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Cronologia del Partito Radicale -
1985

APPUNTI DI CAPODANNO   di Giovanni Negri NR75, 2 gennaio 1985
A ciascuno il suo profitto  di Marco Pannella ‘Il Manifesto’ 15-1-1985)
PCI: UNA MAGGIORANZA NEOCOLONIALISTA
di Gianfranco Spadaccia NR75, 2 gennaio 1985
LA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE NRXIX-16, 23 gennaio 1985
La réalité radicale en Belgique Rapporto di Olivier Dupuis NR
Objection de conscienze Lettera/appello di O. Dupuis NR
Pannella: non cerco elettori tra i morti per fame d'Africa
Intervista a Marco Pannella di Vittorio Feltri. CORRIERE DELLA SERA, 12 aprile 1985
Le accuse dei radicali a Spadolini IL CORRIERE DELLA SERA 18/05/85
STATO-PARTITO O STATO DI DIRITTO?
di Lorenzo Strik-Lievers NR 135 del 2 giugno 1985)
IL DOCUMENTO DEL CONSIGLIO FEDERALE Roma 14/15/16 giugno
"RADICALI ERAVAMO, RADICALI SIAMO"
di Marco Pannella ‘Il Manifesto’, 13 luglio 1985
UNA LEGGE EUROPEA PER L'AFFERMAZIONE DI COSCIENZA
di Olivier Dupuis NR16 luglio 1985
Non possiamo non dirci radicali di Alexander Langer IL MANIFESTO, 7 agosto 1985
Un governo ombra di nome Rai di Marco Pannella IL MANIFESTO, 13 agosto 1985
Con le riforme pace e libertà in Sudafrica di Marco Pannella "AVANTI" 6 settembre 1985
ENZO SCEGLIE LA GALERA PER SENTIRSI PIU' LIBERO di Sergio De Gregorio OGGI, ottobre 1985
Armare le coscienze, difendere i valori di Olivier Dupuis NR271 5 dicembre 1985
LA GALLERIA DEI RITRATTI DI MARCO PANNELLA a cura di Adriano Sofri FINE SECOLO, 2/3 novembre 1985
Risoluzione approvata dal XXXI Congresso del PR Firenze 30, 31 ottobre, 1, 2 e 3 novembre 1985
Il realismo della putrefazione e lo spartiacque federalista
di Marco Pannella REPORTER, 4 dicembre 1985

APPUNTI DI CAPODANNO

di Giovanni Negri NR75, 2 gennaio 1985

Non è la proposta dei sindaci, né quella Piccoli. Il Pci, Scalfari, la lobby del Dipartimento, vogliono spezzarla. Ma l'intervento straordinario italiano contro lo sterminio per fame... E' LEGGE

E' capodanno, il 1° gennaio di questo 1985. I lettori del giornale sopporteranno quello che non è il solito "fondo", bensì qualche appunto sparso, qualche pensiero su ciò che è accaduto e ciò che ci attende. Troppi e troppo importanti sono stati gli avvenimenti di questi ultimi due mesi, troppe e troppo importanti le prossime scadenze per crocifiggere il tutto nelle solite 80 righe "organiche e ufficiali", tassa obbligata che sovente si paga alla necessità di un'informazione generica, contro la drammatica necessità di comunicazione, dialogo, riflessione corale che tutti abbiamo. Dico tutti, perché credo che tutti comprendiamo come il nuovo anno sia ricco di verifiche e appuntamenti: possibili occasioni di crescita, di vittoria dei radicali o invece ragione di paralisi, di debolezza.
La legge per l'intervento straordinario italiano contro lo sterminio per fame è una realtà del 1984. Siamo nell'85, e guai a sedersi sugli allori: non ve n'è alcun motivo. Solo migliorando questa legge, solo riconquistando i suoi punti qualificanti (e in primo luogo quelli sull'Alto commissario e sui tassi di mortalità) avremo creato le garanzie di sopravvivenza per almeno una parte delle potenziali vittime dell'olocausto. Dipende dai radicali, dipende ancora una volta da noi. Così come dipende dalle nostre capacità di sviluppare iniziativa politica il raggiungimento di un altro obiettivo inseguito per anni. Ma quanti compagni, persino fra gli iscritti, hanno oggi la consapevolezza che nelle prime settimane di gennaio è possibile strappare l'aumento delle pensioni minime e sociali ad almeno 400 mila lire al mese? Quanti compagni hanno la consapevolezza che ottenendo questo provvedimento si romperà sul territorio sociale la prassi del finto, generico, fallimentare "riformismo" nel quale si annega ogni vera e profonda esigenza riformatrice?
Non dimentichiamolo: si giunge al diritto di famiglia solo dopo il divorzio. Si potrà giungere ad una rifondazione della cooperazione allo sviluppo solo dopo l'intervento straordinario per la vita. Un nuovo atteggiamento della classe politica verso i più deboli, i meno socialmente tutelati, i disoccupati può essere inaugurato solo tirando il bandolo della matassa dell'immediato miglioramento delle condizioni di vita dei più anziani, dei più soli e abbandonati, obbligati dallo Stato ad una umiliante condizione di mendicità. E' un impegno per questi giorni, è un'occasione alla nostra portata, per un partito che su questo tema può giustamente pensare di compiere un salto di qualità nella sua immagine, nel suo rigore, nella sua serietà. La petizione che viene diffusa con il giornale non è uno strumento generico: se alle firme dei cittadini si aggiungeranno quelle del mondo del lavoro, di migliaia di sindacalisti ed esponenti politici di partiti locali, di organizzazioni sociali e di categoria, governo e Parlamento non potranno più rimanere muti e passivi. Possono e debbono decidere.
Buon anno al migliore di questa classe politica: al Presidente della Repubblica. Sono consapevole che con questi auguri rischio di aver già compromesso la prossima udienza al Quirinale, prevedibilmente destinata a terminare nell'imbarazzo non mio, ma dei circostanti, dei commessi e dei compìti funzionari improvvisamente destati da qualche urlo di troppo. Eppure non riesco a tacere la delusione e il senso di vergogna. Quindici anni di stragi. Quindici anni nei quali tutto è buio e siamo stati calunniati solo noi, solo chi ha avuto il coraggio di urlare qualche verità. Calunniati dal "Corriere della Sera" poi scoperto organo della P2. Calunniati e censurati dalla Rai, poi scoperta inquinata dalla P2. Presi per pazzi perché accostavamo P2 e P38. Insultati in Parlamento, definiti brigatisti per aver svelato gli inquinamenti negli apparati dello Stato, per aver gridato che il marcio era ed è nel cuore stesso dello Stato. Gettati fuori dal Comitato parlamentare sui servizi segreti, dove il compagno Pecchioli dopo aver denunciato la mattina la matrice sicuramente "nera" dell'ultima strage si riunisce al pomeriggio con il camerata Pazzaglia per vendere alla gente vergognose verità di Stato sui partiti della fermezza che trattavano e mercanteggiavano con gli assassini, con gli eversori, con la malavita. Siamo vittimisti? No, siamo altro da voi.
Tutti in fila, dopo San Benedetto Val di Sambro, chiedete giustizia e denunciate gli inquinamenti dei servizi segreti. Tutti voi che avete distrutto lo Stato di diritto in Italia e avete promosso o tollerato i Sifar, i Sid, i Sisde, i Sismi, i Musumeci, le deviazioni divenute prassi, la strategia del terrore. Partiti e capigruppo di maggioranza, Pci e senatore Picchioli, Craxi e Pertini sono comparsi sui teleschermi. Ognuno, letteralmente, si è "associato alla richiesta di giustizia degli italiani". Noi non ci siamo "associati". La nostra, è storia diversa. Noi abbiamo celebrato il processo ai capi storici delle Br, chiesto conto a Cossiga dell'assassinio di Giorgiana Masi, chiesto ragione ad Andreotti delle visite del signor Gelli, invocato l'apertura del Parlamento durante il sequestro Moro, scritto verità inoppugnabili sulla P2 con la relazione Teodori, siamo stati nei giorni del caso D'Urso i principali bersagli dei signori Scalfari e Di Bella. E la storia sarebbe ancora lunga, storia di vicende e verità pre-dette e pre-viste. Ora partiti e gruppi parlamentari chiedono giustizia, il governo chiede giustizia. Il migliore, il Presidente della Repubblica, presidente del Consiglio superiore della magistratura, capo supremo delle Forze armate, denuncia gli inquinamenti dei servizi e chiede giustizia. Ma a chi chiedere giustizia? A Domine Iddio, mentre l'Italia è lorda di sangue?
Continuiamo allora a fare gli auguri di buon anno. Anche qui, immerso per qualche ora fra cumuli di neve, continuo a sentire gracchiare dalla radio il nostro nuovo capo d'imputazione. "Siete maggioranza". "Siete governo". "Esapartito". "Stampelle della Dc e di Craxi". Qualcuno non sopporta che per un giorno o una stagione il Partito radicale abbia ritrovato la sua funzione naturale e storica: quella di una ostinata minoranza che al prezzo di tenaci lotte democratiche e nonviolente sa essere per un momento maggioranza, conquistare non parecchio per sé, ma molto per il Paese, svolgere appieno il proprio ruolo di ispirazione di una grande scelta politica, sa essere vero "governo". E' vero, non è uno slogan: siamo ricchi di influenza e di forza delle idee. E poveri - sempre più poveri - di potere.
Ammetto una mia debolezza, o una mia presunzione: tutta l'umiltà che ho conosciuto e imparato nella lotta politica la devo a questo partito. Ma soffro nel pensare che pregiudizialmente e comunque questo partito, il patrimonio straordinario delle battaglie e conquiste di civiltà che sono non solo il suo volto, ma anche l'immagine di un'altra Italia possibile, siano condannati a non essere mai e in ogni caso anche governo formale della Repubblica. Non mi vergogno di questo dolore, non rinuncio a quella che non riesco a cancellare come una giusta speranza. Ma tutto ciò non appartiene alla polemica di oggi: è su altro, a partire da altro che deve svilupparsi e crescere un confronto ormai ineludibile. Ed è il confronto con chi ha trovato comodo e facile (ahi quanto comodo, ahi quanto facile) mettere sul banco degli accusati i radicali e il loro invito al non-voto, le loro analisi sulla partitocrazia, il loro comportamento parlamentare, e ora - a quanto pare - il loro essere "maggioranza", "esapartito", sponsorizzatori di lottizzazioni e di posti da alto commissario. Cari compagni comunisti, cari compagni demoproletari, cari camerati deputati missini: potete contare su un'informazione che è complice, ma i fatti sono duri come pietre. E' ora che ci si spieghi a cosa, dal 17 giugno 1983, siano serviti i vostri voti, i vostri gruppi parlamentari, il vostro essere maggioranza non per un giorno su una grande idea-forza ma mediocre maggioranza di ogni giorno, pro-Andreotti o pro-Berlusconi, pro-servizi segreti piduisti, pro-assoluzioni (spontanee o comprate) in commissione inquirente, pro-leggi, leggine, decreti corporativi e parassitari votati ogni santo giorno dei 365 dei quali l'anno di compone. Pci, Msi, Dp, con un complessivo 43% di voti degli italiani, avete oscillato fra la complicità attiva con le scelte della maggioranza e l'urlo impotente di chi si rifugia nella demagogia. Non c'è legge che passi in Parlamento senza il vostro consenso, nemmeno quella sulla fame, e non c'è unità sanitaria locale, consiglio comunale o ente locale, comprensorio, cooperativa o municipalizzata che non vi veda presenti e onnivori. Buon anno, allora, buon 1985 alle grandi opposizioni del Palazzo, a chi non sa cambiarlo nemmeno di un'unghia, ci vive e ci vota dentro, ci sputa sopra intingendo il dito nel piatto. La polemica sarà più che mai franca nel 1985, a cominciare dalle elezioni comunali e regionali: il nuovo che è possibile, non può giungere da voi. E già sarebbe molto se almeno giungesse chiarezza, analisi, proposta sull'utilizzo comune della forza parlamentare di "opposizione": per quale progetto, per quali ideali, per quale soluzione di governo nuovo e alternativo della cosa pubblica? Noi abbiamo indicato nuove vie, ma il solo fatto che se ne imbocchi una sulla lotta allo sterminio per fame, fa imbestialire. Oltre la rabbia, però, non giunge risposta: c'è il deserto dei Tartari, un raccapricciante vuoto di iniziativa, di idee, di proposta, riempito della sola forza degli apparati, della sola violenza di un'informazione sotto tutela.Quindici anni, solo quindici anni e saremo al 2.000. Non è stato l'anno di Orwell, ma rivedendo questo 1984, come in un filmato, si scorgono i segni di una tragica anteprima. Le democrazie politiche sono un'infima minoranza, milioni di esuli e profughi si trascinano in esodi biblici in Cambogia e in Afghanistan, le guerre stellari sono una realtà, la tecnologia cammina in bilico fra un'improbabile e straordinaria moltiplicazione delle facoltà di conoscenza e intelligenza dell'uomo e il suo mostruoso utilizzo di oppressione, abbrutimento, annichilimento. La legge contro la fame, l'idea di una nuova politica estera è una goccia nel mare della violenza e della repressione; un tentativo costruito in questi cinque anni di lotta da una manciata di iscritti a questo partito-miracolo, sempre più partito dei diritti dell'uomo e dei diritti del cittadino. E' in queste ore di apparente pausa di riflessione più generale e meno sottoposta al fiato sul collo di una attualità incalzante che ci si interroga sui nostri compiti e le nostre responsabilità. Viviamo una fase transitoria o ormai stabilizzata? Armata Brancaleone di 1.100 iscritti?
Brigata nonviolenta di giustizia e libertà? Partito di rivolta e protesta? Partito di progetto e di governo? Custodi di un'identità che è la premessa obbligata di ciascuna di queste risposte, dovremo però inoltrarci avanti. Ma intanto, in questa Italia, chi mai può assumersi il compito di ridisegnare una carta dei nuovi diritti, delle nuove libertà del cittadino dinnanzi allo Stato dei partiti? Chi se non i radicali ha oggi la credibilità per affrontare l'unica, la sola grande riforma della quale il Paese ha necessità: la riforma dei partiti, dei sindacati, nei loro stessi modelli costitutivi? Chi può credibilmente alzare la bandiera della liberazione dall'occupazione partitocratica degli enti locali, del territorio, dell'informazione, della sanità, della giustizia, di ogni settore di una società civile obbligata a sopravvivere e vegetare sotto una cappa asfissiante di strapotere non politico ma partitico, di lobby, di gruppo, di clan? Ecco il nostro compito, la nostra responsabilità. Ed ecco quindi l'importanza dell'operato che i consiglieri federali si apprestano a compiere, con la stesura delle nuove iniziative e proposte legislative o di referendum, che saranno messe a punto entro febbraio. Le tematiche oggetto di studio e di iniziativa legislativa saranno amplissime: fra queste un'ecologia politica e una tutela dell'ambiente i cui confini vanno via via estendendosi. Entro i prossimi cinque-dieci anni la possibilità di fruire di nuovi servizi di cultura, tempo libero, informazione, spettacolo nei grandi centri metropolitani, nonché il diritto al metro cubo d'aria, al metro quadro di verde o di acqua puliti costituiranno forse una delle più giuste e diffuse rivendicazioni "di massa e di classe". Mi chiedo se non sia giusto proporre ad esempio il blocco edilizio immediato lungo tutte le coste italiane. Sarebbe una doverosa tutela delle nostre acque e delle nostre coste, di uno straordinario patrimonio: di fauna e di flora, artistico e storico, ma anche della nostra economia, di un turismo né saccheggiatore né d'élite, maturo per un tempo nel quale l'uomo non ha più necessità né di temere né di domare la natura, cessando di sfruttarla per vivere in armonia con essa. Ma al di là di questo, spero che le proposte radicali, le analisi sugli enti locali, i partiti, i sindacati, le iniziative sulla sanità, la giustizia, l'informazione, il patrimonio di battaglie nonviolente e internazionaliste che sono le nostre possano contribuire al successo di quelle liste azzurre, verdi, civiche, alternative che - sole - possono portare aria nuova e aprire la finestra su una classe politica stantia e inaridita, priva di speranze, idee, progetti.
Il processo di formazione delle liste è spesso contraddittorio, lento, difficile. Ad esse non sono estranei, come è giusto, molti militanti radicali: entro la fine di marzo dovremo assumere una decisione sulla quantità e qualità dell'appoggio radicale per contribuire ad una primavera di cambiamento.
Buon anno, buon 1985 di iniziative e battaglie radicali. Abbiamo una grande necessità di aiuto, di energie, di intelligenze. E a ciascuno una domanda: cosa significa costringere il Partito radicale ad una dimensione di poco più di 1.000 iscritti? Cosa significa non iscriversi adesso, in questi giorni? Non è forse una scelta di passività, una inutile e troppo brutta responsabilità? 1709


