difenda la certezza del diritto e lo spirito delle leggi difendendo la tenuta dei referendum, o un governo che abbia come principale compito quello di frodare il paese di una prova democratica e istituzionale doverosa.
Ci sembra che il golpe legale, ma non legittimo, del rinvio del Parlamento a casa, possa difficilmente trovare le complicità di cui abbisogna non solamente sul piano politico ma perfino su quello tecnico-istituzionale, se si tiene d'occhio il calendario. 2118


Usa: non uccidere

di Ivan Novelli e Paolo Pietrosanti NR165 21 luglio 1987

Non c'è soltanto Paula Cooper.
Altri 35 minorenni attendono l'esecuzione nei bracci della morte delle carceri americane.
A dieci, quattordici o sedici anni non si può votare, non è consentito fare all'amore, non si ha giuridicamente capacità di agire; negli Stati uniti d'America si può essere condannati a morte e giustiziati.
37 dei 50 Stati americani prevedono la pena capitale; 26 consentono che sia comminata ai minorenni.
Amnesty International ha nelle scorse settimane diffuso una serie di dati e testimonianze raccapriccianti nel dare avvio ad una campagna contro la pena di morte negli Usa.
Raccapriccianti i metodi di esecuzione, innanzitutto: la sedia elettrica, le iniezioni di veleno, l'asfissia per mezzo di gas letali sono i più usati; ma poi anche plotoni d'esecuzione e l'impiccagione.
La crudeltà delle esecuzioni è testimoniata da alcuni recenti casi: nel 1983, in una elettro-esecuzione in Alabama, furono necessarie tre scariche da 1900 volt nell'arco di 14 minuti per uccidere il condannato. Alla seconda scarica fumo e fiamme uscirono dalla tempia sinistra e dalla gamba sinistra.
Nel 1984 in Georgia i testimoni videro il condannato lottare per otto minuti per riuscire a respirare dopo la prima scarica che non lo aveva ucciso. Un anno prima nel Mississippi, in una esecuzione con gas, il prigioniero fu per otto minuti in preda a convulsioni e batté ripetutamente la testa sul palo posto dietro di lui. Alcuni dei testimoni dichiararono che egli non era ancora morto quando i funzionari chiesero loro di abbandonare l'aula dell'esecuzione.
Nel 1984, in un'esecuzione per iniezione letale nel Texas, il condannato "impiegò almeno dieci minuti a morire, agitandosi e lamentandosi per il dolore" (Newsweek). Un anno dopo, sempre nel Texas, gli "addetti" hanno cercato per 40 minuti una vena adatta per l'ago dell'iniezione negli arti del prigioniero. Non che la morte istantanea e indolore ci trovi consenzienti (peraltro istantanea e indolore non è mai, preceduta com'è da anni di attesa terribile), ma la crudeltà che emerge da questi esempi non può non far riflettere anche i sostenitori della pena capitale.
Per l'abolizione della pena di morte - non solo per i minorenni -si è costituito il coordinamento "Non uccidere", che raggruppa già cinquanta tra enti e associazioni laici e religiosi.
Presieduto da don Germano Greganti - l'audace prete alla testa di "Carcere e Comunità", fautore del dialogo con i dissociati e gli irriducibili, ben noto per le sue battaglie per i diritti dei detenuti - il coordinamento ha invitato in Italia nei giorni scorsi William Touchette, l'avvocato di Paula Cooper.
La giovanissima americana di Gary (Indiana) è divenuta il simbolo delle iniziative europee e soprattutto italiane, intraprese da piccoli e grandi gruppi, da partiti e sindacati, scolaresche e singoli cittadini.
E' impossibile citarle tutte. Vogliamo segnalarne solo le più significative.
Dall'ordine del giorno del Consiglio comunale di Roma in cui "si unisce alla pubblica opinione internazionale nel chiedere che sia concessa la grazia a Paula Cooper" alle molteplici prese di posizione del Parlamento europeo.
La Sottocommissione per i diritti umani, riunita a Roma nell'ultima settimana di marzo, ha ribadito le posizioni del Parlamento europeo. Contro la pena di morte e si è espressa in materia particolare sulle sentenze di condanna a morte di giovani in minore età. Il presidente della Sottocommissione, De Gucht, ha anche incontrato alcuni rappresentanti di "Non Uccidere" ai quali ha espresso il pieno appoggio della Sottocommissione alle iniziative intraprese dal comitato.
Emma Bonino, deputata radicale al P.e. è la prima firmataria della risoluzione approvata nel maggio scorso dal Parlamento europeo. Nella risoluzione firmata da deputati di quasi tutti i gruppi parlamentari, tra l'altro si legge: "Il P.e. lancia un appello alle autorità dei diversi Stati dell'Unione nei quali la pena capitale è ancora in vigore, affinche sospendano qualunque esecuzione capitale; domanda al Consigli, alla Commissione, e agli Stati membri di porre in atto tutte le misure necessarie affinche in segno di buona volontà lo Stato dell'Indiana attraverso una decisione del suo governatore trasformi la pena capitale di Paula Cooper in pena detentiva".
Diciotto dissociati già appartenenti alle Brigate rosse, a Prima linea e a formazioni di destra, quali i N.a.r. hanno inviato un appello agli americani e al governatore dell'Indiana.
"Noi che in passato ci siamo arrogati il diritto di decidere della vita di un altro, noi che siamo stati persone di morte, noi che oggi ci riteniamo esuli dal terrore e dall'eguaglianza, profughi dai fini e dai mezzi che ci resero aspri e barbari, guardiamo con ragione e speranza al mondo libero, se non altro libero dalla necessità di dover cambiare o spegnere la natura umana. Amate la democrazia, graziate Paula Cooper. Per lei, per voi e per tutti noi".
Oltre cinquecentomila firme raccolte in Italia hanno già raggiunto il tavolo del governatore dello Stato dell'Indiana.
E per ringraziare gli italiani anche da parte di Paula è venuto il suo avvocato che ha tenuto una serie di incontri, conferenze e trasmissioni radiotelevisive a Roma e Firenze.
Dovremo salvare Paula Cooper, assolvendo un impegno che da radicali assumemmo già nell'estate scorsa. Con lei dovremo continuare la gigantesca e assolutamente necessaria campagna contro la pena assassina.
Scrisse Giorgio Del Vecchio, filosofo del diritto: "La storia delle pene, in molte sue pagine, non è meno disonorevole per l'umanità che quella dei delitti".
La democrazia si misura con il rispetto della vita praticato in una collettività; la pena di morte ne è la negazione, ed è provato che non ha alcuna funzione minimamente apprezzabile di prevenzione generale dei delitti.
Cominciamo col salvare Paula Cooper. 223


Mozione del Consiglio Federale

Il Consiglio Federale del Partito Radicale, riunito a Chianciano nei giorni 3,4,5 luglio 1987,

- RILEVA che grazie ai risultati elettorali del 14 giugno si é aperta una fase autenticamente nuova per la politica italiana, tanto ricca di prospettive e potenzialità quanto - proprio per questo - sottoposta ai rischi e ai colpi di coda di un equilibrio partitocratico che si vede oggi messo profondamente in discussione. Tutto ciò é accaduto anche grazie al risultato elettorale del PR e soprattutto grazie all'iniziativa politica radicale di questi anni. La sfida radicale deve perciò essere rilanciata e rafforzata, a maggior ragione dopo la prova del 14 giugno;
- CONFERMA E SOTTOLINEA gli obiettivi stabiliti dalla mozione approvata dal 32.o Congresso, volti a conquistare condizioni di una vera e propria rifondazione del partito, in senso transnazionale e transpartitico, per la riforma democratica del nostro Paese e la riforma federalista in Europa;
- INVITA le associazioni, i gruppi, i parlamentari radicali e i cittadini democratici ad impegnarsi per l'immediata convocazione e lo svolgimento dei referendum italiani ed europei ai quali é affidato il pieno sviluppo della politica radicale e che riguardano in Italia i temi della giustizia (Commissione inquirente e responsabilità civile del giudice) e del nucleare, nonché, in Italia e in Europa, l'indizione di referendum consultivi sul progetto Spinelli, per l'assegnazione dei poteri costituenti al Parlamento di Strasburgo sin dalla sua prossima elezione diretta nel 1989. Lo svolgimento dei referendum sarà perseguito tanto nelle istituzioni quanto attraverso la costituzione di "Comitati per la vittoria del SI nei 5 referendum ad ottobre" e per la celebrazione del referendum sull'Unione politica europea;
- IMPEGNA GLI ORGANI ESECUTIVI a lanciare - pur nelle difficilissime condizioni finanziarie ed organizzative del partito- una campagna di iscrizioni al di fuori dell'Italia e prioritariamente nei Paesi europei affinché sia assicurata sin dal prossimo Congresso una credibile base di energie non solo italiane ed una maggiore forza alle speranze federaliste internazionaliste ed alle battaglie per i diritti umani;
- ISTITUISCE due commissioni affinché sulla base del loro lavoro istruttorio sin da settembre il Consiglio Federale, l'Assemblea federale, gli iscritti, possano condurre un dibattito approfondito sui temi della rifondazione statutaria ed organizzativa del partito e dei progetti di iniziativa politica transnazionale, sui quali sarà chiamato a deliberare il Congresso che si terrà a Bologna nei primi giorni di novembre. 3480


Stati Uniti d'Europa subito! Il laboratorio politico è il partito transnazionale

di Gianfranco Dell'Alba NR165 del 21 luglio 1987

Altiero Spinelli ci ha lasciato un anno fa. Era uno degli ultimi, se non l'ultimo, profeta dell'Europa, colui che, ancora due mesi prima della morte, continuava a stimolare incessantemente i suoi colleghi del Pe contro ogni tentativo di ripiegamento, di sottomissione, di abbandono dell'azione in favore di una vera Unione Europea.
E' a lui che il Pe, la Comunità tutta intera devono il Progetto di Trattato per l'Unione Europea che è stato votato il 14 febbraio 1984 e che tante speranze ha suscitato tra coloro che credono che solo l'integrazione politica dei nostri paesi è in grado di far uscire la Cee dalla crisi strutturale in cui si trova e di dare all'Europa un nuovo slancio alla vigilia del terzo millennio.
Tutti erano favorevoli al progetto Spinelli, salvo qualche "conservatore" di destra e di sinistra che sogna ancora la vecchia utopia della "via nazionale", che sia essa quella del socialismo, del capitalismo, del liberalismo.
Tutti hanno costruito su questo progetto la loro campagna elettorale europea, affermando di voler difendere e far adottare questo nuovo trattato. Tutti hanno mentito agli elettori, perché ad urne chiuse, tutti si sono affrettati, attraverso i partiti nazionali, a mettere la sordina agli slanci federalistici del Parlamento europeo per limitarsi a conferire, una volta ancora ai rappresentanti nazionali, il compito di por mano a questo progetto, per banalizzarne il contenuto e per ridurre a nulla gli elementi innovatori.
Il risultato è stato un testo anodino, spogliato di ogni impatto progressista, che si limita a cercare di accelerare la libera circolazione delle persone, dei capitali, e dei beni tra i 12 paesi per il 31 dicembre 1992... compito che era già contenuto nel Trattato di Roma del 1957! Questo testo è comunque entrato in vigore solo il 1° luglio scorso, e cioè un anno e mezzo dopo la sua approvazione da parte dei capi di Stato e di governo dei Dodici. Il Pr, il nostro partito transnazionale, questo partito di militanti senza frontiere, rifiuta questo abbandono, questo "spirito di Monaco" che riunisce le altre formazioni politiche cosiddette europee, al di là della buona volontà di qualcuno.
Non è sufficiente darsi buona coscienza a buon mercato, facendo votare i propri rappresentanti in un certo modo al Parlamento europeo, sapendo benissimo che i rappresentanti dello stesso partito, a livello nazionale, si opporranno ad ogni dinamica federalista dell'Europa.
La ricreazione è finita: finito il tempo in cui si poteva giocare facilmente su due tavoli. E' venuto il momento di fare della scelta europea una scelta prioritaria, una scelta politica, una scelta di società.
E' venuto il momento di prendere posizione, di costituirsi in partito europeo, per l'Europa, e per gli Stati Uniti d'Europa. E questo oltre e al di fuori delle divisioni "destra-sinistra", perché in questo campo è altrove che si situa la differenza.
Il Partito radicale dovrebbe insomma diventare il "secondo partito" di coloro che sull'Europa pensano che si deve fare di più, subito e realmente, in più di tutti coloro che l'hanno scelto come primo partito, il partito che incarna i loro valori, le loro speranze, i loro ideali.
La strada che noi proponiamo è semplice: essa può e deve unirsi a quella dei federalisti organizzati, disposta ad esserne anche l'elemento propulsore, per fare in modo che il metodo radicale divenga il catalizzatore di tutti coloro, oggi ridotti al silenzio, che vogliono l'unione politica dell'Europa.
Tutti i sondaggi realizzati a livello europeo provano che esiste una maggioranza in tutti i paesi, compresa la Gran Bretagna e la Danimarca, in favore di più Europa, di più poteri al Parlamento europeo. Ebbene, noi chiediamo che referendum consultivi siano organizzati a livello europeo su due quesiti semplici ma capitali;
- volete voi gli Stati Uniti d'Europa?
- volete voi che sia conferito al Pe eletto nel giugno 1989 il potere di Assemblea Costituente incaricata di elaborare un progetto di trattato per gli Stati Uniti d'Europa?
Una prima petizione, sottoscritta da centinaia di cittadini di tutta Europa, è già stata indirizzata al Consiglio Europeo riunitosi a Bruxelles il 29 e 30 giugno scorsi. E' chiaro tuttavia che una azione in questo senso in tutti i paesi presuppone un impegno concordato di tutti coloro che non accettano lo status quo, la via tecnocratica dei signori di Bruxelles, di Jacques Delors e degli altri, capaci solo di piegarsi alle volontà nazionali dei governi e di cercare di porre rimedio agli sfasci di gestione e di impostazione da loro stessi o dai loro predecessori generati.
Questo impegno, questa volontà comune deve ritrovarsi nell'organizzazione in partito, in un partito nuovo, che non conosca frontiere né barriere nazionali, in cui tutti possano iscriversi e concorrere a far trionfare i suoi valori e le sue speranze. E' illusorio infatti pensare che gruppi di pressione, come i vari raggruppamenti dei federalisti, per di più organizzati su base "nazionale", possano ancora rappresentare un valido strumento per imporre una volontà europea a partiti e governi ormai consolidati nei loro interessi e programmi "nazionali" in cui la dimensione europea è più o meno accentuata, ma mai prioritaria.
Certo, tutti si ritrovano poi nelle "Internazionali", quella socialista, quella liberale, quella democristiana. Ma sono mere giustapposizioni di partiti, fori politico-turistici ove le rispettive sezioni "esteri" dei partiti confrontano le proprie posizioni, ben guardandosi dal dirigerle verso obiettivi determinati a costruire una nuova entità politica.
E come potrebbero del resto i laburisti inglesi elaborare un programma comune con i socialisti francesi, con gli italiani, con i partiti al governo in Grecia o in Spagna? E si è mai visto forse un cittadino iscritto all'"Internazionale liberale", o a quella "socialista"? No, beninteso, non è possibile farlo, solo i partiti sono membri di queste confederazioni prive di reale capacità decisionale. Un'Europa federale non si può costruire dunque su queste basi.
Occorre dunque che il Partito radicale divenga il laboratorio politico di una nuova esperienza, forte del suo statuto che da sempre prevede la possibilità per tutti di iscriversi al Partito, e della Mozione del suo congresso di febbraio scorso che lancia l'obiettivo di migliaia di iscritti fuori d'Italia come priorità politica per l'anno in corso.
Per poter impostare una campagna a livello europeo per gli Stati Uniti d'Europa è dunque necessario che il maggior numero possibile di persone in Francia, in Spagna, in Belgio, in Germania e altrove si iscrivano al Partito radicale, il partito dei diritti umani, della nonviolenza, dell'obiezione e affermazione di coscienza, delle libertà e della democrazia. Al partito che si batte per i refuznik sovietici ai quali viene negato il diritto di espatriare e che lotta allo stesso tempo per strappare dalla sedia elettrica Paula Cooper negli Stati Uniti o per far uscire di prigione Michalis Magarakis, colpevole solo di sollecitare dal suo paese, la Grecia, il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza, così come è sancito dal Parlamento Europeo, e dal Consiglio d'Europa. Per continuare la battaglia di Spinelli, per imporre la priorità degli Stati Uniti d'Europa, per una nuova stagione radicale questi mesi sono decisivi, sono il banco di prova per il successo in un momento invece in cui la Comunità attraversa uno dei suoi periodi più difficili.
Una serie di iniziative stanno prendendo il via perché quest'estate possa essere posta all'insegna dell'azione radicale. Gruppi di militanti dovranno ripartirsi un po' ovunque in Europa per far conoscere il Partito, per raccogliere iscrizioni ed adesioni alle nostre battaglie.
L'obiettivo è molto ambizioso e difficile; esso è allo stesso tempo l'unico attraverso il quale il Partito radicale può far conoscere la sua voce al di fuori d'Italia, la sua vera immagine, per cercare di costituire e dare corpo al progetto per il quale uomini come Altiero Spinelli hanno lottato per tutta la loro vita. 174


Droga: si aggrava il flagello, che fare?

di Marco Pannella IL TEMPO, 14 agosto 1987

Nei primi sei mesi 209 persone sono morte. In italia si spendono ogni anno 27 mila miliardi e settecento milioni.

