LA RIFORMA ELETTORALE MAGGIORITARIA O LA CATASTROFE DI WEIMAR?

Nezavisimaja Gazeta, Mosca, 28 dicembre 1998 - Articolo di Nikolaj Khramov

La Russia è un bancarottiere. La sua bancarotta è evidente, non la possono camuffare le frasi pietose e presuntuose - nessuno all'Occidente, dice, oserebbe mettere i suoi beni sotto sequestro. I fatti parlano chiaro: il tentativo di sfamare con cinque pani e due pesciolini cinque mila credenti nello Stato onnipotente e onnipresente è clamorosamente fallito.
Sotto i nostri occhi il nuovo governo di sinistra, il governo Primakov, sta agonizzando. D'un canto, la matematica più elementare lo costringe a diventare sempre più di "destra", cioè cercare infine di non vivere al di sopra delle proprie possibilità finanziarie. D'altro canto, l'appoggio del comunisti e di altre forze di sinistra alla Duma lo costringe a spostarsi verso il paternalismo, verso la globale regolamentazione statale diventando, in fin dei conti, nient'altro che un falsario volgare e palese.

E' sulla bocca di tutti, ormai è diventato un genere di rito di sciamano - invocare un governo che non diventi il subordinato di svariati lobby all'interno della Duma, ma rappresenti la squadra unita di persone che professano le stesse idee e sono pronte ad affrontare la crisi.
Purtroppo, dal centro del dibattito politico sfugge una circostanza fondamentale: l'impotenza del potere e la sua sessenne caduta nell'abisso non è condizionata né dalle qualità personali dei politici, ma dalle regole del gioco sul campo politico russo stabilite nel 1993: il sistema elettorale proporzionale.
Si sa che in fin dei conti ci sono due tipi di sistemi elettorali: il sistema maggioritario, quando il paese viene diviso nei distretti elettorali il cui numero è pari al numero dei mandati parlamentari e in ogni distretto elettorale viene eletto un deputato; ed il sistema proporzionale quando gli elettori votano per le liste dei partiti, i quali di seguito dividono tra di loro i mandati secondo la percentuale dei voti che ha avuto ogni lista.
Il "puro" sistema uninominale esiste in Inghilterra, negli Stati Uniti, negli ex-dominioni britannici e in alcuni altri paesi. Proprio per questo è noto come "sistema elettorale anglosassone". Storicamente questo sistema fu il primo. E' tipico per i paesi della democrazia "classica", per le società del "liberalismo classico".

Il sistema proporzionale nacque nei paesi dell'Europa continentale alla fine dell'Ottocento, quando i partiti socialdemocratici di massa, i partiti degli operai - rivendico' la sua partecipazione al governo e al potere. Con il sistema proporzionale gli elettori non votano per le persone concrete, ma per le liste dei partiti, compilati dagli anonimi funzionari nelle loro segreterie. Uno volta sui banchi del Parlamento, i deputati "della lista" si preoccupano di tante cose tranne gli interessi dei "loro" elettori. E' chiaro - dipendono in tutto dall'apparato del loro partito giacché sarà l'apparato a decidere la loro sorte alle prossime elezioni.

Si sa bene cosa vuol dire "la votazione solidale" alla Duma: il capo del gruppo parlamentare che toglie ai deputati e chiude nella sua cassaforte le loro tessere per il voto; la votazione quando i deputati non fanno altro che eseguire i comandi del "capo" che gli sta davanti; tre o quattro deputati "di turno" per ogni gruppo che corrono a perdifiato per la sala e spingono i bottoni per i loro colleghi assenti alla seduta. Il governo che con il sistema proporzionale partitocratico inevitabilmente è un governo di compromesso raggiunto da qualche parte, ma sicuramente non nella sala delle sedute del parlamento, ed è stabile solo fino a quando non agisce contro gli interessi di un partito o di un partitucolo. Certo, in questo caso delle riforme decisive non si parla nemmeno.
Nel caso del sistema uninominale anglosassone a un turno la situazione è completamente diversa. Vince il candidato che raccoglie più voti degli altri. O la va, o la spacca: o vinci, o perdi. Questo sistema permette di formare la democrazia dell'amministrazione invece della cosiddetta "democrazia della rappresentanza" descritta sopra.
Per la democrazia del genere è tipico il sistema bipartitico (come negli Stati Uniti) o al massimo tripartitico (come nel Regno Unito): il partito che vince le elezioni effettivamente governa il paese, mentre l'altro partito, quello che ha perso le elezioni, rappresenta l'opposizione, trae insegnamenti dalla sua sconfitta, critica il governo in modo costruttivo e si prepara a vincere le prossime elezioni.
Secondo i fatti storici, nel Novecento proprio i paesi con il sistema elettorale anglosassone si sono dimostrati più stabili e forti di fronte al totalitarismo, mentre le democrazie "proporzionali" continentali sono caduti una dopo l'alta: l'Italia nel 1922, la Germania di Weimar nel 1933 e cosi' via fino a Budapest, Praga, Parigi...