A ciascuno il suo profitto

di Marco Pannella ‘Il Manifesto’ 15-1-1985)

Alla fine, basta. Ho visto da cinque anni iscriversi sul volto di centinaia di radicali i segni della fame e della sete con le quali abbiamo cercato di combattere la fame e la sete con cui la politica del nord, e dell'Italia, sterminava e stermina decine di milioni di persone all'anno. Non pochi, e non fra i meno conosciuti, serbano e serberanno per tutta la loro esistenza le conseguenze di questa drammatica lotta, non solamente nazionale, con la quale hanno dato letteralmente voce e corpo, vita alla sola alternativa culturale e politica a questa politica di sterminio. Lotta che non è certamente terminata, ma che è anzi al suo inizio.
E' unicamente e puntualmente dalla politica del Partito radicale che nell'aprile del 1979 si è giunti alla prima grande rivolta pubblica contro la vergogna dello 0,029 del Pnl, in luogo del promesso 0,70, destinato dalla nostra repubblica, grazie alle scelte della maggioranza di unità nazionale. Dal Pci a Democrazia proletaria, passando per la Dc e il Psi, come "aiuto pubblico allo sviluppo"; si è passati alla autoconvocazione del Parlamento (per la seconda volta nella storia della repubblica, per la seconda volta con la sola opposizione del Pci) per richiedere la vita per coloro che erano sul punto "nelle prossime settimane e nei prossimi mesi" di sterminio per fame e per malnutrizione; si è poi avuto quel manifesto dei Nobel, su testo e iniziativa da noi - soli - proposti, che ha fatto data nel mondo, nelle chiese, nei parlamenti, nei governi, all'Onu e che oggi ha oltre 90 sottoscrittori; il Parlamento europeo ha adottato con la maggioranza assoluta dei suoi membri, malgrado l'opposizione di tutti i suoi presidenti di gruppo, una risoluzione con cui si chiedevano "vivi per lo sviluppo" (e non più lo sviluppo come altare su cui immolare generazioni intere di persone, miliardi di uomini e donne), si osava chiedere un piano Marshall per il terzo mondo a partire da uno stanziamento extra-istituzionale di 5 miliardi di Unità di conto, di dollari; siamo passati progressivamente, con un incremento senza precedenti nel mondo, a decuplicare gli stanziamenti e dare al dipartimento del ministero degli Esteri, al nostro paese, una occasione straordinaria di intervento di pace e di vita; abbiamo mobilitato l'interesse poi il sostegno ufficiale, e autocritico, dell'interno sistema delle agenzie Onu a questa impostazione; abbiamo promosso iniziative di legge popolare sottoscritte, con il solo sforzo organizzativo, quindi umano, giorno e notte, di centinaia di militanti radicali, con il loro denaro, il loro tempo, quello del loro finanziamento al partito, da oltre 3.000 sindaci, in rappresentanza di oltre 30 milioni di cittadini; e petizioni e denunce alla magistratura, analisi delle spese, proposte alternative nei dibattiti e nei voti parlamentari di bilancio e di fiducia ai governi; abbiamo in tal modo portato sulle prime pagine e nei dibattiti popolari il tema e l'obiettivo della politica fondata sulla premessa della sopravvivenza per lo sviluppo; siamo stati isolati e irrisi, grazie ai difensori dello "status quo", con la demagogia del "c'è tanta fame qui, i radicali vogliono dilapidare i soldi per la fame nel mondo".
Abbiamo costretto i partiti che, fino ad allora, a cominciare dal Pci, avevano ignorato questo olocausto, e gestito insieme una politica davvero criminale, a porsi il problema di dare una propria risposta o un proprio contributo alla speranza ed alla richiesta di vita.
Il nostro è stato lavoro a pieno tempo: di studio, di proposta, di analisi, di lotta nelle strade e nelle piazze, a Roma come a Bruxelles o a Parigi, a Kingston come a Quadagoudou, di elaborazione di progetti e di proposte, di convegni a non finire, di raccordo e di organizzazione delle spese di coscienza che andavano così maturando.
Parallelamente al crescere degli stanziamenti e degli impegni, un ceto "professionale" e professionistico di parassiti si è venuto sviluppando: sono fioriti altri convegni dai nostri, finanziati con il denaro fatto da noi stanziare "contro la fame nel mondo" (mai, anche in un sol caso, noi abbiamo avuto l'ombra di un centesimo di finanziamento di tal tipo); sono nate una pletora di pubblicazioni, come quelle cui devono i vari Maurizio Matteuzzi le loro retribuzioni e il loro inserimento fra gli... esperti in uso proprio e improprio del denaro pubblico; sono nati altri esperti e "volontari" dell'assistenza al suono di favolosi e ignobili contratti: sono stati distribuiti a pioggia, in modo clientelare i fondi non di rado creando situazioni oggettivamente ricattatorie; un nugolo di funzionari si è trovato a dilapidare somme immense...
Eravamo gli unici a denunciare questi fatti, o a denunciarli in ogni caso, fossero interessati gruppi privati, o cooperative, o partiti di governo, o gruppi di pressione. Se altri lo facevano, stranamente i loro stessi partiti e organi di stampa reagivano in modo distratto. Insistevamo nel chiedere mutamenti strutturali e strumentali, di obiettivi e di metodi. Ma mentre il popolo italiano, a cominciare da quello comunista, si mobilitava sull'obiettivo e sul metodo di definire per legge tempo, entità e spesa delle azioni di pace e di vita ("3 milioni di vivi subito" vedevano mobilitati i Novelli e i Tonioli, i Valenzi e i Cerofolini, i Vetere e i Martellucci), i partiti sembravano ostili, fin quando il Pci, a primavera scorsa, poneva il suo veto contro questa "trovata demagogica"!
"Un decreto di vita, subito" era lo slogan e l'obiettivo delle marce di Pasqua e di Natale dal 1982 ad oggi.
E ora, in testa "Repubblica", "Manifesto", "Unità" ci si mobilita per criminalizzare con sospetti ignobili, con uno stile che è confessione autobiografica, probabilmente, per molti di questi zeloti del dipartimento ("L'unico ramo verde della politica estera italiana" affermate voi), proprio quelle speranze e quegli obiettivi, proprio quella riforma che si è venuta finalmente configurando.
Il vostro Maurizio Matteuzzi, appaltato il tema, lancia insulti di ogni tipo, aggravando quelle affermazioni e quei sospetti, quel metodo che tu stesso avevi riconosciuto nei giorni scorsi essere un "errore". Mi auguro che i lettori del "Manifesto" vadano a rileggersi il suo "servizio" di oggi 12 gennaio, se sono colti dal dubbio che io esagero. Matteuzzi è un pilastro di "Cooperazione", organo ufficiale del Dipartimento. Se questo accade in casa vostra, figuratevi cosa accade in casa altrui.
Comunque il metodo è chiaro, e - sia pure scadendo ulteriormente sul piano delle decenza e del decoro della ferocia spaventata - basta andare indietro di molto, per ricordare come i più scatenati avversari della Lega per il divorzio e del Pr furono coloro che, alla fine della battaglia, ci insultavano spiegandoci che il divorzio doveva essere di classe e rivoluzionario, mentre il nostro era borghese e reazionario: e le loro tesi venivano rilanciate dagli organi di Stato e clericali, che censuravano regolarmente le nostre risposte e le nostre stessi tesi. Accadde lo stesso per l'aborto. Accadde per l'alternativa democratica e nonviolenta che noi facevamo vivere con referendum e diritti civili per convergente tiro del "movimento" della P38 e di quello della P2, di "Repubblica", di Tassan Din e Rizzoli, dell'"Unità", ai tempi del "caso D'Urso", e del governo che sul suo cadavere doveva nascere, con una nuova formula di "unità nazionale".
Menzogna, truffa, disonestà... Mai come oggi. Perché? La spiegazione non è né nella nequizie nostra, né nella vostra, né in quella altrui; ma è politica. Convergono i più immondi interessi di speculazione e di saccheggio delle somme immense manovrate e distribuite dal Dipartimento (si tratta di stanziamenti per 12 mila miliardi di lire, in totale, fra il 1980 e il 1986) con il timore politico che questo intervento da noi promosso possa avere conseguenze politiche in Africa e nel Terzo mondo, che il Pci e gli altri sostenitori dello "status quo", "neutralisti" fra sterminio e vita, evidentemente intendono scongiurare ad ogni costo. Essi hanno già ottenuto, con il loro ostruzionismo ormai pluriennale che la legge, e il decreto del governo, facciano acqua da più parti. E si preparano con rabbia e determinazione, forti delle migliaia di miliardi che hanno sperperato e degli altri che vogliono continuare a sperperare, che hanno corrotto e continuano a corrompere, a allargarle fino ad affondare definitivamente la nave.
Avevate cominciato, se non vado errato, un ampio dibattito. Comincia male. Con "informazioni" che sono false, tendenziose e le peggiori di quante in questi giorni sono sparate dal fronte di chi è ricco e forte, perché di tutta questa lotta essi non sono che i profittatori. 1693


