CAPITOLO
III DALLE PIAZZE AL PARLAMENTO (1967/1976)
1. Comincia la lunga
marcia
Ricostruire le varie
fasi organizzative del partito radicale non è
agevole per la mancanza di dati certi e perché quei
pochi certi appaiono discontinui: si pensi che il
primo "rapporto sullo stato del partito" è
stato predisposto soltanto nel 1981 dal tesoriere
Marcello Crivellini, e che mai prima di quella data
era stato elaborato, anche sommariamente, l'insieme
delle informazioni che misuravano, per così dire,
fisicamente il partito radicale.
Certamente la
filosofia organizzativa del partito rispecchia la
concezione stessa del far politica; i radicali si
concentravano su obiettivi singoli, anno per anno,
creando strutture flessibili adatte al singolo scopo,
e da eliminare una volta realizzatolo. Il che se da
un lato ha prodotto risultati impensabili per un
partito così piccolo ed ha impedito la formazione di
burocrazie ed apparati, dall'altro lato "ha
diffuso nel partito la valutazione che ogni struttura
sia a perdere e che ogni supporto organizzativo della
politica debba sottostare alla filosofia dell'usa e
getta" (124). Sicché l'estrema flessibilità
dell'organizzazione ha impedito il costituirsi di
strutture operative permanenti, che forse avrebbero
potuto portare alla formazione di uno strumento
durevole e più economicamente valido ai fini del
partito senza, necessariamente, trasformarsi in una
costruzione burocratica e quindi parassitaria. Tenuto
conto della caratteristica anomala
dell'organizzazione, l'analisi delle strutture deve
essere studiata secondo un'ottica non tradizionale
perché, altrimenti, si rischierebbe di cadere in un
errore di valutazione. Non si può esaminare
l'obiettività dei dati seguendo gli schemi di
approccio sociologico in uso per gli altri partiti:
gli iscritti, in senso quantitativo, geografico, la
stratificazione sociale e politica degli stessi
devono essere analizzati sotto un profilo
particolare. Il partito radicale coinvolge componenti
e quantità diverse di persone in base alle lotte che
intraprende: perciò il numero degli iscritti ha un
rilievo relativo, in quanto vanno considerate le
strutture laterali e contingenti, quali per esempio i
comitati per i referendum. Lo statuto stesso del
partito, peraltro, si ispira a particolari criteri
organizzativi di stampo federalista, come abbiamo
accennato nel primo capitolo (125).
Pertanto, va fatta
subito una prima distinzione tra struttura interna ed
esterna; quella interna era articolata in partiti
regionali, con statuti autonomi i cui segretari
sedevano nel consiglio federativo, che era ritenuto
l'organo di permanenza politica tra un congresso e
l'altro. Il partito nazionale non avrebbe dovuto
essere nient'altro che la federazione dei vari
partiti regionali.
L'articolazione
esterna permetteva la federazione col partito di
gruppi e movimenti non radicali, i cui aderenti non
avevano alcun diritto di partecipare ai congressi del
partito; avevano, invece, il diritto di designare
alcuni rappresentanti nel consiglio federativo.
Questo tipo di adesione fu il modo più seguito per
federare al partito molti movimenti nati soprattutto
nel periodo '71-'75. Bisogna aggiungere che lo
statuto prevedeva la possibilità di federare
movimenti non radicali, anche a livello locale. La
seconda strada, gli accordi a livello locale, però,
fu percorsa raramente.
Sta di fatto che
attorno al P.R. si era formata una costellazione di
associazioni ai fini di lotte specifiche. Le
associazioni si sono in effetti servite del partito:
è successo anche che qualche gruppo, con il passare
del tempo, si sia distaccato dal partito, anzi abbia
assunto posizioni critiche verso di esso.
Bisogna però, a
questo punto, chiarire che alcune delle associazioni
gravitanti attorno ai radicali non sono nate in modo
spontaneo, e successivamente si sono federate,
secondo la sequenza prevista dello statuto,
apportando al partito le aspettative delle persone
che rappresentavano. Talune sono state create dallo
stesso partito proprio allo scopo di organizzare un
certo consenso intorno a specifiche tematiche (126).
Ecco perché essendo stati, questi movimenti, per
così dire generati dai radicali, bisogna
assimilarli, come struttura (numero di iscritti,
dislocazione geografica, collocazione ideologica e
politica) al partito medesimo.