Contro la droga e la criminalità
C'E' LA GUERRA. Ci sono anche i feriti, i mutilati, gli orfani, i disperati, i disadattati. Il flagello è unico, ma i problemi sono diversi e non vanno confusi, pena il non risolvere alcuno.
Il flagello della guerra della droga è "senza dubbio alcuno", nella sua fenomenologia attuale, il portato esclusivo del regime proibizionistico. E' questo regime, dunque, che va innanzitutto abolito. E' un regime internazionale, e a livello internazionale va combattuto. Cioè a partire da ovunque, a partire da qui, da "qui", Italia, Spagna da qui Europa (o da qui USA o Thailandia o Brasile o Bolivia o Beirut).
Anche l'alcool, anche il tabacco, anche gli psicofarmaci di massima diffusione sono un flagello. Il loro costo diretto in vittime umane e in interventi sociali è anzi senza dubbio maggiore. Ma in termini di vita del diritto e di diritto alla vita, di istituzioni, di leggi, di criminalità e di pericolo mortale per la società e per gli Stati non c'è confronto fra la gravità del problema droga e di questi altri.
Senza il regime proibizionistico il flagello della droga sarebbe ridoto al rango dei "flagelli" alcool, tabacco, psicofarmaci. Affidata alle logiche del mercato ufficiale, "libero", la "droga" perderebbe ogni autonoma sua caratteristica rispetto a questi altri prodotti, cioè cesserebbe di esistere in quel che di più tremendo, pericoloso, costoso e potenzialmente mortale per la società rappresenta.
Con il persistere del regime proibizionistico il flagello non potrà non estendersi, fino a registrare fra breve progressioni geometriche in non poche regioni del mondo.
La potenza della grande criminalità prodotta dal regime proibizionistico, intimamente strutturata ormai con quella del traffico clandestino delle armi, già comincia ad essere trasferita e riciclata nel mondo istituzionale ed economico, animandolo irrimediabilmente della sottocultura antropologica che questa storia sta sviluppando, con i suoi interessi e obiettivi.
Quel che resta del proibizionismo americano degli anni Venti non è tanto il ricordo delle vittime dell'alcolismo di un alcool adulterato e non controllato, distribuito e prodotto dalla criminalità. Ma per peste del gangsterismo, delle città e delle istituzioni attaccate, insanguinate, corrotte, di mafie e camorre che da decenni sono sopravvissute, trovando rilancio senza precedenti da due decenni, nel nuovo "proibizionismo".
Nella società contemporanea la sola merce "libera" è di fatto quella "proibita" finché circola. Ogni merce in "libera vendita" è gravata in realtà di molti controlli, diretti ed indiretti. La "carne" che mangiamo a casa o nei ristoranti è regolamentata fin da quando è animale vivo. Del vitello, ad esempio, si controllano il nutrimento e le condizioni igieniche, il trasporto nei mattatoi, la macellazione, la conservazione, la vendita, l'esposizione, la qualità, il prezzo. In questa direzione, certamente, si svilupperà sempre di più ogni commercio, non solamente di generi alimentari ma di qualsiasi merce.
La proibizione di una merce, per legge fondamentale ed insuperabile di mercato, si risolve in un suo aumento di valore, direttamente proporzionale alla domanda ed al rischio dell'offerta. Il commercio di merce proibita fa di questa merce la sola ad essere "libera" nel prezzo, nella qualità, nella fornitura e nel consumo. I profitti che su di essa si realizzano sono totalmente "liberi", senza concorrenza e controllo possibili, senza pari rispetto a qualsiasi attività lucrativa. Per loro naturale logica, le organizzazioni connesse al commercio della droga reinvestono profitti giganteschi nella promozione del settore, e si riversano altrove con il solo limite delle capacità di assorbimento dell'offerta.
La caratteristica specifica della "droga" della quale ci occupiamo (quella "pesante", le altre non meritando nemmeno il nome di droga) è che crea dipendenza e assuefazione, una condizione oggettiva di bisogno e di domanda, che si espande progressivamente, appena intaccata dall'attività repressiva. Per definizione il tossico-dipendente diventa menomato nelle sue capacità di intendere e di volere, in particolare nei momenti di obiettiva crisi di carenza.
Il proibizionismo, non la droga in sé, ne fa un essere pericoloso socialmente, e "definitivamente" pericoloso anche a sé. Il recupero morale, vitale, di una persona che sa di aver compiuto e di dover compiere atti di grave violenza contro altri, innocenti, non di rado proprio contro quelli che più amano o dalle quali più sono amati, diventa sempre più difficile. La angoscia, la disperazione, il male di vivere diventano sempre più profondi, intimi, definitivi appunto. Fino alla morte, o al sempre più improbabile recupero, diventano "macchine" perfette per l'impresa criminale, per l'esercito senza confini e senza possibilità di obiezione del quale è il "soldato", l'"assoldato".
ALTRA è la condizione delle vittime dell'alcool, degli psicofarmaci (per non parlare del tabacco) le droghe sorrette da segno positivo, culturalmente parlando, appoggiate dalla pubblicità e da forze culturali e produttive pressoché sovrane nella nostra società.
Tre anni or sono, dalle colonne de "Il Corriere della Sera" lanciai in Italia la proposta anti-proibizionista. Da allora ho di fatto taciuto, in parte per scelta, in parte perché il bavaglio è stato serrato. La proposta è stata "oggetto" di infinite menzioni, in dibattiti che si riservavano rigorosamente ad altri.
Ho riflettuto, ho studiato, ho partecipato a commissioni d'inchiesta, parlamentari e no, europee o italiane che fossero.
Con i miei compagni del Partito radicale abbiamo cercato di ottenere, nel frattempo, il massimo di sostegno possibile all'opera di chiunque lottasse sul fronte del recupero, dell'assistenza, del reinserimento degli ex-tossico-dipendenti o di coloro che tuttora legati al consumo di droga alla loro attività facevano ricorso. Gli atti della CEE e i bilanci di Stato lo documentano. Abbiamo ugualmente cercato di sostenere la lotta nobile e senza quartiere, meritoria e pericolosa, che l'organizzazione dell'ONU diretta dal dr. Di Gennaro, a Vienna e da Vienna, va conducendo un po' ovunque nel mondo, in primo luogo nei paesi di produzione.
Continueremo a farlo, ma perfettamente consapevoli che si tratta dell'assistenza e del recupero dei "feriti", degli "orfani", dei "disadattati", degli sconfitti e dei disperati della guerra in corso; anzi di una piccola parte di loro. O dell'esperimento di lotta che si ha moralmente il dovere di sostenere , quando è ingaggiata da gente onesta e forte, anche se si è sempre più convinti che per quella strada non si può conoscere che la sconfitta. E' questo il prezzo della tolleranza e umiltà. Ma non può scadere, per noi, ad alibi. Il nemico è nel proibizionismo; è il proibizionismo; non in un prodotto, in una merce o nel male di vivere, nella perversità necessaria dell'umanità o di una sua parte. La droga come materia di per sé maledetta e attiva. I criminali della droga di per sé imbattibili, superiori ad ogni altro, padroni diabolici del mondo.
Il nemico è anche in noi; nella nostra attesa, nel non organizzarci, subito, perché la battaglia appare ed è di immensa difficoltà e l'obiettivo appare troppo al si sopra delle nostre forze. Ma se non cominciamo subito, in modo organizzato, non vinceremo mai, o quando sarà troppo tardi.
Si può amare o detestare il pensiero, l'opera, il peso di Milton Friedman, il Premio Nobel cui si imputano gli "eccessi" reaganiani, l'ideologia ultraliberista, l'antistalismo rigoroso e pressoché messianico. Ma ci pare difficile e imprudente negarne la serietà e l'importanza.
E' proprio sul fronte della droga che Reagan e Milton Friedman appaiono invece i generali dei due eserciti che si affrontano. Reagan sta passando apertamente ad una ideologia ed a una pratica militare e autoritaria contro la "droga", ben più liberamente e incontrastato che nell'altra sua crociata, quella contro il demonio sandinista. L'ONU e le organizzazioni internazionali ne risentono e si va delineando una naturale convergenza culturale e strategica fra le "medicine antidroga" dell'impero sovietico e degli stati totalitari, e quelle del Presidente americano e dei suoi sostenitori.
Milton Friedman non cessa di denunciare questa politica come illusoria, antiliberale e antiliberalista, ideologica, statalista, follemente costosa sul piano del diritto non meno che dell'economia, oltre che perdente. Bastano, fra tante, le poche pagine del suo libro "Contro il potere dello status quo", del 1984 (ed. Longanesi).
Nel corso di una hearing - in seduta non pubblica - della Commissione speciale del Parlamento Europeo per i problemi della droga, chiesi al Direttore generale dell'Interpol Mr. Kendall di rispondere a titolo personale e non ufficiale ad una domanda. Lo fecce, e lo prego qui di scusarmi se a fin di bene compio una indiscrezione, che spero voglia perdonarmi. La domanda fu questa: "Mr. Kendall, se fossimo qui riuniti in quanto capi di ``Cosa nostra'' decideremmo di sostenere una campagna anti-proibizionista o una difesa dello status quo, del regime proibizionista?". La risposta fu probabilmente difficile, tormentata, chiarissima, ma laconica. Lascio ciascuno indovinare quale.
IN QUESTI anni, in ogni paese, a volte ai massimi livelli di responsabilità, nel mondo della scienza, della cultura, della politica, del diritto e degli addetti alla sicurezza ed all'ordine pubblico, si sono levate voci chiare e coraggiose contro il regime proibizionistico. Ma poiché la soluzione non può venire dalle istituzioni degli Stati nazionali (o solamente da esse: l'antiproibizionismo in un solo paese sarebbe suicidio inutile) ma delle organizzazioni internazionali o, quanto meno, da regioni del mondo come la comunità Europea, L'America del Nord e del Centro, il Medio e l'Estremo Oriente, e via dicendo, non si sono fatti passi avanti.
Occorre quindi passare subito alla organizzazione di una campagna transnazionale, alla costituzione di una "Lega anti-proibizionismo". 2067


Thomas Sankara: il cielo si è squarciato

di Ouattara Gaoussou NR283 del 7 dicembre 1987

In una lingua popolare dell'Africa occidentale, il dioula, San-karira significa: Il cielo si è squarciato.
Il 15 ottobre, sotto i colpi dei kalaschnikov, il cielo d'Africa si è squarciato. Un cielo sotto il quale le donne avevano iniziato a credere in se stesse e non erano più mucche da latte e questo era accaduto grazie ad un uomo: Sankara. Sankara aveva 37 anni e non c'era nessuna ragione che la sua giovinezza mancasse all'appuntamento con la sua politica progressista. Il suo successo popolare ed immediato nasceva dalla limpidezza del suo intelletto; era la forza di un pensiero semplice e vero, fedele ad alcuni valori. Era il successo della promessa di speranza che vive in ogni uomo che è sorretto da una fede. Sankara era cattolico e meditava sui libri santi.
Il cielo si è squarciato e sotto questo cielo vi era una risposta alla speranza e al bisogno di unità del pensiero e dell'azione dei neri di Africa.
Qualcuno dice che Sankara avesse fretta. Aveva fretta per il ritardo accumulato dal suo paese, aveva fretta perché potesse ancora indugiare. Aveva, dunque, avviato un processo inarrestabile e nel cielo schiarito dell'Africa era iniziato il dialogo.
Ma adesso il cielo si è squarciato e le parole si sono nascoste...
Sankara aveva fretta, voleva risanare tutto. Rigoroso in tutto ciò che faceva, ad appena due anni dalla presidenza del Burkina Faso si era addossato la responsabilità di una delle organizzazioni interregionali più efficaci, la Ceao. Ci è voluto tutto il suo rigore per far uscire la Comunità da una situazione disastrosa dove l'incapacità e l'imbroglio si tenevano per mano. Ci è voluto tutto il suo rigore per denunciare lo scandalo dell'occultamento di quasi 26 miliardi di lire che aveva compromesso il funzionamento della organizzazione.
Che tristezza, che sconforto, che dolore infinito e che infinita delusione hanno subito le speranze di un cammino degli africani verso l'indipendenza!
Patrice Lumumba, Kwame N'Krumah, Amilcar Cabral, Mariam N'Goual hanno trovato la stessa morte per la stessa ragione. Chi potrà più dare fiducia all'Africa? Chi potrà più ribellarsi ai dettami che impongono all'Africa la Banca Mondiale, la Fmi e altri, se dopo 27 anni di indipendenza questa si comporta come un bambino a cui tenere la mano, perché non si perda? Come ha scritto Edem Kodijo, ex segretario generale dell'Oua, in "Jeune Afrique": "Morto Thomas Sankara, l'Africa sprofonda più che mai in una dolorosa incertezza. Un'Africa la cui immagine non è delle più gloriose, un'Africa che si trascina nel coro delle nazioni, ciotola in mano, un'Africa che è rappresentata come una eterna minorenne, incapace di decidere il proprio destino che, appena tenta un percorso creativo e positivo, viene ancor più screditata. E i suoi figli, scioccati, non provano che un sentimento: la vergogna. Vergogna di aver perduto un uomo che aveva certamente difetti, ma che emanava sincerità e dignità e che aveva a cuore di cambiare la vita del suo Paese". Si, dobbiamo vergognarci finche l'Africa non avrà capito che l'interesse nazionale deve vincere su quello personale; finche gli africani non avranno eliminato il tribalismo, l'egoismo e l'invidia per lasciare posto nel loro cuore all'amore e alla fratellanza. La nostra cara Africa non ha ancora figli degni; dopo 27 anni di indipendenza il bilancio è triste soprattutto se, anche per un minuto, si mette in dubbio il colossale lavoro che Thomas e i suoi compagni hanno fatto in quattro anni.
Una sola cifra per darne un'idea. Dal 1960 al 1983, in ventitré anni, l'indice di scolarizzazione non raggiungeva che il 10%. Dal 1983 al 1986, in soli tre anni Thomas Sankara e i suoi compagni lo hanno raddoppiato passando dal 10% al 20%. 7500 posti per i contadini nella Sanità primaria, più di dodicimila classi.
Come lavorava il compagno Presidente Thomas Sankara, quali erano le sue abitudini, come occupava il suo tempo libero, come si svolgevano le sue giornate? Domande di questo tipo aiutano ad avere un'idea un po' meno astratta dell'uomo Thomas Sankara, una concezione meno angelica del politico. La verità si nasconde più spesso del solito in questi "dettagli" apparentemente insignificanti dove la conoscenza permette di consegnarsi, come diceva Lenin, alla "analisi concreta di una situazione".
Il Sankara privato è certamente più vero che non l'immagine resa di lui dai suoi diffamatori. Non è possibile dire a che ora inizi la sua giornata, in ogni caso molto presto, quale che sia l'ora in cui si è coricato. Come tutti i Burkinabés non prende la prima colazione, eccetto la domenica con i genitori.
Il grande giornalista Sennen Andriamirado, del gruppo "Jeune Afrique" che ha seguito di giorno in giorno il compagno Presidente Thomas, in "Sankara il ribelle", racconta: "Tutte le domeniche Thomas fa la prima colazione nella casa di famiglia... è lui che porta il necessario: caffè, latte, zucchero e pane. Gli è capitato di dimenticare di fermarsi da qualche parte per comprare le provvigioni... nessuno ha fatto colazione quel giorno: padre, madre, sorella e fratelli l'hanno sgridato come mai durante il periodo cui era in casa". Un'altra domenica mattina uscendo dal suo "palazzo" mentre entra in macchina si ricorda delle "provvigioni". Fruga nelle tasche e si accorge di non avere denaro. Risalendo in cucina scopre che le riserve di sua moglie Mariam sono vuote. Sollecitate, le sue guardie del corpo non possono prestargli nulla, sono al verde quanto il loro Presidente! Thomas fa chiamare uno dei suoi alti funzionari che gli presta 1000 Frs. (4000 lire). L'onore è salvo!
Un po' di jogging lungo i viali della presidenza con i compagni della sua guardia. Una breve seduta di ginnastica, una doccia fredda e al lavoro.
Il Presidente inizia chiudendosi da solo nel suo ufficio per circa venti minuti. I suoi collaboratori credono che faccia dello Yoga. Dopo di che spalanca le porte per creare un po' di corrente, giacchè per misure di economia gli ambienti non sono climatizzati. La giornata può cominciare infernale.
A mezzogiorno è raro che pranzi con la moglie Mariam. Pranza quasi tutti i giorni con Blaise Compaorè: lo stesso che lo assassinerà. Secondo l'ora una ciotola di riso oppure un pastone di miglio, della salsa al pomodoro oppure un po' di aloko (banane piantaggini fritte). Nei giorni di lusso si concede un piatto di spaghetti. In campagna mangia del Tò, un dolce a base di pasta di miglio duro come il legno. Raramente una scatola di sardine. Come liquore non conosce che l'acqua o la limonata. Gli è capitato di partecipare ad una corsa ciclistica lungo Ouagadougou. Il 25 maggio 1986 ha partecipato ad una corsa podistica di "Sport Aid", una gara organizzata da tutti per una colletta in favore della lotta contro la fame in Africa.
Il suo hobby è la musica. Thomas Sankara è un chitarrista. Non si contenta del resto di suonare un solo strumento. Gli capita anche di comporre e si è improvvisato anche direttore artistico. Ha anche creato due gruppi artistici per i quali assicura egli stesso gli arrangiamenti musicali. Come qualunque africano che si è "realizzato", Sankara deve sfamare tutta una "tribù": zii e zie, cugini e cognate contano su di lui e vanno a domandargli un piccolo aiuto. Ecco come un giorno ha dato un assegno a un parente, che glielo ha riportato con una lettera della Banca: "Compagno Presidente siamo spiacenti di non poter onorare il vostro assegno, giacchè il vostro conto non è sufficientemente coperto". Tutto questo basterebbe a dimostrare fino a che punto il compagno Presidente, non si può negarlo, che lo si ami o no, non era un presidente come gli altri.
Sua moglie Mariam e i suoi due figli Philippe e Auguste li vede sempre di sfuggita. Mariam è funzionaria incaricata nella "Compagnie Burkinabés des Chargeurs" (una compagnia di export-import). Si occupa quasi da sola di Philippe e Auguste che hanno rispettivamente sette e cinque anni. Una bella donna, con i piedi per terra, Mariam detesta il lusso e la mondanità quanto suo marito. Lei, musulmana, si è convertita alla religione del marito, il cristianesimo. Sankara spesso per punzecchiarla la chiama la vedova.
Sì compagno presidente, conserveremo di te l'immagine di un uomo che ha condotto una vita da esempio per tutti. Non sei un uomo che si è battuto per sé, sei stato qualcuno che ha combattuto per gli altri e con alcuni per vincere insieme. Questa l'immagine ideale che conserveremo di te.
Tanto peggio per questa Africa che non capisce che ha molto da guadagnare e nulla da perdere compiendo atti di buon senso, di tolleranza, d'amore, di fraternità e soprattutto di non violenza.
Amici dell'Africa, giovani africani, il cielo che si è squarciato quel giovedì 15 ottobre 1987, ha sparso i rottami su tutto il pianeta. Raccogliamo i pezzi da rimettere insieme per ricostruire questo cielo (con tutto il tempo che si renderà necessario) senza il quale la nostra esistenza non avrà senso.
"Gli amici di Sankara", comitati di questo genere dovranno esistere in tutti i paesi del mondo per unire questi pezzi.
Il potere vigente ad Ouagadougou ha vietato qualsiasi messa di Requiem in memoria di questo "piccolo grande uomo di Stato" che fu Sankara. Sarebbe ingrato ed indegno che questo "combattente" che si è dato per altri non abbia diritto alla Messa di Requiem. Poiché è vietato dalle autorità al potere su tutto il territorio del Burkina Faso, a Roma, nella Città santa, "Gli amici di Sankara" hanno voluto dargli un senso più profondo, rendendo omaggio ad un uomo degno, al capitano di 37 anni, il 10 dicembre 1987, giornata dei "Diritti dell'uomo" (una data simbolica), col prezioso aiuto dei compagni del Partito radicale, che sono stati molto toccati dall'assassinio dell'amico personale del compagno Marco Pannella.
Invitiamo tutti gli africani e gli amici dell'Africa ad unirsi a noi in questo giorno, 10 dicembre, nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, con la partecipazione probabile di Mariam e dei suoi due figli.
Seguirà nel pomeriggio la proiezione di un filmato sul compagno Presidente che vogliamo ricordare vivo tra i vivi. 262