IL RICATTO COMUNISTA

PCI: UNA MAGGIORANZA NEOCOLONIALISTA

di Gianfranco Spadaccia NR75, 2 gennaio 1985

SOMMARIO: Dopo cinque anni di campagna radicale "contro lo sterminio per fame nel mondo", la Camera dei deputati approva la legge per "la realizzazione di programmi plurisettoriali integrati in una o più zone sottosviluppate, caratterizzate da uno stato d'urgenza endemico e da tassi di mortalità elevati". Prevede uno stanziamento per gli interventi straordinari di 1.900 miliardi di lire. Il Pci contesta la decisione del Governo di trasformare in decreto-legge il testo approvato dalla Camera. La violenta campagna di calunnie del Pci contro l'intervento straordinario denuncia - secondo Spadaccia - gli interessi che vuole coprire. "Il Pci non ha cessato un momento di accusarci di essere 'ruota di scorta della maggioranza' ma, se questo fosse vero - e non lo è - allearsi sui valori e sulla vita è doveroso". 1710

Uno degli argomenti polemici e propagandistici che viene usato contro di noi dal Pci e ripetuto quasi con ossessione è quello secondo il quale i radicali, dopo le scelte compiute sulla legge contro lo sterminio, farebbero ormai parte della maggioranza. L'argomento fa parte - del resto - del consueto armamentario della polemica politica del Pci nei nostri riguardi dall'inizio della legislatura. Da quando abbiamo adottato il codice di comportamento, e con esso, attuato in Parlamento quello "sciopero del voto" che in tante occasioni avevamo proposto agli elettori, il Pci non ha cessato per un momento di accusarci di essere divenuti "ruota di scorta" della maggioranza. Il Pci ha sempre rifiutato di prendere in considerazione i motivi della nostra scelta: eppure erano motivi che chiamavano in causa responsabilità anche sue oltre che dei partiti di maggioranza. Come da tempo accade nel Pci, il dibattito viene sostituito dalle demonizzazioni e dagli insulti. E il Pci non poteva non reagire con la bava sulla bocca di fronte ad un comportamento che lo poneva, nella denuncia delle responsabilità partitocratiche, sullo stesso piano della maggioranza. L'unica differenza è che, con la legge sulla fame, da "ruota di scorta" saremmo divenuti "parte organica" della maggioranza.
Se queste affermazioni rispondessero a verità, come è nostro solito non avremmo paura di sostenere a viso aperto le nostre scelte e le nostre responsabilità. Non sta infatti scritto da nessuna parte che una forza politica anche di intransigente opposizione non possa trovare punti di incontro con alcuni o tutti i partiti della maggioranza. E noi - su questo argomento - l'incontro lo abbiamo addirittura ricercato. Il Pci si è forse dimenticato che dal 1979 abbiamo offerto, ad ogni governo che si è presentato in Parlamento, la nostra collaborazione in cambio di chiare scelte contro lo sterminio per fame e per l'aumento dei minimi di pensione? Abbiamo offerto i nostri voti o le nostre astensioni al governo Craxi come al governo Fanfani, ai governi Spadolini come al governo Forlani, e persino ai governi dell'on. Cossiga. Abbiamo fatto di più: abbiamo proposto al Pci e alle forze politiche di maggioranza di isolare la lotta contro lo sterminio per fame dalla polemica e dal normale scontro politico per farne un motivo di convergenza, e di vera unità nazionale, fra governo e opposizioni.
Sarebbe davvero strano se, nel momento in cui è raggiunto lo scopo, ci tirassimo indietro, e avessimo paura di trarre tutte le conseguenze dalla politica che noi stessi abbiamo sviluppato, e dalle proposte che abbiamo avanzato e sollecitato.
Allearsi con i partiti della maggioranza - quando siano in gioco scelte di valore e di programma e non di potere - non è una vergogna. Potrebbe essere al più una scelta giusta o sbagliata; in certi casi potrebbe essere addirittura una scelta doverosa.
Per quanto ci riguarda, questa scelta semplicemente, non si è verificata. Perché si verificasse, avrebbero dovuto verificarsi prima almeno tre condizioni: 1) che la legge approvata fosse una legge nella quale noi potessimo riconoscerci pienamente; 2) che esistessero condizioni politiche sufficienti a far sperare nella sua efficace applicazione e realizzazione; 3) che la approvazione della legge, otre a significare una iniziativa di vita e di pace, significasse anche, o almeno facesse sperare, una inversione di tendenza nella sistematica degradazione partitocratica della nostra democrazia e delle nostre istituzioni repubblicane.
Quanto al primo punto, è sufficiente guardare al testo di legge approvato dalla Camera e poi divenuto decreto legge del governo, per rendersi conto della distanza culturale e politica che lo divide dalla legge Piccoli che noi avevamo sottoscritto. La legge Piccoli proponeva - nel suo stesso obiettivo (tre milioni di vite da salvare, con quattromila miliardi di lire in un periodo determinato di tempo) - un metodo alternativo di intervento. Sia l'obiettivo che il metodo sono scomparsi dal testo di legge. E se questo è avvenuto, lo si deve alla campagna forsennata - che nella difesa del vecchio - soprattutto l'ufficio esteri del Pci ha condotto contro il vasto movimento che era stato ispirato dal manifesto dei Premi Nobel e a cui avevano aderito 3.500 sindaci italiani, di cui quasi 1.500 sindaci comunisti. Tre anni di campagna politica cui hanno partecipato da protagonisti i sindaci comunisti sono diventati improvvisamente, per i Rubbi, i Sanlorenzo e gli altri cui il Pci ha delegato la conduzione politica e parlamentare di questa questione, manifestazione "demagogia umanitaristica".
Strana pretesa invero quella del Pci. Noi faremmo parte organica ormai della maggioranza. Ma noi questa legge non l'abbiamo votata. L'ha invece votata il Pci, pago del compromesso raggiunto con Craxi e con i capigruppo della maggioranza da Napolitano.
Il Pci rimprovera dunque a noi la pratica del compromesso con la maggioranza che lui ha invece praticato e continua a praticare. Noi non avevamo invece nulla da compromettere perché la legge Piccoli era - come gli stessi comunisti a gran voce sostengono - la nostra legge. Ogni modificazione alla legge Piccoli è stata dunque, da parte della maggioranza, un allontanamento dalle posizioni radicali e un avvicinamento alle pretese comuniste.
Queste pretese sono state portate avanti con il più sfacciato e diretto ricatto politico: accettare le nostre posizioni e la legge passa; non accettare le nostre posizioni e la legge non passa. E' andata così per mesi secondo il rituale della costituzione materiale partitocratica che si fonda sulla norma non scritta del diritto di veto del Pci rispetto ai progetti del governo e delle maggioranze.
Togliete di mezzo l'alto commissario e noi vi concediamo la sede legislativa. Non lo togliete di mezzo? E allora si va in aula, dove ai nostri voti si sommeranno quelli dei franchi tiratori. Si va in aula. Il governo pensa di porre la questione di fiducia? Il governo prevarica sul Parlamento! Il governo non pone la questione di fiducia e raggiunge con il Pci un compromesso? Il governo non è più un prevaricatore, ma solo per ventiquattro ore. Perché al Senato ricomincia lo stesso gioco della Camera. La legge va modificata. Se la modificate vi concediamo la legislativa, e la legge passa, anche subito. Se non la modificate...
Il governo decide allora di approvare un decreto legge? Il governo prevarica il Parlamento. Sei mesi fa, il governo accettava il diktat comunista, il decreto legge era "necessario" e "urgente", perfettamente legittimo e costituzionale. Sei mesi dopo - siccome il Pci non è d'accordo, pur trattandosi di una legge che ha votato alla Camera - non esistono ragioni di necessità e di urgenza, e il decreto è anticostituzionale. Naturalmente quelli che crepano giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, con i motivi costituzionali di necessità e di urgenza non hanno nulla a che fare.
La verità non è dunque come la vuol mettere il Pci. E' insieme assai più semplice e complessa. Una parte della maggioranza condivide le ragioni ideali e politiche di un intervento straordinario contro lo sterminio. Un'altra parte della maggioranza, insieme al Pci, vi si oppone, in nome di una politica di cooperazione allo sviluppo che finora ha prodotto soltanto affari e sterminio, traffico d'armi e neocolonialismo.
Questi sono i due veri schieramenti. E molti dirigenti del Pci hanno la bava alla bocca perché il loro schieramento non è prevalso. E perché la legge, se fosse approvata, avrebbe ancora qualche probabilità di produrre effetti positivi contro lo sterminio, nonostante tutto.
Questi due schieramenti torneranno a confrontarsi nei prossimi giorni. Ciascuno si assuma la propria responsabilità. Noi ci assumiamo la responsabilità di chiedere al governo e alle forze politiche di non peggiorare, ma al contrario di migliorare il testo del governo, riavvicinandolo al testo della legge Piccoli. 1710