Le dimensioni del
partito, tra il 1967 ed il 1972, sono assai modeste:
non più di 250 iscritti, con punta minima di 150,
fino alla fine del 1971, e soltanto due sedi, Roma e
Milano. Ma non è un dato significativo in sé:
devono essere considerati i simpatizzanti e i
sostenitori "non iscritti", i quali poi
possedevano una tessera. L'entità di questa ultima
categoria può essere ipotizzata (mancando qualsiasi
riferimento) sulla base dei dati degli anni
successivi, in numero almeno pari a quello degli
iscritti. Bisogna però ricordare che il partito
radicale, per scelta precisa, era autofinanziato. La
mancanza di iscritti o sostenitori incideva quindi
direttamente sulle capacità finanziarie del partito,
essenziali per l'efficacia di qualsiasi iniziativa
politica, anche se la struttura, l'organizzazione del
partito era basata sul volontariato. Non c'era
all'interno del P.R. una burocrazia da mantenere.
In realtà, il vero e
proprio finanziamento avveniva ad hoc, per ciascuna
iniziativa politica. I radicali, ogni anno, al
congresso si riunivano intorno ad un tema, sul quale
si sarebbe incentrata la lotta del partito per l'anno
successivo. Così il partito chiedeva contributi a
chi era interessato alle singole battaglie, come
vedremo in seguito, ad esempio per i referendum.
Il periodo dal '67
alla fine del '71 è quello in cui il partito è più
povero di iscritti, a crescita zero. Nel corso del
decimo congresso (Roma, novembre 1971) si tentò di
rafforzarlo, ponendo ai simpatizzanti, per la prima
volta, l'alternativa "o crescere fino a mille
iscritti entro un anno o scioglimento" (127),
alternativa che diventerà poi un imperativo costante
nella storia del partito. Nello stesso congresso, per
la prima volta, viene proposta la possibilità della
doppia tessera, per aumentare la forza del partito.
Fino al decimo congresso l'esiguità degli iscritti
non aveva posto limitazioni alle strategie radicali,
perché il partito dilagava nelle organizzazioni
collaterali, come la LID, che durante la battaglia
per il divorzio aveva raccolto molte simpatie e
decine di migliaia di aderenti dalle provenienze più
varie, anzi era diventata quasi un movimento di
massa, trasversale a molti partiti ed organizzazioni.
Ma una volta conclusa positivamente la battaglia per
il divorzio il partito tornò nel suo alveo
tradizionale, ritenuto ormai insufficiente per
affrontare sul piano organizzativo tutte le altre
tematiche che si volevano portare avanti.
Di qui l'idea di Marco
Pannella, psicologicamente traumatica e suggestiva,
dell'autoscioglimento, con l'alternativa di
continuare a vivere se il partito avesse raggiunto
almeno mille iscritti dato che soprattutto la cronica
povertà di mezzi finanziari avrebbe costituito
sempre un impedimento di fronte ad iniziative anche
modeste. Il partito aveva sempre vissuto con i
contributi dei propri militanti, e quindi soltanto un
consistente aumento del loro numero avrebbe potuto
rimpinguare le casse del partito stesso. Si consideri
che le entrate del P.R., in questi anni, non
superavano la soglia dei dieci milioni, somma che,
anche per quei tempi, rappresentava una cifra povera,
non certamente adeguata a mantenere una struttura
anche minima, sia pure di sopravvivenza.
Il decimo congresso
pose le basi organizzative per il rilancio del
partito. Il primo vistoso risultato della
mobilitazione del partito si può desumere dalla
lettura di due documento: il bilancio consuntivo del
1° nov. 1971 - 15 ott. 1972 e l'elenco degli
iscritti, con le indicazioni dei luoghi di residenza
e delle somme versate per il tesseramento (128).
Il bilancio consuntivo
(129) reca entrate per 25.839.424 lire, ed uscite per
lire 30.136.028 con un disavanzo di 4.046.164 lire.
Si noti che l'importo di questo bilancio è triplo
rispetto all'ultimo conosciuto: trenta milioni contro
dieci. Dalle poste di entrate si desume che gli
iscritti paganti al 15 ottobre 1972 sono stati 598;
la voce relativa ai non iscritti reca versamenti
ricevuti da 823 sostenitori, un numero superiore a
quello degli iscritti. Considerato che la quota di
tesseramento era stata stabilita in lire 12 mila
all'anno, se si divide l'entrata posta sotto la voce
"quota iscritti" per il numero dei
tesserati si ottiene una somma di circa 4.100, il che
fa ritenere che non tutti gli iscritti avevano
versato la quota richiesta. Questo calcolo rende non
perfettamente attendibili i dati relativi al numero
degli iscritti (130).
Da questo bilancio
appare in tutta evidenza la scarsità dei contributi
dei movimenti federati, inferiori di oltre la metà
rispetto al preventivo. Per il referendum sul
divorzio era stata preventivata una entrata di 5
milioni di lire ed invece si riscosse la somma di
456.600 lire. Di contro, se si osserva il capitolo di
uscite, per la stessa voce si può notare che ad un
preventivo di sei milioni corrispose la spesa di lire
trentaquattromila.
