"I
truly believe that individuals can make a difference in society. Since
periods of great change such as the present one come so rarely in human
history, it is up to each of us to make the best use of our time to help
create a happier world".
Tenzin GYATSO, the Fourteenth Dalai Lama, 1992
Oggetto:
lettera a degli amici del Tibet
Cara(o) amica(o),
Più di nove mesi fa ci siamo ritrovati in oltre 250 a Bruxelles per tentare
di definire insieme delle iniziative da portare avanti in modo convergente
sulla questione che ci riguarda tutti: quella del Tibet.
Al termine dei nostri due giorni di lavoro, avevamo tra l'altro deciso
di:
Olivier Dupuis
" 1) lanciare una campagna rivolta a tutti i parlamenti nazionali d'Europa
perché adottino il più presto possibile delle risoluzioni parlamentari
simili a quella adottata dal Parlamento europeo nelle quali chiedano al
loro rispettivo governo di "riconoscere il governo tibetano in esilio
se, nell'arco di tre anni, le autorità di Pechino e il governo tibetano
in esilio non sono pervenuti ad un accordo su un nuovo statuto per il
Tibet attraverso un negoziato organizzato sotto l'egida del Segretario
generale delle Nazioni Unite"; e a moltiplicare le iniziative affinché
la manifestazione del 10 marzo prossimo divenga una grande occasione di
mobilitazione in questo senso;
2) lanciare una nuova campagna rivolta alle decine di migliaia di comuni
d'Europa con l'obiettivo di far esporre permanentemente la bandiera tibetana
fino all'entrata in vigore di questo nuovo statuto di piena autonomia
del Tibet;
3) mobilitarsi affinché l'UE e i suoi Stati membri continuino il dialogo
con la RPC ma abbandonino la politica detta di "dialogo critico sui diritti
dell'uomo" con la Repubblica Popolare di Cina e facciano dell'instaurazione
della democrazia, dello stato di diritto, della libertà in Cina e nei
territori occupati del Tibet, della Mongolia meridionale e del Turchestan
orientale, la loro priorità politica assoluta e la difendano in tutti
i forum bilaterali e multilaterali, a cominciare dalla Commissione Diritti
Umani delle Nazioni Unite;
4) moltiplicare le iniziative atte a creare un movimento mondiale che
riunisca tutti coloro che, in Cina, in Tibet e nel resto del mondo, hanno
deciso di fare della lotta per l'instaurazione della democrazia e dello
Stato di Diritto in Cina e per la libertà in Tibet, in Turchestan Orientale
e in Mongolia meridionale, una delle priorità assolute del loro impegno
politico;
per far ciò, i partecipanti al Seminario decidono di:
5) porsi come primo obiettivo della nuova campagna "una bandiera per un
nuovo statuto di autonomia per il Tibet", l'esposizione permanente, entro
6 mesi, di questa presso mille comuni d'Europa;
6) di dotarsi, attraverso l'apertura sul loro rispettivo sito Internet,
di uno spazio comune di riflessione e di azione denominato "EuroTibetForum";
7) creare un gruppo di lavoro sulla situazione economica nella RPC e sulle
relazioni economiche sino-europee. "
Quali risultati abbiamo ottenuto ?
3 regioni, 2 province e 104 comuni d'Europa hanno, ad oggi, deciso di
partecipare alla campagna per l'esposizione della bandiera tibetana. Le
regioni italiane del Piemonte, Toscana e Lombardia, le province italiane
di Firenze e Cremona e 43 comuni italiani, 34 francesi, 18 ungheresi,
4 spagnoli, 3 albanesi, 1 svizzero e 1 croato.