LA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE

NRXIX-16, 23 gennaio 1985

Il Consiglio Federale del Partito Radicale,

PRESO ATTO che cinque anni di lotte politiche, parlamentari, popolari e nonviolente si sono conclusi con l'approvazione di una legge che - pur nei suoi gravissimi limiti - pone esplicitamente l'obiettivo della salvezza di vite umane dallo sterminio;
AFFERMA che le informazioni riportate dalla delegazione radicale che ha visitato alcune zone del Sahel - confermate da tutti gli osservatori internazionali - annunciano per le prossime settimane e mesi una catastrofe naturale e umana senza precedenti in tutta l'Africa sub-sahariana; e che questa situazione impone a maggior ragione al governo italiano di dar immediata ed efficace attuazione alla legge, superando con un forte atto di volontà politica i rischi di fallimento dell'intervento straordinario italiano, e facendone -al contrario- l'occasione di una grande iniziativa di vita e di pace;
IMPEGNA gli organi esecutivi e l'intero partito a mobilitarsi perché l'attuazione della legge diventi il terreno per un dibattito volto a superare modelli di cooperazione e di sviluppo che hanno consumato il loro fallimento, fissando per la prossima Pasqua il primo appuntamento di quest'iniziativa e mobilitazione.
Il Consiglio Federale, mentre é affidato alla sede legislativa
il problema degli aumenti pensionistici,
CONFERMA che il fondamento di una nuova politica di giustizia sociale non può che essere -a partire dall'aumento delle pensioni sociali e dei minimi- l'individuazione di coloro che sono realmente bisognosi e la definizione di un adeguato minimo vitale.
Il Consiglio Federale,
VALUTATO l'incontro fra gli esecutivi del Pr e del PSI, teso a verificare, dalle contrapposte collocazioni politiche ed istituzionali, la possibilità di condurre convergenti azioni sui diritti civili e sui temi della vita e per la realizzazione degli obiettivi propri del patrimonio radicale, laico, socialista e libertario,
SI AUGURA che tali forme di consultazione proseguano e portino alla realizzazione di iniziative specifiche comuni volte a conquistare nuovi spazi di democrazia politica.
La politica di occupazione e saccheggio dei pubblici poteri da parte della partitocrazia ha condotto all'affievolimento, al degrado, quando non al vero e proprio sequestro di elementari diritti del cittadino.
Giustizia, sanità informazione, ambiente, trasparenza della vita pubblica rappresentano oggi altrettanti fronti d'iniziativa e di lotta dei radicali per riconsegnare ai cittadini diritti, regole, garanzie civili e democratiche senza le quali questi grandi ambiti della vita pubblica saranno sempre più ridotti a territori di conquista, spartizione e guerra per bande di partiti e corporazioni.

Il Consiglio Federale del Partito Radicale
DELIBERA quindi il deposito d'una richiesta di referendum popolare abrogativo delle norme relative alla composizione dei Comitati di gestione delle USL e dà mandato agli organi del partito di:
a) verificare la disponibilità a una comune raccolta di firme delle forze sociali, sindacali, politiche che hanno formulato giuste critiche al sistema sanitario;
2) promuovere una campagna di raccolta firme per le leggi di iniziativa popolare sui temi indicati dalla mozione.
L'organizzazione e il lancio di tale campagna saranno definiti da un'assemblea nazionale delle Associazioni radicali.
Il Consiglio Federale, esaminate le iniziative in atto per la formazione di "Liste verdi", e valutandole positivamente come segno di una diffusa esigenza antiparitocratica e di rinnovamento dei temi cruciali dello scontro politico, pur nelle contrastanti dimostrazioni di fragilità o di incertezza proprie di ogni fenomeno nuovo, SI AUGURA CHE ESSO POSSA AFFERMARSI;
e INVITA DI CONSEGUENZA i radicali, gli ecologisti e i cittadini desiderosi di infrangere l'occupazione partitotcratica delle amministrazioni locali a formare in questi ultimi giorni nel maggior numero di città, provincie e Regioni liste civiche, verdi, o verdi e civiche insieme, affinché il maggior numero di elettori abbia la possibilità di nuove scelte alternative.
Il Consiglio Federale, peraltro,
RIBADISCE appieno la validità dell'indicazione congressuale di promozione dello sciopero del voto e di sostegno al voto civico e/o verde come doppia carta nelle mani dell'elettore.
Il Consiglio Federale DENUNCIA le manovre in atto per escludere sostanzialmente dalla campagna elettorale radiotelevisiva sia il Pr sia le nuove formazioni elettorali;
IMPEGNA pertanto gli organi del partito a contrastare con ogni iniziativa politica e parlamentare questo tentativo, sostenendo le iniziative nonviolente che a tal fine sono state promosse.
A fronte di questi obiettivi di vita, di pace, di giustizia e per un 12 maggio di lotta alla partitocrazia; a fronte di una battaglia politica sempre più indispensabile per il paese, sta la povertà di mezzi, l'inadeguatezza degli strumenti e sta l'onestà del Partito Radicale.
Il Consiglio Federale,
ASCOLTATA la relazione del tesoriere sulla situazione economico-finanziaria del partito, ne condivide l'analisi e le preoccupanti, gravissime valutazioni di prospettiva. Può ornai essere compromessa, pregiudicata ogni possibilità di lotta radicale.
Per questi motivi, il Consiglio Federale impegna tutto il partito e gli organi esecutivi a una campagna d'autofinanziamento, da condurre anche attraverso iniziative sui diversi e specifici temi previsti dalla mozione, con l'obiettivo di almeno 600 milioni nei prossimi due mesi.
(Il documento é stato votato nel suo complesso all'unanimità. Nella votazione per parti separate, la parte riguardante i rapporti col PSI ha registrato il voto contrario di Sanchini. La parte concernente l'autofinanziamento ha registrato le astensioni di quattro consiglieri: Crivellini, Novelli, Papale, Santoro) 3465


La réalité radicale en Belgique

Olivier Dupuis

SOMMAIRE: Rapport synthétique sur la présence et les activités radicales dans d'autres pays. En Belgique, il enregistre la présence de 85 inscrits dont les activités sont concentrées sur l'élaboration d'une pétition au parlement sur le thème de l'extermination par la faim, sur une campagne pour l'objection de conscience, sur la rédaction et la diffusion d'un journal radical destiné à la Belgique et à la France. Inexistante au contraire la présence radicale en France, où ne sont signalées que deux inscriptions.

A l'attention des membres de l'Exécutif Fédéral et du Conseil Fédéral. Bruxelles, le 1 février 1985
Chèr(e) Camarade,
Voici brièvement quelques informations sur la réalité radicale hors-Italie.
En Belgique, les camarades inscrits au Parti 85 (12 à ce jour) ont décidé de centrer leur engagement autour de deux points de la motion fédérale:
a) Faim: une résolution a été élaborée (voir en annexe) pour tenter de relancer la campagne contre l'extermination par la faim, campagne qui est, comme vous le savez, ensablée dans les couloirs du Ministère de la Coopération au Dévelloppement. Cette nouvelle résolution s'inspire de la proposition de loi Piccoli et tente d'intégrer les quelques faibles acquis législatifs belges (article 1 de la loi-survie, les différentes résolutions approuvées par le Parlement, le discours du roi devant le FIDA...).
b) Antimilitarisme: campagne pour l'objection de conscience. L'idée est ici aussi de faire signer une pétition. Les objectifs précis de la campagne étant encore à définir au niveau fédéral, le travail d'élaboration de la pétition ne peut encore être mené à bien pour le moment. Une première "définition" des objectifs a cependant été élaborée dans la perspective des contacts à prendre avec diverses organisations pacifistes et antimilitaristes (voire texte en annexe).
D'une façon générale, ces deux pétitions (auxquelles s'ajoutera sans doute une troisième pétition demandant à la Communauté Européenne d'adopter la Charte Européenne des Droits de l'Homme) doivent constituer le matériel de base sur lequel rassembler des adhésions et créer la confrontation politique.
A ces deux thèmes fondamentaux, s'ajoute ou se combine une intensification de la politique d'information, et ce notamment par
- la continuation et l'amélioration des "Nouvelles Radicales".
(Notons à ce propos que depuis quatre numéros, le Parti Fédéral intervient pour moitié dans le financement de ce journal. Le reste étant fourni par l'Association Radicale de Bruxelles et le abonnements.
Quelques données chiffrées:
Tirage: de 4000 à 7000 exemplaires
Diffusion: Belgique: de 3000 à 5000 exemplaires
France: plus ou moins 1500 exemplaires
Coûts: (impression, montage et diffusion): de 1.200.000 Lire à 1.600.000 Lire.
- l'élaboration de numéros spéciaux sur des thèmes particuliers: antimilitarisme, drogue,...
- La réalisation au sein d'une radio libre de deux heures d'émission radicale hebdomadaire.
En ce qui concerne les autres pays, les informations en ma possession sont relativement peu nombreuses.
En France, les inscrits sont à ce jour pratiquement inexistants (ils étaient déjà très peu nombreux l'année dernière). Ainsi à Paris deux seuls inscrits subsistaient l'année dernière et ils n'ont à ce jour pas manifesté l'intention de s'inscrire en 85. A Nantes, le groupe que vous avez pu voir au Congrès, élabore un petit journal qui fait circuler quelques informations sur le parti. Au niveau de la mise en oeuvre de la motion, je n'ai à ce jour pas d'informations quant à d'éventuelles initiatives en cours.L'activité radicale est, à ma connaissance, quasiment absente des autres pays. 4793


Objection de conscienze

Olivier Dupuis

SOMMAIRE: Lettre circulaire envoyée par O. Dupuis à ceux qui, à sa connaissance, sont intéressés à la bataille pour la reconnaissance de l'objection de conscience en Belgique, considérée comme un moment essentiel pour développer une authentique "politique de paix". Après avoir analysé de façon critique les défauts et les insuffisances de la réglementation concernant l'appel sous les drapeaux en vigueur en Belgique, l'auteur informe les destinataires de son intention de ne pas se présenter à l'appel et de faire une déclaration d'insoumission, en plein accord avec le parti radical, avec lequel il mettra au point la stratégie la plus opportune pour les initiatives nécessaires..

Bruxelles, le 31 janvier 1985

Madame, Monsierur,
Considérant que les fondements d'une politique de paix ne sauraient naître des négociations sur les armes nucléaires et sophistiquées, telles celles de Genève, parce que s'il existe une logique de défense armée, elle ne peut être que celle d'une défense la plus moderne et la plus sophistiquée possible;
Retenant qu'au niveau de nos Etats dits démocratiques, et ce au nom de la "real politique" la plus démentielle, sont encouragées et entretenues les promiscuités les plus absurdes, les transactions les plus obscures (dont le commerce des armes n'est pas des moindre) non moins que la poursuite ouverte de relations économiques toujours plus importantes avec celui qui est d'autre part défini comme l'Ours guerrier et menaçant;
Considérant pour ma part que la seule politique d'opposition à cette politique démente et donc la seule politique possible de paix et de désarmement impose une définition stricte de l'adversaire non moins que la mise en oeuvre d'une véritable politique de confrontation nonviolente la plus dure et la plus rigoureuse avec lui;
Retenant par ailleurs que nous ne pouvons trouver la force de vivre et d'assumer une telle politique de défense intransigeante que si nous réussissons à créer et à mettre en oeuvre des idéaux de paix et de vie qui s'incarnent dès maintenant dans des réformes précises et ambitieuses et que si nous les portons au sein même de la société de l'adversaire par tous les moyens de communication, de pression et de dialogue déjà existants ou encore à inventer;
Retenant que la victoire contre la fléau de l'extermination par la faim constituerait un premier pas significatif et essentiel dans la direction de la paix;
Soulignant en outre que la politique menée jusqu'à ce jour par les gouvernements des pays soi-disants développés et de la Belgique en particulier, va à l'encontre d'une telle démarche de paix et d'un tel renouvellement des consciences;
Retenant en outre que cette indispensable révolution des consciences passe par l'inscription dans nos constitutions et dans nos lois d'un véritable Droit-Devoir à l'Affirmation de Conscience;
Retenant enfin que pour y parvenir, il s'avère indispensable de sortir le statut de l'objection de conscience de l'état de sanction dans lequel il a été conféré jusqu'à ce jour notamment parce que:
1. L'objection de conscience étant considérée comme une dérogation (une exemption au service militaire), elle ne saurait être considérée pleinement comme un droit-devoir au même titre que le service militaire.
2. Cette inégalité de principe qui est encore renforcée par des inégalites de fait:
a. par l'inégale durée des services (10 mois pour le militaire et 15 ou 20 mois pour le civil);
b. par des délais d'obtention du statut d'objecteur très longs et discriminatoires;
c. par l'attribution de ressources ne permettant pas de vivre dignement quand ce n'est survivre sans l'appoint d'aides ou de ressources extérieures.
3. L'existence d'une commission statuant sur le bien-fondé de l'objection de conscience des intéressés est en contraddition avec le principe - maintes fois proclamé - du "Nul tribunale ou nulle commissione ne peut pénétrer la conscience d'un individu".
4. Que le quart seulement des jeunes gens en âge d'accomplir leur service, l'accomplisse réellement et que moins de la moitié seulement des jeunes gens soit appelée à se prononcer sur le bien-fondé d'une défense armée (exclusion des femmes et des dispensés de tous types) sont en contradiction avece le principe suivant lequel tous les individus sont égaux devant la loi.
Pour ces raisons, j'ai décidé de ne pas demandes le statut d'objecteur de conscience. Tombant par conséquent sous le coup des lois militaires, je dois donc effectuer un service militaire. Je suis appelé à rejoindre mon bataillon pour le 4 février prochain. Pour les raisons précitées et parce qu'il est urgent de créer un mouvement qui ne soit plus une somme de refus individuels mais qui s'incrive au contraire dans des propositions alternatives de défense de notre société, j'ai donc décidé de m'insoumettre.
J'entame donc au sein et avec le parti dans lequel je tente de donner vie à mes convinction, à savoir le partito radicale - parti radical - radikale partij, une action visant à créer un mouvement européen allant dans le sens d'une reconnaissance du droit à l'affirmation de conscience. Cette bataille s'inscrivant au sein même de l'Etat de droit auquel j'appartiens, je me consignerai à la justice, d'ici quelques mois, lorsque nous aurons défini avece précision les objectifs et la tactiques de notre lutte.
Sachant que vous aussi vous poursuivez des objectifs allant dans la même direction, je serais heureux si nous pouvions nous rencontrer por voir dans quelle mesure nous pourrions accorder nos violons respectifs.
La réunion aura lieu le mercredi 6 février à 17 h 30 au siége du Parlement Européen, 3 Boulevard de l'Empereur, 1000 Bruxelles, premier étage.
En espérant vous y retrouver, je vous prie, Madame, Monsieur, de recevoir l'expression de mes sentiments les meilleurs.