Assassinio del capitano Thomas Sankara

SOMMARIO: Risoluzione presentata al Parlamento Europeo dal deputato Marco Pannella il 26 Ottobre 1987 ed adottata il 29 Ottobre 1987 sulle violazioni dei diritti umani in Burkina Faso ed in particolare sull'assassinio del Capitano Thomas Sankara, capo dello Stato (doc.B2 1181/87).

Il Parlamento europeo,
A. visti il colpo di Stato militare che ha avuto luogo il 15 ottobre scorso in Burkina Faso, l'assassinio del Presidente del Burkina, capitano Thomas SANKARA, e di diverse decine di altre persone, lo scioglimento del governo legale del paese, l'arresto di alcuni ministri e di altre personalità e l'introduzione del coprifuoco,
B. constatando inoltre che non è stato ancora costituito un governo effettivo e che un'intera regione rifiuta di accettare lo status quo,
C. ricordando che il Presidente SANKARA era stato firmatario della terza Convenzione di Lome volta a creare legami tra la Comunità europea ed i suoi Stati membri e 66 paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, che il governo del Presidente SANKARA si adoperava attivamente per la realizzazione di progetti finanziati dal FES, che la Convenzione di Lome fa esplicitamente riferimento al rispetto dei diritti dell'uomo,
D. ricordando che a più di 10 giorni dal colpo di Stato le comunicazioni con il Burkina continuano ad essere estremamente difficili e che è quindi impossibile valutare la situazione in loco,
E. ricordando le sue precedenti risoluzioni relative ad altri colpi di Stato militari nei paesi membri della Convenzione di Lome,
1. condanna l'assassinio del capitano Thomas SANKARA e di altre vittime, condanna le violazioni dei diritti dell'uomo commesse, condanna il colpo di Stato militare del 15 ottobre scorso in Burkina Faso,
2. chiede alla Commissione di sospendere l'esecuzione, la realizzazione e lo studio di ogni progetto di cooperazione con il Burkina nell'ambito del FES, ad eccezione di quelli concernenti l'aiuto alimentare d'urgenza;
3. chiede alla Commissione di riferire in merito alla situazione in Burkina Faso durante la prossima tornata;
4. chiede ai ministri degli affari esteri riuniti nell'ambito della cooperazione politica nonché al Consiglio dei ministri ACP-CEE di esaminare le conseguenze del colpo di Stato sulle relazioni esistenti tra la Comunità, l'insieme dei paesi membri della Convenzione di Lome e il Burkina Faso;
5. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione, al Consiglio e al Consiglio dei ministri ACP-CEE .


L'ultimo messaggio di Thomas Sankara

di Marco Pannella NIGRIZIA, dicembre 1987 - NR283/87

In morte i giornali hanno scritto di lui ben più di quel che ha fatto, ha tentato di fare in vita. Thomas Sankara è tragicamente finito assassinato dal suo più intimo, caro, fraterno dei compagni, Blaise Compaorè.
Testimoni mi hanno ricordato che avevo appunto ammonito Thomas, meno di due anni fa, che questa fine era tra le poche sicuramente scritte nello scenario che stava vivendo. Scenario da rivoluzione giacobina, più che militare, dove erano i "fratelli", i compagni a ghigliottinarti, non i nemici e gli avversari.
L'ipotesi era dicibile proprio perché appariva impossibile, umanamente e politicamente impensabile. Ma ebbi la sensazione che Thomas comprendesse, riflettesse, mi fosse grato di quella sincerità. Nulla, oltre tutto, poteva lasciar temere che in tal modo volessimo aggravare un conflitto o delle diversità che non c'erano.
Thomas Sankara si era formato in scuole rette da missionari cattolici francesi. Cultura "classica" degli anni trenta in Italia, o da essa non lontana, come referenti: tutto, o quasi, tranne il pensiero liberale e democratico. Ed erano quei punti di riferimento, più di quelli successivi, "marxisti" e militari che egli esprimeva. Nel suo solenne intervento all'Assemblea generale delle Nazioni unite aveva citato Novalis, lo scrittore preromantico tedesco, per cui la realtà del sogno disegnava la verità della vita, reazione al "secolo" e al pensiero illuminista. Ai suoi due bambini aveva dato due nomi corneilliani: Filippo e Augusto, non di eroi africani o comunisti. Come Mussolini, ma con quale altra eleganza e dolcezza, e ingenuità sincera, recuperava temi classici, greci o latini, d'amor patrio o repubblicano, di vita spartana: "Ou la Patrie ou la mort". "On vaincra" (vinceremo). Slogan lugubre con cui aveva tentato, non riuscendovi, di recuperare il "E' dolce e degno morire per la patria", inconsapevolmente rieditando, invece, il "O Roma o morte", e il lessico di tutti i fascismi.
Rousseau, naturalmente, con il suo diritto naturale e il "buon selvaggio", l'egualitarismo e la disattenzione per il diritto, lo amava. Gli dissi che gli mancava "solamente" Voltaire, con la "sua" tolleranza, l'attenzione alla giustizia, allo Stato e alle carceri; ed al "valore" del sapere, di fronte e contro il potere. Era tremendamente giovane e attento, serio e buono, duro e pur mite e disperato di fronte a qualsiasi morte e sofferenza. Ingenuo e consapevole, preoccupato di esserlo: non confondeva -credo- ingenuità con innocenza. A chi gli chiedeva: "Hai ribattezzato l'Alto Volta in Burkina Faso, cioè Terra degli Uomini Giusti. Ma se esiste una terra degli uomini già giusti, che bisogno mai c'è dello Stato, della Rivoluzione, di te? E le altre terre, sono peggiori della tua, e peggiori le persone?"
Ascoltava, e d'un tratto appariva altrove, interrogandosi. Non di rado la stanchezza, quasi sempre in agguato, -dormiva pochissimo, per poter lavorare, studiare, percorrere la sua gente- in quei momenti rischiava di prevalere e gli occhi gli si chiudevano. Con i suoi ministri, i suoi compagni, voleva che almeno una volta alla settimana facessero sport e giocassero a calcio insieme. Portava la sua tenuta di parà, leopard con la stessa eleganza con cui avrebbe indossato un saio o una tonaca. Detestava i macchinoni di rappresentanza che aveva ereditato, simbolo dello sperpero, energetico e di immagine, ed aveva imposto a sé e a tutti i ministri l'uso di piccole utilitarie, delle 4 cavalli. Voleva una decina di fisarmoniche italiane, di un artigiano di Ascoli Piceno, e si crucciava per il prezzo, che gli pareva insostenibile, e l'unico favore personale che chiese a Giovanni Negri e a me fu di vedere se si potevano avere con qualche sconto.
Fece fare "processi popolari", ma "popolari", di massa, contraddittori davvero, a moltissimi vecchi notabili, dirigenti dei passati regimi, ossessionato dalla corruzione, dalla mancanza vera o presunta di onestà. Furono processi "esemplari", appena più civili e umani di alcuni nostri processi, come quello per il "7 aprile" o quello contro Tortora e 1.200 suoi "compagni". Finì per liberare quasi tutti, e accettò quasi subito, quando ancora non ci conosceva che politicamente e non personalmente, di farci visitare in un carcere speciale un ex presidente della Assemblea della Cee-Acp, Gerard Tango Ouedraogou, per il quale chiedemmo e ottenemmo la libertà, ma non come privilegio o favore: con un provvedimento che valse anche per altri.
Poverissimo, l'Alto Volta era però, fino a sei anni prima che Sankara prendesse il potere, un paese in cui mai si erano avute morti per cause politiche, e in cui aveva funzionato, male, ma aveva funzionato, un sistema democratico. Sicché i primi morti di questo tipo, ci parevano una bestemmia. Ne conveniva e lo mostrò in mille occasioni. Credente, Thomas non tollerava però confusione fra potere e religione. Una delle crisi più gravi che egli dovette subito affrontare fu quando pretese, rischiando di provocare la sua propria caduta, che un massimo capo tradizionale e animista, religioso, pagasse le bollette della luce. Da una parte e dall'altra, questa quisquilia assurse a valore di principio.
Quando uno dei suoi più stretti compagni, l'unico non militare, Basil Guissou, ministro degli esteri, gli comunicò che si era iscritto al Partito radicale, egli ne fu felice e l'approvò. La bandiera gandhiana e nonviolenta del Pr lo sorprese e commosse.
Subito, nel conoscerlo, gli avevo suggerito di non passare ad una forma di partito unico, ma di tentare la più radicale e limpida delle scelte anglosassoni: l'elezione diretta del presidente, con almeno due candidati forti, e l'elezione di un Parlamento a sistema uninominale. Non cessò, da quel che mi è stato detto, di pensarci. I messaggi franchi e impegnati che inviava ai congressi del Partito erano scritti di suo pugno, così come i suoi messaggi di augurio a Capodanno. Ma aveva a che fare con gli altri del Consiglio della Rivoluzione. Probabilmente volle passare ad esperimentare una tappa intermedia: per compromesso e convinzione. Quella di un "Fronte" di individualità e forze autonome e libere. E, da luglio, in ogni suo discorso, c'era una parola chiave: "Tolleranza". Blaise e gli altri devono averne avuto paura. Del suo valore, delle sue scelte politiche, della cronaca e della storia io non ho qui parlato. Ma se ne legge altrove. Per "Nigrizia" -cui sono riconoscente per questo invito- non ho che da fornire una testimonianza, perché si aggiunga -marginale ma puntuale- ai libri e agli articoli che sono pubblicati in Europa, numerosi.
Quel che so è che avrei voglia di recitare per lui molti versi del "Lamento" per la morte di Ignacio de Garcia Lorca. Ahimè, un canto funebre, un dolore dell'intelligenza ancora prima che del cuore. Gli elogi e il compianto gli si attaglierebbero bene. Era personaggio francese (così come imperatori e pensatori romani furono "stranieri", "africani"). Sankara era francese così come Agostino fu "cattolico romano". Davvero "francese". Ma era uscito non dalle pagine di Andrè Malraux, e dai reportage e dai romanzi di Lucien Bedard; né eroe né legionario, né rivoluzionario carico di disperazione e di odio, ma, piuttosto, "eroe" di Alain Fournier del "Grande Maulnes" e del Saint-Exupery di "Pilotes de nuit" e -anche, perché no?- del "Piccolo principe". Più Nizan, semmai, che Fanon, se mi è concesso di proseguire e chiudere questa parentesi un po' iniziatica.
Un uomo di stato così ha perso la sua lotta contro il tempo, contro se stesso. Ma come i Senghor, e gli Houphouay Boigny, i grandi "saggi" di un'altra generazione, logorati e intellettualmente corrotti dal potere o dal successo, e politicamente da lui detestati Thomas Sankara poteva per il suo amore della vita, e dell'amore, e della purezza, e la sua onestà intellettuale, la sua umiltà, la sua tolleranza innata e quella che conquistava e proponeva, divenire "grande" non solamente per l'Africa, ma per noi tutti. Il suo tallone d'Achille era forse nella sua cultura liceale e nell'ardore dell'adolescenza, che furono anche la sua forza e la cifra della sua vita. Spero che almeno per me le sue ceneri consentano meglio ancora un cammino di brace, nella grande età che gli è stata negata e nella quale sembra che io mi avvii.
Il 10 dicembre, a Roma, nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, per iniziativa di compagni africani e radicali, si celebrerà una funzione. Ma già in queste settimane, ascoltando i pezzi di "Requiem" da "Radio radicale", e l'Alleluia e l'Osanna e il requiescat in pace, non sarò certo stato solo a ricordare il capitano Thomas Sankara, africano ed europeo. 261


La sconfitta di Pirro dei nostri avversari

di Marco Pannella L'AVANTI, 11 novembre 1987

Marco Pannella polemizza con foga contro una campagna di stampa che copre oscuri intrighi

SOMMARIO: Il risultato del voto nei referendum sulla giustizia e sul nucleare, il trionfo di sì va confrontato con il "prestigio" del fronte del no. Un precedente, il voto nei referendum del 1978, con il risultato ottenuto dal solo Partito radicale contro tutti. Nel 1980-81 battuto il progetto di presa del potere grazie alla mancata morte del giudice D'Urso. Il ruolo del Presidente Pertini, che conferì l'incarico di formare il governo prima al repubblicano Spadolini poi al socialista Craxi. I programmi di De Benedetti: commissariare la Repubblica. Il ruolo della Fiat: un patto sull'informazione tra "La Repubblica" e "Il Corriere della Sera", con la Gemina al Posto di Rizzoli; il regalo fatto a De Mita e alla Dc dei giornali del Sud. L'errore gravissimo di Natta e del Pci: consentire alle elezioni anticipate.

