WB01337_.gif (904 bytes)
Cronologia del Partito Radicale -
1986

Documenti

Per una nuova forza sociale e politica di Marco Pannella AVANTI!, 14 gennaio 1986
L'affare Dupuis di Marco Pannella NR22 del 27 gennaio 1986
Documento del Consiglio Federale 2 febbraio 86
Caso Filipov: vittoria della nonviolenza di Antonio Stango NR54 del 5 marzo 1986
Documento del Consiglio Federale 16 marzo 1986
Governi di morte Intervento di Marco Pannella al Parlamento europeo 15 aprile 1986
Caccia: verdi, no al settarismo NR89 del 17 aprile 1986
A sette anni dal 7 aprile di Emilio Vesce NR89/86
La scelta nonviolenta della cessazione di Marco Pannella NR156 5 giugno 1986
Documenti approvati dal Consiglio federale 5/8 giugno 1986
Cessazione delle attività di Giovanni Negri e Marco Pannella NR157, 7 luglio 1986
Cessazione delle attività: un estremo tentativo di dialogo
di Gianfranco Spadaccia NR192 del 20 agosto 1986
Lasciate che i Piromalli vengano a me....
di Marco Pannella CORRIERE DELLA SERA, 4 settembre 1986
Processo Tortora: la valle del sonno
di Leonardo Sciascia - Panorama del 7 settembre 1986
Mozione del Consiglio Federale Chianciano, 18/21 settembre 1986
O lo scegli o lo sciogli ma Pannella non lo togli di Andrea Mercenaro L'EUROPEO, 15 novembre 1986
Intervento di Marco Pannella al Parlamento europeo 12 novembre 1986
Mozione del Consiglio Federale 21/23 novembre 1986
Mozione del Consiglio Federale 12-14 dicembre 1986
L'ultima capriola radicale di Ezio Mauro e Paolo Mieli LA STAMPA, 9 dicembre 1986
Mozione del Consiglio Federale Roma, 12-14 dicembre 1986
Pannella: "Ce l'abbiamo quasi fatta e domani ci espanderemo in Europa di N. R. STAMPA SERA, N. 342 - 22 dicembre 1986

L'affare Dupuis

di Marco Pannella NR22 del 27 gennaio 1986

Certa che si continuerà a decretare l'indegnità nazionale, e ad espellere i disertori dall'esercito, la giustizia militare sembra rifiutarsi sia di applicare una pena che si situi tra il massimo e il minimo della pena (da due mesi a due anni), sia di prendere in considerazione circostanze attenuanti o l'eventualità di una condizionale. Questa giurisdizione è la negazione del principio fondamentale per cui ogni responsabilità penale è di ordine e di natura personale. Così il Consiglio di guerra ha condannato Olivier Dupuis a 24 mesi di carcere, e alcuni esperti scommettono che la Corte di Appello confermerà questo giudizio. (Bisognerebbe condannare il disertore a 24 mesi per evitare che la durata della pena sia inferiore a quella del servizio militare o civile. Ma non è anche questo un modo per aggirare la legge? Questa tecnica, secondo la quale il disertore si trova esentato dal servizio alla fine della pena, dimostra che non di giustizia si tratta, ma di un'azione di ordine e di opportunità politica).
Si ammette che, in questo caso specifico, sarebbe un danno se fosse così. Ma si fa rimarcare che questa giurisprudenza, quanto meno singolare, non sarebbe che la conseguenza che la maggior parte dei colpevoli sono, da lungo tempo ormai, "testimoni di Geova", la cui linea di difesa consiste... nel non difendersi. Questa è infatti l'ideologia di questa chiesa, che sembra apprezzare questa specie di seminariato ideale, a spese dello Stato, che permette di meglio forgiare i suoi "soldati di Dio" al riparo delle tentazioni mondane. Misera spiegazione. Automatismo contro automatismo, e non piuttosto una sorta di intesa cordiale tra due cleri: chierici dello Stato da una parte, chierici dell'obiezione di coscienza dall'altra? Perché, in fin dei conti, delle due l'una: o si pretende -ma ancora è fatto da dimostrare giuridicamente- che questi giovani sono incapaci di intendere e di volere per il solo fatto di appartenenza a questa chiesa, e allora non li si potrebbe condannare: o, invece, sono responsabili. E associati nella stessa organizzazione, uniti nello stesso credo, nondimeno sono individui, con ognuno la propria storia, i propri caratteri, intenzioni, eccetera; e le pene dovrebbero essere fissate tenendo conto di queste differenze.
Il Consiglio di guerra non vuole vedere apparentemente Olivier Dupuis come un anonimo, come un personaggio quasi inesistente di una pièce prestabilita e pregiudicata. E ciononostante...
Rompendo con una vecchia tradizione politica, Olivier Dupuis, affermatore, e non denegatore o semplicemente obiettore di coscienza, partecipa al rito della giustizia in nome degli stessi valori che si presume siano alla base della scelta militare, rendendo così omaggio ai suoi giudici nel momento stesso in cui contesta fino in fondo la giustizia militare. Auspicando un dialogo sulla sicurezza e sulla difesa di un paese o di un popolo, denuncia la illusione ("il 1914 e il 1940 non ci hanno insegnato nulla?") delle strategie stile linea Maginot, che si tratti di missili o delle armi cosiddette convenzionali, o ancora della struttura classica degli eserciti di cui la disciplina sarebbe la forza. Egli stima di non poter accettare nemmeno il servizio civile, risposta inadeguata al dovere della difesa del territorio e dello Stato: difesa del diritto che egli considera come l'arma essenziale da opporre, risolutamente, aggressivamente, al "nemico", ai sistemi totalitari che rappresentano una minaccia strutturale contro la pace. E' necessario, ritiene Dupuis, attaccarli subito e sempre, destabilizzarli, perché perdano la loro forza mostruosa, nutrita dal sequestro dei diritti dei cittadini di questi Stati totalitari, diritti peraltro garantiti da testi aventi forza di legge per noi come per loro. Dupuis assume peraltro interamente a proprio carico il rifiuto del servizio civile, discriminatorio, penalizzante, dal punto di vista del lavoro, della dignità, dell'uguaglianza.
Soggetto di diritto europeo, la sua azione è infatti quella di un militante federalista che esige il rispetto delle risoluzioni del Parlamento europeo sull'obiezione di coscienza e contro lo sterminio per fame nel mondo. Elucubrazioni da intellettuale? Dirigente del Partito radicale, Olivier ha un curriculum che non si può ignorare. Olivier dà corpo alle sue convinzioni con una forza e un'intelligenza che non sono quelle di un fanfarone. Responsabile dell'organizzazione di puntuali azioni dirette nonviolente -pure non senza pericolo per lui- all'Est come all'Ovest, in Turchia e in America, ha conosciuto le prigioni di Praga (interdetto al soggiorno per cinque anni) e della Yugoslavia, dove è ugualmente interdetto al soggiorno. Ricordiamo anche uno sciopero della fame di diverse settimane, in favore dei progetti di legge Nord-Sud, contro la fame nel mondo e in favore dell'utilizzazione pacifica dell'arma alimentare. Per questo ha manifestato contro gli accordi Usa-Urss, che hanno permesso di fornire trenta milioni di tonnellate di cereali a Mosca. Infine, è grazie a lui che una petizione, sempre a proposito dei diritti europei e di fame nel mondo, ha potuto essere firmata da 13.000 cittadini europei: petizione sulla quale oggi il Parlamento europeo sta lavorando.
Incorreggibile, Olivier Dupuis? Puro e duro? Sui suoi principi nonviolenti e politici, sicuramente. Ma è nella misura in cui su questi principi egli non transige, che intende vincere il suo processo davanti alla giustizia militare, e questo seguendo opinatamente la "strada maestra del diritto" della procedura, delle discussioni sui motivi della sua condanna. E', giustamente, in diritto, ch'egli contesta la legittimità dei tribunali militari e il fatto che dei militari siano costretti a divenire giudici, ciò che non è la loro missione, né loro professione, e questo senza avere l'indipendenza richiesta.
Olivier chiede perciò che tutte le possibilità previste dalla legge siano esaminate, in particolare la questione delle circostanze attenuanti e quelle della sospensione condizionale. Insomma, intende verificare la giustizia militare, con fiducia e con profondo rispetto di coloro che dovranno giudicarlo. Dalla sua prigione di St. Gilles, ci fa sapere che esaminerà la sentenza fin nelle virgole, per cercarvi dei segni positivi che gli permettano, se del caso, di manifestare la sua riconoscenza. E allora, invece, il massimo della pena? Niente sospensione, niente circostanze attenuanti? O invece, al contrario, due anni meno venti giorni, con le attenuanti e la sospensione? E quale governo oserebbe emanare un decreto di "indegnità nazionale" che il Consiglio di Stato annullerebbe a colpo sicuro?
Sembra probabile che il processo in corso a Olivier Dupuis non sarà l'ultimo. Dopo una condanna, resterà comunque di fronte alle sue obbligazioni militari? A men che non trovi lui stesso, negli avvenimenti, ragioni per compiere il suo servizio: teoricamente, è sempre possibile, visto l'itinerario, intellettuale e morale, di un radicale come Olivier Dupuis. 294