Olivier Dupuis

Réunion Mercredi 6 février à 17h30
au 3 Bd de l'Empereur
1000 Bruxelles (Parlament Européen)
Objet: objection de conscienze. 4794


Pannella: non cerco elettori tra i morti per fame d'Africa

Intervista a Marco Pannella di Vittorio Feltri. CORRIERE DELLA SERA, 12 aprile 1985

Parla il leader pr candidato sottosegretario per gli aiuti al Terzo Mondo

"Si deve capire che la vita di un uomo non è una pratica di burocrazia" - "Non è più possibile perdere giorni e settimane: una catastrofe senza precedenti è troppo vicina".

SOMMARIO: Approvata, con mille insufficienze, una legge per l'intervento straordinario dell'Italia contro lo sterminio per fame, Marco Pannella annuncia la propria disponibilità ad essere candidato all'attuazione della legge, come sottosegretario governativo. La lentezza della burocrazia, l'insensibilità del governo. La prospettiva che un radicale collabori con Andreotti. La demagogia di La Malfa. La storia politica di Marco Pannella: il Partito Liberale, il Partito radicale, lo Stato, la Chiesa. I radicali verdi da sempre. I rapporti con il Psi: una tessera chiesta da anni, che non arriva per l'ostruzinismo del vertice di Via del Corso. La posizione radicale sul referendum del Pci sulla scala mobile.

ROMA - Nella stanza di Pannella di affaccia Rutelli: "Scusa Marco: posso? Hanno rinviato".
"Rinviato cosa?"
"La nomina del sottosegretario".
"Ancora? Ma che aspettano?" E il capo radicale allarga le braccia, più scocciato che sconsolato. Poi si rivolge a me, come per giustificarsi del breve abbandono alla stizza e, caso mai, per precisare che non pensa a se stesso, alla carica, ma a quelli che dovrebbero essere i beneficiari della legge:
"Ogni giorno che passa, laggiù qualcuno muore. E noi perdiamo tempo. Quando lo capiranno che la vita di un uomo non è una pratica di burocrazia?"
Pannella allenta il nodo della cravatta, slaccia il colletto e tracanna, direttamente dalla bottiglia, un lungo sorso d'acqua: gesti esageratamente lenti, sembra che gli servano per ritrovare la calma. E invece sbotta un'altra volta: "L'ho detto e lo ripeto. Se non si spicciano, ritiro la candidatura. Giuro".
- Perdoni, Pannella, ma chi glielo ha fatto fare di offrirla?
"Era doveroso, per una volta. Anche se mi è costato fatica, molta fatica. E' un compito tremendo, lo dichiaro senza enfasi. La legge è sulla linea, sia pure degradata, che non stiamo riuscendo a imporre non solamente in Italia, ma anche in Europa e nel Terzo Mondo. Allora mi son detto che non potevamo non essere disponibili ad assicurare anche l'esecuzione del provvedimento, per cogliere l'obiettivo: abbassare i tassi di mortalità nei Paesi dove la fame è assassina. Certo, candidarmi ad essere il millesimo sottosegretario di questa Repubblica a 55 anni, 40 dei quali di onorata carriera civile, ha richiesto del coraggio e un po' di umiltà".
- E' tattica, o è vero che se non fanno alla svelta, questione di ore, lei si ritira? Se la sua fosse una disponibilità a cronometro, non crede che sarebbe poco apprezzata da chi come dice lei, muore di fame?
"Delle due, l'una: o è esatto quello di cui siamo riusciti a convincere il nostro governo, che a Bruxelles al vertice europeo ha imposto alla Comunità dei dieci di muoversi a tempo, perché fra cento giorni avrà inizio una catastrofe senza precedenti in Africa, e allora non è possibile continuare a perdere giorni e settimane (è dal 29 marzo che devono designare il sottosegretario); oppure non lo è. Ma se lo è, bisogna essere molto chiari. Siamo in un caso in cui i riflessi partitocratici non possono avere campo libero, altrimenti comincia male, ed è inutile creare illusioni su quello che effettivamente si può fare".
- Se sarà chiamato ad amministrare i fondi, dovrà collaborare, se non dipendere, dal ministro, che è Andreotti. Una prospettiva singolare per un radicale.
"Nei confronti di Andreotti ho sempre avuto grande stima oltre che grandissimi motivi di scontro politico. E ho ragione di credere che il suo stato d'animo verso di me non sia difforme. Una eventuale collaborazione, circoscritta, puntuale, potrebbe rivelarsi preziosa, sia come esperienza personale, sia per il Paese".
- Se lei entrerà nel governo, come farà il PR a stare all'opposizione? Si opporrà anche a Pannella o adotterà l'antica formula dei "due pesi e due misure"?
"Il governo continuerà la sua politica senza essere condizionato dala mia presenza come cinquantacinquesimo sottosegretario; la politica di Pannella, e ancor più quella del mio partito, non potranno essere in causa. Nessun doppio binario, quindi, ma una crescita di responsabilità dalla quale non potrà non essere tratta una opportunità in più di dialogo davvero laico e democratico".
- Il PSDI è favorevole a lei come commissario. E anche il PSI, dopo le dichiarazioni di Loris Fortuna. E gli altri? Insomma, quante probabilità ha di farcela?
"Che probabilità hanno di farcela loro, non io. Non sono un disoccupato".
- Mettiamo che la nomina arrivi, quale sarà il suo primo passo?
"L'unico serio, cercare subito di mettere in piedi una baracca che regga al diluvio delle cose da fare. E' questa la cruna d'ago attraverso la quale la Grande Speranza deve passare. Avrò come sempre il profondo senso dell'urgenza, e il rifiuto di cedere alla fretta".
- E poi come pensa di spendere quei soldi?
"Anzitutto, che sia io o un altro, si dovrà badare a come non spenderli. Anzi, a non dilapidarli. In ogni caso, non a sostegno dei nostri commerci, magari vergognosi e inconfessabili; non a sostegno di classi e di gente corrotte; non in aiuti soprattutto alimentari".
- Ma allora dove finiranno i miliardi?
"Non finga di non sapere. I radicali da almeno cinque anni illustrano ogni giorno come si dovranno amministrare. Ci rifaremo a quelle indicazioni, costituiranno un programma d'intervento: non possiamo adesso fare elenchi contabili, ci vorrebbero mezza giornata e mezzo giornale".
- La Malfa ha obiettato che 1.900 miliardi sono troppi per un Paese come l'Italia che ha un bilancio disastrato almeno quanto l'Africa. E parecchi gli danno ragione.
"Mi auguro che non abbia effettivamente pronunciato una tale demagogica non verità. Siamo stati i soli, purtroppo, a denunciare che migliaia di miliardi negli anni scorsi erano stati buttati via, ossia senza risultati né per l'Italia, né per i milioni di agonizzanti. A coloro che così pensano, rispondiamo comunque che questa legge nasce per intervenire diversamente. Il vero problema, serissimo, urgente è quello di convertire in spese di vita e di pace le migliaia di miliardi che si destinano ai folli ``investimenti'' militari".
- C'è chi, come Montanelli, ha scritto che gli aiuti ai Paesi in miseria non servono a niente perché non arrivano mai a destinazione: derrate alimentari che marciscono per strada, ruberie, eccetera. Cosa suggerisce per evitare che anziché i poveri vangano agevolati i furbi?
"Il problema da questo punto di vista non è diverso che a Napoli o a Palermo o a Reggio Calabria e, in alcuni casi, a Milano o a Torino. La sola ricetta è quella del buon governo. Per il quale occorre avere "mani nette e cuore di cristallo", come canta Francesco de Gregori".
- Altri sono persuasi che se uno muore di fame, piuttosto che regalargli un pesce è meglio insegnargli a pescarlo. Non mi sembra un'idea cretina.
"All'inizio, circa 20 anni fa, questa massima di Mao era interessante. Adesso, ogni volta che la sento, penso che ci deve essere qualche industria che produce armi, lenze e canne da pesca. Perché se non c'è il pesce, né l'acqua e neppure l'apprendista pescatore, che è agonizzante, tutto l'armamentario, compreso il manuale per acchiappare le sogliole, può servire al massimo come ornamento di qualche tomba".
- Sulla rivista missionaria "Nigrizia", un articolo di padre Alessandro Zanotelli denunciava che i soldi degli affamati finiscono spesso nelle tasche di amici, di esperti, ricercatori e professori vari. E' così?
"Quell'articolo è apparso sulla prime pagine de" l'Unità "e de" la Repubblica "solo perché era in corso il tentativo di evitare che andasse in porto una legge pericolosa per l'Unione Sovietica e per i ladri. Condividiamo molto di quanto ha scritto" Nigrizia: "e il PR è stato l'unico partito a pubblicare un libro bianco su determinate storture. Non a caso andiamo ripetendo che, in partenza, si deve contare soprattutto sul piccolo esercito di missionari cattolici cristiani e laici, che opera dando letteralmente la vita alla lotta per la salvezza dell'umanità da questo immondo olocausto".
- Sarebbero 30 milioni quelli che rischiano la fine. Non sono troppi anche per Pannella?
"Se la cifra si è ridotta a 30 milioni invece che 50, come dichiaravano le agenzie dell'ONU, ciò è dovuto allo studio dei radicali. Ma questa è una riduzione sulla carta. Coi mezzi della legge, che sono metà di quelli richiesti con proposta Piccoli, sono sicuro che si può entro due anni garantire la sopravvivenza di oltre un milione di persone".
- Lei sostiene che se avessero lasciato fare a Pertini il problema delle denutrizione sarebbe ormai un brutto ricordo. Vuol Spiegare?
"Per la verità è una frase che ho detto sia a Pertini, sia a Giovanni Paolo II, perché si tratta semplicemente di avere la volontà politica e umana per concepire certe scelte e di perseguire certi obiettivi. L'espressione è forse frusta, ma in un mondo nel quale si sperperano migliaia di miliardi di lire in attrezzature militari, e per l'esplorazione, sempre a scopo militare, degli spazi e delle stelle, non trovare i soldi per bloccare l'avanzata del deserto, che minaccia di sommergerci con la sua crescita, è una follia".
- Lei va d'accordo col Papa. Vi unisce l'impegno contro la fame, o Pannella risente del proprio passato, quando giovanissimo era fiancheggiatore dei gruppi cattolici, come ricordano i suoi biografi?
"Mi sono iscritto nel dicembre 1945, a 15 anni, al Partito Liberale di Marco Pannunzio e Benedetto Croce. Fino al 1953, quando me ne sono andato definitivamente, sono entrato e uscito dal PLI seguendo il moto ondulatorio dei nomi ``maggiori'' impegnati nella sinistra liberale. L'ultimo contatto che ho avuto col mondo istituzionale della Chiesa è stato per la prima comunione nel giugno 1940. Ciò detto, rivendicando anche per l'intransigenza anticlericale che suppongo sia propria di ogni spirito religioso, perché non possiamo non dirci cristiani e anche cattolici se siamo cresciuti in questo Paese dove le tante culture cattoliche costituiscono per più di un millennio l'intero universo del sapere e della religiosità. Ripeto, inoltre, che dinanzi allo sterminio per mancanza di cibo, se dovessi iscrivermi oggi a ``questo'' Stato o a ``questa'' Chiesa, sceglierei di iscrivermi a ``questa'' Chiesa. Naturalmente è una boutade. Ma come in ogni boutade autentica, c'è sicuramente molto del ``mio vero''".
I radicali sono "verdi" da sempre
- I critici dei radicali insinuano che quello dei disperati dell'Africa è il vostro cavallo di battaglia elettorale, anche se alle amministrative non avete liste in proprio.
"Stia pur certo che se questa lotta di umanesimo integrale cristiano e laico fosse stata pagante in termini di riuscita mondana e di potere, non ce ne avrebbero lasciato così a lungo il monopolio. I morti di fame del Terzo Mondo non sono elettori".
- Tra i suoi bersagli consueti, negli ultimi tempi spicca il PCI, Perché?
"Perché oggi è il vero Stato nello Stato, il solo che permanga. La Chiesa, il mondo clericale, per loro fortuna, non lo sono più. Perché il PCI è un'immensa struttura anche di parastato che ha una sua feroce logica si autoconservazione. Perché è l'unico che può ancora ingannare grandi masse. Perché è partito anzitutto di potere, pilastro della partitocrazia. Non a caso sul fronte della lotta allo sterminio dei diseredati il suo apporto è stato unicamente negativo, e ha smontato lo splendido slancio del ``popolo comunista'' che, anche attraverso numerosi sindaci, stava dando molto, organizzando manifestazioni internazionali prestigiose".
- Veniamo alle elezioni. Perché state coi "Verdi"? Temete che mangino la rosa?
"Siamo ``verdi'' anche noi, da sempre. E riteniamo necessario alla democrazia che i ``verdi'' di diverso itinerario dal nostro si costituiscano anch'essi in forza politica autonoma. Perché l'inquinamento della politica e della morale in Italia è almeno pari, se non più grave, di quello dell'ambiente. E fin d'ora sollecitiamo la presenza di liste di questo tipo anche alle elezioni politiche. Se non riuscissimo a proporre per il superamento della partitocrazia, anche in sistema di partiti nuovi e diversi, la nostra lotta per un regime democratico all'occidentale, ``perfetto'', non potrebbe mai realizzarsi".
- Si intensificano tra PR e PSI dei contatti per trovare, pare, punti di accordo. Loris Fortuna, uso parole sue, vuole ``definire un'area operativa socialista e radicale fino all'ipotesi di una struttura federativa e associativa''. Oltre a chiederle se è d'accordo, dove confessarle che non ho capito niente. Le spiace fare chiarezza?
"Ci sono due miracoli nella politica italiana e europea. Uno è il PSI, che con poco più del dieci per cento, esprime il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, sindaci, presidenti di regioni, di banche, di USL e via occupando. L'altro è del PR, che con meno di tremila iscritti, riesce puntualmente da 20 anni a essere maggioritario nelle grandi battaglie per i diritti civili; e molti capi di Stato del Terzo Mondo lo considerano il più autentico rappresentante dell'Europa. Abbiamo percorso cammini opposti; loro quello del tentativo di convertire il potere con il potere; noi quello di convertire la politica in politica democratica dei valori, delle idealità e delle speranze. Ma le radici sono comuni. Come, d'altra parte, sono comuni con il PRI, il PLI, il PSDI, i cattolici liberali e i comunisti della tradizione di Terracini e Gullo. Insieme, di frutti ne abbiamo già raccolti. Ma chi è convinto, come noi, che la democrazia può vivere solo guardando la semplicità delle democrazie anglosassoni, con grandi partiti programmatici, di identica civiltà, non può fare a meno di constatare la bontà delle indicazioni di Fortuna. Che poi sono le stesse iscritte nella bussola radicale. Si tratta cioè, di aggregare, sui fatti, forze analoghe".
- Ma Pannella sottosegretario, eventualmente, si potrebbe interpretare come un primo passo verso la realizzazione dell'ipotesi di Fortuna?
"Semmai renderci omaggio ad un passo responsabile e democratico dei partiti di governo, che in genere, invece, sono partitocratici".
- Lei già una volta ha chiesto la tessera del PSI, ma non mi sembra che abbia avuto accoglienze entusiastiche.
"Non una, ma due volte. Immagino di essere l'unico italiano dal '45 cui sia stato - comprensibilmente - riservato questo trattamento. Devo ammettere, però, che per noi la doppia militanza, contro i partiti-chiesa, è un obiettivo quasi necessario".
- Sul "Giornale" ho letto la sua proposta di non votare per far cadere i referendum, secondo le norme costituzionali. Ma ai fini pratici, che differenza c'è fra non votare e votare no? L'importante non è che non vincano i sì?
"Esatto. Perché non vincano i sì bisogna che tutti coloro e non solo una parte, che sono ostili alla richiesta referendaria, o la considerano non meritevole nemmeno del proprio interesse, siano computabili. Cioè, facciano numero insieme. Ora, se si accetta il valore di questo referendum, e si va al seggio, ci si separa e si annulla quel 25/30 per cento di cittadini che sicuramente non andrà, in questa occasione, alle urne. La Costituzione per questo tipo di consultazione ha esplicitamente previsto l'eventualità di un rifiuto della maggioranza dei cittadini, stabilendo che se non si raggiunge il 50 per cento dei suffragi validi degli aventi diritto, il voto è nullo. Di conseguenza la nostra posizione resta quella di sempre: il referendum si deve tenere. E in molti riteniamo (il partito non si è ancora espresso) che stavolta il ricorso alle urne non valga l'avallo di una scheda, ma esiga la condanna di un rifiuto preventivo. Ignorando la chiamata è impossibile non vincere, perché è impossibile che la somma delle astensioni autonome e di quelle degli elettori della DC, del PSI, del PRI, del PSDI, del PLI e del PR, più di quelle della UIL, della CISL e della componente socialista della CGIL non sia di gran lunga superiore al 50 per cento. Lo ripeto: il referendum si deve tenere. E sarà per la politica del vertice Pci, quel che è stato lo scontro sul divorzio, nel 1974, per la Dc e il mondo clericale: una lezione storica a tutto vantaggio anche degli sconfitti".
- Ma perché a lei preme che il PCI perda la conta anche sulla scala mobile?
"Perché lo stesso PCI ha parlato del referendum come di una jattura. Perché per un anno lo spauracchio è servito a distrarre la politica italiana dalla vera questione: la riforma del costo del lavoro. E perché un esito positivo per i comunisti non potrebbe essere sostenuto dalla nostra economia. E il PCI lo sa benissimo". 2573