Dal copresidente del Partito radicale riceviamo e pubblichiamo:

Il trionfo dei "sì" trova una sua misura, che non è stata ancora sottolineata, con il confronto fra i risultati del "prestigioso" quanto violento "fronte dei no", e quelli riportati dal solo Partito Radicale (contro "stampa, rai-tv" e "tutti" i partiti) nel referendum sul finanziamento pubblico dei partiti (il 43%) e - con il solo appoggio platonico del MSI - contro la legge Reale (23%) in pieno periodo di terrorismo e di unità nazionale.
E' anche il trionfo di quella politica "PSI e PR", che si allargò al PLI ed al PSDI, che non vorrei si andasse offuscando da un po' di tempo in qui. Vorrei subito, già in queste ore, cercare di passare ad una analisi di quanto in questo ultimo anno e in queste ultime settimane è accaduto ed ha trovato nei risultati un suo esito più che positivo ed incoraggiante.
"Già allora vedemmo chiaro e battemmo queste forze"
Mentre si scomoda il "quinto potere" per gli exploits naifs di Adriano Celentano, che hanno, malgrado tutto, sapore di libertà e perfino di "serietà" sostanziale, il quarto potere - quello dei mass media - è sceso in campo in modo massiccio ed esagitato, all'assalto di più potere e del potere. Esattamente come nel 1980-81, quando i soliti editori e giornalisti che vanno, o credono di andare, per la maggiore in convergenza con Tassan Din e Rizzoli (guidati da Gelli - piuttosto - da quel coacervo di forze che si dette la copertura della P2), uniti con gli stati maggiori militari, mentre il PCI si arroccava disperatamente sulla politica dell'emergenza e dell'unità consociativa, e non democratica, cercarono di andare al potere, e non vi riuscirono solo grazie alla mancata morte del magistrato D'Urso che era stata concepita come il detonatore dell'operazione. Nello stesso tempo la parte politicamente più cosciente e feroce delle BR, guidata da Senzani portava allo stesso obiettivo.
Già allora vedemmo chiaro, e per questo battemmo queste forze, animate e coagulate dal quarto potere, nel momento in cui erano ormai certe di avere vinto. Sicché in poche settimane l'intero fronte ed il tentativo furono in rotta e il paese guadagnò un triennio di relativa serenità e stabilità politica e di governo.
Già allora notavamo e notammo ufficialmente che Scalfari e suoi associati (allora anche il vertice del PCI e De Benedetti) avevano tentato di superare e sconfiggere la partitocrazia "da destra", con una soluzione di tipo "efficientista" ed emergente, ed un disegno chiarissimo teso a prendere il potere con un "governo dei capaci e degli onesti" per arrivare a riforme plebiscitarie sul piano istituzionale ed a nuove elezioni in poche settimane.
Ancora una volta fu il Presidente Pertini, dopo incertezze e dubbi determinati dalla straordinaria forza dell'inganno dello schieramento sfascista guidato dal giornalista Scalfari, così simile al giornalista ed al politico Mussolini fra il "1912 ed il 1921", a rovesciare il senso degli eventi, in pochi mesi arrivando a conferire gli incarichi di Governo a Bettino Craxi ed a Giovanni Spadolini.
Ma, da allora, grazie all'incultura ed all'inconsistenza politica, democratica, e liberale, del nuovo leader della DC, alle precedenti, probabili complicità e ispirazioni di qualche "cavallo di razza", a titolo individuale a monte della P2, si è venuta sostituendo una "rizzolizzazione" effettiva, possente, riuscita dei centri di potere, da quelli amministrativi e finanziari, a quelli editoriali in Italia.
L'accordo editoriale tra Caracciolo e Scalfari, da una parte, Tassan Din e Rizzoli (con Gelli alle spalle) dall'altra franò allora con il mancante assassinio di D'Urso e il rinvenimento degli elenchi della P2 a Castiglion Fibocchi. A De Benedetti e la sua ingenua volontà e speranza, professate, di "commissariare" la Repubblica per qualche anno, ed a partire dal 1983, si è poi venuta sostituendo - come alleata oggettiva e spesso consapevole anche nel disegno - la FIAT. Data proprio da quegli anni l'impegno massiccio della famiglia Agnelli, in gravissime difficoltà, nel settore della produzione delle armi, l'interventismo nelle vicende di potere romano, l'insediamento nel Sud, per usufruire di parti sempre maggiori della torta assistenzialista di centinaio di migliaia di migliardi a vario titolo fornite e preannunciate.
In tal modo, in Italia, si è venuto realizzando il patto - che nessun magistrato ha ritenuto meritasse un minimo di attenzione, almeno ai sensi della legge antimonopolio - tra la Repubblica e il Corriere della Sera con la Gemina al posto di Rizzoli con il regalo a De Mita ed alla DC di tutta la stampa del Sud Italia ("Il Mattino" e "La Gazzetta del Mezzogiorno" anche qui nessun magistrato ha ritenuto che vi fosse da indagare), e l'assorbimento politico della "Mondadori", salvata così dai disastri in cui versava. La RAI-TV gestita nei suoi momenti essenziali dal demitismo più esasperato, pagando il prezzo della Rete 2 al PSI e della Rete 3 al PCI, Berlusconi costretto a demitizzare ed raitivizzare tutti i suoi spazi d'informazione e di politica; Tanzi, TMC, Odeon-tv, ecc... garantendo ormai l'assoluta uniformizzazione del settore audiovisivo del quarto potere...
In questo contesto, di fronte all'incognita di una possibile evoluzione democratico-laico-riformista del PCI, al progredire nello spazio partitocratico di ipotesi di riforme istituzionali non minimalistiche ma radicali (l'evoluzione senza dolore da dittature a democrazie si è rivelato possibile, non si vede perché mai non si debba poter temere una stessa evoluzione partitocrazia-democrazia), in direzione anglosassone, al processo di integrazione laica di PLI-PSDI-PR-PSI ed alla personale nonostilità strategica di Spadolini in questa direzione, all'incalzare dei referendum che i sondaggi davano per popolarissimi e chiari, al record di popolarità di un governo, quello Craxi, nell'opinione pubblica, al formarsi di una "onda verde" con caratteristiche ben diverse da quelle dei "grunnen" tedesci, ad una giurisprudenza di Cassazione che rischiava di far giustizia della storia e dei valori dell'"emergenza" consociativa, l'"Eugenio" di De Mita, e De Mita, hanno reagito giocando il tutto per tutto, approfittando anche di alcuni errori di per loro marginali di Craxi, come l'intervista a Mixer di fine febbraio.
Da quel momento si sono vissuti momenti folli, che solo la sostanziale dittatura dell'informazione da parte degli imperi editoriali della Fiat, di Scalfari, e sudisti-demitiani, e l'errore gravissimo di Natta nell'accettare le lusinghe fattegli perché consentisse alle elezioni anticipate, ha consentito non si traducesse in una rivolta dell'opinione pubblica e della stessa DC, o di gran parte di essa, contro la politica trasformista e avventurista che si stava realizzando.
"Quello spazio lasciato allo "sfascismo" programmato"
Le elezioni costituivano, di per sé, una grave, definitiva sconfitta politica dei disegni demitiani, oltre che un mancato recupero sostanziale rispetto alla debacle elettorale del 1983. La sconfitta comunista, reale ma ingigantita così come la vittoria socialista, ha finito per lasciare spazio allo "sfascismo" programmatico, violento, dello scalfarismo e di tutti gli interessi frustrati, in pericolo, nei tradizionali ceti di potere e di sottopotere, nelle clientele che mal possono sopportare il governo effettivo del paese, unica alternativa pericolosa per il sottogoverno necessario alla loro vita ed al loro sviluppo.
L'occasione referendaria è giunta, dunque, come gravissimo rischio di una vittoria di uno schieramento, indeciso, contraddittorio, debole nell'immediato quanto si vuole, ma comunque esplosivo, in caso di vittoria dei "sì".
PCI, PSI, PSDI, PR, convergenti nei cinque "sì" mentre perfino il PLI era stato sul punto di arrivare ad una analoga decisione - apparivano a tal punto pericolosi e vittoriosi politicamente (e non solo sul piano dei voti), che la DC li raggiungeva, così come il MSI. C'era il rischio di un riproporsi della situazione sciupata in primavera.
Diveniva quindi fatale la necessità da parte del "terzo potere" di linciare i referendum in quanto tali, e per quel che potevano determinare di alternativa riformista e di ordine democratico nel paese.
Ma oltre alla FIAT, a De Mita, era pronta l'arma pressoché assoluta: ed era l'alleanza fra le testate dell'emergenza, della "fermezza", gli interessi e le culture che l'avevano consentita e che ne erano usciti rafforzati. L'alleanza fra un certo potere giudiziario (quello del 7 Aprile, dei maxiprocessi napoletani, dell'amministrazione oculata del caso Cirillo, degli eredi dei Gallucci e dei giacobinismi, del corporativismo del CSM, senza dimenticare la giurisdizione partitocratica della Corte Costituzionale) e "la stampa" alleanza volta a fare della quarantennale irresponsabilità civile del giudice la bandiera della difesa dello Stato e dell'onestà giudiziaria contro la disonestà politica.
Quel che è accaduto, in queste settimane, è sotto gli occhi di tutti. I referendum erano quelli che la Corte Costituzionale, con i suoi sbarramenti anticostituzionali, con la sua guerra per conto della vecchia partitocrazia contro ogni forma di democrazia costituzionale, ha reso possibili. Quesiti "puntuali", in termini tecnico-giuridici, necessariamente iniziatici. Ma come per referendum precedenti. Gli obiettivi erano chiari e chiarissimi al paese.
Una campagna selvaggia, densa di falsità, di ignoranza, di politicismo, di accuse apocalittiche, è stata condotta per imporre ed imponendo sconcerto, nausea, timori agli elettori.
Lo scontro è stato fra terzo potere, fra "stampa" e politica; fra il potere della stampa e degli interessi che ha saputo collegare e suscitare, e quelle delle idee e degli ideali della politica. Non a caso il Partito Radicale, l'unico partito promotore di tutti i cinque referendum, è stato cassato non solo nell'informazione ma neanche nelle analisi e nelle cronache.
In tal modo ci si appresta a speculare sulle percentuali d'astensione: quando nel Sud, in particolare, esse sono state imposte, preparate, rese ineluttabili dalla DC e dalla stampa che nei fatti la dirige e la copre. E' la stampa del "caso Tortora", ma ancor più del "caso Cirillo", della "corrente del Golfo e dell'Irpinia", del Banco di Napoli e dell'infrastruttura camorristica che domina e rende esangue il Sud dalla Campania alla Calabria.
"Un condensato selvaggio di falsità e di ignoranza"
Una DC che in aprile giunge all'episodio del governo Fanfani e dello scioglimeto delle Camere; che prende a settembre posizione ufficiale per il "sì" e opera per il "no" nel referendum e si allea clamorosamente con il quarto potere "laico" degli Scalfari e di Agnelli, che anch'essa è allo sfascio di tutto come un gruppuscolo estremista a caratteristiche congiunte di estrema destra e di estrema sinistra, non esiste in quanto partito. E' terra di conquista - con la sola eccezione della "resistenza" Andreottiana, ed è tutto direi! - conquistata dal partitino scalfariano e dai Fattori di Romiti. Com'è giusto avendo loro fatto il dono della crisi di governo e di governabilità, della ritrovata esasperazione sociale e psicologica del paese. Come con il caso D'Urso, dunque, i nostri sfascisti sono arrivati quasi a farcela.
Ma anziché quella "vittoria di Pirro" che tutt'al più erano disposti ad accreditarci, sono i nostri avversari a riportare la loro sconfitta, di Pirro, quella definitiva, dopo illusorio successo psicologico di queste settimane, scritto sui loro propri giornali. Ora occorre, però, non addormentarsi sugli allori, come forse abbiamo fatto dopo la prova elettorale di giugno. Occorre battere il ferro fin che è rovente ed è nelle mani di chi stava per adoperarlo come un manganello contro la civiltà giuridica e politica del nostro paese". 2064


Rapporto sulla Polonia

di Lucio Bertè e Olivier Dupuis NR201 del 16 dicembre 1987

Atterraggio su di una pista quasi deserta.

Varsavia annuncia subito il colore. Coda relativamente breve per i passeggeri del solo aereo Francoforte-Varsavia. Eccoci "passati". Lucio ritrova la Varsavia di un'"azione" di due anni fa. Niente è cambiato, ovviamente. La città vive ad un ritmo che mi stupisce per una città dell'Est.
Un "bel" traffico con scarichi da camion.

A vista d'occhio si scopre anche il fumo nero di mastodonti dell'industria pesante.
Quasi in centro. La Polonia inquinata non è un mito. Sarà confermato, se ce ne fosse bisogno, ancora tante volte.
Giro e rigiro per trovare un albergo. La Polonia dell'offerta e della domanda. Ma questo non sarebbe una sorpresa per nessuno. Primo incontro con quelli cui avremmo passato 10 giorni di giri, discussioni, azioni, progetti, amicizia. Stupore e precauzioni superflue. Prima descrizione.
Qui la barriera non è più per niente tra chi pensa o discute nella linea o non ma tutt'al più tra chi ha diritto di fare, agire pubblicamente e chi no. Vedremo poi che anche questa barriera è possibile in qualche modo e a certe condizioni aggirarla. E' anche una questione di stile. Primi incontri con i nostri amici di Wolnosc i Pokoj (Pace e libertà), nell'appartamento truffato di microfoni di Yacek Csaputowic, "leader self-made man" per riprendere l'espressione di un commentatore politico polacco, fondatore del movimento, oggi un po'' in disparte, o forse solo in riserva della repubblica.
Muri fitti di libri, interno classico, telefono che squilla quasi senza interruzione. Yacek Csaputowic sembra un'incarnazione di questo "humour" polacco. Sorrisi maliziosi a tutte le domande nostre sulla situazione interna dell'opposizione polacca.
Così dell'invito di George Bush al ricevimento all'ambasciata americana con altre componenti dell'opposizione, annullato per "ragioni misteriose" alla vigilia dell'incontro. Una telefonata dalla Baltica. Un ultimo obiettore è stato appena condannato: 3 anni. Non c'è una settimana senza processo agli obiettori, ci spiega.
Nelle sue cassette riviste antimilitariste di mezza Europa. In mezzo anche "Nouvelle Radicales". Yacek, organizzatore con Wolnosc i Pokoj del primo convegno libero in un paese dell'Est, segue tutto.
Parliamo di questo testo comune a Wip e ai Grünen, uscito su di un giornale loro.
Alludo al vuoto del testo. Sorrisi. L'antiamericanismo ed il neutralismo dell'uno non ha potuto convincere l'altro. E questo malgrado la loro immagine di proamericani-critici rispetto ad un'opposizione giudicata come spesso ciecamente anti-russa e pro-americana. Ciò spiega che malgrado il loro impegno a favore dell'abolizione della pena di morte, pensano sia preferibile, in quel momento, non manifestare a favore di Paula Cooper il giorno del Thank's Giving Day. Ciò che fa scoppiare una discussione sulla necessità di non sottoporre questioni di fondo a contingenze di vari tipi. Sorrisi. La discussione prosegue in francese, inglese, polacco. Anna, compagna di Wip e ormai del Pr, anche nostra traduttrice, non regge più. Dopo che ci ha suggerito di partecipare ad una manifestazione di Wip la domenica successiva e ad un processo ad un obiettore di coscienza, lasciamo Yacek.
Gli incontri proseguono. Studenti, membri di Wip. Un'ora intensa con Yacek Symanderski, storico, sociologo, membro dell'Accademia delle scienze, membro di Solidarnosc e di Wip (cosa questa unica). Un flusso di domande. Fame, droga, democrazia, ... Un problema fondamentale della Polonia, secondo Yacek Symanderski, cominciare a capire che i suoi problemi non sono i soli, che esistono altri drammi, spesso molto più drammatici, e primo fra quelli la fame nel mondo. Che l'iniziativa del Partito radicale -e cioè l'esistenza di un Partito radicale in Polonia- se fosse solo per "far arrivare" questi problemi in Polonia sarebbe già importantissima.
Tarda sera. Andiamo ad un incontro tra Wip e membri del Quaker Council for european Affairs. E' giorno senza alcoolici, ciò che ci impedisce di portare una bottiglia di vino al nostro ospite, un artista, poeta, membro di Wip. Il proibizionismo alla moda polacca. Niente affatto meno stupido del nostro in materia di droga. Discussione animata. Symanderski insorge contro le sfumature di chi si compiace di fare dell'antisovietismo un dato in sé anti-russo.
Gli amici del Quaker Council cercano a malapena di difendersi. Noi sorridiamo.
Incontriamo altri amici di Wip con cui partiremo l'indomani alle quattro di mattina per Cracovia.
Cracovia ore nove. Qui niente ricostruzione come a Varsavia. La città è rimasta un modello di città mittel-Europa. Salvo però un inquinamento particolarmente bestiale. Un numero di cancri di sei volte superiore alla media nazionale. Man mano che va avanti la giornata arrivano da tutta la Polonia compagni e compagne di Wip. Lasciandoci stupiti di fronte ad una tale mobilità. Il pomeriggio, riunione di una sessantina di persone. Comincia il nostro "Interrogatorio". Obiezione, affermazione di coscienza, democrazia, ecologia, droga, Cicciolina, sorrisi, risi. "Sospensione dei lavori". La discussione continua al bar vicino davanti alla zuppa locale. Anna decide di iscriversi. Krzystof e Klaudiusz fanno mille domande sul partito, sulla sua organizzazione, su come si potrebbe lavorare insieme, sul come fare delle cose più specificatamente polacche.
La riunione riprende. Tesa. Polemiche -ma non solo- sul problema del finanziamento. Chi ha diritto a che cosa? Va ripartito secondo l'importanza o meno per rafforzare i gruppi più nuovi o più piccoli? Qual'è la situazione finanziaria? Tutto sembra un po'' misterioso. Non c'è una politica di autofinanziamento in loco, sembra. Da qui l'importanza dei contatti con l'estero, degli aiuti. Dietro tutto ciò c'è una grande paura di organizzazione che potrebbe -secondo loro- distruggere lo spontaneismo, la creatività del movimento. C'è una forte componente anarchizzante che spinge per lo status-quo con però un controllo maggiore sul finanziamento. Una commissione del finanziamento di tre membri, recentemente creata, sembra essere con il portavoce, l'unico organo "ufficiale" del movimento. Anche il ruolo del portavoce sembra soggetto a discussione. Cerchiamo di parlare dell'importanza delle regole del gioco, anche all'interno del movimento, come prefigurazione di quanto vogliamo creare per la società intera. La riunione si conclude sulla decisione di organizzare insieme -Wip e Pr- un digiuno per la liberazione di tutti gli obiettori imprigionati ad Est, In Jugoslavia, in Grecia, e per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza in questi paesi. A tarda sera ci mettiamo d'accordo sul testo. Problemi di traduzione. Ore 6 di domenica. Partenza per Machowa ad un centinaio di kilometri da Cracovia. Treno e poi sei-sette kilometri a piedi. Machowa: piccolissimo paesino con la chiesa di legno. Famoso da quando Wolnosc i Pokoj ha fatto di Otto Shimek, austriaco, soldato della Wermarcht, fucilato nel novembre '43 per aver disertato per non dover fucilare lui stesso, un loro simbolo. E' il quinto anno che fanno questa manifestazione per l'anniversario della sua morte. E' la prima volta che la polizia lascia passare, non senza aver fatto molteplici riprese durante la camminata e poi nel cimitero. La messa si prolunga. La chiesa è affollatissima. Mezzogiorno: la gente esce e una parte di essa si dirige con i manifestanti in direzione del cimitero. Raduno intorno alla tomba. Qualche minuto di silenzio. Un discorso breve di un membro di Wip per ringraziare le autorità per il mutato atteggiamento. Tutto sotto le riprese della polizia e le "controriprese" di qualche manifestante. Ritorno a Cracovia. Buon umore generale.
Lunedì, partenza da Varsavia per Koscalin, sul Baltico a duecento kilometri da Danzica. Obiettivo: il processo di Yacek Borcz, obiettore, l'indomani mattina. Viaggio tormentato per mancanza di corrispondenza. Arrivo in tempo sennonché la "magistratura" ci ha fregato tutti. Il processo è stato anticipato di un giorno all'insaputa di tutti, a cominciare dall'avvocato e dalla famiglia. Condanna: 3 anni. Le condanne si succedono e si assomigliano. Siamo ancora una volta stupiti dalla solidarietà: più di trenta persone si sono radunate, facendo quasi tutte un viaggio allucinante attraverso mezza Polonia. La delusione passata, raggiungiamo una città vicina dove vive la famiglia di Yacek Borcz. Siamo tutti invitati a pranzo. Discussione sulla sentenza. Messaggio di Yacek che i genitori hanno appena visto, di tener duro.
Ritorno a Danzica dove passiamo l'ultima notte a discutere con i neo-iscritti radicali. Le domande furono. Quali Stati Uniti d'Europa? e la Polonia lì dentro? Non sarà generico chiedere la sua adesione? Come organizzarsi transnazionalmente? Come lavorare insieme? E' possibile fare un giornale del partito in Polonia? Quali strumenti di comunicazione? E' possibile una radio ad onde corte sulla Polonia?