Per una nuova forza sociale e politica

di Marco Pannella AVANTI!, 14 gennaio 1986

Gli ottocentomila miliardi di debito pubblico consolidato, la cinquantina di milioni di debito a testa per ogni cittadino della Repubblica, neonati e disoccupati inclusi, non sono ormai più solo il prodotto di una politica irresponsabile, ma conseguenza obbligata di una struttura politica, istituzionale, economica e sociale che di per sè crea e aggrava quel debito, questa bancarotta sempre più fraudolenta.
Solidarismo clericale e pseudo-cristiano, statolatrismo peronista e pseudo-rivoluzionario della sinistra dominante e del sindacato trasformista e demagogico, assistenzialismo e clientelismo dell'immenso esercito burocratico e parastatale della partitocrazia, tutti uniti contro le esigenze dello Stato di Diritto e della democrazia politica e parlamentare, tutti estranei e nemici degli ideali liberali e del socialismo fabiano o riformista, hanno rappresentato gli ingredienti che ci hanno portato e ci inchiodano in una prospettiva di disastro, tanto più grave quanto più ignorata, negata, nascosta.
L'imprenditorialità - anch'essa - ciancia di liberismo, e pratica legge della giungla contro il possibile affermarsi di una economia di mercato, e essa per prima impone una politica economica interventista e protezionista allo Stato, scaricando su un ceto politico che comprensibilmente disprezza responsabilità che il pudore consiglierebbe piuttosto di condividere nel silenzio, se non nella liberazione autocritica.
Viene il sospetto che la leva per l'unico merito che dovrebbe esser riconosciuto a tutti costoro, un certo europeismo, sia dovuto all'illusione di poter trasferire la bancarotta, annullandola, nell'Unione Europea che riconoscono per quello che è: non un'ipotesi, ma una necessità urgente e assoluta.
Ma se questo del debito pubblico consolidato deve essere il tema massimo di impegno del governo della nostra società (e proprio per questo, di tutt'altro ci si occupa e su tutt'altro si discute concretamente, in termini di programma) è perchè senza una Riforma istituzionale e una nuova classe dirigente il regime italiano non potrà risolverlo; se non illudersi di risolverlo con quel "commissariamento della Repubblica" che De Benedetti e Scalfari, sempre più coscientemente e con alleanza e procedure prudentemente gestite ma di per loro follemente imprudenti hanno certo di provocare e assumere.
Risale al Governo Spadolini il merito di aver cercato di porre un freno nella discesa di questo precipizio: ma applicandosi ingenuamente solo ad alcuni effetti del precipitare tristemente si trovò a dover constatare che in meno di un anno il "tetto" di contenimento" dell'incremento del disavanzo era stato sfondato di oltre il 40%, grazie anche alla ignoranza dell'entità del disastro e delle sue cause da parte dell'amministrazione dello Stato.
Da allora la tendenza non si è rovesciata, nè contenuta; si è - anzi - aggravata. Il pentapartito di governo, e il tripartito di "opposizione" (PCI,MSI,DP), se si considerano i documenti ed fatti al di là delle chiacchiere, sono su questo fronte e con questo parametro una sola cosa: una sola "forza" culturalmente e politicamente interna e subalterna alla logica ed alla necessità di spesa, di bancarotta, di espulsione dell'Italia dall'area dei paesi che investono le proprie energie - nel presente - per concepire e dominare il futuro.
La crisi è per certi aspetti comune - nell'immediato - ad altri paesi occidentali di democrazia politica. Ma in nessun altro paese questa crisi è qualitativamente così grave da dover coinvolgere, come un'altra faccia della stessa medaglia, ogni aspetto del Diritto in particolare ma non solo della Giustizia in tutte le sue branche: amministrativa, civile, penale.
Il bilancio dello Stato è poco più che una finzione contabile; la legge finanziaria è la testimonianza dell'incapacità anche solo di concepire una via d'uscita e di sviluppo. L'economicismo dei politici, accompagnandosi magnificamente con il loro ideologismo, distrugge economia e politica : come l'apocalittismo apparente di gran parte del ceto imprenditoriale e il politicismo vieto di quello sindacale.
La verità è che in questo De Benedetti - oltre che altri, in politica, se permettete proprio i radicali - aveva (inutilmente e sterilmente) ragione: mai questo sistema partitocratico, costretto ad un drammatico accatto di voti come fondamento della propria legittimità di lottizzatori e di usurpatori delle istituzioni, avrà il coraggio di chiedere fiducia al paese su una politica che non potrà non far gravare anche sulla povera gente, e sui ceti sindacalmente più protetti e forti (nel senso individuato 80 anni fa da Gaetano Salvemini), l'operazione di saldo e di riassorbimento rapido del debito pubblico di almeno il 60% del suo totale.
Con l'efficientismo da dilettanti che provoca nella storia i suoi più gravi disastri, l'idea era e forse è ancora di ottenere l'avallo del PCI (in cambio di una certa quale forma di inserimento nel Governo Commissariale) e la sostituzione della DC in quanto tale come forza massima di potere e come centro di raccolta delle maggioranze di governo, proponendosi o comunque conquistando una sorta di potere dittatoriale romano, "buono", insomma, per effettuare la necessaria operazione storica, per poi tornarsene da nuovi Cincinnato, salvata la Patria, ai loro campi...
Di quell'ingenuo o folle disegno resta poco: per alcuni resta soprattutto l'odio contro socialisti e contro radicali, il disprezzo per liberali e socialdemocratici, che consapevolmente o inconsapevolmente hanno in varia misura fatto fallire prima il disegno piduista che stava per realizzarsi se si fosse potuto contare sull'assassinio del magistrato D'urso da parte di Senzani, che si trovò invece costretto a cercare di offrire il feroce ed ignobile surrogato dell'assassinio del generale Galvaligi, rivelatosi insufficiente: poi sul successo della continua campagna sfascista, andata definitivamente in fumo con il risultato civilissimo del referendum sulla scala mobile, a - anche - con quello delle elezioni amministrative di quest'anno.
Non per questo, ovviamente, il problema è stato risolto. E' anzi più drammatico che mai; a tal punto che rischia di provocare prima o poi il successo di meno elaborati e prestigiosi disegni eversivi, frutto di disperazione più che di calcolo o di demiurgiche volontà negative.
Una strategia che sia anche di piena, esplicita risposta a questo flagello dell'indebitamento e della bancarotta della nostra società, cioè del suo modellamento su strutture e soluzioni giuridicamente e economicamente insostenibili, è pienamente immaginabile e praticabile.
Ma occorre volerla e adottarla. O saremo oggetto, anzichè soggetto, di mutamenti storici incalzanti, già in corso sul piano delle strutture della società e della stessa natura. Certo è che non possiamo fare l'economia di questa responsabilità che comunque è di questa generazione, e non di altre. La vita ha più fantasia del più fantasioso di noi, certo. Ma non per questo possiamo vivere, continuare a vivere da struzzi,o illudendoci di poter ingessare le crisi, rimandandone la soluzione o l'esplosione con palliativi di surrogati di riforme degne di questo nome.
Io non credo che l'esaurirsi della politica politica e programmatica del Governo in carica sia dovuto alla conflittualità interna del pentapartito, o alla pur certo fallimentare qualità e forza della opposizione ufficiale. Questi sono effetti, non cause. Per quanti meriti vi siano, essi hanno potuto finalmente curare alcuni sintomi e malesseri che stavano di per loro contribuendo ad affaticare la società italiana, ed a fungere da detonatore di rivolte e di incendi.
La realtà dello Stato nazionale, in genere, è letale di per sè, in Europa, perchè non rappresenta nè può rappresentare un quadro adeguato per far fronte ai problemi tecnologici, di difesa e di sicurezza, di sviluppo o di nuova qualità dello sviluppo, di crisi delle culture e di civilizzazioni che andiamo vivendo. Ma lo specifico italiano accentua e aggrava in modo a volte esponenziale questa caratteristica del nostro tempo. Il Governo istituzionale del Paese ha strutturalmente ed istituzionalmente, politicamente poco o quasi punto effettivo potere democratico. E' una situazione, per molti versi, di basso, bassissimo Impero. Il potere è frantumato, ipotecato, alienato, costretto alla prepotenza o alla impotenza. Troppi dei luoghi deputati dalla legge ad esercitarlo sono ormai vuoti di capacità o di contenuto. Il "nuovo" naturalmente c'è: ma è o "sommerso" o "sommergente", incontrollato, irresponsabile: demitianamente evanescente e inconsistente. Questo nuovo decantato è quanto di c'è forse di più "vecchio" e non antico, imputridito e imputridente: comunque incapace di sopportare una qualsiasi regola, un qualsiasi Diritto: estraneo e contrario alla Costituzione "scritta", all'ordinamento giuridico e istituzionale, alle regole ed ai contenuti del gioco democratico. E' possibile tentare di mutarlo senza Riforma: ma è impossibile durare in questo solo tentativo.
Il collante di questa vera e propria macchina che va alla propria rovina e vi porta i suoi abitanti sono i partiti, l'attuale "sistema" partitico. Partiti che si gloriano spesso di "venire da lontano": di venire, addirittura anche sul piano della continuità statutaria o giuridica, formale, da secoli o mezzi secoli. Si gloriano di un'età che è invece mostruosa, e che dimostrano, per la verità, al di là delle cosmesi, tutta. Non di rado sono - i nostri - partiti che sono passati dalla clandestinità illegale alla usurpazione altrettanto extra-legale del potere. Ieri nelle carceri o in esilio, oggi al di fuori di qualsiasi alveo di diritto scritto, o anche solo "materiale". Eredi, alla lunga, e non riformatori dei loro nemici. Figli dei loro incubi, non delle loro ragioni e delle loro speranze. Non che questo sia quel che hanno voluto e, vogliono: ma - ed è ancor peggio - è quel che sono.
E' indubbio, comunque, che così come sono, non siano in grado di affrontare il problema-flagello che abbiamo scelto in questa occasione di adottare come problema-emblema della politica e della società italiana (e, in parte, di altri stati europei).
Dietro l'angolo ci attendono in due : la Rivolta distruttrice e la Riforma creatrice. E' come se fossimo già decisi a tentare, a vivere un "ménage à trois" con loro. Ma la Storia che, come il Vaudeville, sembra a volte consentirli e adottarli, lo fa non per mantenerli ma per distruggerli, incompatibili come sono fra loro. Occorre scegliere, e non a parole dimezzate. Chi come noi, sceglie la Riforma occorre che cominci con il riformare sé stesso, prima di pretendere di riformare gli altri, o altro.
Allora "riformiamo" i Partiti, "questi" Partiti. Un pò come si "riforma" al servizio di leva. Riformiamoli tutti, assieme e d'imperio. D'imperio democratico, naturalmente.
Un mezzo c'è: e altri ancora. Ma quell'uno lo conosciamo: gli altri, no.
Passiamo alla Riforma del sistema elettorale, adottando quello uninominale secco, anglosassone. Chi arriva prima, combattendo ad armi legali pari, è l'eletta, e basta. Così i candidati saranno candidati all'elezione ed al governo, non alla candidatura e alla "rappresentanza" di un apparato o di una ideologia.
Conosco la folla di obiezioni e di paure, ma sono con Maranini, anche se è possibile che sia senza Sartori: con Duverger e - per una volta - non con Mendes France. Sono con la democrazia anglosassone: non con quella continentale, nelle diverse sue incarnazioni quasi tutte in crisi ciclica o continue da troppo tempo, specie quelle più proporzionaliste. Insomma per una democrazia di Governo e non di "rappresentanza". Per la funzione e la libertà delle "grandi" Leghe fabiane o dei "grandi" Movimenti dei Diritti Civili: non per la sorte piccola dei gruppetti parlamentari, mezzo di finanziamento e di parastatalizzazione di tutto e di tutti, per mosche cocchiere o per sette ingessate, che vanno e mandano in fumo rivoluzioni ideologiche perenni e ogni fermento e movimento civile., mentre consumano funzioni e pasti di regime per conto di quei "grossi" che credono di combattere o di condizionare.
Da una parte occorre pure cominciare: certo il sistema elettorale e l'assetto di democrazia politico di governo e di alternanza e alternativa, non sono tutto, non coprono da soli le necessità "globali" di Riforma... Ma se non cominciavamo con il "modesto" divorzio...
Sono quasi certo che, fra tutti i Partiti, se si arrivasse "davvero a dover scegliere" su questa proposta, fra quelli che possono contare in modo determinante, il solo PCI si opporrebbe ferocemente. Il solo apparato del PCI, che - per potente e immenso che sia - in certi casi non riesce che a "seguire", alla fine, se non i suoi iscritti almeno la gran parte dei suoi elettori: divorzio, aborto, Presidente Leone insegnano.
I referendum e i sondaggi ci dicono - d'altra parte - chiaramente quanto l'elettorato sia poco irregimentabile se si trova dinanzi a scelte chiare, alternative, coraggiose e con un minimo di democraticità dello scontro; e quanto sia invece "vischioso" e atono dinanzi a scelte generiche, di bandiera - se non in momenti di rivolta e di rifiuto, negativi comunque se restano tali.
Questa proposta di Riforma sarebbe immediatamente recepita e compresa nella sua letterale semplicità, da tutti. E coloro che avessero avuto il merito di proporla e di imporne la presa in considerazione, di impersonarla sarebbero certamente ricompensati e riconosciuti come i meglio atti a gestirla, a realizzarla. Per questo non si tratta minimamente di puntare ad essere "terza forza" ma "prima forza". In un assetto democratico-radicale di democrazia politica, anglosassone, non vi sarebbe spazio storico per "questo" PCI, e in parte nemmeno per "questa" DC, anche se di riformato rito avellinese.
Sono i partiti laici, se ritrovano o puntano sul loro laicismo, che a nostro avviso dovrebbero e potrebbero puntare su questa Riforma, ed a chiedere forza storica per relizzarla ed impersonarla. Per PLI, PRI, PSDI, PSI e PR rinunciare alla difesa un pò triste e grottesca dei loro minimi averi attuali, o dell'incremento da rendita di posizione, per dar corpo a questo nuovo, significherebbe anche offrire la leva, il mezzo per affrontare in termini storici immediati, in termini politici reali il problema di una "forza sociale, politica e civile " per l'asportazione necessariamente traumatica del tumore del debito pubblico, con tutte le sue metastasi e anche le sue cause cancerogene.
Con elezioni di questo tipo non oltre il 1990/1991, noi potremo andare - oltre tutto - a proporre e vincere democraticamente e stabilmente, con il consenso amplissimo necessario, con un programma e con un "nuovo " ceto (perchè in gran parte scomposto e diversamente ricomposto) di Governo, anche alla promulgazione di una grande Riforma sistematica dei Codici e dell'Amministrazione della Giustizia.
Con un sistema di tre partiti "aperti", elettorali, di governo, due dominanti nell'immediato, l'altro di concreta e attiva riserva (e i giochi non sarebbero assolutamente fatti per la conquista dei rispettivi ruoli fra le tre famiglie politiche a confronto) il gioco democratico diverrà immediatamente agibile, sarà tecnicamente attuabile (al contrario di oggi), e leggi semplici, certe, potranno esser usate anziché abusate per percorrere alvei civili e responsabili nella vita istituzionale e politica. Il ruolo dell'informazione, pubblica e non, si troverebbe certo agevolato in senso democratico e di sana, o più sana imprenditorialità. Si porrebbe anche in Italia la proponibilità (teorica ma non astratta) di estendere il carattere democratico di tutti i poteri con la elezione diretta (piuttosto che con la lottizzazione e la corruzione culturale) perfino di funzioni di giustizia e di polizia.
Partiti "aperti", dicevo. Sì: e sono convinto che in meno di un decennio avremmo quelle profonde ridistribuzioni di impegno e di organizzazione politica, oltre che elettorale, preziosa per la nostra società con inquinamenti e tradizioni settarie, "libanesi" poco laiche.
A chi ci dicesse, una volta di più, che sogniamo, rispondo che solamente l'impossibile è oggi possibile, mentre quel che appare possibile, o come tale viene presentato e vissuto, è divenuto assolutamente impossibile. Concepire weberianamente il nuovo possibile, anziché consumare quello già consumato fin oltre l'osso, è il solo metodo che vale probabilmente la pena o la felicità di seguire.
Ringrazio l'"Avanti"! e i compagni del PSI di avermi così consentito di avanzare non più solamente una riflessione ma una proposta: non so davvero dove altrimenti mi sarebbe stato possibile, permesso. Ed è questa la riprova di situazione positiva e nello stesso tempo in pericolo, come con molta saggezza Claudio Martelli ammonì il Congresso radicale. Perchè la conquistata e responsabile volontà e pratica di amicizia e di fraternità non può soddisfarsi di se stessa senza esurirsi e essere ben presto travolta dall'incalzare della lotta politica. Ed è su questa strada che ci si sta muovendo, anche se non con adeguata forza, con gli amici liberali, con quelli repubblicani e con i compagni socialdemocratici.
Questa mia proposta, nei miei voti, va dunque assieme ai miei compagni radicali, già in gran parte individualmente orientati in questa direzione, ai compagni socialisti, ed alle forze laiche nel loro insieme. E ovviamente, all'arcipelago "verde" ... Vorrei ora, per terminare, esortare ciascuno a rispondere con lo stesso rispetto con cui ho cercato di rivolgermi a ciascuno.
E' certo, questo un ballon d'essai: è quindi una cosa seria. Un tentativo maturato da tempo e che ha un suo tempo, preciso e stretto, per essere abbandonato o portato avanti, anche organizzativamente. Chi ci sta, dunque, lo dica subito. Chi è disposto a dare una mano, da dovunque venga, da destre, sinistra, centro incontrerà le nostre.
Quando proponemmo la costituzione della Lega Italiana per il Divorzio - LID, bastarono una dozzina di politici e di intellettuali, poche migliaia di cittadini, un piccolo sconosciuto editore, che ci scrissero o telegrafarono, o che scrissero e parlarono pubblicamente, perchè "l'impossibile" secondo tutti, ma proprio tutti i massimi responsabili di partito d'allora divenisse non solamente possibile, ma, ben presto, probabile e poi realizzato.
Vorrei questa volta entro dieci giorni dalla pubblicazione di questo articolo cominciare a dirci e a dire se si può partire per questa nuova, seria, civilissima e necessaria avventura.
Per i recapiti, coloro che volessero contattarci, c'è la Camera dei Deputati, e - grazie anche per questo - l'"Avanti!".
Vi sono dei momenti, fu detto, in cui non si tratta più di misurare con l'alluce se la corrente è fredda, ma di passare a guado verso l'altra riva - verso la salvezza in questo caso - di un nuovo ordine e di una vera democrazia.


