MOSCA, FU UCCISO IL RADICALE ITALIANO
Dalla Russia la conferma: non fu incidente
"La Repubblica", 31 gennaio 1995 Firenze
Andrea Tamburi, l'esponente radicale morto a Mosca il 27 febbraio 1994, non è stato investito da un'auto, come avevano dichiarato in un primo momento le autorità russe, ma è stato vittima di un'aggressione. Lo sospettava già da tempo il magistrato di Firenze Bruno Maresca, che aveva ipotizzato l'omicidio preterintenzionale e che in ottobre ha chiesto una commissione rogatoria. Ora la conferma arriva dal magistrato moscovita Igor Ignatev. "Gli accertamenti - ha scritto Ignatev all'ambasciata italiana - hanno condotto a stabilire che Andrea Tamburi è stato vittima di una aggressione ad opera di persone ignote la cui identità non ha potuto essere stabilita dalle indagini". "Lo studio circostanziato dei referti dell'autopsia svolta in Russia e poi in Italia - ha dichiarato ieri a Repubblica il signor Ignatev - conferma senza ombra di dubbio che si è trattato di una morte violenta, di un omicidio". Ma se il magistrato russo ritiene che Tamburi sia stato assalito da una banda di criminali comuni, "uligani", forse ubriachi, il sostituto procuratore di Firenze, Bruno Maresca, si chiede seno possa essersi trattato di un delitto politico.
Anche Emma Bonino sta cercando la verità. Tamburi, 46 anni, fiorentino, era il responsabile del Partito Radicale nei paesi dell'est europeo e da anni conduceva tenaci battaglie per i diritti civili. Nikolaj Khramov, un suo amico e collaboratore ha spiegato mesi fa che Tamburi non aveva mai ricevuto minacce ma che l'attività dei radicali a Mosca poteva avere suscitato delle ostilità. Disturbava la battaglia antiproibizionista, disturbavano le manifestazioni contro la pena di morte. E poco prima di morire Tamburi aveva inviato al parlamento russo una lettera critica contro l'intervento dei caschi blu russi a Sarajevo. E se Antonio Stango, amico di Tamburi ed esponente radicale, tende ad escludere il delitto politico e ritiene che l'amico sia stato aggredito per rapina, altri amici e compagni come Vincenzo Donvito, ricordano che l'ultima volta che rientrò in Italia Andrea era stanco e stressato. "Per me le cose vanno sempre peggio" spiegò. "Se avessero voluto ucciderlo - ragiona il magistrato russo - si sarebbero limitati ad un colpo mortale. Non l'avrebbero malmenato e non l'avrebbero lasciato in vita". Invece Tamburi restò in coma tre giorni all'ospedale Sklifasovskij. Ma è proprio ciò che accadde in quei giorni ad alimentare i dubbi. Gli amici lo cercarono invano. Il 24 febbraio ne denunciarono la scomparsa alla polizia. Girarono tutti gli ospedali, Sklifasovskj compreso. Ma soltanto il 27 febbraio furono avvertiti che il loro amico era morto per un gravissimo trauma cranico allo Sklifasovskj, dove risultava ricoverato dalla notte del 24 e dove era arrivato con il suo passaporto.
Agli amici fu detto che per errore era stato registrato come Andreij Tamburin. Ma perché gli erano state applicate docce di gesso alle gambe quando non c'era l'ombra di fratture, come dimostrerà poi l'autopsia? Non è che così si tentava di accreditare la versione dell'incidente stradale? E lo stesso incidente, avvenuto a pochi passi dal luogo in cui fu trovato il corpo di Tamburi, non potrebbe essere una messinscena? Ragiona il Pm Maresca: "All'inizio i nostri sospetti si infrangevano contro la versione dell'incidente stradale. Ma ora che le stesse autorità di Mosca dichiarano che fu un'aggressione prendono corpo i sospetti che possa esserci stato un depistaggio".