Varsavia. Mercoledì mattina. Incontro di Lucio con Yacek Kuron, fondatore con Michnik ed altri del Kor (Comitato di autodifesa sociale) nel '76 in seguito alle manifestazioni operaie di quell'anno. Per lui le differenze di situazione tra ovest ed est sono talmente grandi da consentire molto difficilmente di lavorare insieme. Secondo lui il nostro punto di partenza è il loro punto di arrivo: la democrazia parlamentare. Difficile spiegare che se la nostra democrazia fosse un punto d'arrivo sarebbe da disperare veramente nella democrazia.
Ore 13 partenza movimentata. Felici di aver conosciuto "da vicino" Wolnosc i Pokoj che rappresenta non solo per i polacchi ma anche per noi (in ogni caso per noi che scriviamo), al di là di tutte le incertezze che pesano su di esso, un movimento di una ricchezza incredibile, lontano dalle esperienze tinte d'eroismo o di martirio, pieni della consapevolezza di aver passato ore, giorni, notti con persone che erano felici di essere-agire insieme, che, come ci ha detto una militante di Wip, facevano ciò che facevano per vivere, semplicemente. 226


Partito transnazionale

di Lorenzo Strik Lievers NR302 del 31 dicembre 1987

Il Pr è stato molte volte "inventore del nuovo", capace di introdurre elementi di alterità e di rottura sulla scena politica italiana; donde quella che potremo chiamare una sua relazione di costante conflittualità con il sistema politico italiano nel suo insieme, e tanto più quanto il Pr ha saputo operare all'interno di esso, Così, anche, nel quadro di una sostanziale fedeltà e coerenza rispetto alla sua impostazione originaria, nella vicenda e nel tipo di azione del Partito radicale si sono verificate lungo gli anni innovazioni e svolte profonde, i cui effetti in diversi casi hanno pesato non poco sull'intera vita politica italiana.
Oggi siamo in presenza di una di queste fasi di mutamento; o, almeno, questo e ciò che i radicali si ripropongono. Il prossimo congresso del partito vuole essere un momento cruciale nella trasformazione di sé che il Pr si è dato come obiettivo. Per questo, per arricchire di elementi di valutazione e di riflessione il dibattito precongressuale e congressuale, chiediamo il contributo di critica, di analisi e di proposta delle persone cui questi appunti vengono inviati.
Quella che segue vuole essere una esposizione sintetica di alcuni dei temi intorno ai quali i radicali oggi si misurano, volta ovviamente non a incanalare rigidamente il dibattito, ma a offrire soltanto qualche spunto alla discussione.
Due sono i poli principali di riflessione intorno a cui hanno ruotato e ruotano il dibattito e le scelte del Pr nell'ultima fase: il tema delle condizioni della democrazia in Italia e quello della necessità di una dimensione altra da quella nazionale per l'azione politica.
1. Non occorre qui ricordare il discorso che sempre meglio in questi anni i congressi radicali hanno definito circa la presenza in Italia di un sistema considerato altro da una democrazia di diritto, caratterizzato dalla mancanza di ogni certezza circa "le regole del gioco" e in genere della certezza del diritto, segnato in particolare dalla non tutela del diritto ad essere informati e ad informare, senza cui non esiste possibilità di scelta democratica.
Sulla base di questa valutazione della realtà italiana il Pr aveva prospettato la cessazione della propria attività anche per non avvallare illusioni e non legittimare, con una propria partecipazione sostanzialmente impotente, l'emarginazione delle speranze radicali per effetto del gioco truccato di quella che definiva come partitocrazia corporativa. Alla cessazione non si è poi provveduto in presenza di una forte ed autorevole richiesta proveniente da tanti settori della società italiana, con gli oltre diecimila nuovi iscritti, che "il partito del diritto e delle regole" continuasse ad operare. E l'azione del Pr si è sviluppata secondo una duplice direttiva; l'attivazione, a partire dal perimetro dei partiti laico-socialisti, di una grande forza capace di farsi protagonista di una riforma democratica delle istituzioni, e la battaglia per una trasformazione del sistema elettorale tale da rimettere in discussione quella che il Pr denuncia come occupazione partitocratica della cosa pubblica.
Alcune questioni rispetto a queste tematiche:
1) fino a che punto l'analisi sopra ricordata era o rimane valida?
2) in che misura le scelte del Pr sono state conseguenti ad essa, o comunque adeguate rispetto alla situazione italiana?
3) alcuni eventi hanno modificato il quadro della situazione italiana quale si presentava al momento dell'ultimo congresso radicale: il risultato elettorale; l'impoverimento e l'appannamento dell'ipotesi di forza laica sopra ricordata; la pratica cancellazione dall'agenda politica della proposta radicale di riforma elettorale, mentre prendono semmai piede proposte di riforma valide a rinsaldare la presa dei partiti sulle istituzioni; la campagna referendaria (il cui esito non è noto nel momento in cui vengono stesi questi appunti), che ha segnato un nuovo, gravissimo salto di qualità nello stravolgimento organizzato dell'informazione politica e dunque dell'intero processo democratico, mentre ha consentito l'emergere -sotto la guida di Scalfari- di un progetto di riassetto del potere che si fonda su un'utilizzazione in direzione opposta a quella prospettata dal Pr della protesta antipartitocratica e della crisi dei partiti indotta dal degenerare della partitocrazia; infine, il risultato dei referendum. Quali conseguenze tutto ciò comporta per i radicali?
4) più in generale, quali prospettive si aprono nel contesto italiano per una forza radicale che non accetti per sé una funzione di mera gestione di un piccolo spazio minoritario nell'ambito degli equilibri dell'attuale costituzione materiale, ma che ritenga di non tradire se stessa solo se riesce ad usare i margini di "agibilità politica" che sa conquistarsi per realizzare passi significativi e incisivi verso la conquista di democrazia di diritto? E quale "forma partito" può essere la più adeguata rispetto a questo obiettivo?
II. Il Pr reca iscritti nella propria storia, nella propria impostazione tradizionale e nel proprio statuto i caratteri di una forza politica programmaticamente non nazionale. Ha sempre contestato le logiche nazionali, la dimensione soltanto o prevalentemente nazionale della battaglia politica, la idea stessa di una sovranità nazionale al riparo della quale possa essere lecito violare i diritti fondamentali della persona, rivendicando un principio di tutela di quei diritti, dovunque e comunque, superiore a quello di indipendenza nazionale. Per l'iscrizione non ha mai richiesto il requisito della cittadinanza italiana; e ha già avuto un segretario non italiano. Ma è stato particolarmente negli ultimi anni, a partire dalla "battaglia non italiana", combattuta soprattutto in Italia, contro lo sterminio per fame che i radicali hanno visto crescere in sé la consapevolezza delle dimensioni non nazionali delle grandi scelte politiche, e perciò della drammatica inadeguatezza di un agire politico ristretto ad ambiti, ad ottiche e a dimensioni nazionali, come quello che necessariamente si realizza attraverso i partiti nazionali.
Così -anche considerando l'incapacità di rispondere a queste esigenze da parte delle cosiddette internazionali, irrilevanti luoghi di incontro fra partiti nazionali- il Pr ha deciso di promuovere nei fatti, e non solo in sede teorica, di affermazione di principio, la propria costituzione in vero e proprio partito transnazionale. Nel proprio ultimo congresso ha affermato che solo in una tale dimensione ha significato la prosecuzione dell'azione politica radicale.
Più ancora degli aspetti relativi alla situazione italiana, questo tema domina le preoccupazioni dei radicali in questa fase di preparazione del congresso del partito, sia per la difficoltà obiettiva di raccogliere adesioni ad un tale progetto fuori dall'Italia, dove il passato e il presente del Pr sono ovviamente poco conosciuti, sia per i problemi di ogni tipo che si pongono anche solo per concepire un'impresa così radicalmente nuova.
Il primo interrogativo di fondo a questo proposito concerne ovviamente il consenso o meno circa l'esigenza di dar vita ad una forza politica transnazionale. A partire di qui molti altri se ne pongono, che sono stati variamente oggetto di dibattito all'interno del Pr in questi mesi. Tra gli altri:
1) Quali spazi effettivi di azione politica, e dunque quali possibilità effettive di costituirsi come forza politica reale, può avere un partito transnazionale, il quale perciò non abbia un ambito istituzionale definito entro il quale operare, un luogo cioè in cui dare sbocco politico attraverso i meccanismi della democrazia alle istanze di cui si fa portatore?
2) Un'ipotesi di risposta al quesito precedente indica nel Parlamento europeo l'ambito istituzionale sovranazionale che può oggi rappresentare il referente del partito transnazionale, il cui primo compito a questa stregua diventerebbe quello di battersi per conquistare al Parlamento europeo poteri effettivi di costituente degli Stati Uniti d'Europa, nella prospettiva spinelliana che da sempre il Pr ha fatto propria. Quali strade sono percorribili per dare effettualità politica a questa indicazione in un contesto europeo complessivo che attualmente si presenta ben poco incoraggiante da questo punto di vista? E' utilmente percorribile la strada della promozione dei referendum consultivi circa l'affidamento dei poteri costituenti al Parlamento europeo da eleggere nel 1989?
3) In che misura peraltro l'istanza federalista europea coincide o si integra con quella di una democrazia di diritto sovranazionale? Nel contesto degli equilibri mondiali attuali l'eventuale unità europea non avrebbe più che il significato di uno spazio di democrazia e di diritto sovranazionale, quello di un nuovo, vero Stato nazionale, adeguato alle esigenze del confronto tra i "veri" Stati nazionali odierni, le superpotenze, superando la dimensione di Stati "regionali", politicamente incapaci di autentica indipendenza, cui sono ridotti gli stati europei? E' condivisibile e plausibile l'ipotesi di togliere questo carattere alla creazione dell'unità europea, facendone il centro promotore di un processo di federazione aperto a tutti gli Stati di democrazia politica, anche al di fuori dell'area geografica europea, e perciò uno strumento per rafforzare, far crescere e suscitare aree di democrazia politica anche nel Terzo mondo?
4) Per il partito transnazionale, quale rapporto deve correre tra l'azione politica al livello appunto transnazionale e quella che i suoi membri conducono nelle singole realtà nazionali? Cioè, ad esempio, il partito transnazionale può (e deve) partecipare in quanto tale alle elezioni nazionali, ponendosi come concorrente dei partiti nazionali costituiti, o deve invece precludersi questa possibilità per privilegiare anche un carattere transpartitico, ossia di luogo di incontro su comuni obiettivi a carattere transnazionale anche tra militanti in partiti diversi? In quest'ultimo caso, quali forme può assumere la partecipazione dei suoi membri alla vita politica nazionale: la non presenza elettorale, la presenza in liste di altri partiti, la presenza con liste autonome senza però la sigla del partito transnazionale? In particolare per un partito come quello radicale, che esiste ed è radicato per ora in un solo paese, l'Italia, il costituirsi in partito transnazionale comporta il far affievolire l'impegno su temi nazionali, unica via per assegnare la necessaria priorità alla dimensione transnazionale, altrimenti condannata sempre per la forza delle cose a rimanere relegata in secondo piano; o invece richiede che nulla si disperda della forza conquistata sul teatro nazionale, che anzi ci sia semmai una sua crescita perché solo a partire da questo unico dato di forza politica si ha la speranza di riuscire a dar vita a un partito capace di effettiva azione politica transnazionale?
5) Quali temi "transnazionali" si possono oggi affrontare con speranza di efficacia politica e in modo da far crescere, o anzi di cominciare a costituire davvero, un partito transnazionale?
6) L'attuale Pr può essere il "luogo di fondazione" del partito transnazionale senza mediazioni? E' possibile che intorno ad esso, per la via delle iscrizioni individuali, si aggreghino fuori d'Italia energie adeguate, per qualità e quantità, per capacità dirigenti e di iniziativa, all'obiettivo che il Pr si è prefisso? O meglio si opererebbe promovendo la federazione internazionale di organismi già esistenti? In questo caso, quali? E come si eviterebbe il pericolo di dar vita a una nuova impotente internazionale fra partiti nazionali, dominati dalle loro ottiche ed urgenze nazionali? Nell'ambito di questa problematica, quale ruolo ed effetto può avere la funzione di leadership di Marco Pannella, che tanto ha pesato nella storia e nel carattere del Pr in Italia?
7) Il porsi come partito, e non come lega o movimento, sul piano transnazionale costituisce un momento di forza e di chiarezza o al contrario di debolezza e confusione?
8) In che misura il coniugare la tradizione, la prassi, il pensiero e l'etica della nonviolenza con quelli della democrazia liberale appare utile, o necessario, o essenziale, per dar vita a un efficace partito transnazionale della democrazia e dei diritti della persona? 206


Polonia: Obiezione all'est

di Piotr Niemczyk NR87 del 28 aprile 1988

SOMMARIO: Questo articolo pubblicato da NR, è apparso a gennaio su Tygodnik Mazowsze, settimanale clandestino edito da Solidarnosc nella regione di Varsavia. E' forse il più importante e diffuso periodico clandestino dell'opposizione polacca.
Piotr Niemczyk è uno dei fondatori dell'ormai notissimo movimento del dissenso polacco "Wolnosc i Pokoi"; ha trascorso parecchi mesi in carcere per obiezione di coscienza. L'autore illustra la situazione degli obiettori di coscienza in polonia e l'iniziativa politica di Wolnosc i Pokoi.