Le accuse dei radicali a Spadolini

IL CORRIERE DELLA SERA 18/05/85

Avrebbe mentito sulle armi chimiche
Secondo il capogruppo alla Camera Rutelli ce ne sarebbero in una base in Sicilia
ROMA - (r.r.) <L'Italia possiede le armi chimiche e il ministro della Difesa Giovanni Spadolini ha mentito quando ha detto che non è vero>. La contestazione gli è stata mossa ieri ufficialmente dal Partito radicale sulla base di una documentazione elaborata da un istituto specializzato di ricerca. E' stato il capogruppo radicale alla Camera, Francesco Rutelli, a fare la <rivelazione>: risulta, ha detto, che un certo quantitativo di armi chimiche viene custodito in una base militare in Sicilia: poiché il ministro Spadolini ha affermato ultimamente, nel suo <libro bianco>, che in Italia non esistono prodotti del genere (tranne un quantitativo di residuati dell'ultimo conflitto in un centro militare nei pressi di Civitavecchia), ora deve rendere conto di quanto emerso dalla ricerca.
Secondo Rutelli, non si tratterebbe neppure di una <svista>, di un errore: perché le armi chimiche immagazzinate nel deposito della Marina Militare di Cava di Soricaro, presso Augusta, non giacciono lì dimenticate: della loro esistenza sono a conoscenza i responsabili militari, tanto che in una recente esercitazione militare, denominata <Wintex Cimex>, esse sono state incluse nell'elenco delle armi disponibili.
Che succederà dopo la denuncia dei radicali? Ci sarà un seguito in Parlamento? <Finora Spadolini, ma anche i suoi predecessori, non hanno mai dato risposte soddisfacenti a interrogazioni o interpellanze parlamentari: per ora non intendiamo presentarne altre, ci limitiamo a questa denuncia pubblica, e aspettiamo che il ministro ci risponda pubblicamente>.
La <rivelazione> è frutto del lavoro dell'IRDISP, Istituto di ricerche per il disarmo, lo sviluppo e la pace fondato dal Partito radicale nel 1981. In particolare sono stati due suoi ricercatori, Marco De Andreis e Paolo Miggiano, a scoprire l'esistenza delle armi chimiche in Sicilia. Hanno fornito anche il tipo di sostanze custodite: tavolette di difenil-cloro-arsina, pasticche di cloro-aceto-fenone, fiale di fosgene e di acido ciandrico. Si tratta di sostanze molto tossiche e pericolosissime per la salute, comunque abbastanza superate: la fabbricazione risale infatti ad oltre 40 anni fa, essendo destinate a un eventuale impiego nella seconda guerra mondiale.
<Non si tratta di un grande quantitativo - ammettono gli esponenti radicali -; ma proprio questo fatto fa supporre che dosi analoghe possano essere custodite nelle altre basi militari, che sono complessivamente un'ottantina>. Secondo il governo, i residuati del secondo conflitto, trovati nei rastrellamenti di bonifica dopo la guerra o rinvenuti casualmente, e custoditi nel Centro tecnico militare chimico-fisico di Santa Lucia, a Civitavecchia, sono destinati alla distruzione, ma costituiscono un problema per la procedura da usare. 2495


Pci, bastione del regime

STATO-PARTITO O STATO DI DIRITTO?

di Lorenzo Strik-Lievers NR 135 del 2 giugno 1985)