Poca cosa se si paragona ai più di 1.000 comuni d'Europa che avevano aderito,
nello spazio di qualche settimana, alle campagne lanciate in vista del
10 marzo 1996 e 1997. Meno ancora se si sa che l'Europa conta più di 60.000
comuni … Ben lontano in ogni caso dell'obiettivo dei 1.000 comuni in 6
mesi che ci eravamo fissati …
In gennaio, nostro amico Patrick Bonnassieu, di Lione, propose di lanciare
una campagna simile in direzione dei cittadini. Un'iniziativa che è stata
battezzata " una bandiera alla tua finestra " e che mi sembrava - e sembrava
ad altri - in grado di rafforzare la campagna che avevamo deciso di lanciare
insieme a Bruxelles. Oggi, in primo luogo grazie all'impegno di Patrick
e di Dan Golfier di Millau un po' più di 600 persone hanno aderito all'iniziativa.
La maggior parte in Francia, ma anche in altri paesi d'Europa e dell'altra
parte dell'Atlantico. Un risultato notevole se si considera che è il frutto,
per l'essenziale, del lavoro di alcune persone solamente. Un risultato
assolutamente mediocre quando si conosce il numero di persone che lavorano
giorno dopo giorno per la libertà del Tibet e che potrebbero essere disposte
a partecipare all'iniziativa … se sapessero !
Perché dei risultati cosi deludenti ? Credo che una delle ragioni risieda
senz'altro nella decisione presa da alcuni di proporre ai sindaci la "scelta"
tra l'esposizione della bandiera solo il 10 marzo e l'esposizione permanente
… Con il risultato - prevedibile - che molti tra i nostri amici sindaci
non hanno ritenuto di dover aderire ad un´operazione che li impegnava
di più e hanno confermato, in modo più o meno abitudinario e burocratico,
la loro adesione all'operazione del solo 10 marzo ! Il vecchio adagio
secondo il quale " se chiedete poco, riceverete poco, se chiedete … "
si è quindi confermato.
Ma la ragione più importante non risiede li'. Cio' che ci è mancato, a
tutti, nel corso di questi ultimi dieci mesi, è la convinzione della giustezza
dell'obiettivo che ci eravamo fissati. Un obiettivo che non era altro
che quello di lavorare alla traduzione in fatti istituzionali concreti
- cominciando dalle regioni e dai comuni per " risalire " poi verso i
parlamenti nazionali - della risoluzione del Parlamento europeo del 6
luglio scorso.
Una risoluzione che, ve ne ricorderete, chiedeva (e chiede tuttora) "al
Consiglio, alla Commissione e agli Stati membri di fare tutto il possibile
affinché il governo della Repubblica popolare cinese e il Dalai Lama negozino
un nuovo statuto per il Tibet che garantisca una piena autonomia dei tibetani
in tutti i settori della vita politica, economica, sociale e culturale,
con le sole eccezioni della politica di difesa e della politica estera
"
e:
"ad esaminare seriamente la possibilità di riconoscere il governo tibetano
in esilio come legittimo rappresentante del popolo tibetano qualora, entro
un termine di tre anni, le autorità di Pechino e il governo tibetano in
esilio non abbiano raggiunto un accordo relativo a un nuovo statuto per
il Tibet, mediante negoziati organizzati sotto l'egida del Segretario
generale delle Nazioni Unite ".
Oggi siamo ancora al punto di partenza. Il Parlamento europeo è sempre
solo. Un Parlamento che, come lo sapete, non ha, in materia di politica
estera, che un potere d'invito e di pressione. Solamente tre parlamenti
regionali, due assemblee provinciali, 104 comuni hanno fatto proprie,
ad oggi, la posizione del PE. Nessun parlamento nazionale, né in Europa,
né altrove, ha adottato un testo simile che vincoli allo stesso tempo
il proprio governo a manifestare al governo di Pechino che non c'è più
posto né per delle belle dichiarazioni né per delle promesse di autonomia,
che si attendono solamente degli atti concreti e che, in assenza di tali
atti questi governi si vedranno costretti a trarre le conclusioni che
si impongono, in altre parole a procedere al riconoscimento ufficiale
del governo tibetano in esilio.