Più della metà dei detenuti politici polacchi sono obiettori di coscienza. In seguito agli ultimi arresti, sono ora dieci.
Nel corso degli ultimi quindici giorni di dicembre Wolnosc i Pokoi (WiP) si è mobilita come mai prima. L'azione di difesa in favore dei prigionieri è culminata in uno sciopero della fame di due settimane a Varsavia. Undici persone l'hanno iniziato il 13 dicembre, presso un appartamento privato. Il 16 dicembre altre sei persone si sono aggiunte allo sciopero a Opole. Il 24 dicembre, a questi due gruppi se ne è aggiunto un terzo composto da sei persone, a Sopot. Con altri scioperanti isolati in altre città, lo sciopero è terminato il 27 dicembre con 28 persone. Nello spazio di due settimane, i militanti di WiP hanno raccolto a Gdansk e a Poznan alcune migliaia di firme in calce ad alcune petizioni. A Wroclaw due persone hanno quotidianamente manifestato dal 13 al 31 dicembre sotto striscioni: e altre piccole manifestazioni con svariati partecipanti hanno ugualmente avuto luogo a Opole e a Szczecin.
Il movimento è stato in questa occasione come mai prima sostenuto da Solidarnosc: Lech Walesa, la Commissione regionale esecutiva (Rkw) della Bassa Slesia con Wladyslaw Frasyniuk, Zibigniew Bujak, Jacek Kuron, Adam Michnik hanno dato il loro appoggio, e così il Consiglio generale del Partito socialista polacco che ha pubblicato una dichiarazione speciale.
Le manifestazioni sono state organizzate con il sostegno del Partito radicale (originario dell'Italia ma che estende attualmente le sue attività in altri paesi d'Europa). Grazie a questo energico alleato, gli scioperanti di Wip sono stati spalleggiati da circa 140 altre persone, membri del Partito radicale e pacifisti italiani, belgi, francesi, spagnoli, olandesi, jugoslavi, greci e turchi. A Natale diversi militanti italiani e belgi hanno organizzato davanti alle rappresentanze diplomatiche polacche delle manifestazioni in favore dei prigionieri polacchi e in favore soprattutto di Slavek Dutkiewicz che era in sciopero della fame in prigione. Da altri paesi è stata espressa solidarietà: tra gli altri, dal Gruppo sovietico per l'instaurazione della fiducia tra l'Est e l'Ovest.
Quando è stata paventata la minaccia di uno sciopero della fame internazionale, il Parlamento europeo ha votato il 12 dicembre, pressoché all'unanimità, una risoluzione nella quale ha invitato i governi dell'Est a trattare il problema dell'obiezione di coscienza e del servizio alternativo con più giustizia.
Se altri prigionieri politici fossero stati l'oggetto di simili azioni di sostegno, sarebbero probabilmente già stati liberati. Nel caso degli obiettori di coscienza tali speranze non sono ammesse. La reazione del potere è stata tanto classica quanto poco coerente. I manifestanti sono stati tradotti davanti a semplici tribunali di polizia; coloro che digiunavano sono stati lasciati in pace a Varsavia, ma molestati a Wroclaw ove la polizia ha tentato di porre termine ai loro spostamenti sorvegliandoli per più ore. Il giornale "Zolnierz wolnosci" (Soldato della libertà) ha inaugurato una serie di articoli aggressivi. Ma è il direttore della prigione di Bydgoszcz che ha dato prova della maggiore malvagità, proibendo che fosse trasmessa a Dutkiewicz in digiuno una lettera nella quale i suoi amici gli chiedevano di porre fine allo sciopero il 27 dicembre, insieme a loro.
Le autorità hanno paura che l'istituzione di un servizio alternativo sfoltisca i ranghi dei nuovi chiamati alla leva e indebolisca la disciplina dell'esercito: se il lavoro in ospedale diventa un'alternativa reale al servizio militare, l'esercito dovrà umanizzarsi per evitare la defezione di tutti quelli che senza motivazioni politiche preferirebbero lavorare nei servizi sanitari. Al VI plenum del Comitato centrale, il capo della direzione politica dell'esercito, il generale Szadlo, ha annunciato che le autorità prenderanno misure decise contro chi indebolirà la difesa del paese: il generale Jaruzelski ha da parte sua dichiarato, nel corso di una trasmissione televisiva (un incontro con i giovani, al quale il potere ha fatto una grande pubblicità), che nessun paese può rinunciare ai suoi soldati e che solo i pantofolai rifiutano il servizio militare. D'altro canto, un paese che si pretende civile non può ostinarsi a mantenere una legislazione chiaramente repressiva. Le commissioni di reclutamento tentano dunque di convincere i chiamati renitenti, o sbarazzandosene proponendo loro (in disprezzo alla legge) di andare a lavorare in miniera, o assegnandoli al servizio nella difesa civile. Li si invia, anche, alla commissione di sanità: o, ancora, si rinvia il loro arruolamento. E' la direzione centrale che seleziona quelli che andranno in prigione. Le autorità militari lo hanno chiaramente ammesso nel corso del processo a Jacek Borcz di Kolobrzeg.
Dall'autunno 1986 WiP ha avuto conoscenza di 108 rifiuti di servire sotto le armi (su tre scaglioni di arruolamento). Ventidue di questi obiettori sono stati imprigionati, dei quali dodici per poco tempo (sei sono stati rimessi in libertà, sei hanno accettato di compiere il loro servizio nella difesa civile). Sette sono autorizzati a compiere un servizio sostitutivo; uno è stato messo nella lista dei riservisti, e cinque hanno ceduto e sono andati a fare il loro servizio (tra questi cinque, uno è stato rapidamente rinviato a casa perché continuava a causare dei problemi).
Gli altri impediscono ai funzionari dell'esercito di dormire. I testimoni di Geova sono in una situazione più difficile perché la loro religione gli impedisce anche il servizio sostitutivo. Il generale Michalik, capo aggiunto della direzione politica dell'esercito, ha tuttavia affermato nel corso di un incontro con dei giovani al club degli intellettuali cattolici di Varsavia, che solo un terzo dei testimoni di Geova finiscono in prigione; gli altri, meno ortodossi, accettano un compromesso. Questa informazione sembra plausibile: WiP conosce i nomi di diciotto testimoni di Geova che nel 1987 si trovavano in prigione per avere rifiutato di compiere il loro servizio militare.
Sembra poco probabile che le azioni di dicembre indeboliscano la politica delle autorità riguardo agli obiettori di coscienza. Due abitanti di Przasnysz (Wojciech Wiksinski e Wieslwa Soliwodski) sono stati liberati il 14 e 15 dicembre dopo essere stati condannati a due anni di prigione con la condizionale e ad un'ammenda; e dopo avere accettato di servire nella difesa civile Marek Czahor di Gdynia è stato assolto il 21 dicembre, ma Krzysztof Gotowicki di Gdansk e Kazimierz Sokolowski di Gorzow Wielkopolski sono stati arrestati, rispettivamente, il 25 e 29 dicembre. Infine, il tribunale della marina di guerra di Gdansk ha condannato il 31 dicembre Piotr Bednarz a tre anni di prigione. Il fatto che un altro obiettore di coscienza, Joachin Pawliczek di Zdzieszowice (vicino Opole) abbia ottenuto l'autorizzazione di fare un servizio sostitutivo all'ospedale conferma l'assenza di qualsiasi tipo di regole al riguardo.
Il fatto che i criteri che presiedono alla concessione del servizio sostitutivo non siano da nessuna parte definiti, fa comodo al potere, e tutto fa pensare che questo manterrà questo stato di cose.
Poiché l'autorizzazione di compiere un servizio sostitutivo dipende dalla benevolenza del capo della commissione di reclutamento, ogni obiettore di coscienza dovrà aspettarsi di essere eventualmente arrestato. La possibilità di intimidire i chiamati non ha prezzo per la direzione militare, al punto che compensa la disapprovazione che gli procura il mantenimento degli obiettori di coscienza in carcere e le azioni in loro difesa.


Intervista a Pannella

Di Jasna Kobe TELEKS Lubiana dicembre 1987

(ristampato su: Radikalne Novosti a cura di Marino Busdachin e Sandro Ottoni - hanno collaborato: Massimo Lensi, Fulvio Rogantin, Paola Sain Jan Vanek, Andrea Tamburi - Trieste, 1 gennaio 1989)

DOMANDE:
1) Onorevole Marco Pannella, come si addice ad un buon pranzo vorrei iniziare con l'antipasto. Quindi, se lei mi permette le chiederei quali sono stati gli inizi del partito radicale e le ragione che hanno portato alla sua fondazione?
2) Adesso cominciamo col primo piatto. Le battaglie, dal divorzio al nucleare, sono sempre state il piatto forte del suo programma politico. La fuga di Toni Negri era forse l'unico cibo un po' avariato. Cosa ne dice a proposito?
3) Il suo partito ha scelto il momento cruciale della partenza delle navi italiane per il Golfo Persico per dare battaglia al ``buon'' Muccioli. Può significare questo, che il pacifismo è in quarantena?
4) Secondo lei, nel caso che il suo impegno nella Comunità Europea riguardasse anche la Jugoslavia che vorrebbe diventarne membro, quali possibilità ci sono che questo avvenga?
5) Che ne pensa del programma di Enzo Tortora in TV?
6) Le pare che il governo Goria abbia validità nell'attuale contesto politico italiano?
7) Si ritiene lei il più machiavellico dei politici italiani?
8) Il Papa ha imposto un ``black out'' a tutti i cattolici osservanti per quanto riguarda il sesso come informazione didattica. Qual è il suo parere in proposito?
9) E adesso, come dessert, l'ultima domanda. Si pensa che la dolce Cicciolina sia politicamente la sua creatura. E, se è così, è possibile che lei le abbia allentato un po' le briglie paterne o, l'emancipazione dell'onorevole è soltanto una temporanea euforia politico-sessuale?
Grazie. Distinti saluti
Jasna Kobe

RISPOSTE:
1) Nell'Italia dell'immediato dopoguerra, le correnti e le forze dell'antifascismo democratico, di cultura ``europea'' dello Stato di diritto e della democrazia politica, erano state soffocate ed emarginate dal grande scontro-incontro fra la ``chiesa'' democristiana e quella comunista-stalinista, fra i principali rappresentanti dei due imperi a confronto, quello russo-sovietico e quello occidentale-americano.
Eravamo gente di sinistra liberale, democratica, socialista libertaria, ``estremisti'' sia di una maggior giustizia sociale sia dell'antitotalitarismo e dei grandi valori di tolleranza. Fra gli altri tentativi, nel dicembre del 1985, vi fu quello della costituzione di un ``Partito Radicale'' che si distinguesse dalla politica subalterna di potere accettata come fatalità da altri. Dopo un decennio di traversata del deserto, di abbandoni e di scoramenti, i fatti ci dettero ragione. Se un giorno qualcuno potrà scrivere la storia d'Italia, dal 1965 ad oggi, quale effettivamente si è svolta, potrà documentare che siamo stati, da allora, la maggior forza di progresso, di riforma, di democrazia, che ha dato sbocco politico a maggioranze sociali oppresse dal sistema partitocratico e della sua sterilità, su temi fondamentali per il diritto, per la vita e per qualità della vita nel nostro paese.
2) Che la ``fuga'' di Toni Negri costituì l'esercizio di un diritto innegabile di un cittadino che aveva già dovuto espiare più di cinque anni di prigione, la più feroce e disumana, senza diritto ad un processo, perseguitato con mandati di cattura falsi e pretestuosi, e che rischiava di restarci per dodici anni, prima di una condanna definitiva.
Fu, dunque, l'esercizio di un "diritto di fuga", anche se non fu, e non poteva essere, atto di lotta nonviolenta, radicale, esemplare: Toni Negri è l'espressione tipica di un tipo di intellettuali cultori dell'irrazionalità e della violenza, spesso vili sul piano civile e umano. Malgrado l'impossibilità di difendersi, malgrado egli abbia concorso a nutrire la campagna di linciaggio nei suoi confronti, malgrado la sua assenza, già la Corte d'Appello non è restato a suo carico altro che una condanna imbarazzata e poco convinta per concorso morale in una rapina nel corso della quale vi fu l'uccisione di un poliziotto... Da trent'anni di pena si è già passati a poco più di dieci anni, e non è impossibile che Cassazione annulli anche questa condanna. Ma il problema non è questo. Grazie allo scandalo di questa decisione di candidarlo ed eleggerlo, decisione che dichiarammo preventivamente avremmo pagato con un quarto del nostro elettorato in meno, riuscimmo a far conoscere all'opinione pubblica italiana e internazionale le aberrazioni di una legislazione speciale imposta dal PCI e della DC, da forze eversive e autoritarie interne allo Stato; non solamente Amnesty International ci ha dato e ci dà ragione, ma perfino il Presidente Reagan denunciò ufficialmente la degradazione di certe procedure giudiziarie italiane. Passammo così in pochi mesi da 12 a 6 anni di detenzione preventiva massima, e cominciò l'autocritica di tutti gli altri partiti... Quella che ci ha portato, il 9 novembre, alla schiacciante vittoria nel referendum per la responsabilità civile dei giudici, da noi innanzitutto immaginato e organizzato, malgrado il massiccio schieramento della stampa a favore della corporazione dei magistrati...
3) Sono vent'anni che lottiamo contro il proibizionismo che fa della droga (come dell'alcol negli anni venti e trenta in America) il più gigantesco affare criminale del mondo, senza precedenti, e che sta divenendo un soggetto di potere internazionale e nazionale che organizza e promuove commercio, produzione e uso delle armi da guerra nel mondo.
Nel 1975 - seguendo i nostri metodi gandhiani e nonviolenti - mi sono fatto perfino arrestare per costringere il Parlamento a compiere qualche passo nella direzione giusta, che finì per fare, ma che ben presto si sono rivelati inadeguati.
Questo Muccioli, che è divenuto una specie di grande guru del potere e della borghesia italiani per il ``recupero'' dei drogati attraverso una plurimiliardaria azione imprenditoriale, è andato lui all'attacco: noi non l'avevamo nemmeno nominato. Non è per noi, un punto di riferimento per la lotta contro un flagello senza pari, provocato dalla legge e dalla mafia che di questa legge ha bisogno assoluto, né nel bene, né nel male: egli è solamente un esperto e un imprenditore dell'assistenza ai mutilati ed invalidi, feriti e sconvolti dalla guerra in corso.
Quanto alla partenza delle nostre navi nel Golfo Persico, fummo fra i primi ad opporci, più per l'inutilità di questa misura che perché fosse davvero, come gli improvvisati pacifisti della sinistra tradizionale asserivano, una impresa di guerra e imperialista.
4) Il nostro impegno di Partito transnazionale, con iscritti e militanti in URSS e in Polonia, in Israele o in Burkina Faso, in Brasile o negli USA, oltre che nella Comunità europea, è per creare dei veri Stati Uniti d'Europa (come ci sono gli Stati Uniti d'America) e perché questa Comunità abbia fra i suoi membri, a pieno titolo, la Jugoslavia. Lo diciamo da un decennio, ufficialmente: militanti radicali sono spesso venuti per informare il maggior numero di cittadini jugoslavi di questa nostra convinzione.
L'indipendenza nazionale dell'Italia, della Germania, di qualsiasi paese, nel mondo contemporaneo, ci appare a tutti una illusione se non una truffa. La rivoluzione tecnologica, ecologica, non può esser assicurata nell'ambito di uno Stato nazionale. Né la lotta contro l'inflazione, contro la disoccupazione, contro la miseria, contro le illusioni autoritarie ed efficientiste di qualsiasi tipo, né la sicurezza né la difesa interna ed esterna dei nostri territori, dei nostri paesi. E' quanto abbiamo dimostrato di pensare, sotto la pressione dei popoli e della democrazia, dei diritti della persona e del diritto civile, nei dodici paesi della Comunità Europea. Il Partito Radicale è convinto di questo anche per la Jugoslavia ed ha il diritto-dovere di dirlo a di difendere questo punto di vista e questa svolta ideale: la decisione - comunque - deve essere sia della CEE sia della Jugoslavia.
Noi ci stiamo occupando in primo luogo di convincere la CEE e abbiamo buone speranze di ottenerle, se la Jugoslavia anche lei lo vorrà. Non c'è tempo da perdere. Se ne è perso troppo...
5) Non posseggo la Televisione, e non la guardo quasi mai. Ne studio solamente i dati relativi alla informazione, che non è né democratica né legale, ma partitocratica e menzognera, se giudichiamo da un punto di vista ``occidentale''. Se dovessimo giudicarla da un punto di vista ``orientale'', sovietico, allora, certo, il giudizio diventa un altro...
6) E' un governo che esprime il peggio dei partiti che lo compongono, e non il meglio. Non è nemmeno colpa di Goria. E' un governetto. Ma senza il nostro apporto e quello dei nostri compagni verdi - dimenticando che siamo all'origine, noi radicali, di tutti e cinque i referendum sulla giustizia e sull'energia, che hanno riscosso 21 milioni di sì (mentre i ``no'' sono stati meno di 4 milioni) e delle sole grandi riforme civili attuate in Italia... senza questo apporto perfino Craxi, ormai, potrebbe governare in modo adeguato.
7) Sarei - in tal caso - il più coglione, credendo d'essere il più furbo.
8) Che il Papa di sesso non capisce nulla. Ed è giusto ed anche bello che sia così.
9) La collega e compagna Ilona Staller è stata eletta grazie soprattutto alla frenetica promozione che ne hanno fatto, durante le elezioni, alcuni nostro potenti avversari, come il direttore di quel vero e proprio partito sfascista che è il ``grande giornale'' ``Repubblica''. Se la stampa nazionale ed internazionale impazzisce ogni volta che Cicciolina mostra loro una tetta, il problema non è della tetta e della sua titolare, ma di chi impazzisce per così poco. Ilona non è una casta diva, ma una porno diva. E allora? Preferiscono i mercati di cannoni, i distruttori dell'ambiente, i politici corrotti e impotenti? Si accomodino. Cicciolina non può, non vuole, far male a nessuno. E' d'accordo con l'essenziale dei nostri discorsi. Commercializza il sesso? Certo. Lo si fa dall'inizio del mondo, ed è meglio farlo alla luce del sole, che nel buio della clandestinità. Certo, se si votasse nel solo, vero sistema democratico del mondo, quello americano anglosassone, la sua candidatura non sarebbe sorta, se non come espressione di simpatico e inconcludente folklore.
E noi, Ilona compresa, siamo per elezioni all'americana... E voi? 3581


