XXI Congresso (straordinario) del PR
Roma, 29, 30, 31 marzo, 1 e 2 aprile 1979

Nel marzo 1979 è ormai sicuro lo scioglimento anticipato delle Camere italiane e il ricorso a nuove elezioni. Il Partito radicale convoca il 21º congresso straordinario per deliberare sulla partecipazione. Si tratta di un congresso che pone ancora una volta i radicali in contrapposizione anzitutto con i comunisti, che tengono il loro congresso proprio negli stessi giorni. E la polemica non è legata solo al famoso discorso di Marco Pannella su via Rasella, ma investe il significato stesso dell'assise radicale. Con la mozione, infatti, viene rivolto un invito a tutte le forze d'opposizione, e in particolare a quelle che rischiano di non essere rappresentate in ambito istituzionale: il partito propone, a chi vorrà aderirvi, quelle che saranno definite le "liste omnibus", in grado di offrire un ingresso nelle istituzioni senza alcun condizionamento. Un'ipotesi che si contrappone soprattutto alla triste pratica dell'indipendentismo di sinistra, caro al Pci.

MOZIONE GENERALE

Il XXI Congresso del Partito radicale, ascoltate le relazioni del segretario generale Jean Fabre, le altre relazioni e comunicazioni e l'intervento di Marco Pannella, approva le proposte del Consiglio federativo in vista delle ormai certe scadenze elettorali politiche ed europee.

Il Congresso deve, infatti, prendere atto che la crisi della legislatura sospende e rinvia il progetto di altri referendum che il Partito radicale intendeva proporre al paese. E' un rinvio obbligato, non una rinuncia o un abbandono. Il Partito radicale conferma il progetto referendario come un momento centrale della sua strategia alternativa, fondata sulla Costituzione, sulla nonviolenza, sulla democrazia. I contenuti dei referendum restano pertanto la parte essenziale del suo programma politico ed elettorale, per i diritti e le libertà civili, per una società di pace e non di guerra, per un ambiente per l'uomo, per la difesa della vita, da tradurre immediatamente anche in progetti di legge da sottoporre al consenso dei cittadini.

Di fronte alla crisi, resa più drammatica dal sicuro scioglimento, per la terza volta consecutiva, del Parlamento, il Congresso ritiene che compito e obiettivo prioritario del Partito radicale debba essere, in questa occasione, quello di far crescere e di portare ad una nuova grande affermazione il potenziale democratico, popolare, dell'Italia dei referendum del 12 maggio 1974 e dell'11 giugno 1978, e dell'intero movimento per i diritti civili; di rafforzare ed esaltare le autonomie democratiche ed autogestionarie, federaliste, pacifiste, internazionaliste, di tutte le realtà etniche, culturali, religiose, sociali e di classe che si oppongono ai centralismi autoritari e burocratici sia degli Stati nazionali, sia delle strutture economiche multinazionali e nazionali, pubbliche private; di offrire uno sbocco unitario e vincente alle forze popolari, di classe, autenticamente regionaliste e autonomiste, le quali, con i referendum e le elezioni locali di quest'ultimo anno, hanno mostrato di volersi ribellare alla trentennale politica verticistica, interclassista e corporativa, violenta e corrotta della Democrazia cristiana, sostenuta o tollerata dai suoi alleati di ieri e di oggi.

Il Partito radicale si presenterà alle elezioni con il proprio simbolo e con il patrimonio delle proprie lotte condotte in Parlamento e nel paese. Esso ritiene di doversi assumere la responsabilità di contribuire a garantire che fino all'ultimo voto dato alla sinistra sia utilizzato al massimo nelle rappresentanze istituzionali.

Il Congresso rivolge quindi un appello per le elezioni senatoriali, sia alla sinistra di opposizione, sia al Partito socialista italiano perché, con accordi articolati regione per regione, si utilizzino al meglio i risultati di ciascuno e di tutti. Contestualmente il Partito radicale propone a Democrazia proletaria e al Partito di unità proletaria -qualora, nonostante tutto, decidessero di presentarsi separati- accordi tecnici di reciproca non presentazione in tre circoscrizioni della Camera che forniscano una garanzia ulteriore della loro rappresentanza. I radicali sentono la responsabilità di evitare quel che accadde nel 1972, quando un milione di voti fu disperso, e di contribuire a che la sinistra di opposizione sia rappresentata in tutte le sue componenti.

Con lo stesso spirito il Partito radicale mette a disposizione il suo simbolo e le sue liste a realtà politiche e sociali che rischiano di non essere rappresentate o di essere assorbite dai partiti di regime; l'invito è rivolto, in primo luogo, ai compagni di Lotta continua e alle forze autenticamente regionaliste ed autonomiste che rifiutano ogni prospettiva subalterna.

Il Partito radicale ribadisce infine che non c'è vera campagna elettorale quando non viene assicurato il diritto all'informazione, al dibattito, al confronto e tutti i cittadini possono conoscere per deliberare. Il Partito radicale non accetterà, pertanto, una campagna elettorale -per le due elezioni, politiche ed europee- a cui non sia assegnato almeno il doppio del tempo televisivo di "Tribuna elettorale" che fu conquistato per le sole elezioni politiche del 1976.

Ancora una volta, come con i referendum, come con le grandi lotte per i diritti civili, rivolge un appello ai cittadini perché riprendano nelle proprie mani i loro destini e rafforzino, anche nelle istituzioni, il partito del "Sì", il partito della Costituzione, del rinnovamento, dell'alternativa.