Nel frattempo la situazione nel Tibet rimane quella che era. Brutta, molto
brutta. Mentre a Pechino niente cambia ad eccezione degli oligarchi sempre
più arroganti, più sprezzanti, più feroci, più determinati nella loro
politica di repressione. In Tibet, nel Turchestan, in Mongolia meridionale,
nell'intera Cina dove i militanti del Partito Democratico, gli internauti,
i membri del Movimento Falun Gong subiscono una repressione che non aveva
più corso da molti anni. Ogni giorno porta il suo corteo di arresti, esecuzioni,
distruzioni, …
E ciascuno, in assenza di questa convinzione di condividere un obiettivo
comune e di lavorare insieme alla sua realizzazione, si immerge nell'iniziativa
del momento che gli sembra più "promettente", più "mediatica", "simpatica"
o semplicemente più "urgente". E via con la campagna sulla scuola delle
guide, quella contro i giochi olimpici, contro la costruzione della nuova
linea ferroviaria, … per finire con idee di campagne francamente discutibili
come quella contro la telefonia mobile (I Tibetani non vi avrebbero diritto
?) o, totalmente improbabili, come quella del boicottaggio dei giochi
a niente meno che 7 anni della loro tenuta… Abbiamo o non abbiamo perso
la campagna contro il conferimento dei giochi a Pechino? In questo caso
toccherà ai " democratici " di casa nostra che hanno sostenuto la candidatura
di Pechino di trarre nel 2006-2007 le conclusioni dell' " effetto GO "
sull'evoluzione della situazione in Cina. In caso di responso negativo,
toccherà a loro, in primo luogo, chiamare al boicottaggio dei Giochi !.
Penserete che ho una visione particolarmente tetra della situazione. Certo,
non ho avuto quest'anno la formidabile opportunità di scambiare, di condividere
riflessioni, idee, progetti come durante la Marcia transalpina per il
Tibet della scorsa estate. Ma non ho idee tetre. Sto cercando soltanto
di guardare freddamente, con voi e grazie a voi, la situazione nella quale
ci troviamo, lo stato di progressione del nostro progetto, e, cosa molto
più importante, la situazione nella quale si trovano i nostri amici tibetani.
In questo buio panorama ci sono evidentemente dei punti positivi come
la partecipazione di due ONG tibetane alla Conferenza delle Nazioni Unite
sul razzismo a Durban, la prossima visita del Dalai Lama al Parlamento
europeo dove, per la prima volta, si rivolgerà in seduta plenaria all'insieme
dei deputati. Ma, soprattutto, un fatto nuovo, importante, è avvenuto.
I Tibetani in esilio (gli unici che possono votare liberamente) hanno
eletto per la prima volta il loro primo ministro. E non uno qualsiasi:
Il Presidente uscente del Parlamento tibetano in esilio. Un nostro amico.
Il Professor Samdhong Rinpoche. Un nuovo primo ministro le cui dichiarazioni,
subito dopo l'elezione, cosi come riportate dalle agenzie stampa, sono
estremamente chiare: si è detto pronto "all'avvio una lotta per l'indipendenza
totale del Tibet se la Cina rifiuta l'apertura di un dialogo in vista
di una vera autonomia da qui a tre anni (AFP, 20 agosto 2001).
Un'ultima parola sulla " nonviolenza ". La nonviolenza non è, o non è
tanto un modo di essere. E' un modo di agire. E il " satyagraha " di cui
abbiamo parlato molto e sul quale abbiamo molto riflettuto nel 1996 e
1997 con il Prof. Samdhong Rinpoche, non è altro che la messa in opera,
la realizzazione, insieme, di questo " modo di agire ".