Caro Craxi, il Pr scompare

di Marco Pannella IL MANIFESTO, 29 dicembre 1987

Il vicesegretario del Psi, Claudio Martelli, insiste nel dare versioni riduttive, parziali e non propriamente veritiere, ai motivi del "gelo" (il termine è suo) calato fra i socialisti e radicali dal dopo-elezioni della scorsa estate ad oggi. A chi e cosa serve occultare i motivi reali e seri del dissenso? Se non li si affronta chiaramente non potranno che aggravarsi anziché essere superati.
Afferma Martelli, in una intervista alla Stampa: "il gelo con i radicali cominciò quando Pannella propose a Craxi di far fare il governo a De Mita e di entrarci come ministro per sottolineare un patto forte. Craxi gli rispose: "Ma sei matto?".
Noi proponemmo, subito dopo le elezioni, coerenti con la campagna elettorale che insieme avevamo fatto, e con gli ultimi due anni di legislatura, di valorizzare e non di liquidare i risultati elettorali, che avevano visto la sconfitta politicapiena, totale, dalla linea di De Mita, e il successo del Psi, dei verdi e anche dei radicali, oltre che dalla proposta laica e riformista, malgrado gli insuccessi elettorali (e non politici) del Pli e del Psdi.
Proponemmo, quindi, una iniziativa politica forte, per un governo forte: una crisi se necessario lunga, per sconfiggere definitivamente, per sbarazzarci della "linea" De Mita e del demitismo. Un governo a sette, con verdi e radicali, dentro, a forte contenuto programmatico, in particolare in politica estera, in direzione europeistica e "occidentale", in politica della giustizia e dell'energia, dell'ambiente, del debito pubblico e istituzionale. All'interno della Dc, l'esito elettorale era vissuto in modo opposto a quello di cui la stampa e la Tv s'erano fatte trombetta per conto di De Mita. I referendum non avrebbero potuto non tenersi entro breve termine. La minaccia di una crisi grave della legislatura, al suo inizio, non poteva spaventare che chi aveva perso e fatto perdere al suo partito politicamente il confronto.
Al contrario, il Psi sembrava scegliere (e scelse) di chiudere subito la crisi: con il pentapartito, senza iniziativa politica che non fosse di potere e di corridoio. A questo punto (e di nuovo in dicembre, dopo i risultati dei referendum e durante il tentativo di crisi opportunamente fatto dai liberali, costretti subito, in primo luogo dal Psi, a una ingloriosa ritirata) tornammo a ripetere ai compagni socialisti che occorreva comunque impegnarsi in una politica non-attendista, non di bassissimo profilo, non del "tanto peggio, tanto meglio" anche negli interessi del paese, nella congiuntura internazionale e sociale che s'andavano aggravando. E che l'alternativa alla nostra proposta non poteva allora che essere quella di un governo De Mita con vicepresidente e ministro degli esteri Craxi, a sette, con Pr e verdi, anche in considerazione del fatto che il grande successo referendario rafforzava la logica dell'impegno radicale e verde in una nuova, più ampia e chiara maggioranza di governo.
E' vero che Craxi, a quel punto, sbottò sorridendo: "Ma sei matto?". Risposi che ero serio; e stavo per aggiungere che non per colpa nostra poteva essere giusto scomodare categorie come quella della salute psichica-politica di qualcuno di noi. Craxi stesso, in quella occasione, sottolineò che la crisi aveva colto impreparato il Psi che ammetteva di non aver risposte politiche chiare da dare, come non le aveva avute durante l'estate, e che occorreva riflettere, e riflettere in comune. Temeva solo e innanzitutto un nuovo incontro Dc-Pci e ne era - ed è - paralizzato e condizionato. Come esito della riflessione, tutt'altro che comune e quanto mai solitaria, per quanto ne sappiamo, Craxi lanciò dopo pochi giorni la proposta della contro-riformetta dello sbarramento elettorale del 5% e di liste "nazionali" (o con collegio unico nazionale) per le elezioni europee. Il "giro" di consultazioni ha poi subito confermato che si trattava di poco più che di una (infelice) provocazione, di fatto ritirata o accantonata, Un pò poco.
A questo punto, ristabilita la verità, dobbiamo chiaramente rammaricarci della "svolta" socialista, rispetto a due anni di intese e di lavoro comune, ed allo stesso Congresso del Psi, svolta di 180 gradi. E' come se, d'un tratto, una linea politica del Psi, che aveva rischiato (non fosse stata la faziosità e la distruttività, allora, della politica della "opposizione" di sinistra) di scavare un abisso fra socialisti e radicali, tornasse a prelevare, senza più ambiguità, riserve e contraddizioni. Penso alla linea del nuovo Concordato madamense, dell'elezione del presidente della repubblica sulla linea dell'"unità nazionale", alla politica di rovesciamento delle alleanze dovunque possibile negli enti locali, con sola bussola quella di interessi da potare, dell'accettazione della "staffetta" e della lottizzazione feroce della Rai-Tv, fra Dc, Psi, e un certo Pci, (e gli altri dietro, più che dentro). Penso agli errori e alle sconfitte dovute a tatticismi e ad assenza di iniziativa politica sul fronte dei mass-media, e su quelle della vita istituzionale e pubblica.
A rischio di spiacere ancora di più, e di far scomparire quindi ogni piccolo spazio di informazione e di dibattito per quanto ci riguarda, aggiungo con recisione un timore, che nutro - non silenziosamente - da anni. Non c'è più a presiedere la repubblica, e ad animare la vita politica e istituzionale, Sandro Pertini. L'Italia, e la democrazia, devono a lui l'unico evento politico di valore storico (con quello della battaglia e della vittoria divorzista) che abbia marcato in questi ultimi trent'anni la vita politica italiana. Nessuno avrebbe avuto mai la forza e il rigore intellettuali, nel pieno rispetto della Costituzione e delle sue funzioni, di affidare gli incarichi di governo non più a democristiani ma a Ugo La Malfa, prima, poi a Craxi, a Spadolini, a Craxi ancora, di realizzare così un'alternanza laica alla trentennale guida democristiana dei governi. Senza la sua azione e presenza la storia di questi dieci anni sarebbe stata ben altra, e peggiore. Dubito che Bettino Craxi e Giovanni Spadolini sarebbero restati a lungo ancora segretari dei loro partiti; altro che presidenze del consiglio. Non vorrei che il prezioso patrimonio, il peculio anche, dovuto a Sandro Pertini andasse a tutto intero dilapidato.
Se il Psi non tornasse alla politica, che lo ha portato alla vittoria elettorale di giugno (dopo la quasi sconfitta siciliana e il sostanziale stallo delle elezioni amministrative), quella trainata possentemente non già dal Concordato madamense, dal tripartitismo della elezione del presidente della repubblica, dalla politica di potere più che di governo, ma dalle scelte riformiste, laiche, liberal-socialiste e radical-democratiche referendarie (se si limita a sperare di assorbire il Psdi o una parte del suo elettorato, e di contrattare con Dc e Pci qualche vantaggio particolare, egoistico, di mero potere o di mera facciata, in cambio del nulla o di contro riforme istituzionali e politiche per protrarre il più possibile gli attuali assetti di regime, temo che tempi bui s'annuncino per tutti: in primo luogo - non s'illudono - per i socialisti stessi). Tanto più che ci sembra errato contare troppo su un Pci eternamente disponibile a questo tipo di incontri e di spartizioni del potere, di rifiuto o di capacità di grandi disegni di riforme, di negazione o di superamento del proprio "particulare" ponga in causa persino il nome, il termine "comunista".
Si può - chiedo dunque a Martelli e a Craxi - discutere seriamente? Il Pr offre formalmente - con le sue proposte congressuali a Bologna - la propria scomparsa come forza partitica concorrente in quanto tale, nella politica nazionale, come previsto e come preannunciato sin dagli scorsi anni. lo fa come contributo per la riforma e per la democrazia. E il Psi? E gli altri. 4398


Appunti per il Congresso

di Marco Pannella NR302 del 31 dicembre 1987

Così come nessun partito aveva "pensato" il divorzio, o l'aborto, o i diritti civili, o l'uso del referendum o della nonviolenza politica, o dei regolamenti e delle leggi, la vita del diritto e il diritto alla vita come inscindibili; così come nessun partito, dopo il Pnf, e forse non solamente in Italia, aveva pensato e realizzato una nuova "forma-partito", un'"azienda" e un'"impresa" politica organizzata che hanno fatto "produrre" durante vent'anni, e continuano oggi, con l'impegno di due/trecento e poi di due/tremila militanti, (a fronte di centinaia di migliaia e di milioni d'altri, e dell'intero ceto intellettuale) leggi, idee, moralità e costumi, financo un lessico; così come ieri eravamo alla testa di un esercito, che ci inseguiva come nemico o disprezzava come banditi, e che in tal modo conquistava nuovi orizzonti e nuovi spazi per sé e per tutti, così oggi -al termine di una nuova fatica che dura da anni ed anni- noi siamo forse sul punto di mettere alla luce, "al mondo" o di fallire, la "nuova politica" e la "nuova democrazia", la Riforma cui tutti sacrificano parolone e spenti concetti, nell'illusione che questo basti per sopravviversi.
Far nascere la nuova politica, la nuova democrazia...
Senza iattanza, senza fierezza ostentata, con umiltà democratica e civile, ma anche senza quella modestia che è la falsa e lugubre virtù degli spacciatori del niente, vorrei che il 34° Congresso del Partito radicale, con tutti i suoi partecipanti, di questo fosse consapevole e responsabile. E' strano, a prima vista, come nessun "intellettuale" di professione, nessun "osservatore politico" di grido, con le solite eccezioni che, in vent'anni, si contano sulle dita di una sola mano, abbia mostrato di porsi il problema del "perché" e del "come" della "produttività" radicale, del Partito radicale. Nessun sociologo italiano, ad eccezione forse di un paio, all'incirca quarantenni, ha mostrato di chiederselo, non solo di rispondere.

La politica è cultura o non è
Gli è che per noi -dal 1956 per alcuni di noi- o "politica" è, ripeto: è, "cultura" o non è; così come "cultura" è -ripeto è- politica o non è. Pasolini e Sciascia da una parte, il Partito radicale dall'altra, ne sono testimonianze. Invece tutto il sistema ideologico, "culturale", politico post-fascista e partitocratico, tutto il sistema "intellettuale" italiano si sono confrontati con il problema del rapporto fra "politica e cultura", fra "partiti" e "intellettuali", non a caso gli uni e gli altri arrestandosi sempre di fronte al problema delle "forme" delle "regole". Per privilegiare l'astrazione di "contenuti" significanti e presignificati, ignari o nemici del diritto, della legge, della giuridicità, dei diritti (e dei doveri); tutti eredi e succedanei attraverso le "ideologie" delle "teologie" precedenti, tributari ed eredi del "fascismo" e dei suoi monumenti e non dell'antifascismo antifascista, liberale, azionista, liberal-socialista, socialdemocratico, cristiano-democratico.

Dalla parte di Croce, e non di Gentile
E se tutti, o quasi tutti, devono a Giovanni Gentile, nel mondo comunista o in quello dei missini pensanti, il loro attualismo e la loro triste attualità, sarà forse il caso di tributare, en passant, al Benedetto Croce dei "distinti" e dell'affermazione della nobiltà di ognuno di essi -se fedeli ai propri limiti e alla propria "economia", senza pagare pedaggi e supporti ad etiche e culture, reificandole, ossificandole, senza tentare in alcun modo di soggiogarle e di farsene orpello, illusione distruttrice e costosa- un riconoscimento riparatore.
Pasolini lo aveva previsto, e Scalfari ne è la conferma
Così sono fallite tutte le "politiche culturali" (e D'Orazio e Bruno Zevi, non solamente Sciascia, tra i nostri amici e compagni, hanno avuto ragione di denunciarlo) e tutte le "culture politiche", anche le migliori, le più a noi care, come quelle -ad esempio- incarnate dai Bobbio o dagli Alessandro Galante Garrone, o quelle -ben diverse- dei Valiani o dei Barile.
Così sono falliti tutti gli apporti intellettuali e degli intellettuali in quanto tali, in qualsiasi area, se non quelli degli "intellettuali isolati", che hanno rivendicato il diritto alla contraddizione, o che sono stati ridotti al silenzio o emarginati. Il Partito radicale è -oltre che essere stato- cultura tanto quanto politica; ne ha prodotto, creato, fino al dover oggi subire quanto Pasolini aveva esplicitamente previsto: che la cultura radicale dei diritti civili, della Riforma, del diritto e della difesa delle minoranze senza potere che costituiscono la quasi generalità delle persone che "le grandi maggioranze" pretendono di rappresentare, divenuta "civiltà" e usata dagli "intellettuali" del sistema si sarebbe trasformata in forza terroristica, violenta, oppressiva, discriminatrice. "Repubblica" -questo massimo partito, irresponsabile e autocratico, totalizzante e trasformista- ne è la dimostrazione clamorosa, in tutte le sue pagine e i suoi puntuali fallimenti nelle operazioni di potere che promuove e asseconda: la dimostrazione che il nuovo fascismo possibile in Italia trae linfa non dal "fascismo" dell'Msi, ma dall'"antifascismo" di questi post-fascisti, nazionalisti, trasformisti, chiusi ad ogni area e storia di "senza potere", ma forse incapace di trovare in Scalfari la statura del suo predecessore in giornalismo e in sfascismo, in trasformismo ed in cinismo, sottocultura dura a morire, come si vede, nella penisola a capitale irpina.

La lotta allo sterminio per fame: una battaglia persa
Dopo questa lunga digressione, della quale mi scuso con il lettore, occorre tornare, dunque, alla "politica" ed al "Partito radicale", nella puntualità dei problemi che li investono e attraversano, e che occorre al solito imbrigliare come energia e non negare come al di sopra delle nostre forze e quindi limitarsi ad esorcizzare.
Già con la battaglia nonviolenta contro lo sterminio per fame nel mondo il Partito radicale aveva cessato di trovare nello specifico dello Stato italiano ragione sufficiente per giustificare la propria esistenza. Questa battaglia (ma in realtà e per fortuna si tratta di una "grande guerra") è oggi persa. Persa perché non poteva avere come destinazione uno stato nazionale, se non strumentalmente, per accendere l'incendio di vita e di pace -subito- ad altri stati ed aree... Non resta, da questo punto di vista, che il merito grande di Food and Desarmement, con Emma Bonino, che tiene accesa sul piano concreto la fiamma, e sta cercando di rilanciarla in Francia, in condizioni però straordinariamente difficili vista l'inesistenza della politica del Partito radicale, di nuclei di Pr in questo paese. Sia detto di sfuggita, quel che sta facendo lo stato italiano sul fronte della "cooperazione e dello sviluppo", mangiatoia di tutti, è semplicemente ignobile, disumano, criminale, stolto.

Responsabilità dei giudici: un referendum tradito
Dopo i veri risultati dei "referendum", in particolare del referendum sui giudici e la loro responsabilità democratica e civile, i veri risultati politici, che sono quelli di una legge in corso di approvazione che è perfino illegittima, oltre che di violenta negazione dei risultati dei risultati ufficiali e popolari delle votazioni referendarie, dovrebbe apparire chiaro a tutti i radicali (e, direi, in primo luogo ai "radical-democratici" da tanti anni parlamentari della Repubblica oltre che ottimi militanti del Pr) il meccanismo perverso, obbligato, suicida della "democrazia italiana", del sistema politico nel quale operiamo.

Vittorie apparenti, leggi senza certezza
Da anni non riusciamo, sul piano parlamentare, ad avere altri successi che strumentali, altrimenti inesistenti, a grandi battaglie extra-istituzionali, nonviolente, di partito e di parte. Da anni non riusciamo a tradurre in realtà viva quel che sono le nostre vittorie politiche o i mezzi successi parlamentari: le leggi e gli atti parlamentari non hanno più dalla loro nessuna certezza, non sono "conquiste" se non di un mattino. E ogni volta che ci rendiamo disponibili a "governare" l'attuazione di conquiste di tal tipo, pur essendo questo un impegno virtuale di carattere temerario, subito il rifiuto è totale e netto, come la vicenda fame nel mondo e quelle di quest'anno ampiamente dimostrano.
D'altra parte viviamo in Italia, con maggiore gravità, situazioni che oramai incalzano tutti, o quasi tutti, gli Stati nazionali, in particolare quelli europei, per non parlare di quelli del terzo mondo, e dell'impero sovietico.