Documento del Consiglio Federale

2 febbraio 86

"Il Consiglio Federale, riunito a Chianciano dal 30 gennaio al 2 febbraio 1986,

UDITE LE RELAZIONI del Segretario Federale e del Tesoriere, dopo ampio ed intenso dibattito sullo stato del partito, sulle sue iniziative esterne, sull'attuazione degli obiettivi stabiliti dal Congresso per il 1986, sulle nuove proposte delle quali é stato investito dagli organi statutari,
NELL'APPROVARE le suddette relazioni del Segretario e del Tesoriere, IN PARTICOLARE
APPROVA l'opera di attuazione della risoluzione volta a preparare un adeguato progetto politico di cessazione delle attività del Partito da presentare al prossimo Congresso ordinario o a un Congresso straordinario, in relazione al persistere di uno stato di non legittimitàe di non democraticità della vita delle istituzioni e della vita politica del nostro Paese.
RILEVANDO che opportuna e forte é la scelta di coinvolgere, nella verifica stessa del giudizio politico sulla situazione italiana data dal partito, un vastissimo arco di rappresentanti della cultura e del mondo del diritto,
INVITA il partito in tutte le sue istanze ad impegnarsi per il successo e la realizzazione rapida di quest'iniziativa, e a mettere in rapida esecuzione anche il lavoro necessario per la redazione tecnico-operativa di un'eventuale cessazione delle attività, nelle varie forme configurabili.
CONSTATA, inoltre, che L'IPOTESI DI UNA CESSAZIONE DELLE ATTIVITA DEL PARTITO come risposta necessaria, adeguata e positiva alla negazione dello Stato di diritto e dei diritti-doveri democratici, NON PUO NON COMPORTARE PER I SOGGETTI AUTONOMI DELL'AREA RADICALE, QUALI LA RADIO RADICALE E LE TELEVISIONI RADICALI, UNA SPECIFICA PREVISIONE di scelta DEL PROPRIO AVVENIRE, SOTTO FORMA DI UN'INIZIATIVA DI CESSAZIONE DELLE LORO ATTIVITA, da autonomamente elaborare e prendere in considerazione.
RILEVA che lo stato di simbiosi oggettiva del partito e di questi soggetti autonomi porta a ritenere che la vita degli uni e dell'altro, il raggiungimento di obiettivi e di spazi che consentano soluzioni diverse dalla cessazione di attività e di quelli relativi al diritto alla vita e alla vita del diritto, possano dipendere in misura rilevante dalla comune capacità di una straordinaria mobilitazione convergente e di una conseguente mutazione dei propri, autonomi, progetti per l'immediato futuro.
Il Consiglio Federale, quindi, nel rispetto delle proprie competenze e limiti statutari verso gli organi istituzionali del Pr e verso soggetti esterni assolutamente autonomi sul piano giuridico, statutario e politico, invita il partito e i suddetti soggetti autonomi a immediatamente operare in tale direzione.
a) PER QUANTO RIGUARDA GLI OBIETTIVI COSTITUTIVI DEL PARTITO RADICALE DEL 1986, QUALI FISSATI DALLA MOZIONE CONGRESSUALE:
CONCORDA con il Segretario e il Tesoriere sullo stato di grave ritardo in cui versa il Partito nel suo insieme, che ha trovato purtroppo riscontro anche nel dibattito del Consiglio Federale, in ordine all'attuazione dell'obietivo d'assicurare nel 1986 il diritto alla vita ad almeno tre milioni di persone nel corso di un anno, di fronte alla gravissima, progressiva degradazione dell'impegno governativo, con ampia corresponsabilità del Parlamento e delle volontà e delle decisioni politiche acquisite con l'esposizione del programma di governo e con la presentazione della proposta di legge Piccoli;
RILEVA che le iniziative di Food and Disarmament, assicurate in primo luogo dall'apporto di militanti radicali come Emma Bonino, costituiscono un'indicazione, e una leva di grande valore, morale e pratico, che può e dev'essere usata dal Pr per giungere senza giudizi definitivi e irreparabili all'appuntamento della diretta iniziativa del Pr e di tutti isuoi militanti;
RINGRAZIA per il generoso e puntuale impegno i 45 compagni ed amici che su iniziativa di "Vita e Disarmo" stanno conducendo un digiuno di dialogo di quindici giorni con l'obiettivo di ottenere dal Governo l'impegno di una seria presa in considerazione della situazione della lotta mancata contro lo sterminio per fame nel mondo,
e CHIEDE A TUTTI i militanti radicali, a qualsiasi livello di responsabilità, di aiutare nella misura del possibile la conoscenza di quest'iniziativa e l'iniziativa stessa.
b) PER QUANTO RIGUARDA LE INIZIATIVE PER LA DIFESA DELLA VITA DEL DIRITTO:
APPROVA l'opera impostata per giungere a iniziative giudiziarie di massa contro le illegalità di regime e di una giustizia ingiusta, per la difesa del diritto all'identità e all'immagine, contro l'azione sovversiva ed eversiva nei confronti dei diritti politici dei cittadini e della Costituzione, operata dalla RAI-TV, le iniziative varie prese e attuate finora, ed esprime il proprio profondo e positivo apprezzamento per i risultati già ottenuti di alleanze politiche con altri partiti, in particolare il PSI e il PLI, su questi temi;
RILEVA come la solitaria battaglia del Partito Radicale contro ogni emergenza "giudiziaria" e "legislativa", contro i suoi effetti distruttori e perversi, sia in questi mesi divenuta propria di molti, anche prestigiosi, cittadini, forze politiche, esponenti delle istituzioni.
c) PER QUANTO RIGUARDA LA LOTTA PER L'AFFERMAZIONE DI COSCIENZA, PER L'INTERNAZIONALITA E IL CARATTERE FEDERALISTA EUROPEO DELL'AZIONE RADICALE:
APPROVA quanto fatto dal partito,
RILEVA che le condizioni generali di antidemocraticità e d'illegittimità della lotta politica rendono necessariamente lenti e drammaticamente costosi i tempi di realizzazione e anche d'impostazione democratica e popolare di questo aspetto della vita del partito e richiede energie finanziarie e organizzative lontane da quelle effettivamente e realisticamente disponibili da parte del partito;
INVITA quindi, a maggior ragione, il partito, tutti e ciascuno, a uno sforzo d'impegno e di speranza, di concrete opere in questa direzione, sottolineando che si é comunque conquistato in questi mesi un salto di qualità in queste lotte, ridotte fin in un recente passato a petizioni di principio e a testimonianze individuali o sporadiche.
Il Consiglio Federale, infine, APPROVA le ipotesi referendarie, sempre e nella misura in cui siano comuni ad altri partiti ed organizzazioni, sulle quali il partito ha operato, e in particolare quelle oggetto di ipotesi di immediata intesa con il PSI e il PLI e che il Consiglio Federale del Pr rimette nella loro testualità agli accordi ultimi che devono intervenire fra gli organi dirigenti dei suddetti partiti.
In questo quadro, il Consiglio Federale INVITA IL SEGRETARIO E IL TESORIERE a convertire in ipotesi di comuni iniziative legislative immediate (parlamentari o popolari) sia quelle iniziative inizialmente ipotizzate come referendarie, sia ogni altra che investa il paese e le istituzioni di comuni iniziative e di comuni progetti dei partiti appartenenti alla storia e agli ideali umanistici, di tolleranza, di democrazia, di civiltà giuridica, di libertà, iniziative e progetti finalmente adeguati e non marginali e subalterni, ma alternativi e di lotta contro tradizioni e interessi ad essi opposti e comunque lontani.
Per quanto concerne il referendum sulla caccia, prospettato da tempo dal partito stesso e promosso dagli Amici della Terra nel corso del loro congresso di rifondazione, il CF indica per ogni altra iniziativa referendaria, anche nel presupposto di un'iniziativa comune a forze adeguate e determinate ad alleanze politiche piene e senza riserva, una condizione per decisioni definitive, demandate alla responsabilità politica del segretario del partito e del tesoriere.
Il Consiglio Federale, preso atto della comunicazione del segretario sullo stadio terminale di riflessione e di maturazione di un criterio che gli appaia adeguato in ordine all'opera e agli incarichi militanti nelle istituzioni di eletti radicali, rileva che l'esercizio dei poteri-doveri del segretario per assicurarne il migliore funzionamento e la massima forza del partito in questo settore, il più ampio e convinto apporto di energie militanti é necessario alla vita del partito nelle ore e nelle lotte che incombono.
Il Consiglio Federale rivolge - a tutti coloro che abbiano a cuore giustizia, libertà, ordine democratico, una svolta storica nella lotta del nostro paese e dell'Europa, e comprendono che senza organizzazione e progetti ed energie politiche questi valori e questi beni non possono essere assicurati - un monito ed un invito fraterno;
le testimonianze di forza, di rigore e d'integrità politica e civile che vengono dal presidente del Partito Radicale Enzo Tortora, dal compagno Olivier Dupuis, da quanti, come Emilio Vesce, o Gino Del Gatto, o Gaetano Dentamaro, o le compagne e i compagni oggi impegnati in azioni nonviolente in difesa concreta della vita di milioni di agonizzanti per fame e miseria sono anche il portato di un sistema che promuove irresponsabilità, impotenza, rassegnazione e dispeazione, rabbie ed illusioni, abbandoni e isolamenti, per proseguirsi e perennizzarsi a rischio di vita, di pace, di giustizia, di qualità della vita.
Questi impegni straordinari, di dedizione pressoché totale, così come quelli dei coniugi Filipov e di coloro che con loro si accingono a un confronto drammatico e ad oltranza per ottenere il rispetto delle leggi e dei diritti umani fondamentali, sono il portato della diserzione e dell'indifferenza in sé e negli altri.
Sono effetti politici e possono e debbono essere battuti sul piano politico: e, su questo piano, ogni mancata iscrizione, ogni mancato sostegno al Partito Radicale può oggi essere conclusivo apporto alla scomparsa delle speranze e degli obiettivi, degli ideali e dei progetti che sono i suoi, che ha elaborato e scoperto, o che si trova ad adottare nel corso di una crescita che può ormai essere determinata solamente ed esclusivamente dalle immediate assunzioni di responsabilità e di solidarietà, di autodifesa e di fraternità che l'essere, il divenire radicali comportano. 3471