SOMMARIO: In apertura del numero 4 de "La Prova", il lungo articolo (trascrizione, revisionata dall'autore, dell'intervento svolto al Consiglio Federale del partito del 26 e 27 aprile) compie una dettagliata analisi della situazione politica quale è venuta chiarendosi, nei suoi dati di fondo, anche grazie al voto referendario del 9 giugno sulla scala mobile. In questo periodo si è venuta manifestando "quella che può apparire una collocazione nuova del P.R. negli schieramenti politici": non più una linea di alternativa "da sinistra" alla D.C., ma promozione di battaglie "comuni" con PSI e DC in aperto confronto con i comunisti, "divenuti loro, adesso, gli avversari principali". Non si tratta certo, sottolinea l'autore, del "salto del fronte" di un Pannella divenuto opportunisticamente "governativo" e proteso alla "autocandidatura" a "sottosegretario contro la fame"; negli anni ottanta si sono verificati cambiamenti incisivi degli equilibri politici, per cui oggi la DC non può essere più considerata il "partito 'dello Stato' e 'delle istituzioni'"; si deve piuttosto parlare di un sistema che si regge sul "mutuo sostegno" tra "grandi poli partitici", stretti in un sistema consociativo dei cui equilibri il PCI deve essere considerato "bastione principale e asse portante", perchè è la forza che ha un interesse "vitale" ad assicurarne il mantenimento. Il sistema rende impossibile la ricerca di una "alternativa" di tipo anglosassone, mentre fa correre al paese rischi autoritari. All'interno dell' "area pentapartita" si sono però manifestati "timidi" accenni di resipiscenza e di cambiamento, che hanno portato alla legge sulla fame nel mondo, alla battaglia referendaria, ecc. Bene ha compreso il problema Gianni Baget Bozzo ("La Repubblica", 23 aprile) là dove sostiene che gli sviluppi della formula "Pannella governativo" potrebbero costituire segni di "realtà nuove che stanno emergendo". La nuova "collocazione" del P.R., dunque, spinge alla "rottura dell'omertà partitocratica" e prepara una "successione democratica al regime partitocratico". CRB3882

(LA PROVA, Supplemento di discussione N. 4 - Notizie Radicali n. 135 del 2 giugno 1985)
Più che mai in queste settimane si impone all'attenzione altrui e nostra il tema di quella che può apparire una collocazione nuova del Partito Radicale negli schieramenti politici. L'ultimo e più vistoso caso in cui la questione è emersa è quello della posizione radicale rispetto al referendum comunista; è di contrapposizione frontale rispetto al Pci, a partire dall'aver individuato l'oggetto vero del referendum in quel cardine della costituzione materiale che è il diritto di veto del Pci su ogni scelta di governo, e dalla convinzione che infrangere quel diritto di veto sia condizione necessaria per conquistare in Italia un'autentica democrazia di diritto. Accanto a questa scelta stanno le altre compiute negli ultimi mesi, che hanno indotto alcuni a parlare di un "Pannella governativo" o a porre il problema se il Pr non si sia ormai inserito all'interno dello schieramento pentapartito.
Non si tratta evidentemente di somma casuale di mosse contingenti; una per una, e nel loro insieme, esse comportano implicazioni di carattere generale su cui è bene sviluppare il discorso con la massima chiarezza. Non solo e non tanto per non lasciare senza risposta le domande di quanti non capiscono - o più spesso fingono di non capire - come i radicali, da fautori dell'unità e alternativa di tutta la sinistra contro la Dc, si siano trasformati in promotori di battaglie comuni con Psi e Dc contro i comunisti, divenuti loro, adesso, gli avversari principali; ma soprattutto perché su questo piano abbiamo non piccoli giochi furbeschi da nascondere, ma una grande prospettiva politica da esplicitare e da proporre con la massima forza. Va detto, intanto, che non avrebbe senso parlare di un nostro "salto del fronte", dalla trincea in cui stanno il Pci e i suoi alleati a quella opposta della Dc con i suoi. A cambiare, in realtà, è stato il fronte; le trincee di ieri non esistono più, sono state sostituite da altre, il cui tracciato corre in tutt'altre direzioni. Né, sia chiaro, dicendo questo si vuole richiamare in nessun modo la tesi stupidamente goscista circa un "peggioramento", una "degenerazione" del Pci rispetto ai bei tempi in cui esso conduceva "davvero" l'opposizione alla Dc: non ho personalmente, ma credo tutti non abbiamo, alcun dubbio nel preferire, nel trovare migliore il Pci di oggi rispetto a quello degli anni cinquanta o sessanta, se non altro perché è molto meno "comunista", appunto. Il cambiamento cui mi riferisco, invece, è quello che riguarda la collocazione e il ruolo del Pci negli equilibri di regime e più ampiamente quello della natura stessa del "regime". Questo è il punto vero.
Nel corso degli anni ottanta il "regime" ha conosciuto trasformazioni di grande portata: tali anzi che segnano una novità pressoché senza precedenti nella storia italiana dall'unità in poi. Se un dato di continuità ha contraddistinto, infatti, lo Stato italiano lungo il secolo e oltre della sua esistenza, si è trattato del suo essere sempre - seppure in forme via via diverse - uno Stato-partito, lo Stato di "un" partito. Il discorso vale per la fase dello Stato liberale, quando di fatto si dava sostanziale identificazione fra le istituzioni e quella nebulosa politica definita il "gran partito liberale", essere dentro o fuori dal quale significava essere "dentro" o "fuori" dalle istituzioni: vale tanto più per il periodo fascista, in cui la coincidenza tra Stato e partito è assoluta, e formalmente proclamata; e vale per i lunghi decenni di quello che a ragione chiamavamo il regime democristiano, perché la Dc vi fungeva da solo e insostituibile partito "dello Stato" e "delle istituzioni". Proprio questo, invece, oggi non è più vero: per la prima volta nella storia dell'Italia unita - salvo la breve parentesi ciellenistica - non esiste un partito-Stato. Non lo è più la Dc che emblematicamente, pur rimanendo pilastro essenziale del potere, non controlla più le supreme cariche dello Stato; né altri lo è (ancora?) diventato.
Oggi, così si può semmai parlare di un sistema che si regge sul mutuo sostegno, sulla solidarietà omertosa di fondo - nella rivalità reciproca - tra grandi poli partitici, soci-comprimari della consociazione. Il regime partitocratico attuale, cioè, si configura come strutturalmente altro da quelli fondati sulla centralità incontrastata di un solo partito. E si badi: proprio dal suo essere tutto basato sul "patto" mafioso tra centri di potere partitici e corporativi per occupare e spartirsi ogni spazio occupabile, travolgendo ogni regola che non sia quella dei rapporti di forza all'interno del patto, discende una delle differenze più caratteristiche con i precedenti regimi a monopartito dominante. Differenza riscontrabile nel fatto che ciascuno di essi, quello liberale, quello fascista e quello democristiano, fino agli anni '60, conosceva e rispettava sostanzialmente delle sue precise regole del gioco, benché mai corrispondenti alla Costituzione teoricamente in vigore; mentre l'odierna partitocrazia consociativa si regge sulla mancanza di qualsiasi regola del gioco minimamente garantita, o meglio sulla prassi della modifica, di volta in volta, della regola, a seconda degli equilibri momentaneamente determinatisi nelle contese spartitorie-corporative.
Di questo sistema partitocratico non si può non considerare bastione principale e asse portante il Pci, ciò che invece non era fino agli anni '70; quanto meno perché esso è la forza che più di ogni altra ha interesse, e interesse vitale, ad assicurarne il mantenimento. Il Pci sa bene infatti, ha sempre saputo, che finché conserverà alcuni dei suoi caratteri di "diversità", quelli che in sintesi possono essere simboleggiati dal suo nome e dal suo emblema, le resistenze e i condizionamenti interni e internazionali saranno tali da rendere impraticabile un'alternativa "anglosassone", imperniata su di esso, che mandi all'opposizione la Dc; ma quei caratteri il Pci non ha finora voluto, o potuto, abbandonarli. La conseguenza inevitabile è che se vuole - rimanendo se stesso - pesare, governare, gestire, e non limitarsi a praticare una opposizione senza sbocchi e speranze, il partito comunista non può che puntare sui meccanismi della consociazione; attraverso i quali partecipare alla sostanza del potere, pur salvando le forme dell'opposizione, integrarsi nel potere, ed essere potere. Se e finché non riforma radicalmente se stesso, dunque, il Pci non può consentire - pena la marginalizzazione - che venga infranta la logica di questo regime di partitocrazia consociativa che gli consente di esercitare il suo diritto di veto; e deve contrastare con ogni mezzo qualsiasi tentativo di uscirne, come la vicenda del decreto e del referendum "sulla contingenza" conferma. Qui sta il dramma di quello che, fra i partiti, rimane il solo in cui larghi settori dei ceti popolari si organizzino ancora effettivamente. Il Pci non rompe con la tradizione comunista perché ritiene che altrimenti si incrinerebbe questo rapporto con la sua base popolare; ma ciò appunto fa sì che quel che potrebbe essere un grande fenomeno di partecipazione democratica comporti il coinvolgimento capillare di una parte considerevole delle classi popolari nelle dinamiche perverse e totalizzanti della partitocrazia. E più, poi, entrano in intima crisi i miti e le illusioni del socialismo classista, leninista e stalinista che animavano il Pci, tanto più esso si fa ragione di vita del proprio potere partitocratico, del proprio occupare potere (e quindi del proprio farsi occupare dal potere); che rimane in ultima analisi il solo obiettivo cui esso può guardare come a proprio mito. Con tutto ciò, evidentemente - va detto per evitare possibili equivoci - il ruolo del Pci negli ultimi anni non è stato assimilabile a quello della Dc nel regime democristiano. La Dc costituiva allora l'asse, il punto di riferimento di ogni alleanza o progetto di alleanza di governo, sia per la sua forza che per il suo identificarsi con le istituzioni e, insieme, con le alleanze internazionali dell'Italia, con la scelta di civiltà dell'integrazione nell'occidente a egemonia americana. Il Pci non è il cuore del potere: non controlla il governo, né i grandi centri del potere economico-finanziario. Ha esercitato ed esercita, però, la funzione di fulcro, di partito-guida, di animatore e coordinatore degli sforzi condotti dai più vari versanti politici per impedire che sia messa in discussione la logica partitocratica del regime. Solo per questa via può sperare che - grazie alla degenerazione necessaria delle istituzioni e dei partiti stessi che la partitocrazia comporta, grazie alla propria maggiore coesione e alla forza che gli danno i suoi legami di massa - gli sia possibile conquistare gradualmente una posizione in tutti i sensi centrale che ne faccia il nuovo "partito dello Stato", il nuovo "partito-Stato". E di quale tipo di regime, di partito-Stato e di Stato ne uscirebbe è inutile - date le premesse - persino parlare. In questa chiave, semmai, il Pci può incontrarsi con i ricorrenti disegni di Eugenio Scalfari; il quale auspica che esso, il tutore degli equilibri partitocratici, sia pronto ad approfittare del degenerare della partitocrazia per proporsi, con la propria classe dirigente e i propri legami con la società, come il supporto organico alla soluzione, nel Paese, di nuova autorità che sostituisca l'inefficienza fallimentare della partitocrazia, qual è oggi.
Queste, le ragioni di fondo per cui chi, come i radicali, si batte in nome del diritto e della democrazia contro il regime partitocratico, incontra come avversario principale il Pci, e non può non perseguire come obiettivo essenziale quello di sconfiggerne la prima pretesa: il diritto di veto. Il criterio di fondo, a ben vedere, è lo stesso che animava la battaglia contro il regime democristiano. Oggi, come allora quando si trattava di spezzare il monopolio democristiano del potere, l'obiettivo è giungere al confronto fra una maggioranza che sappia e possa governare davvero assumendosi la responsabilità piena delle sue scelte, e un'opposizione che faccia l'opposizione, potendosi candidare non per finta a diventare essa maggioranza di governo: condizioni, queste, perché nella gestione dello Stato si abbiano l'efficienza che nasce dalla responsabilità e l'interesse di ciascuno al rispetto delle comuni regole del gioco, ossia del diritto uguale per tutti. In questa luce, non può non risultare chiaro come una medesima logica ispiri i due tentativi perseguiti in queste settimane dal Partito Radicale, assicurare un'affermazione antipartitocratica alle elezioni attraverso le liste verdi e battere il referendum indetto a tutela del diritto di veto comunista. E in questo medesimo ambito assume tutto il suo risalto la questione della collocazione del Pr, oggi, negli schieramenti politici. L'altro dato fondamentale di cui tener conto da questo punto di vista - oltre a quanto si è detto circa il ruolo del Pci - è che lungo l'ultimo anno si è assistito al delinearsi di fenomeni di effettiva, sia pure ancora timida, fragile e contraddittoria, "resipiscenza" nell'area pentapartita della partitocrazia. Non si può negare infatti che dal governo e da parte della sua maggioranza siano stati condotti se non altro alcuni consistenti tentativi di praticare scelte secondo dinamiche diverse da quelle tipiche della consociazione partitocratica, assumendosi la responsabilità di scegliere sfidando veti e richieste di compensazioni di partiti e corporazioni. Se anche in buona parte non si è potuto o voluto andare sino in fondo, di questo tipo erano le premesse per provvedimenti come quello sulla contingenza e quello sulla fame nel mondo che, in modi diversi, urtavano il veto del Pci, e come la legge Visentini, che si scontrava con quello dei commercianti. Segni tutti di aspirazioni, quanto meno, ad uscire dalla crisi della partitocrazia per la strada del ristabilimento delle regole democratiche.
Su questo piano, com'era logico avvenisse, si sono verificati momenti di convergenza tra i radicali e settori della maggioranza: convergenze attraverso cui sono passati gli straordinari successi politici che il Pr ha conosciuto quest'anno. Solo con "alcuni" settori della maggioranza, certo; fosse stato con l'intero pentapartito la legge contro lo sterminio sarebbe la "nostra" legge, non quella che è. Del resto momenti di convergenza - sarebbe ingiusto dimenticarlo - si erano avuti anche con elementi dell'area comunista della partitocrazia - e si pensi all'incontro con tanti sindaci comunisti sulla fame. Ma quelle componenti dell'area comunista che avevano accettato di stare al nostro fianco sono state sconfitte su questo nel loro partito, rimanendo schiacciate o dovendo rimangiarsi le loro di posizione; mentre quelle di area pentapartita hanno trovato la forza e lo spazio per condurre la battaglia, se non fino al successo pieno almeno fino a risultati consistenti. Non è, tutto sommato, differenza da poco. Allora si può parlare di radicali vicini al pentapartito, o addirittura dentro il pentapartito? Il problema, evidentemente, non può essere questo. Ha ragione Gianni Baget-Bozzo quando scrive ("La Repubblica", 23 aprile) che il complesso di sviluppi riassumibile nella formula "Pannella governativo" costituisce segno di realtà nuove che stanno emergendo.
La nomina di Pannella a sottosegretario contro la fame, afferma Baget-Bozzo, varrebbe come annuncio d'un avviato superamento del principio delle maggioranze chiuse; giudizio condivisibile, a patto di intendere un tale superamento in un senso decisamente alternativo a quello trasformistico secondo il quale tante volte, in passato, esso è stato usato. In gioco è infatti la possibilità di un'ampia riforma del sistema politico e dei suoi equilibri profondi. Se si ripensa serenamente agli eventi di questi mesi non si può non convenire che non si è verificato alcun aggregarsi dei radicali al pentapartito. Vero che in alcune occasioni i radicali hanno operato da forza di maggioranza; ma non perché si siano accodati ai sostenitori del governo, bensì perché su punti specifici - però di grande e generale rilievo politico - hanno saputo aggregare essi intorno a sé stimolatori e fulcro di maggioranze nuove, parte del pentapartito. In primo luogo sullo sterminio, si è creata una maggioranza grazie al convergere di forze governative intorno alla posizione radicale; anche se in una maggioranza piena di debolezze, aperta a incursioni altrui, e che perciò - come è in genere regola per le maggioranze in Italia - non ha trovato la compattezza sufficiente per far passare intera la propria posizione e ha dovuto scendere a compromessi. Si tratta di un'indicazione di grande importanza, in termini di metodo e di tendenza. Uno dei massimi problemi per la vita politica e per la società italiana nasce dal fatto che, paradossalmente, la partitocrazia ha ucciso i partiti: i quali, trasformatisi in macchine per occupare, presidiare e gestire ogni possibile spazio e centro di potere, hanno in gran parte finito per perdere la loro ragion d'essere prima, quella di organizzare ed esprimere le "parti" politiche, di essere "soggetti" politici, di consentire ai cittadini la scelta tra grandi e diverse opzioni di governo, e su di esse - sulle "cose", nel senso migliore - permettere loro di dividersi in maggioranze e minoranze e in definitiva di governare e autogovernarsi. Proprio questo hanno saputo fare i radicali: creare schieramenti, maggioranze e minoranze su questioni di fondo, su linee di governo. Ha senso, al di fuori degli interessi di bottega di qualche Capanna, l'obiezione che così, perso il nostro posto di opposizione, saremmo protagonisti di un nuovo trasformismo? Difficile sostenerlo, almeno se si intende il termine "trasformismo" nell'accezione usuale, di "pratica compromissoria" priva di dignità politica e ideale, elusiva delle scelte; chè la "trasformazione" che i radicali promuovono si prospetta come l'opposto speculare del trasformismo (ma, per contro, non è poi priva di suggestioni l'interpretazione crociana del trasformismo italiano di un secolo fa come scomposizione e ricomposizione dei partiti in funzione dei problemi nuovi e come superamento di divisioni vecchie).
In questo senso, l'autocandidatura di Pannella a sottosegretario contro la fame appare non mossa marginale ed episodica: è stato il gesto di consapevolezza e responsabilità di chi, promotore di una nuova maggioranza finalmente politica e non mero potere, invitava questa maggioranza a prendere piena coscienza di sé e a candidarsi come tale a gestire la propria scelta di governo. Gesto emblematico dunque, che definisce i lineamenti e la portata di un progetto politico: il progetto che persegue una ricomposizione del quadro politico italiano attraverso il maturare di schiarimenti, di maggioranze e minoranze di qualità nuova come sola via d'uscita democratica dalla degenerazione e dall'impotenza della partitocrazia. A questa stregua non si può non vedere come tanti aspetti del disegno radicale che potrebbero sembrare eterogenei si combinano tra loro con coerenza rigorosa: dalla battaglia contro lo sterminio (per quanto concerne i suoi risvolti di politica interna italiana), alla lotta antipartitocratica nelle sue forme, dalla promozione di nuove realtà politiche come i Verdi, anche scontando i rischi della "concorrenza", alla sfida al Pci e al rapporto con il governo Craxi o con parti del mondo cattolico. La duplice idea-forza è che dalla crisi per putrefazione non si esce se non restituendo nobiltà alla politica col determinare incontri e scontri, maggioranze e minoranze, e in sostanza nuove "parti politiche", intorno a valori; e insieme chiamando a lottare e ad avere il coraggio di vincere quanti sentono che occorre con urgenza rompere in senso democratico-liberale la "costituzione materiale" della partitocrazia degenerante. Questo, e non altro, il senso della "nuova" collocazione politica dei radicali; il cui scopo, in sintesi, sta nello stimolare e guidare la rottura dell'omertà partitocratica e preparare una successione democratica al regime partitocratico, fondata su un nuovo sistema di nuovi e "veri" partito che possono e debbono nascere dalla crisi della partitocrazia (non si pensi solo al sorgere di un partito verde: quante preziose energie democratiche può liberare una sconfitta della politica partitocratica del Pci? quante forze già si muovono, nel mondo cattolico, non secondo logiche di regime ma aggregandosi sui valori? e così via). Non possiamo non avere consapevolezza piena che per questa via i radicali indicano la sola alternativa a quei disegni di "nuova autorità" che Scalfari e i sui alleati prospettano come via d'uscita all'incapacità di questo regime di governare il Paese. 3882