Lo specifico nazionale, ragione ormai insufficiente
I problemi dell'ambiente, della degradazione della biosfera, e di ogni altro "luogo" della terra e della vita, non possono che essere pensati politicamente che a livello di grandi aree del mondo: e per "grande area" geopolitica, non basta nemmeno riferirsi, se non strumentalmente all'Europa "occidentale" ma occorre riferirsi in realtà e d'urgenza alla realtà euroafricana: la desertificazione attorno al Sahel e la morte delle foreste in Europa dovrebbero ricordarci quel che la cultura eurocentrica e nazional-romantica ci ha fatto dimenticare: il Mediterraneo non è che una sorta di grande lago salato all'interno della stessa terra, e nell'area di stesse culture.
La "cultura continentale", tedesca, francese, e delle loro appendici va riferita ai fenomeni secolari, o di questo secolo, il cui provincialismo rischia di esser letale: la "cultura anglosassone" -questa, non l'altra- è quella che ha prodotto più civiltà, più democrazia, anche se oggi la sua "Chiesa" -lo Stato americano, gli Usa- rischiano di affossare i valori che rappresenta e lo hanno reso grande. E, non a caso, a lungo, si opponevano alle "utopie" radicali, che tali per fortuna non erano, testarde convinzioni: esse sarebbero stati vitali nel mondo anglosassone, non da noi. Si tratta, invece, di idee, ma soprattutto di "forme" e di "regole", di diritto e di diritti "procedurali", (dobbiamo chiamarli di "teoria della prassi" istituzionale per farci infine capire dagli "intellettuali" di casa?) che hanno trasformato anche il mondo "anglosassone" come un lascito della storia e della preistoria, non di programmazioni genetiche di organismi sociali "diversi" dal nostro.

Fra cultura continentale e cultura anglosassone
Così, oggi, la crisi del diritto, dell'amministrazione della giustizia, del mondo penitenziario, dello stato di diritto e dei diritti della persona, s'accentua ovunque, con l'alibi o per terrore del modello e del leviatano sovietici.
Il problema (certo, di etnòs) della difesa del territorio e della (qualità della) vita dell'etòs, l'abbiamo posto ormai da vent'anni, da nonviolenti più che da pacifisti storici. Ed è problema urgente, incombente, storico, "epocale" direbbero Ingrao e Rauti, Formigoni e magari anche Bobbio. Non siamo riusciti a viverlo e a farlo vivere che come testimonianza, petizione di principio, ragionamento, e non a caso, passata la stagione della difesa politica e sociale dei pensionati al minimo e della "legge Piccoli", non si comprende se l'Irdisp e la sua esistenza e attività, servano almeno, politicamente, a Roberto Cicciomessere o a Francesco Rutelli. Eppure la negletta iniziativa del digiuno per l'affermazione di coscienza, ancora in corso o appena terminata, di carattere effettivamente transnazionale, mostra a chi l'abbia seguita da vicino e voglia scorgere al di là del proprio e altrui naso, la maturità piena di una campagna politica nonviolenta sul piano dell'organizzazione della difesa del territorio e dei valori storici in contrapposizione...

La nascita degli Stati Uniti d'Europa, culturalmente matura
Per gli Stati Uniti d'Europa (in Italia, ormai, sembrano esserne convinti solamente Confindustria e Agnelli: ma vista la loro totale impotenza ogni volta che si tratta di far altro che affari e affarismi, e di individuare ed allargare ogni breccia parassitaria nel mondo dell'economia e della produzione, di assecondare il passaggio -o la permanenza- dal "mercato" alla giungla, non c'è da esserne rassicurati) è evidente che la loro nascita è "culturalmente" matura: come lo era, in Italia, forse da mezzo secolo, la riforma divorzista, o lo sarebbe quella "anglosassone" sul piano del sistema politico ed elettorale. Non solamente i dati oggettivi, tecnologici, finanziari, produttivi, di mercato, storico-politici, culturali, ma anche quelli soggettivi, di cultura e anche di sottocultura popolare, sono oggi indirizzati alla formazione urgente, pressoché prioritaria, degli Stati Uniti d'Europa. I meccanismi istituzionali, giuridici, politici attraverso cui raggiungere questo obiettivo, questo punto di partenza verso il duemila, o verso una società più giusta, più libera, più ricca e più responsabile, sono praticamente infiniti, e Altiero Spinelli ha dimostrato come sia possibile farli prescegliere anche da un Parlamento, come quello europeo, dove rare sono le personalità e quasi tutti dipendono dalle burocrazie nazionali e nazionaliste per essere eletti. Noi stessi, in questi giorni, ne stiamo individuando e proponendo di pienamente validi e fattibili.

Un soggetto politico transnazionale
Ma, in questo ed in ogni altro caso che potrei evocare, e sono tanti, noi non possiamo più fare l'economia della logica, risparmiarci un minimo di coerenza e di rigore, di vigore politico e intellettuale: o per animare, concepire, attuare, questa battaglia (e quella per il diritto alla vita e la sopravvivenza nel mondo, e le altre che ci sono a cuore e in mente) esisterà un soggetto politico transnazionale, una organizzazione già esperimentata e matura sul piano dell'organizzazione, della tecnologia della lotta democratica, popolare e legislatrice, che con atto di volontà, al limite del volontarismo, subito possa crescere e riuscire o fallire, o anche sul piano puramente "italiano" il Partito radicale dovrà finire per scomparire, magari accettando e sollecitando un "ruolo nuovo" cioè il più vecchio ed ipocrita: quello di divenire la caricatura di se stesso, di assicurare al sistema, ed agli altri, in cambio di una "partecipazione", la fine dei propri valori, della propria forza, delle "idee" e della cultura che cesserebbe di essere per cominciare a "rappresentare" sulla scena della vecchia recita della conservazione...
I compagni radicali, ricordando o ripercorrendo la storia del Partito, i testi delle mozioni approvate, dei discorsi fatti dal e nel e al paese, di quella lunga, paziente lotta che portò alla "risoluzione" del Congresso di Firenze, sulla "chiusura" -obbligata, decretata nella sostanza dal sistema e dal regime, tanto quanto per questi pericolosa se realizzata anche sul piano formale- del Partito radicale, ricordando che il partito rinunciò ad applicare nel 1986 fino in fondo quella risoluzione per doverosa umiltà e, in certo senso, per volontà e decisione degli oltre diecimila cittadini iscrittisi per "impedire la chiusura del partito", non perché ritenesse superate le ragioni o le costrizioni che la determinavano, i compagni radicali -dunque- comprenderanno meglio quanto siano gratuite, superficiali, e anche acritiche nei confronti di loro stessi, coloro che dal vertice del "gruppo dirigente" del Partito, parlano con apparente sicurezza di "fughe in avanti".

Nessuna fuga in avanti
Il Partito, in questi anni, grazie in primo luogo a chi ha avuto il compito di assicurare chi ha avuto le responsabilità di conduzione, è tutt'altro che "fuggito", in avanti o indietro che sia. Ha anzi realizzato, il Partito, nel Paese, e anche fuori di esso, per la prima volta in modo consistente, anche se marginale, un "pieno" di iniziativa politica. Lo ha fatto, alla fine, con il minimo di contraddizioni possibili. Dobbiamo sottolineare la non secondarietà del fatto che per realizzare il movimento referendario sull'ambiente e sulla giustizia, coerentemente con le analisi del Congresso di Firenze, confermate dai successivi, ha ottenuto che quelle iniziative non fossero "del Partito radicale" (nella convinzione che sarebbero state in quanto tali destinate all'insuccesso o alla marginalità) ma di due "aree" e di altre organizzazioni, oltre che la nostra.
Ciò malgrado, e come previsto, e anche se non possiamo rinunciare alla determinazione di lottare durissimamente in Senato e nel paese contro gli esiti legislativi che si stanno compiendo, tutti possono constatare che il "sistema", secondo le analisi che hanno portato alle decisioni del Congresso di Firenze, sta imponendo dopo i referendum darsi vinti, leggi peggiori di quelle che abbiamo abrogato. Si tratta di un esempio.

Aprire in Europa per non chiudere in Italia
L'alternativa non è, dunque, fra un partito "italiano" (o -certo!- mica per sempre! Ancora per un annetto, o due, o almeno senza tagliarsi ponti dietro le spalle, senza imperativi categorici, senza... "salti nel buio"!) e un Partito transnazionale: l'alternativa e tra la chiusura sostanziale, d'imperio, grazie anche alla non chiusura formale, del Partito radicale, e l'apertura formale, quanto più sostanziale possibile in termini di logica, del Partito radicale in Europa (per ora) e dovunque possibile. Personalmente ritengo che dobbiamo (come facemmo -se non dispiace a loro compagni- a Firenze e in tutti i Congressi e Convegni successivi fino al Congresso di febbraio scorso) fissarci obiettivi e calendari "quantitativi", "numerici" per il primo semestre ed il secondo.
Il compito "istituzionale", "annuale" del partito, dovrebbe quindi a mio sommesso avviso essere proprio quello, netto e secco, della costituzione effettiva di un soggetto politico transnazionale e transpartitico come premessa per compiere successivamente altre scelte organizzative e anche politiche, se del caso; e perché questa condizione minima si realizzi mi sembra occorra fissare in migliaia per giugno, e altre migliaia, per la fine del 1988, gli obiettivi senza la cui realizzazione l'organizzazione del Pr passi alla fase della sua attività di effettiva liquidazione.

Rischiare l'esistenza del Pr per non rischiare la fine
Occorre saper rischiare consapevolmente e fino in fondo l'esistenza del partito, se non vogliamo fargli rischiare, e ottenere, la sua fine. Occorre che vi sia, oggi, ma oggi, il Partito radicale anche fuori di Italia, e "come" in Italia (non "quanto"), se vogliamo che ciò sia al livello della sua storia e delle sue ragioni anche in Italia.
Quel che mi pare difficile da eludere è una risposta a coloro che paventano "questa" fine del partito in Italia, e non quella che per anni, prima del Congresso di Firenze, sul piano delle analisi e poi da allora sul piano delle delibere, il partito ha cercato di scongiurare, finora in parte riuscendovi, grazie anche a "miracoli" (i "quindicimila", ad esempio) irripetibili, o quantomeno cui non possiamo ritenerci abbonati. Sembra davvero strana la loro disattenzione. Non abbiamo mai cessato, mi pare, di ripetere ossessivamente, puntigliosamente che dobbiamo deliberare, in modo netto e per ora conclusivo, la non presenza e la non partecipazione del Partito radicale, in quanto tale, in quanto tale, in quanto tale, ad elezioni politiche, e alla gestione delle istituzioni non solamente locali ma nazionali e internazionali.

Il Pr -in quanto tale- non si presenterà...
Questo significa, semplicemente, che il carattere "laico", operativo, "aperto", "non esclusivo", del Partito radicale, il suo carattere "non rappresentativo" di chicchessia ma di strumento, utensile per chiunque, di servizio pubblico per tutti nella diversità di ciascuno, di struttura aperta, della sua deliberata, testarda, non discriminazione per età, sesso, religione, "politica" e nazionalità (e nondiscriminazione deve alla fine pur significare tolleranza attiva, promozione, assicurazione, inveramento) fa un salto di qualità, si libera da contraddizioni coraggiosamente assunte, nel 1976, per "legittima difesa", per "stato di necessità" che si è rappresentato sul fronte italiano, l'unico esistente dopo la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, e dopo il sequestro da parte di questi di ogni spazio di comunicazione e di lotta civile e democratica. Chi ricordi la sorpresa con cui un Consiglio federale del partito accolse la mia proposta, improvvisa, in extremis, di così mutare gravemente gli aspetti fino ad allora tradizionali della politica radicale, e il fatto che nel 1983 (dopo soli sette anni, e dopo vent'anni di gestione del Pr) invitammo gli elettori a non votarci ed a non votare, e che ancora dieci mesi fa stavamo lavorando nella speranza di arrivare alle elezioni politiche del 1988 con liste "laiche" almeno al Senato, dovrebbe meglio dimostrare di comprendere -quindi- quanto distorta sia divenuta anche la memoria storica di troppi anche tra di noi della vicenda, della realtà, della "natura" del Partito radicale.
L'emblema: liberarlo da un limite renderlo più forte e rappresentativo
Quando il primo segretario del partito e il Tesoriere, il 29 dicembre, ritengono opportuno presentare alla stampa, prima ancora che al Congresso, e fanno molto bene, le proposte di "nuovo emblema" del Partito radicale, non fanno che cercare di così ricordare, far comprendere, che l'emblema "italiano" del Pr, quello che abbiamo avuto dal 1976 ad oggi in Italia (perché nella maggioranza dei paesi europei, per esempio, era inagibile essendo l'emblema dei partiti socialisti) non può essere imposto e cesserà di essere imposto in luoghi ed a compagni che non potrebbero, anche volendolo, usarlo; ma anche che quell'"emblema italiano" in qualche misura si libera da un gravame, da un limite, da una indisponibilità -quale emblema di un partito per statuto, dal 1967, non nazionale- e può renderlo più forte, diversamente rappresentativo, di storie e speranze più numerose e amplie di quelle di oggi.

In Italia la rosa nel pugno resterà simbolo radicale
Certo, il Partito radicale dovrà garantirsi pienamente, sul piano giuridico e su quello politico, dall'appropriazione indebita, impropria, di questo che è stato il suo simbolo per oltre dieci anni, ed in battaglie memorabili ed impareggiabili. Ma chi potrebbe vietare nel partito, nel Partito radicale (federale, transnazionale), l'uso della "rosa nel pugno" listata a lutto ad associazioni o liste "radicali" per associazione o nella sostanza, che portino la dizione "giustizia e libertà", e "per il diritto alla vita e la vita del diritto", e via dicendo, in occasione di straordinaria importanza per l'evento o per l'importanza delle adesioni?
E chi mai potrà non solamente attendersi, ma intellettualmente consentire, che i cittadini italiani iscritti al Partito radicale, così come quelli di ogni altro paese, esauriscano nel "servizio radicale", nel Partito radicale, l'esercizio dei loro diritti e dei loro doveri civili, la cultura dei propri interessi e delle proprie capacità? Il postulato della "pluralità" di tessere, ma anche soprattutto della pluralità degli impegni e degli obblighi, da parte di un partito che ha sempre tentato di essere quello di "una sola battaglia" (per volta!), di un solo obiettivo annuale, dovrebbe finalmente, in tal modo, trovare la (quasi) necessità di realizzarsi.

Tornare alle radici della storia e dello statuto del Pr
Chi mai, tra i radicali che hanno saputo rischiare ogni giorno, senza riserve e senza reti, la vita del partito perché non ne morisse l'anima, di dolore, coloro che "erano" (e non "avevano") il Partito radicale, può aver avuto anche per un solo istante la volontà di pagare il prezzo della scomparsa in Italia del Partito radicale, e di lotte del Partito radicale, e di lotte a pieno titolo radicali? Non è questo che è oggi proposto come alternativa all'obbedienza al decreto quotidiano di chiusura sostanziale del Partito radicale, alla quotidiana deturpazione della sua identità attraverso l'imposizione di una immagine non sua propria; quel che il Primo segretario del partito ci propone, coerentemente con i mandati che sono i suoi (ed i nostri, di noi tutti) è al contrario il ritorno in forza alle radici e alla linfa della storia del Partito radicale, alla lettera del suo statuto, alla diversità, che ci ha consentito di essere anche il più efficace e capace degli "uguali" dei partiti nazionali esistenti, per il tempo possibile, ed anche quasi impossibile, e necessario, del compromesso vitale, che non può divenire di compromissione definitiva come alcuni inavvertitamente erano o sono pronti a vivere.

Porci un limite e un obiettivo
Occorre, naturalmente, aggiungere alla proposta politica adeguate armi per rispettarla o attuarla. Prima fra tutte, lo ripeto, quello del termine del tentativo, e della soglia minima di persone che deve essere raggiunta perché si possa davvero sperare che il Partito radicale torni in Italia, e inizi finalmente un po' ovunque a operare e lottare perché il nostro tempo e la nostra società (non alcuni consigli di amministrazione delle istituzioni pubbliche, o private) mutino nel senso della vita e della libertà, della giustizia e dell'amore, non nei loro contrari.

In questo quadro e contesto vedo il Congresso di Bologna.
Un congresso in cui qualsiasi esasperazione di problemi e di punti di vista, di esigenze e di richieste pur ragionevoli, che siano "particolari" -anche "particolarmente importanti"- troverà insidie e cadute insuperabili.
Ed è questo il "dopo Pannella" che mi importa: quello che per mio conto sono riuscito fin qui a vivere sempre nella mia esistenza di compagno e di persona e che sarebbe bene diventi capacità di tutti, anche di coloro che son vittime (magari inconsapevoli) del grande leader e che sul "carisma" rischiano sempre di edificare il proprio "modesto" destino -che altrimenti non esisterebbe- e di trovare nei momenti di rabbia, una falsa ragione di rivolta e di rivalsa. 211