Caso Filipov: vittoria della nonviolenza

di Antonio Stango NR54 del 5 marzo 1986

Roma, lunedì 17 febbraio.

Gli ultimi giorni sono stati concitatissimi: prima i comunicati-stampa con cui il governo di Sofia tentava di dimostrare che si trattava di una storia familiare e che occorreva che Sveja rientrasse in patria per provare a risolvere il caso lei stessa, "trattando" con i genitori; poi il rifiuto di Sveja, motivato dal fatto che un suo ritorno, anche per un breve periodo, l'avrebbe privata dello status di rifugiata politica senza per questo che le fosse garantito, come previsto dalle convenzioni internazionali, di riottenere le proprie figlie; quindi la nostra proposta. Questa mattina io e Gino Del Gatto (io come rappresentante dei coniugi Filipov, lui come medico) chiederemo formalmente all'ambasciata di Bulgaria il visto per recarsi a Novi Pazar e tentare di farne ritorno con le piccole Micaela e Severina e con la nonna paterna Maria Kirova. Intanto siamo al dodicesimo giorno di sciopero della fame, e ci è riuscito di creare in tutta Italia la mobilitazione necessaria a far sentire alle autorità bulgare nonché al nostro ministero degli Esteri che questa storia deve giungere alla sua conclusione. Da molte parti sono piovuti sul ministero e sull'ambasciata telegrammi, lettere e telefonate per sollecitare l'applicazione degli accordi di Helsinki, e oggi i giornali annunciano una settimana di iniziative in diversi paesi d'Europa, una risoluzione del Parlamento europeo e l'intervento, al fianco dei radicali, di altre forze politiche, mentre "Stampa sera" pubblica una lettera aperta di Marco Pannella ai "signori del governo bulgaro". Dobbiamo farcela: è questo che mi ripeto mentre con Gino, Sveja e Michail busso, come tante altre volte ho fatto durante questi cinque mesi di lotta, al portone dell'ambasciata bulgara.
Non ci rifiutano il visto. Non si oppongono, a differenza delle ultime due settimane, alla richiesta di autenticare la delega con cui i coniugi Filipov affidano a me le loro bambine fino al momento in cui potrò riconsegnargliele. Il timbro bulgaro va a occupare sul mio passaporto uno dei pochi spazi ancora liberi; ma si tratta soltanto di una formalità necessaria, non sufficiente ancora a garantirci che riusciremo a chiudere bene questa vicenda. Usciamo, tuttavia, con un sorriso. Fuori decine di compagni stanno attuando la manifestazione che avevamo programmato. "Ora basta!" si legge su un cartellone: "Viva la Bulgaria, se rispetta i diritti umani!" è scritto su un altro. "Quando partite?" domanda un giornalista. "Col primo volo, naturalmente: alle 15.30".
Dobbiamo correre. Fare i biglietti, passare dal partito, dire a Giovanni come stanno andando le cose, salire su un taxi insieme a Sveja e a Michail che vogliono adoperare i minuti che rimangono per raccontarci di Novi Pazar ed affidarci tutte le loro speranze. Quindi l'aereo della Balkan Air. In volo, penso a quando ho conosciuto i Filipov, l'estate scorsa, al partito; a quando li ho visti giorno per giorno perdere fino al quindici per cento del peso durante il primo, drammatico, sciopero della fame: al momento nel quale decidemmo, fra gli applausi e la commozione del congresso di Firenze, che, se mai fosse stato necessario un nuovo digiuno, saremmo stati anche fisicamente con loro; all'annuncio della nuova iniziativa nonviolenta dato a Chianciano, durante i lavori del Consiglio federale. Penso ai cinquantacinque cittadini di Trieste che hanno digiunato per un giorno; ai cinquanta, fra i quali Enzo Tortora, che stanno digiunando a Milano; ai compagni di Cremona impegnati in un digiuno a staffetta; ad Athos De Luca che è riuscito a far approvare all'unanimità un documento di solidarietà con i Filipov dal Consiglio provinciale di Roma; a Daniela, a Lucio, a Bonaria, a Pina, a tutti gli altri compagni che stanno lavorando su questo; ad Olivier che, in fondo, si trova in un carcere belga per lo stesso motivo per cui ora io e Gino siamo quassù diretti verso Sofia: per costruire un'Europa diversa e una diversa politica di difesa basata sulla democrazia, sui diritti umani, sull'informazione. Penso alle tante manifestazioni all'Est, a Marco arrestato a Sofia nel '68 per avere distribuito dei volantini contro l'invasione della Cecoslovacchia, a Lech Walesa che ho incontrato a Danzica poco più di un mese fa e che si è detto convinto che gli ideali di Solidarnosc possano ancora essere vincenti, se l'Occidente saprà farli propri.
Siamo a Sofia in due ore. Troviamo ad attenderci il consigliere della nostra ambasciata Fabio De Nardis, che ci porta alla sede della rappresentanza diplomatica italiana. L'ambasciatore Battistini e sua moglie ci accolgono con grande cortesia. Discutiamo del caso Filipov e riceviamo la conferma che le autorità bulgare sembra stiano per cedere, spinte a questo dal progressivo logoramento della propria immagine internazionale e infine dalle pressioni, prima tradizionalmente molto caute e a poco a poco più esplicite, della Farnesina. Parliamo naturalmente anche del processo ad Antonov, che è l'altra materia che da tempo causa un certo disagio nei rapporti italo-bulgari; ma ora è Novi Pazar la nostra meta. Domattina vedremo Micaela, Severina, Maria Kirova e i famosi nonni materni: quelli che avrebbero fino ad ora impedito che le bambine partissero per l'Italia. L'ambasciatore è ottimista; io preferisco non darmi, per un giorno ancora, una certezza che potrebbe rivelarsi illusoria. Ho speranza, ho fiducia. Più tardi, all'hotel Vitosha, sento la radio bulgara che parla di due italiani giunti oggi da Roma, del caso Filipov e di Novi Pazar. Il tono è teso. Non capisco tutto, ma so che parlano di Sveja e Michail come di traditori della patria.
Sofia, martedì 18 febbraio. Il consigliere De Nardis viene a prenderci alle 6.30. All'aereoporto troviamo un'interprete dell'ambasciata, e insieme prendiamo un aereo per Varna. C'è molta nebbia, e tutti i voli sono in ritardo: ma quando arriviamo sulle coste del Mar Nero la giornata si è aperta. A Varna ci attendono due grandi macchine noleggiate dall'ambasciata, che ci conducono verso l'interno per una settantina di chilometri. La Bulgaria è quasi tutta coperta dalla neve, ma a Novi Pazar è il fango ad occupare le strade. Ci sorprendiamo dell'accoglienza del sindaco, o meglio del presidente del Soviet cittadino: ha un discreto ufficio, dove ci offre il caffè e tiene a dirci che la sua cittadina ha avuto un premio, l'anno scorso, per l'ordine e la modernizzazione. Dopo una serie di complimenti reciproci, ci spiega però seccamente che come comunista considera i Filipov come dei pessimi elementi; ma che sarà comunque a nostra disposizione per agevolarci in quanto gli sarà possibile, "visto che ormai i nostri due governi hanno deciso di risolvere il caso". Ci avverte, ad ogni buon conto, che non sarà facile, perché i nonni materni si opporranno.
La signora Daceva, madre di Sveja, in effetti non vuole nemmeno aprirci la porta della povera casa ove abita con il marito, con la madre di Michail e con Micaela e Severina. Spiego che ho delle lettere da parte di Michail e di Sveja, ed infine riusciamo ad entrare. Urla, rifiuti, sguardi torvi, dichiarazioni ripetute che Sveja dovrebbe far ritorno in Bulgaria e che comunque nemmeno a lei darebbe le bambine, perché ha scelto di andare in Occidente, ci mostrano chiaramente fino a che punto la propaganda e le pressioni delle autorità locali, interpreti della volontà del regime, abbiano potuto sconvolgere questa donna. A tratti invece, così come aveva scritto in diverse lettere, sostiene che Micaela e Severina dovrebbero stare con i propri genitori: ma l'impressione di Gino Del Gatto e mia è che comunque la signora Daceva è la persona meno adatta ad allevare le due bambine, tanto che arriva al punto di sostenere che le ucciderebbe piuttosto di mandarle in Italia, paese "capitalista e fascista".
Anzi, se la milizia cittadina dovesse portargliele via, lei scriverà a Mosca per denunciare questo comportamento. Questa asserzione mi sembra molto significativa: chi mai da noi penserebbe di appellarsi a Washington contro un presunto torto fatto dalle autorità italiane? Ad ogni modo, la signora ha nascosto le bambine in un'altra casa, ed occorrono ore prima che si decida a rivelare dove si trovano. Intanto parla continuamente, impedendo al marito di intromettersi e costringendo nonna Maria, la madre ottantaquattrenne di Michail che vorrebbe notizie del suo unico figlio e che si dice pronta a partire con noi, ad uscire. "Lo sai come sta Michail: vive in un lager e gli manca perfino da mangiare!" sostiene. E' questo che le autorità bulgare hanno sempre detto: è questa assurdità propagandistica che hanno diffuso per scoraggiare altri dall'espatriare, così come finora avevano rifiutato per questo di consentire la riunificazione della famiglia. Gino ed io continuiamo però a cercare il dialogo, a tranquillizzare la signora Daceva, spiegando che le cose stanno diversamente e che da parte dell'ambasciata italiana si agevolerà al massimo, in qualsiasi momento, una sua visita a Roma. Infine, la signora cede.
L'incontro con le bambine avviene in una sala del municipio. Soltanto ora possiamo dire di avercela fatta. Firmiamo una dichiarazione per la presa in consegna di Micaela e Severina, le prendiamo in braccio, ci sorridiamo. Nonna Maria è felice ed insieme meravigliata: non le sembra vero di poter rivedere Michail. Tutto il paese assiste alla nostra partenza: la gente ci guarda muta, consapevole che qualcosa di importante sta accadendo, ma senza comprendere bene. Poi in macchina fino all'aereoporto di Varna e l'aereo per Sofia: il primo volo per le nostre tre amiche. A sera, dall'hotel Vitosha, posso telefonare a Radio radicale ed annunciare in diretta, con gioia, che le bambine sono con noi. Nel vederle dormire provo una sensazione bellissima: una campagna di cinque mesi sta per finire, e nel modo migliore. E' la dimostrazione che lottare è possibile, che la nonviolenza può vincere; ma basta: ora dobbiamo attendere domani.
Sofia, mercoledì 19 febbraio. Il risveglio, la colazione tutti insieme (non più soltanto il cappuccino, ormai), un nuovo collegamento con la radio, la preparazione dei bagagli, il pranzo all'ambasciata: nonna Maria Micaela e Severina sono trattate come ospiti d'onore, e lo stesso ambasciatore Battistini ci accompagna poi all'aereoporto insieme alla moglie e al consigliere De Nardis. Le bambine si trovano benissimo, la nonnina mi tratta come un nuovo nipote e continua a parlarmi, in bulgaro, di Michail. Un signore svizzero si rallegra con noi sull'aereo che ci porta a Vienna, dove attendiamo per due ore la partenza del volo per Roma. L'ultima tappa mi sembra la più lunga. Voglio vedere i compagni che ci stanno aspettando, e soprattutto Sveja e Michail; e poi tirarmi in disparte e lasciare, finalmente riunita, la famiglia Filipov. Mi rendo conto che i sentimenti rischiano di dominare, in questo momento, sulle considerazioni politiche. Ma cosa importa? Non abbiamo sempre detto che è questa la politica che ci interessa, quella che sa creare il possibile e assicurare umane felicità, piuttosto che disumane tragedie? Sì, fra qualche giorno rilanceremo verso l'Europa nuove campagne: ci sarà a fine giugno la riunione del Consiglio della Cee ad Amsterdam, e noi saremo li a manifestare; ed in agosto proveremo a salpare con una nave dei diritti umani che porti informazione e proposte politiche verso la Germania Est, la Polonia, l'Unione Sovietica, Ma ora, mentre il DC9 dell'Australian Airlines sta atterrando a Fiumicino sotto la pioggia, tiro un sospiro di sollievo tra i più grandi della mia vita. Abbraccio Sveja, Michail, il segretario del partito che ha voluto essere il primo ad accoglierci. "E' una vittoria della nonviolenza. Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questa giornata" riesco soltanto a dire davanti al muro di fotografi, di telecamere, di compagni che piangono, sorridono, applaudono, si spingono fino ad abbracciarci. Non sono cose che potremo dimenticare. Ma ora dovremo andare avanti, e molto. C'è bisogno davvero - e questa storia ce lo dimostra- dell'impegno continuo di ciascuno di noi. 241