Dall'insieme di questo
primo scarno bilancio appare, in tutta evidenza, la
scelta antiburocratica dei radicali. Si veda, per
esempio, sotto la voce "rimborso spese"
iscritta in uscita la somma di lire 2.494.630 e
1.590.150 per collaboratori, giustificata
nell'allegato, come rimborso "ad una unica
persona che assicura la propria collaborazione dalle
otto alle tredici".
Dunque, l'azione del
partito si basava sul volontariato, sullo
spontaneismo, qualche volta anche casuale, dei pochi
e dei molti che, per la maggior parte, erano persone
appartenenti a quelle aree direttamente interessate
al problema per il quale in quel momento ci si stava
battendo, per esempio il divorzio, l'aborto,
l'obiezione di coscienza.
Siffatta scelta, cioè
un bilancio estremamente scarno, tuttavia, poteva
costituire un limite allo sviluppo del partito che,
seppure piccolissimo, doveva funzionare, doveva in
qualche modo poter contare su di una pur minima
struttura.
Alla povertà del
bilancio si collega la questione dei
"media", sul quale ci soffermeremo più
avanti, punto dolente sempre posto dai radicali al
centro di ogni dibattito. Fin dall'inizio, i
rifondatori del P.R. avevano sperimentato l'arma
micidiale del silenzio sul loro gruppo, sulle loro
tematiche, sulle loro iniziative. Tutto questo
concertato silenzio durò finché la natura dei
diritti di cui i radicali si facevano tutori non si
aprì ad un più ampio spettro, finché, insomma, non
urtò contro enormi interessi politici, ideali ed
economici. Soltanto al momento di questo impatto con
la realtà degli interessi costituiti, si accesero
sul P.R. le luci dei media, ma spesso per denigrare
questo modo "tutto contro",
"bizzarro", estraneo al sistema italiano di
far politica.
Dall'elaborazione
dell'elenco degli iscritti il P.R. appariva un
partito fortemente urbano, concentrato nelle aree
centro-settentrionali del Paese, con qualche presenza
nel Sud e nelle Isole, con prevalenza romana, e una
presenza significativa a Milano. Il 40 per cento dei
636 tesserati al 20 ott. 1972 risiede a Roma, il 6
per cento a Milano, le due città storiche per i
radicali. Si nota un accenno di diffusione del
partito in Piemonte ed in Emilia Romagna e, comunque,
il P.R. qualche volta con un solitario iscritto è
presente in quasi tutte le città (vedi tabelle nn. 1
e 2).
TAB. 1
Iscritti al P.R. al 15
ottobre 1972
AREE |
N. ISCRITTI |
% SUL TOTALE |
|
|
|
NORD |
276 |
43,46% |
CENTRO |
306 |
48,20% |
SUD e ISOLE |
53 |
8,31% |
TOTALE |
635 |
100,00% |
REGIONI |
N. ISCRITTI |
% SUL TOTALE |
LAZIO |
264 |
41,57% |
LOMBARDIA |
74 |
11,65% |
PIEMONTE |
60 |
9,44% |
EMILIA ROMAGNA |
54 |
8,5% |
FRIULI VEN. GIULIA |
38 |
5,98% |
TOSCANA |
35 |
5,51% |
VENETO |
23 |
3,62% |
PUGLIA |
1 |
2,83% |
LIGURIA |
12 |
1,88% |
SICILIA |
11 |
1,73% |
VALLE D'AOSTA |
11 |
1,73% |
CAMPANIA |
10 |
1,57% |
SARDEGNA |
6 |
|
UMBRIA |
5 |
|
CALABRIA |
4 |
|
TRENTINO ALTO AD |
4 |
|
ABRUZZO |
3 |
|
MARCHE |
2 |
|
BASILICATA |
1 |
|
MOLISE |
- |
|
ITALIA |
635 |
|
Fonte: Nostra
elaborazione dall'elenco degli iscritti pubblicato in
"Notizie Radicali" n. 173, 20 ottobre 1972,
ciclostilato.
