DECISIVO
IL MARCO CORRIERE DELLA SERA Gli hanno
offerto anche la segreteria socialista. Ora a Pannella manca solo la candidatura
alla Banca d'Italia. E Perché no? Dietro la maschera dello showman c'è
un fedele allievo di Sella, Minghetti, Ernesto Rossi... Arrivati a questo punto non ci sarebbe da sorprendersi se fosse proprio Marco Pannella quel superministro dell'Economia che l'Italia vagheggia da tempo. Non è un paradosso. Sbeffeggiato per decenni come immondo giullare della politica, il leader radicale si sta prendendo molte rivincite: sceglie i presidenti della Repubblica, dà e toglie ossigeno ai governi, viene invocato ovunque e comunque come salvatore di qualcosa. E adesso la sua candidatura alla segreteria socialista, surreale ma non sorprendente, viene lanciata nientemeno che da un prestigioso storico dell'economia come Luciano Cafagna. Un riconoscimento dal sapore accademico, una specie di laurea honoris causa per il sessantaduenne politico abruzzese, che una laurea vera e propria l'ha presa, ma in giurisprudenza e con il minimo dei voti, l'umiliante 66. Ora invece comincia la riscoperta del pensiero economico pannelliano che, giusto o sbagliato che sia, ha se non altro il dono dell'eternità. Non è poco in un'arena politica dominata da ondivaghi fisiologici e patologici. Pannella si propone da sempre, fedelmente, come la reincarnazione dei grandi leader della Destra storica, quei costruttori ottocenteschi della nuova Italia unita che - forse per il semplice fatto che non rubavano - stanno tornando di moda: i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa, Quintino Sella, Marco Minghetti, tutti singolari figure di liberali dirigisti, ostili agli eccessi speculativi e immorali del capitalismo privato. Da loro la filiazione pannelliana prosegue attraverso Piero Gobetti e i Rosselli, fino a Gaetano Salvemini e Ernesto Rossi. Insomma, se volete una proposta di politica economica di Pannella, ricostruitela in una fornita biblioteca: è la via più breve, e rispetto a quello che è scritto non avrete sorprese. Anche Perché nelle biblioteche
c'è ormai anche il Pannella-pensiero autentico e originale, archiviato
con frettolosa sufficienza negli anni passati e poi continuamente ripescato.
Qualche esempio? Prendete la campagna antiproibizionista per l'eroina,
che Pannella annovera nella politica economica, visto che il traffico
della droga condiziona la vita produttiva di intere parti del Paese: quando
fu lanciata nel 1975, con il famoso spinello in pubblico - e conseguente
arresto - il "Corriere della Sera" dovette fare un articolo in prima pagina
per spiegare che cos'era l'eroina, avvertendo che ormai i tossicodipendenti
in Italia erano quasi cinquemila. "Diventerà la più florida industria
italiana", avvertiva Pannella in manette. E fu archiviato come irresponsabile
esibizionismo. Per continuare con il "lui l'aveva detto", avrebbero potuto ascoltarlo anche quando, negli stessi anni, predicava l'immediata riconversione dell'industria militare, oggi sotto la tenda a ossigeno e fonte di sempre nuovi debiti per lo Stato anche perché le armi italiane sembra non volerle più nessuno. E se gli avessero affidato la gestione degli aiuti per i Paesi poveri, come chiese con insistenza nel 1984, oggi forse non saremmo qui a fare i conti di quante migliaia di miliardi sono state sperperate o rubate con la scusa della fame nel mondo. IL COEFFICIENTE DI INIQUITA' Anche i recenti interventi
in sostegno della politica economica di Amato, a ben guardare, vengono
da lontano. Almeno dal 1982, quando già rivendicava le sue battaglie parlamentari
contro le "scelte folli" della spesa pubblica, preannunciava la "bancarotta
fraudolenta" del pentapartito, e chiedeva "una specie di tribunale Russell
sui guasti della partitocrazia e del sindacato partitocratico, sulla corruzione
e sull'occupazione partitica del potere". Per cui oggi "l'iniquità rivoltante"
della manovra di Amato è il risultato inevitabile del dissesto della pubblica
amministrazione, "prodotto dalla parte più consociativa della politica
italiana, che ha unito, come alla direzione dell'Inps, boiardi partitici,
boiardi dell'economia detta privata e di quella detta pubblica, o boiardi
sindacali, i poteri reali unitisi in una concezione provvidenzialistica
e solidaristica dell'economia". Per un allievo di Ernesto Rossi la polemica contro i padroni del vapore è naturalmente obbligatoria. E se in politica il suo senso dello Stato si contrappone alla ragion di Stato, in economia il senso dello Stato di Pannella reincarna la polemica ottocentesca di Minghetti, Spaventa e Sella contro le società per azioni, lo scudo con il quale gli imprenditori privati si esentano dalle proprie responsabilità sociali. E quel generico ma forte richiamo alle regole del gioco, che da sempre è il marchio della politica pannelliana, oggi potrebbe servire come chiave di lettura della storia di rapide e incoerenti fortune imprenditoriali, realizzate all'ombra del sistema delle tangenti e che adesso rischiano di costare la bancarotta delle imprese e un'ondata di disoccupazione di ritorno. L'ECONOMIA DEI GEOLOGI Un corpus ideologico troppo
generico per impostare una concreta politica economica? Forse, e infatti
è sempre stato il cavallo di battaglia degli avversari di Pannella. "Scusi,
ma lei che protesta tanto, che cosa farebbe per l'Italia se comandasse?",
gli hanno sempre chiesto con scettico sorrisino. Una volta, molti anni
fa, rispose a bruciapelo: "Assumerei subito migliaia di geologi". Poi
vennero l'Irpinia, la Valtellina, la frana di Ancona, e alluvioni varie.
Sommando il tutto, fa quasi un debito pubblico. |