Documento del Consiglio Federale

16 marzo 1986

Il Consiglio Federale del Partito Radicale, dopo ampio ed approfondito dibattito relativo alla storia, alla politica, alle regole, al passato e al presente del partito, dibattito occasionato dalle decisioni assunte dal segretario del Partito Radicale in ordine agli avvicendamenti nelle responsabilità parlamentari di militanti candidati nelle liste radicali nelle elezioni del 1983,
UDITA la relazione del segretario
NE APPROVA pienamente l'operato che risulta, nel metodo e nel merito, fedele alle responsabilità conferitegli dalle regole e dalla politica ininterrottamente ribadite e applicate in questi anni al di là forse dei limiti stessi della tolleranza, quanto meno in alcuni casi;
DEPLORA il comportamento e le dichiarazioni di quanti in questa occasione hanno creduto di poter disattendere gravemente impegni ed obblighi assunti, in base ai quali furono candidati ed eletti, ed hanno tentato di darsi ed ottenere un alibi formulando critiche ingiuriose e totalmente destituite di fondamento, quanto meno per questa vicenda;
CHIEDE LORO, A SUA VOLTA, di adempiere i loro impegni e di onorare le decisioni da loro, fra i primi, proposte al partito, o accettate una volta prese, e ininterrottamente ribadite; e questo anche per rendere credibilità e dignità politica a loro eventuali effettivi dissensi politici di oggi;
COGLIE QUESTA OCCASIONE per affermare solennemente che anch'essa, una volta di più, consente al Partito Radicale l'espressione della fierezza per la sua storia, per la sua politica, per la sua reale, pratica diversità democratica e libertaria, per i connotati forse unici, non solamente in Italia, forniti alla speranza ed alla realtà della nobiltà e della forza della politica dei valori, delle idee, della cultura, delle leggi e non di mero potere;
AFFERMA che mai come in questa legislatura il peso e la qualità straordinari di chi ha voluto dare fiducia e forza al Partito Radicale nel 1983 trovano riscontro evidente anche nei fatti immediati, ed esaltano il tentativo di affidare ad altro che alle somme dei voti e dei numeri, frutto di un sistema politico ed elettorale antidemocratico, illegittimo, truffaldino, l'esito della lotta per il diritto alla vita e la vita del diritto;
RICORDA nel contempo che solamente eventi di straordinaria novità, che maturino nelle prossime settimane e mesi, possono consentire il proseguimento della vita e dell'opera del Partito Radicale in Italia.
(Votanti 28, favorevoli 20, contrari 5, astenuti 3)
FAVOREVOLI: Mellini, Pannella, Faccio, Taradash, Spadaccia, Tessari, Teodori, Ottoni, De Luca, Strik Lievers, Andreani, Parenti, Donvito, Corleone, Pietrosanti, E.Vito, Dell'Alba, Dentamaro, Arconti, Coppa.CONTRARI: Melega, Signorino, Leopardi, Caiazza, Albi
ASTENUTI: Berger, Taschera, Benedetto)


Governi di morte

Intervento di Marco Pannella al Parlamento europeo 15 aprile 1986

Pannella (NI). (FR) Ad ascoltarli, che straordinaria Assemblea di novizi, di chierichetti e di angeli lei sta presiedendo, signor presidente.
Nessuna autocritica! Solo la buona coscienza farisea!
Ma dove eravate, cari colleghi, con i vostri governi di destra, di sinistra o del centro; dove eravate quando la Francia, la Gran Bretagna, l'Italia, il Belgio e gli altri facevano straripare di armi la Libia, la Siria, il Medio Oriente e l'Africa? Per alimentare la ferocia dei loro dittatori prima contro i loro stessi popoli e oggi contro i nostri!
(Applausi a sinistra)
In concorrenza fra di voi, come nella cooperazione politica!
In concorrenza, l'Inghilterra, l'Italia, la Francia, il Belgio. In concorrenza fra di loro e, tutti insieme, in concorrenza con la Cecoslovacchia, la Bulgaria e la Germania orientale. Voi formate veramente l'Europa dall'Atlantico agli Urali.
Le vostre lacrime di oggi sono le lacrime di quella Europa, sono lacrime di coccodrillo, perché i vostri governi di destra, di sinistra o del centro, sono governi di commercianti, sono governi di morte o di armi!
(Applausi a sinistra)
Le armi che il criminale Gheddafi e il criminale Hassad hanno prima collaudato contro le libertà dei loro popoli e che oggi usano contro quelli in nome dei quali pretendete parlare, sono le armi che voi avete loro fornito, ridendo con il vostro cinismo imbecille di noi nonviolenti. E adesso pretendete erigervi a giudici della violenza di cui siete, anche se ignari, i responsabili?
Signor presidente, non si dovrebbe mai chiedere a un marinaio di garantire l'ordine pubblico in un porto o a uno sceriffo di Hollywood di garantire l'ordine internazionale. E' una prova di cattivo gusto ed è contrario alla saggezza. Ma, cari colleghi del Parlamento del 1986, così diverso dal Parlamento del trattato Spinelli, dal Parlamento fasullo di Lussemburgo e dell'atto unico, dal Parlamento della cosiddetta cooperazione politica, non è questa forse come una "supplenza" alla vostra incapacità di mostrarvi europei, di volere un'autorità politica europea, che lo sceriffo di Hollywood fa quello che fa, contro tutte le tradizioni parlamentari civiche e umane degli Stati Uniti?
E quindi di questa follia, non solo siete vittime, ma anche responsabili!
Signor presidente, il giorno in cui il Parlamento avrà il coraggio di dire che ieri ha provato un senso di umiliazione nel vedere i Dodici riuniti nel contesto della cooperazione politica non prevista dai nostri trattati quel giorno potremo dirci fieri di essere europei. Sarà il giorno in cui dovremo anche avere il coraggio di votare il progetto di trattato grazie al quale, di fronte agli Stati Uniti d'America nostri alleati e all'URSS, vi sarà l'unione degli Stati europei uniti nel diritto, nella pace e nella libertà, e non come importatori di pace, che del resto non esiste, ed esportatori delle armi più vigliacche, perché i bilanci delle vostre industrie e dei vostri Stati sono alimentati da quello che voi imponete al terzo mondo, dalle armi che vi vendete e che sono pagate da coloro che muoiono di fame, sono proprio loro che ve le pagano ogni giorno!
(Applausi a sinistra)
Basta guardare nel suo paese, signor presidente, o qui nel nostro Parlamento. Dobbiamo dire di no a questa Europa che va dagli Urali all'Atlantico! E dire di sì a un'Europa della fierezza, a un'Europa-Stato, a un'Europa della libertà, a un'Europa che avrà il diritto di vivere nell'interdipendenza di paesi liberi e pacifici. No a un'Europa al servizio, come la Nato stessa, di quello che il presidente Eisenhower aveva denunciato come "il complesso industriale-militare che domina tanto questa parte del mondo quanto l'altra"!
Il giorno in cui, onorevole Veil e cari amici, vorrete mostrare le vostre lacrime davanti alle vittime, vi chiedo di annunciare, non con lacrime abusive, ma con il sorriso e con l'umiltà dei forti, che siete decisi ad ovviare a questa "supplenza" e a creare l'Europa degli Stati, l'Europa dei popoli ma anche l'Unione europea, per la quale siamo stati eletti a questo Parlamento!
Il resto non è altro che miseria, sono le tristi chiacchiere dei nostri Stati, le tristi chiacchiere degli impotenti che non possono fare altro, nei momenti di violenza, che essere codardi, servili e subordinati agli altri!(Applausi a sinistra) 6272