A prima vista il nostro sistema elettorale può sembrare una felice combinazione del sistema maggioritario e di quello proporzionale. In realtà abbiamo a che fare con un mostruoso bastardo il quale non garantisce né "la giusta rappresentanza proporzionale", per la quale si preoccupano gli autori dell'interpellanza alla Corte Costituzionale recentemente respinta, né la possibilità di formare un governo effettivo.
La ragione dell'incoerenza delle riforme liberali e della loro breve durata che ha portato alla crisi del 17 agosto sta nella permanente cronica impotenza del potere. Il sogno universale di avere un governo unito, una squadra di collaboratori che dividono le stesse idee rimane una bella favola. Questa catastrofica impotenza continuerà a determinare la nostra vita fino alla realizzazione della riforma elettorale in Russia, una riforma liberale e democratica nel vero senso della parola, una riforma che ci porti al sistema "puro" uninominale anglosassone a un turno e alla cristallizzazione del sistema bipartitico secondo il modello americano.

La Russia ha bisogno della riforma radicale del sistema dei partiti con la modifica della legislazione elettorale nel senso maggioritario. Invece dell'attuale ventaglio dei partiti russi, aggressivi e impotenti in eguale misura, si affermeranno due o al massimo tre partiti completamente diversi, i partiti nel senso americano che sono soltanto un meccanismo per organizzare la volontà politica dei cittadini durante le elezioni.
Adesso da tutte le parti - a partire da Novodvorskaja e fino a Berezovskij - si sente parlare della necessità di proibire il partito comunista. Forse il presidente Eltsin ha sbagliato quando a suo tempo non aveva ottenuto il divieto del partito e dell'ideologia comunista cosi' come erano vietate l'ideologia fascista e quella nazista. Pero' il divieto del partito comunista di per sé non porterà ne le riforme economiche liberali, né quelle sociali e politiche, né aiuterà a liberarci dal peso del debito pubblico. Più grave sembra un altro di una lunga serie di sbagli commessi da Eltsin: l'introduzione del sistema elettorale proporzionale. Proprio allora la Russia che solo due anni prima si era liberata dalla prigionia del totalitarismo comunista, invece della democrazia si è trovata fra le braccia della partitocrazia. Proprio questo sbaglio di Eltsin minaccia di portare al potere in Russia le forze dei totalitaristi, stalinisti, le camice rosse e brune.

Oggi viviamo aspettando la fine. Ma proprio il presentimento della catastrofe deve finalmente risuscitare la volontà politica di tutti quelli che vorrebbero salvare la democrazia in Russia. Fino alle prossime elezioni c'è tempo. Non c'è nessuna speranza che il parlamento partitocratico voglia modificare la legislazione elettorale. Dunque, devono alzare la voce i cittadini della Russia - al referendum nazionale. Il presidente può e deve indire tale referendum. Se, invece, non può o non vuole farlo, allora all'organizzazione del referendum e alla raccolta dei necessari due milioni di firme devono pensare le forze politiche che non sono indifferenti verso il destino della democrazia russa, delle riforme liberali, del destino dell'intero paese.
In fondo, non c'è altra scelta: o la possibilità di rinascita di una Russia stabile e democratica, o la catastrofe di Weimar.