Abbiamo l'obiettivo. Quello che non smette di ripetere il Dalai Lama:
una piena e reale autonomia per il Tibet. Siamo decine di migliaia di
persone attraverso il mondo a ritenere come prioritaria la risoluzione
della questione del Tibet. Ci resta pero' da organizzarci meglio per agire
con più forza e più efficacia, in primo luogo laddove siamo direttamente
implicati, nei nostri paesi, in direzione dei nostri governi e dei nostri
parlamenti, in direzione di quelli che ci governano. Sono loro i nostri
principali interlocutori. Non di certo gli oligarchi di Pechino che non
rispondono né ai loro cittadini, né, ovviamente, ai principi della democrazia
e dello Stato di Diritto, neppure, alla fin fine, a loro stessi, ma solamente
alla logica del potere. Sono i nostri governi che dobbiamo spingere ad
assumere una politica coerente con i principi ed i valori ai quali si
richiamano: la libertà, la democrazia, lo Stato di Diritto.
A meno di preferire aspettare che le autorità cinesi - che stanno intensificando
la loro campagna di gemellaggio in Europa - abbiano occupato tutto il
terreno, dobbiamo rilanciare l'operazione "bandiere", una operazione apparentemente
folclorica - e che rischia del resto di diventarlo -, l'iniziativa delle
mozioni e risoluzioni dei comuni, dei consigli regionali e dei … parlamenti
nazionali, un'iniziativa, apparentemente marginale - e che rischia di
diventarlo. Possono, potrebbero diventare l'humus sul quale lanciare e
far crescere il Satyagraha mondiale per la libertà del Tibet.
Bruxelles, 22 settembre 2001.Riprendo, non senza difficoltà, questa lettera
che stavo per finire quando è avvenuta la terribile tragedia di New York
e Washington. Tutto è un po' più "pesante". Non so voi, ma per quanto
mi riguarda, credo che avrò bisogno di tempo. Ed intanto gli effetti "collaterali"
si stanno moltiplicando. Le richieste di visto per i nostri amici ceceni
si trascinano lungamente. "Buoni" consigli si stanno moltiplicando per
il rinvio a tempi migliori dell'una o dell'altra iniziativa su questioni
che riguardano da lontano o da vicino, i nostri amici di religione musulmana.
Gli avvoltoi del Kremlino e della Città proibita se ingozzano vergogna
della tragedia, presentando i loro terrorismi di Stato come altrettante
lotte contro i "loro" terrorismi uighuro, ceceno, tibetano … I nostri
governanti si rinchiudono in risposte difensive, "sicuritarie", dimenticando
che due terzi dell'umanità sono governati da dittature, terreno privilegiato
dei terrorismi. Siamo lontani, molto lontani, da una mobilitazione generale
per attaccare il male alla sua radice. Siamo lontani da una grande offensiva
di informazione e di sovversione nonviolenta attraverso la conoscenza
e la non complicità attiva, per minare dall'interno e dall'esterno questi
regimi autocratici e criminali che opprimono oggi a Lhassa, Grosny, Pechino,
Urumchi, …
Scusandomi per la lunghezza. Con amicizia,

Olivier Dupuis,
MPE
Segretario del Partito Radicale Transnazionale
PS. Il Tibet è lontano. La
Cecenia anche, ancorché un po' meno lontana. Due tragedie, certamente
diverse da molti punti di vista. Ma anche molto simili. Due paesi, due
popoli, oppressi, l'uno da 50 anni, l'altro da più di due secoli. Due
popoli decimati che resistono alla feroce impresa coloniale degli ultimi
grandi imperi (occorrerà anche cominciare a parlare di un altro impero,
meno conosciuto come tale, l'Indonesia, occuparci dei suoi popoli oppressi,
a cominciare dai Papu). Eppure a ben vedere la complicità che regna tra
i dominatori di questi imperi sulle questioni dei territori e dei popoli
che occupano, è lecito pensare che un processo di decolonizzazione avviato
da uno di loro avrebbe serie conseguenze presso gli altri. Una ragione
in più per non dimenticare i Ceceni.Tel. +32-2-284.71.98
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