Caccia: verdi, no al settarismo

NR89 del 17 aprile 1986

Sui tavoli radicali si raccolgono le firme per i referendum sulla caccia. Vi invitiamo a firmarli. Le firme saranno consegnate, già pronte per la consegna alla Cassazione, al comitato promotore dei due referendum.Abbiamo infatti deciso di rispondere con la più piena e incondizionata collaborazione al settarismo di chi ha imposto veti alla partecipazione dei radicali al comitato promotore, e alla debolezza di chi quel veto e quel ricatto ha ritenuto di dover subire.
Il settarismo è una brutta malattia. Diffonde i virus dell'intolleranza, dell'esclusione, del frazionismo. Ha in sé potenzialmente mali ancora più tragici.
Avevamo proposto per primi di nuovo il ricorso all'arma dei referendum contro la caccia, con un articolo di Giovanni Negri sul Manifesto: un articolo che scatenò, coma al solito, diffidenze, preoccupazioni, sospetti. Che quella proposta sia stata alla fine raccolta, che i referendum siano stati promossi, è per noi sufficiente. Ci auguriamo che gli scontri reali abbiano la prevalenza e facciano dissolvere i fittizi scontri settari.
Anche per la presentazione ed il successo delle liste verdi, ci è accaduto di doverci scontrare a lungo e duramente con la stupidità e il settarismo proprio di alcuni verdi. Chi tentava di impedire la presentazione di queste liste alle regionali, e operava attivamente a favore del Pci e per sottrarre ai verdi gli unici strumenti possibili di informazione elettorale, veniva presentato come un amico. Noi che avevamo mobilitato il nostro impegno militante, propagandistico, anche finanziario, a favore delle liste e del loro successo, venivamo accusati di voler ipotecare e condizionare le nuove liste e di volerci impossessare degli eventuali eletti. Fummo perfino accusati di volerci appropriare dei tempi televisivi solo perché ci eravamo preoccupati di mettere giuridicamente al sicuro il diritto delle liste verdi di partecipare a "Tribuna elettorale", un diritto che poteva essere compromesso da qualsiasi rissa interna o legittima contestazione esterna.
I fatti hanno dimostrato quanto quelle accuse fossero false e calunniose, perfino ridicole. Abbiamo sostenuto ovunque le liste, e contribuito ad eleggere molti dei più accaniti nostri accusatori. Dove siamo stati eletti, ci siamo subito dimessi a a favore di altri.
In televisione hanno potuto parlare i più rappresentativi leaders del movimento e delle liste.
Anche allora per noi fu sufficiente raggiungere l'obiettivo politico che ci eravamo proposto.

Niente trucchi in Parlamento!
Ogni modifica legislativa riguardante la caccia deve avvenire d'ora in poi nel più chiaro, pubblico e trasparente dei modi, e innanzitutto rinunciando a votare in sede legislativa, nel chiuso delle commissioni.
E' la richiesta che i deputati radicali hanno fatto a quelli degli altri gruppi politici. E' infatti ancora in discussione alla Camera la legge di attuazione della direttiva europea in materia di caccia.
Per due anni ci siamo dovuti battere sia alla Camera che al Senato per impedire che questa legge (la famigerata legge Pancini), anziché di attuazione della direttiva europea, ne divenisse una legge di aggiramento e di svuotamento, innanzitutto con le facoltà di deroga concesse alle Regioni.
E' sufficiente che siano annunciati i referendum anti-caccia, e la musica in qualche modo cambia. I cacciatori tornano ad indossare i panni dei difensori dell'ambiente. Non si lesinano più norme migliorative della legge Pacini e attuative della direttiva comunitaria.
Di più. Secondo la discutibile prassi parlamentare che consente di affrontare in una legge che regolamenta una materia ben determinata anche argomenti che con quella materia hanno a che fare, il governo, a sorpresa, attraverso il sottosegretario Santarelli, presenta un articolo aggiuntivo di modifica all'articolo 842 del Codice civile: il famoso articolo che consente il diritto d'accesso, a chiunque sia in possesso di un fucile, ai fondi agricoli.
E' una norma che si avvicina alle richieste, fino a ieri respinte, degli agricoltori e degli ecologisti. Lo scopo è evidente: tentare a tutti i costi di evitare per via legislativa i referendum su cui è già cominciata la raccolta delle firme.
Il disegno di legge viene approvato con l'articolo che ingoia uno dei due referendum. E' a questo punto che dal comunista Binelli, dal socialista Diglio, dal democristiano Meneghetti viene avanzata la richiesta di ultimare in Commissione, anziché in assemblea, la proposta di legge, avvalendosi della assegnazione in sede legislativa. E' a questo punto che i radicali (ai quali si associa l'indipendente di sinistra Nebbia) rivolgono l'appello a non ricercare scorciatoie, a rinunciare alla sede legislativa, e ad affrontare il confronto in assemblea. E trovano la solidarietà di molti democristiani, molti socialisti, perfino molti missini che assicurano che raccoglierebbero eventualmente con i radicali le sessanta firme necessarie e riportare in Assemblea la proposta di legge.
Dietro la proposta dei gruppi Dc, Pci e Psi della Commissione agricoltura non c'è solo la paura della pubblicità e del confronto aperto; non c'è solo la fretta di approvare la legge per creare impedimenti al referendum. C'è soprattutto la paura degli orientamenti prevalenti all'interno dei rispettivi gruppi, anche di quello comunista. Fu grazie a questi orientamenti che passò durante la finanziaria l'emendamento che annullava le graziose elargizioni di miliardi concesse alle Associazioni venatorie. 367


A sette anni dal 7 aprile...

di Emilio Vesce NR89/86

Sono passati sette anni, il processo «7 aprile» è ancora impantanato nelle sabbie mobili del «fare giudiziario» italiano.
A nessuno sfugge l'emblematicità di questo processo e, forse per questo, viene rimosso e lasciato alla deriva nella memoria collettiva del paese.
Eppure ogni giorno nella patologia quotidiana della giustizia sono riscontrabili segni di una prassi, fuori da ogni norma scritta, che il 7 aprile 1979 prese il via con i mandati di cattura del dottor Calogero, attualmente membro del Consiglio superiore della magistratura.
«Pentito», «maxiprocesso», emergenza giudiziaria e tutto quanto oramai è divenuto lessico familiare nelle aule giudiziarie ebbe il battesimo del fuoco nelle giornate convulse di quel lontano aprile.
Questo processo era ed è uno, forse l'unico processo politico degli anni '70/'80, ma anche e soprattutto, con esso, si apre una fase politico-culturale, prima ancora che giudiziaria, capace di annullare la storia di aree politiche, di omologare sotto la triste bandiera del terrorismo un decennio di lotte. Certo, quelle lotte non si prestano ad una lettura lineare e né si può affermare che, oltre a produrre grandi idee di trasformazione, non abbiano influito sullo sviluppo di avvenimenti terribili come appunto il terrorismo.
Ma questa è materia di riflessione politica e storica, non certo oggetto di operazioni giudiziarie. L'aver confuso l'aspetto politico con quello giudiziario è stato il grande errore (ma si tratta proprio di errore?) di quelle forze politiche che hanno voluto rassicurare se stesse e il paese di fronte all'assalto terroristico. E' questa politicità del processo 7 aprile che va letta come traccia di interpretazione dell'emergenza giudiziaria, cioè della degenerazione del processo penale e del sistema di garanzie del nostro Stato di diritto. Non si spiegano i Melluso, i Pandico e gli Agca se non attraverso Fioroni; non si spiegano i processi come quelli della camorra, e -perché no?- quelli contro la mafia a Palermo, se non si scioglie il nodo dell'operazione giudiziaria del '79.
Ritornano con frequenza quelli che allora apparivano solo accidenti processuali, anzi, sono diventati sistema. Chi si scandalizza più oramai se si fanno retate che coinvolgono un numero altissimo di arresti, se sulle cronache dei giornali appaiono quotidianamente stelle del pentimento, se i processi abbiano lunghezze sproporzionate? tutto ciò è diventato il fare giudiziario, altrimenti più nobilmente detto la «costituzione materiale» del diritto italiano.
E' per questo che oggi, 7 aprile, ricordo ma non rievoco, perché denuncio. Denuncio che a sette anni di distanza io, imputato in questo processo, non ho ancora avuto una sentenza definitiva. E' vero che tutti coloro che furono arrestati nel '79 ora sono in libertà per questo processo. E' vero che da cinque anni e due mesi dall'arresto c'è stata a Roma la sentenza di primo grado. E' vero che solo un anno dopo questa sentenza, un altro tribunale, quello di Padova, sconfessava il risultato: quegli stessi imputati che a Roma erano stati condannati a 14 anni per associazione sovversiva e banda armata, a Padova, per le stesse cose, vengono assolti per non aver commesso il fatto. Queste sono solo alcune delle anomalie del processo 7 aprile. Ma vale la pena di ricordare anche che per questo processo fu varata nel '79 una legge ad hoc che introduceva nel Codice penale l'aberrazione del premio ai pentiti, il prolungamento di un terzo della carcerazione preventiva (da 8 anni a 10 anni e 8 mesi), le aggravanti specifiche contro movimenti sovversivi e contro le organizzazioni terroristiche. E' vero poi che in questo processo fu consentito all'accusatore principale non sostenere in aula le sue accuse: Carlo Fioroni fu fatto fuggire all'estero con un passaporto falso nel 1983, dato dalla Presidenza del Consiglio, quando regnava Spadolini.
Ci sono tanti e tanti problemi dentro questo processo che forse sarebbero capaci di svelare gli interessi e gli obiettivi dell'emergenza e delle forze politiche che ancora lo sostengono. Lo schieramento che va dal Partito comunista alla Democrazia cristiana e alla cigolante ruota del carretto repubblicano si compatta ogni volta che l'emergenza viene messa in discussione. Anche oggi a fronte dell'iniziativa referendaria sulla giustizia si sono eretti a paladini di quella triste pagina che è l'emergenza nella storia del nostro paese.
Per concludere, gli imputati del processo 7 aprile oggi continuano a chiedere che il processo venga celebrato, subito. Sono consapevoli che questa richiesta sfiora l'ironia. A sette anni di stanza chiedere la celebrazione del processo è quasi una battuta umoristica. Tuttavia, irriducibili come siamo nel chiedere che si faccia verità sulla grande menzogna accusatoria del processo 7 aprile, corriamo questo rischio, consapevoli che se noi sfioriamo il ridicolo, gli altri -tutti coloro che da questo processo hanno tratto vantaggi e carriere- sono nella piena illegalità, al di là del codice e della democrazia.