IL DOCUMENTO DEL CONSIGLIO FEDERALE

Il Consiglio Federale del Partuto Radicale, riunito a Roma nei giorni 14, 15 e 16 giugno,
DENUNCIA l'attuale sostanziale rischio che le battaglie radicali, le lotte nonviolente, la mobilitazione di migliaia e migliaia di cittadini, di esponenti della politica, della cultura e della religione per strappare alla politica dello sterminio per fame milioni di persone, siano vanificate. Da una parte prosegue e si perfeziona, con la complicità di tutti i partiti della partitocrazia, di governo e di opposizione, la subordinazione del Dipartimento per la cooperazione e lo sviluppo alle esigenze del commercio estero nazionale, dall'altra le prime indicazioni del Cipes e del sottosegretario Forte denotano che l'intervento straordinario viene banalizzato e ridicolizzato in aiuto d'emergenza e in iniziative disperse che appartengono alle competenze del Dipartimeno stesso;
DA MANDATO agli organi esecutivi di sviluppare una campagna politica di mobilitazione e lotta politica nonviolenta perché le risorse e le strutture dello Stato italiano esistenti siano immediatamente ed efficacemente utilizzate per strappare alla morte per fame, malnutrizione, malattie, milioni di esseri umani;
INDIVIDUA nei mesi estivi un momento di grande rilancio politico ed organizzativo, di azione diretta contro la fame, per la pace e il disarmo, di sensibilizzazione della pubblica opinione italiana e internazionale;
INDICA nella radicale riforma della legislazione e degli organismi addetti alla cooperazione e all'intervento nel Terzo Mondo - attraverso il superamento sia della legge 38 del 1979 sia della legge 73 del 1985 - un obiettivo primario del Pr per realizzare la grande politica estera per la vita e lo sviluppo promossa e proposta in questi sei anni e per battere le politiche fallimentari in cui si sono dispersi ormai 10.000 miliardi in una effimera e casuale assistenza o in una cooperazione a medio e lungo periodo che quasi sempre ha giovato a centri di potere e affaristici italiani e alle élites di potere locali.
Il Consiglio Federale,
PRESO ATTO delle comunicazioni del segretario circa le iniziative a sostegno della campagna per una giustizia giusta, rileva che il processo in corso nell'aula-bunker di Poggioreale -per le forme e i modi in cui é stato istruito, per la conduzione del dibattimento pubblico, per la copertura offerta dagli organi di stampa e informazione radiotelevisiva- rappresenta un luogo di necessaria e urgente iniziativa politica volta a smascherare le strutture capillari di potere occulto e mafioso che dominano la città di Napoli, e dà mandato agli organi esecutivi d'intraprendere tutte le operazioni di verità e di giustizia indispensabili;
DA MANDATO al segretario e al tesoriere di dar luogo a un'approfondita valutazione sullo stato dei soggetti autonomi destinatari del finanziamento pubblico -d'intesa con i responsabili di quei soggetti- sull'ottimizzazione possibile della loro attività; sull'impatto e la compatibilità del loro fabbisogno finanziario sulle disponibilità del partito; sull'ipotesi di diverso reperimento delle risorse ad essi necessarie.
Gli elementi di questa aggiornata analisi conoscitiva dovranno essere portati alla riflessione e al dibattito del Consiglio Federale in modo da consentire al partito, in questi mesi e in vista del congresso ordinario, di adottare le scelte più giuste e responsabili.
Condizione preliminare per il perseguimento di tali obiettivi é però l'esistenza di un forte partito autofinanziato.
IL C.F. RILEVA una gravissima stasi nelle iscrizioni e sttoscrizioni, pur in presenza di battaglie politiche che hanno rappresentato per il partito e per il paese successi fondamentali: l'introduzione di un momento contraddittorio, rappresentato dalle Liste Verdi nei consigli regionali, provinciali e comunali; la sconfitta del fronte sfascista, consociativo e corporativo nel referendum-truffa sui 4 punti di scala mobile.
IL C.F. RIVOLGE PERCIO UN APPELLO ai cittadini perché diano corpo, valore, voce e connotati, iscrivendosi e sottoscrivendo per il Partito Radicale, alle decisive battaglie di diritto e di verità promosse e condotte dai radicali all'interno di un sistema dell'informazione asservito a lotte di potere e interessi partitocratici.
(approvato all'unanimità con una astensione) 3466