 


La scelta nonviolenta della cessazione

(La Ferrari radicale)

di Marco Pannella NR156 5 giugno 1986

"... Intanto credo che un buon metodo da tenere presente, ed io lo farò in modo implicito, è quello di attenersi al testo che contiene le ragioni e le finalità espresse di quella decisione che stiamo discutendo. E cioè, della decisione presa dal nostro partito di mettere tecnicamente, quindi politicamente, in condizione il nostro congresso di novembre di stabilire una cessazione delle attività del partito con e per le ragioni dette nella risoluzione. Sono queste le ragioni dette necessariamente dal partito dal 79/80, in modo particolare già quando decise di presentarsi nel 76 dichiarando che eravamo costretti a presentarci perché si trattava dell'estrema trincea sulla quale dovevamo arrestarci per garantire alcune cose.
Per il momento noi stiamo operando perché il congresso ha dato mandato al partito di proporre un progetto di cessazione delle attività in relazione a delle osservazioni precise e esplicite elencate nella risoluzione e dicendo che noi non possiamo ignorare che l'impossibilità dell'esercizio dei diritti democratici si traduce, e non può non tradursi, non nel rischio, ma nella certezza di dare un crisma di legalità alla liquidazione antidemocratica e non democratica dei valori e delle proposte che noi tentiamo di fare al Paese e che il Paese ignora perché non lo raggiungono. Come nel fascismo, come nel comunismo, così in questo fatto nuovo -che è conseguente al nuovo statuale e statale che l'Italia ha prodotto per il mondo negli anni 30 e che è lo Stato corporativista, organato in un certo modo e sul quale a Bologna ho parlato per molte ore sentendo un profondo bisogno di farlo- trova la sua espansione, il suo straripamento come logica delle cose incontrollabile e divora se stesso. Ma si tratta dello stato corporativista, con la sua tendenza al monopartitismo che deve essere necessariamente imperfetto -e quindi pseudo democratico- per riuscire ad aderire alla complessità della nuova società, alle trasformazioni che sopravvengono e di conseguenza alla necessità di un nuovo diritto, che sia esso in realtà un non diritto, grossolana espressione dei reali rapporti di forza esistenti in una società data in cui quello che è detto o fatto dal più forte, anche se è, di volta in volta, tutto e il contrario di tutto, è ciò a cui viene conferita la materiale caratteristica di diritto. (...)
Chiunque è soggetto passivo di questa situazione non ha altro diritto da esercitare che quello di inchinarsi, di andarsene o di trovare altri modi per restaurare il diritto, colpire l'usurpatore e rimettere in circolazione le diverse possibilità di opzioni. Condizione questa che è il fondamento, dobbiamo ripeterlo a tutti, della democrazia.
Se è vero che i partiti usurpano la legge e i poteri dello Stato che cosa si fa? Cosa fa il cittadino, cosa fa una forza politica quando i poteri dell'istituzione sono messi fuori legge? Cosa si fa Bobbio, cosa si fa Galante Garrone, ma che cosa si fa Gigi Melega o Mario Signorino?

La Ferrari radicale
(...) Si dice che c'è il carburatore della Ferrari radicale che deve essere cambiato. per contro non si capisce che, lungo la strada, ci sono dei tronchi d'albero, dei blocchi di cemento e che, quindi, la Ferrari non può procedere.
Ma c'è uno dei viaggiatori che, pur avendo visto il blocco, continua a sostenere che il problema sia nel carburatore: picchia in testa al conducente e fa in modo che la macchina divenga il luogo di prigionia.
Il problema è che bisogna abbandonare l'avere e cioè la forma dell'essere radicale poiché così come è diventa la tomba. Certo, chi sostiene che bisogna abbandonare la Ferrari ha, all'inizio, difficoltà ad aggregare poiché i primi luoghi abitati sono lontani, sono al di là del tiro di clacson e del tiro di voce, e mentre si continua a stare fermi e si usano molto sia la batteria che il clacson la macchina si scarica.
E mi volete dire, in questa situazione in cui, se anche noi togliamo un albero per farci varco e subito ne vengono messi altri, qual è la forza aggregatrice di Mario Signorino o di Gigi Melega, di questa cultura nella quale si passa il tempo a dire che il problema è il carburatore? Non si aggrega in questo modo, si disgrega. E, se mi consentite, bisogna avere la capacità di un minimo di analisi politica.
Ma chi può sostenere che, in questo partito, la gente è venuta perché c'era a guidare la Ferrari un conducente piuttosto che un altro? Ma, perché, con umiltà, non cambiate un poco i criteri? C'è un fondo di antidemocrazia nella cultura di Melega e degli altri che è spaventoso perché, per loro molto più che per i giornalisti e per coloro che non ci capiscono, che il segretario sia stato eletto al 60-70%, che almeno gli ultimi cinque congressi non siano stati d'accordo con chi sosteneva la necessità di cambiare le persone e i metodi, non conta nulla.
Anzi, si fa la polemica nei confronti degli eletti a cui si chiede di tradire la mozione per la quale sono stati votati e il loro metodo politico perché, per essere umili e democratici, dovrebbero adottare i metodi degli altri e le mozioni sconfitte in Congresso...
In un partito autoritario, in un partito totalitario la violazione della legge è una caratteristica tipica. In un partito libertario, fondato sulla responsabilità, se le poche regole del gioco fissate in comune sono rispettate spontaneamente vuol dire che quella forza è storicamente viva e proponibile e può pensare all'esterno. Ma quando scoprendo che, chi non rispetta le regole libertarie, ha il premio della notorietà e della prima pagina -poiché chi non rispetta le regole da libertario si comporta da pentito e, giustamente per le stese ragioni per le quali contro la criminalità camorristica si premia il pentito, si evidenzia la criminalità radicale- si premia colui che si pente della propria adesione alle regole libere e responsabili.
Sto parlando di una dinamica della comunicazione che mette in prima pagina, premiandole, queste logiche.
La verità è che quanto più noi abbiamo una semiologia positiva tanto più questa viene deturpata. Tutto ciò che viene prodotto ma che potrebbe avere fatto chiunque, la legge sugli zoo per esempio, passa e ha molte adesioni. Le cose tipicamente radicali, quelle che -come scrisse Baget Bozzo- "sono le parole di una minoranza politica che esprime ed organizza una maggioranza sociale", che è la caratteristica storica di noi radicali, le cose che fanno parte della civiltà esistente, che noi interpretiamo e a cui diamo la pericolosità esplosiva della agibilità e della forza politica, quelle non passano.
Quanto più noi siamo portatori di un messaggio in sé buono, tanto più questo messaggio non passa.
Oggi, nella cronaca radicale, anche chi fra i giornalisti ci è amico, ci chiede perché dal nostro partito si sia per esempio, distaccato Roccella, Crivellini e Signorino. Però, in termini di cronaca, è giusto tacere o non ricordare che questi dissensi iniziano nel momento in cui avrebbero dovuto dimettersi? Ma a costoro viene data dignità politica nonostante il dissenso sia esploso solo per tenersi i soldi e il mandato e da allora abbiano cessato di fare politica.
Torniamo dunque a quello che noi diciamo; c'è una cultura dell'informazione, un sistema scientifico che ci abroga. Se l'inviato scrive esattamente di noi, possono accadere due cose: o che il titolo negherebbe ciò che è scritto nel testo oppure il pezzo verrebbe emarginato. Si ha, invece, un titolo su sei colonne solo quando, nel pezzo, sono usati quegli aggettivi, apparentemente neutri, che servono per screditarci.
C'è dunque una divaricazione fra la serietà e l'importanza dell'informazione e la censura dell'informazione che noi sperimentiamo.
Opportunamente Melega ha ricordato che il partito ha dato segnali di scelta al regime e di mutazione di se stesso a se stesso, fin dalla campagna per lo sciopero del voto dell'80. E' un processo crescente fino alle elezioni dell'83 in cui il Partito radicale decise che non concorreva alle elezioni per il parlamento repubblicano poiché questo non c'è e depositava le liste perché era l'unico modo per far conoscere al paese le proprie analisi politiche.
Per queste ragioni gli eletti sarebbero stati militanti del partito e Roccella ci spiegava, con magnifica retorica e oratoria, che chi dissentiva prima si dimetteva e poi avrebbe espresso le proprie ragioni. Rimproverava a me e agli altri di avere una gestione un po' lassista, un po' troppo tollerante nei confronti dei deputati. Nell'anno in cui questo accadeva Crivellini era tesoriere, ovvero l'uno bis di queste decisioni... Inoltre non c'è dubbio su quello che hanno deciso i congressi e i consigli federali successivi. E cioè che esistono delle impossibilità di collaborare da nonviolenti, da libertari e da laici con delle strutture di usurpazione e di illegalità; che le si usa senza venirne usati; che non si dà loro il riconoscimento e l'onore che, pure, si danno alle istituzioni nemiche che siano legali e legittime e rispettose delle regole del gioco.
A questo punto, abbiamo detto, sciopero del voto, non c'è più parlamento repubblicano, non votiamo, cioè rafforziamo le nostre caratteristiche. Quanta gente ha potuto capire questo? Sempre di meno. E ciò che veniva fuori era che soltanto Melega votava. I radicali, tutti gli altri, che non votano non ci sono: esiste, per la stampa, solo Melega. L'unico modo per fare sapere che noi non votiamo è quando si può dire che Melega, che è buono, vota e che gli altri, imbecilli, non lo fanno.

I tempi politici della cessazione
Mauro Mellini ci dice, giunti a queste conclusioni, che l'"attività di cessazione" è anche un brillantissimo gioco di parole ma vuol dire semplicemente che abbiamo decretato la nostra morte e null'altro.
Non è vero. Noi vogliamo solo evitare che, divenendo il partito radicale cadavere come gli altri partiti, perda la sua caratteristica di non puzzare. Certamente, tanto più si protrae la cessazione tanto più ciò equivale ad una chiusura. Perciò vorrei che coloro i quali sono d'accordo con la cessazione si ricordassero del fattore tempo e del fattore durata.
La cessazione delle attività del partito protratta per molto tempo equivale, con certezza, alla chiusura così come l'assenza di democrazia protratta per molto tempo, e non denunciata in quanto tale e non posta come fatto nuovo e pregiudiziale per la conquista di un'alternativa democratica, ne determina la perdita definitiva e conclusiva.
Ed è quello che il partito radicale con tutta la prudenza e la saggezza, la lentezza di un partito democratico, per tre quattro e più anni ha indicato a se stesso ed agli altri come un degradare ed aumentare delle misure della tecnica nonviolenta, con la caratteristica gandiana di riconoscere ciò che è fatto bene e disorientare l'avversario.
C'è chi opera perché questo partito esista, e questa è nella nostra accezione l'intendenza. Ed io ne faccio parte e sono in grado, giorno per giorno, di seguire la strada che mi viene indicata dai "politici puri" se questi me la indicano.. Però, se vogliamo che chi non è un tecnico del diritto sia stimolato a riflettere su che cosa può essere la cessazione, i tempi tecnici, i rischi, credo che il modo migliore di informarlo e di informarci, sia la laicizzazione della riflessione su ciò che il diritto può consentire di praticare o può costringere a praticare.
Dunque, quando dico attività di cessazione, parlo dei tempi e di cosa comporta. Se prendiamo la lettera della risoluzione dei punti F e G possiamo comprendere che se arrestano, per esempio, il presidente e il direttore della Rai-Tv, l'evento è così rivoluzionante che si riapre e si rimette in gioco tutto... Se Natta e Almirante pigliano la tessera radicale... C'è un dato di paradosso, di provocazione intellettuale.
Ma è vero che il paese è pieno di avversari politici che oggi cominciano a fare l'apologia del partito radicale e delle persone del Pr, non solo Flaminio Piccoli, ma da ogni parte, tranne il Pci. E' quindi immaginabile che in tempi politici la frase "i radicali se non ci fossero bisognerebbe inventarli" che è un argomento cresciuto talmente da secondare la pigrizia espressiva della gente, sia probabilmente vera. Ed è quello che cerchiamo di fare capire da nonviolenti. E allora non è folle pensare alla cessazione. Il segretario del partito parla degli stati generali, di coloro che vogliono indicare le cose necessarie perché il regime non si suicidi; perché, cioè, la partitocrazia si salvi nella democrazia e non ignori questo attraverso l'evento delle richieste radicali, che sono tanto disinteressate che -così come il nonviolento offre emblematicamente al proprio nemico la propria debolezza affidandola alla sua coscienza, divenendo più esile, perché il corpo che deve funzionare è quello dell'altro- così i radicali dicono "guardate, per quello che ci riguarda ci richiamiamo alle esigenze, alle necessità, ai vostri stessi presupposti. Tanto è vero che noi deperiamo, facciamo "un digiuno di nutrimento politico" e cioè, facciamo fuori la nostra capacità di congiuntura. Ma state attenti che se la congiuntura del digiuno e della sete supera un certo limite, diventa -non perché il radicale se lo augura, inevitabile chiusura".
Ecco quindi che il tempo per una politica di dialogo e di nonviolenza è il corollario necessario della durezza e della intransigenza, della solidità di una giusta intelligenza e di una posizione forte intellettualmente, ma che gli attuali sistemi non consentono di socializzare. La cessazione è esattamente l'equivalente del digiuno a tempo indeterminato e ad oltranza perché è legato al verificarsi di quegli eventi e li mette sul piano della vita fisica ed individuale del digiunatore radicale e nonviolento.
Vi è un momento supremo di contraddizione nel digiuno poiché il nonviolento che non è mai certo che nel secondo successivo morirà ha insieme al dovere, in questo caso non antisocratico -ma antisegmento "la cicuta si beve"- il problema di non avere mai la certezza che quello sia l'ultimo momento vivibile.

Vita e morte del partito

Ora però, il dovere che insorge per la persona non insorge per il corpo politico e, per noi laici, è improprio parlare di vita e di morte rispetto ad esso. Quindi sospendiamo il linguaggio analogico poiché vita e morte si usano solo riferite alle persone. La sacralità della vita è tale se la disancoriamo semanticamente da quell'inflazione di linguaggio in cui vita e morte è applicata praticamente a tutto.
Quindi così come non è stato un momento sacro per la storia, e neppure per noi, quello in cui abbiamo dato forma giuridica al partito radicale, allo stesso modo il giorno in cui dovessimo essere anche giuridicamente portati a chiudere, non farà questo un problema di morte.
Anzi, si onora la vita non accettando questa equiparazione, questa dignità di persona del corpo collettivo, e cioè dell'associazione giuridica, che è il partito.
Quindi dobbiamo usare questa forza e questa nudità renderla sempre più chiara. Questo partito, che non ha consiglieri comunali, provinciali, che scopre che può non avere neppure gli scrutatori, che scopre che deve avere dei deputati della Repubblica, sempre per le stesse motivazioni diventa sempre più magro, sempre più essenziale. E, la forma dell'avere, necessario per l'essere, corrisponde in gran parte morfologicamente allo scarno suo essere con tutta l'agilità e anche la felicità possibile.
E allora dobbiamo capire come, perché è doveroso, questo elemento dell'intransigenza che diversamente ci obbliga alla cessazione, diventa un elemento di acquisizione comunicata.
E non certo a livello di massa, poiché il regime è riuscito a compiere un rovesciamento di realtà storica, cioè è riuscito a rendere completamente impermeabile la possibilità per la gente di conoscere e quindi di amare o di detestare e di giudicare nella sua effettività il Partito radicale nelle sue decisioni e nei suoi obiettivi.
Ma nello stesso tempo per logica consapevole delle cose, oppure no, mai come oggi in realtà il radicale nel Palazzo è stimato, ascoltato dagli abitanti del Palazzo. Non a caso chi fa cerniera tra il Palazzo la piazza il carcere, i giornalisti e i magistrati, sono quelli necessariamente più esposti sul fronte antiradicale. I politici non più.
Quello che c'è, ed è molto importante, è che dobbiamo scomparire perché sono pronti a riceverci anche come indipendenti... sappiamo che esiste la possibilità di fare i deputati, i sottosegretari, i ministri con tre quarti dell'arco parlamentare.(...)

Allora a noi non ci resta che giocare come nei momenti più felici la carta del digiuno della sete sapendo che sarà necessario ai mass media di fare quello che facevano allora quando mostravano in Tv, nonostante l'ufficiale giudiziario li diffidasse dal farlo, la vecchia foto pasciuta del "digiunatore al 5° giorno della sete", serio e rigoroso, drammatico e sul punto di divenire tragico, così come la scienza confermava, allo scopo di rendere ridicolo insieme il nonviolento e il suo gesto.

(...) Io spero che il consiglio federale si renda conto che esistono delle difficoltà e che la via della cessazione intransigente -come il digiuno onesto, e quindi duro- è una via percorribile. Drammatica ma percorribile e che va percorsa sapendo, fin dall'inizio, che sicuramente penseranno che nottetempo, come ladri, ci mangiamo gli spaghetti.
Io spero che questa strada della cessazione, che dobbiamo riuscire a percorrere con integrità, ci porti a fare scattare quelle possibilità che sono scattate in passato grazie all'iniziativa politica nonviolenta e alla drammaticità portata avanti con rigore e con serenità. (...) 303


Documenti approvati dal Consiglio federale

5/8 giugno 1986

Documento generale

"Il Consiglio Federale del Partito Radicale, riunito a Chianciano dal 5 all'8 giugno 1986,

CONSTATATO il venir meno, per il PR ma prima ancora per il comune cittadino,
1) di elementari garanzie costituzionali;
2) di ogni certezza del diritto e dell'uguaglianza dei cittadini;
3) dei diritti di cui all'art. 21 della Costituzione e di quelli garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, relaivi alla libertà di opinione, di manifestazione delle proprie idee e di organizzazione politica;
4) del rispetto e delle applicazioni delle norme che regolano e garantiscono un corretto processo democratico formativo delle volontà e delle scelte attribuite al suffragio popolare;
5) della difesa dalla violenza di chi ha realizzato e realizza dall'interno e dai massimi livelli dell'organizzazione dell'informazione e della comunicazione la sistematica sovversione dell'ordinamento repubblicano, con la perpetuazione di gravissimi reati associativi a tutti noti e da nessuno perseguiti;
6) del diritto alla propria immagine e identità, aspetti essenziali della vita stessa, diritto praticamente vanificato dall'ordine giudiziario, che viola la legge per praticare un rito illegittimo in luogo di quello per direttissima, ritenuto dalla dottrina e dalle norme dei nostri codici assolutamente necessario per la verità e la giustizia;
CONSTATA, DENUNCIA la conseguente impossibilità d'esercizio dei diritti democratici e della prosecuzione stessa dell'attività del PR in questo contesto, se non accettando di far apparire democraticamente minoritari o marginali, sconfitti, i valori, gli ideali, gli obiettivi del partito e nel contempo legittimando il gioco antidemocratico e i suoi esiti, cui si partecipa;
APPROVA l'operato del segretario federale e del tesoriere per giungere a proporre al Congresso ordinario un progetto di cessazione delle attività del partito, conseguente a quanto sopra affermato;
RILEVA che nel paese sembra, finalmente, diffondersi una maggiore consapevolezza della necessità di battere e superare la situazione di degrado del diritto e dei diritti grazie alle iniziative referendarie, ad interventi straordinari anche se corretti del Presidente della Repubblica, al contributo fornito dalle testimonianze, dalla lotta, di compagni cone Enzo Tortora e come Olivier Dupuis." 3473
Documento particolare
"Il Consiglio Federale del Partito Radicale,
DI FRONTE alle polemiche esplose contro la Prima Sezione della Corte di Cassazione per la sua giurisprudenza degli ultimi due anni in tema di acquisizione della prova e delle garanzie processuali, condotte dalla parte più intollerante dell'area politica del PCI;
NEL RIBADIRE la sua denuncia contro questo attacco all'indipendenza dei giudici,
DENUNCIA in particolare il persistente silenzio dell'Associazione Nazionale Magistrati che ha fin qui caratterizzato la sua azione con un'intollerante e indiscriminata difesa degli interessi corporativi veri e presunti della categoria, ennesima conferma della sua occulta ma anche indiscutibile subordinazione politica alle iniziative e agli interessi dei quali sono portatrici correnti interne al PCI;
RILEVA in particolare il silenzio-assenso del suo Presidente Criscuolo e della sua corrente che, dopo aver preso lo scorso anno pubblica posizione a favore del referendum comunista, dopo aver compiuto una sistematica campagna di difesa meccanica dei magistrati responsabili, con un pugno di giornalisti e di pentiti, di aver gestito in modo intollerabile il cosidetto processo contro la Nco, di aver pregiudicato con prese di posizione totalizzanti e di vertice la serenità dei magistrati istituzionalmente coinvolti nell'esame dei quesiti referendari, di aver ignorato qualsiasi procedura democratica per pronunciarsi su detti referendum, ignorando del tutto e imbavagliando le tante voci di magistrati elevatesi a loro sostegno, dopo aver portato alle soglie dell'elezione a vicepresidente del Csm il candidato del PCI, oggi lascia libero campo alle intimidazioni e agli attacchi contro la Corte di Cassazione;
DENUNCIA il carattere partitocratico e contrario alla difesa dell'indipendenza dei magistrati che, sempre più, la parte maggioritaria dell'Anm assume e impone." 3474