TAB. 2
CAPOLUOGHI DI PROVINCIA |
N.ISCRITTI NEL CAPOLUOGO |
PERCENTUALE ISCRITTI SUL TOTALE |
ROMA |
255 (8)* |
40,15% |
MILANO |
39 (8) |
6,14% |
TRIESTE |
30 (1) |
4,72% |
TORINO |
25 (7) |
3,39% |
BARI |
12 (3) |
1,88% |
BOLOGNA |
12 (4) |
1,88% |
REGGIO EMILIA |
12 (5) |
1,88% |
AOSTA |
11 |
1,73% |
CUNEO |
9 (8) |
|
PISA |
8 |
|
FIRENZE |
7 (6) |
|
GENOVA |
7 |
|
VERONA |
7 |
|
NAPOLI |
6 (1) |
|
PERUGIA |
5 |
|
RAVENNA |
5 |
|
(*) Il numero tra
parentesi indica il numero degli iscritti nella
provincia.
Nota: I rimanenti
capoluoghi sono al di sotto dei 5 iscritti. Fonte:
Nostra elaborazione dall'elenco degli iscritti
pubblicato in "Notizie Radicali n. 173, 20
ottobre 1972, ciclostilato.
L'appello pressante
lanciato alla vigilia dell'undicesimo congresso (nov.
1972) sortì un discreto successo. Gli iscritti
raggiunsero il numero di 1.300, trecento in più
della soglia che si era stabilita per sopravvivere
(131). Si contarono anche mille e cento sostenitori
senza tessera. Contribuì a questa espansione la
doppia tessera: circa un quinto degli iscritti
risultò in possesso della tessera di un altro
partito, di cui il 38,2 per cento aveva la tessera
del P.S.I., il 31,8 per cento del P.R.I., l'11 per
cento della "sinistra di classe"; il 9,5
per cento del P.C.I., il 9,5 per cento del P.L.I.
(vedi tabella n. 3). Come si vede la maggioranza dei
doppio tesserati proveniva dal partito socialista,
per la comunanza di lotte e di obiettivi con questo
partito, con il quale, nel corso degli anni, il P.R.
sarà in costante rapporto dialettico.
TAB. 3
Doppie tessere P. R.
(11° Congresso novembre 1972)
PARTITO O GRUPPO |
N. (STIMA) % |
% SUL TOTALE DEGLI ISCRITTI (n.
= 1300) |
|
PSI |
(90) |
38,2 |
7,0 |
PRI |
(74) |
31,8 |
5,6 |
SINISTRA DI CLASSE E ANARCHICI |
(26) |
11,0 |
2,0 |
PCI |
(22) |
9,5 |
1,7 |
PLI |
(22) |
9,5 |
1,7 |
|
(234) |
100,00 |
18,0 |
Fonte: MASSIMO GUSSO,
"Il P.R.: Organizzazione e leadership",
CLEUP, Padova, 1982 pag. 39 (da ANGIOLO BANDINELLI
"Il partito dei referendum" in "La
prova radicale", n. 5, 1973).
Una indicazione
organizzativa fu contenuta nella mozione approvata
dall'undicesimo Congresso: essa impegnava il partito
federale ad assicurare, con le sue strutture, con le
sue funzioni, la formazione dei partiti radicali
regionali per realizzare appieno quel modello di tipo
federale che era stato prefigurato nello statuto del
1967 (132). In quel momento i radicali avvertivano
l'esigenza di radicare il partito su tutto il
territorio nazionale e sono convinti di avere,
finalmente, i numeri per poter realizzare tale
intendimento.
2. Dietro ai mille
radicali: i movimenti, le prime sedi periferiche.
All'indomani dell'XI
Congresso, che aveva posto le basi numeriche per una
ripresa delle iniziative politiche, la dirigenza
radicale si decise ad affrontare un altro problema:
il forte sbilanciamento territoriale del partito, che
aveva una grossa presenza nella capitale, quasi
inesistente nel resto del paese. Di conseguenza ne
derivava una estrema centralizzazione del partito,
cosa contraria allo spirito libertario a cui volevano
uniformare l'organizzazione, e poteva rendere
inefficaci le azioni intraprese. Si decise, pertanto,
in occasione della riunione della direzione del 5/7
gennaio 1973 (133) di approntare i primi strumenti
organizzativi per il rafforzamento delle strutture
locali del partito. Tra questi, secondo i dirigenti
del partito, figurava il potenziamento del giornale
"Notizie radicali". Si comincia così a
delineare una prima struttura territoriale del
partito: al 10 gennaio 1973 risultano costituite 14
sedi del P.R., di cui solo quattro sono sedi vere e
proprie (Cuneo, Torino, Firenze, Roma), nove sono
presso abitazioni private (Verona, Vicenza, Bologna,
Faenza, Pisa, Milano, Trieste, Schio e Mantova) ed
una (Venezia) risulta addirittura ubicata presso una
casella postale (tab. 4).
TAB. 4
Sedi e recapiti del
P.R. 1973
REGIONI |
GENNAIO 1973 |
APRILE 1973 |
VALLE D'AOSTA |
- |
1 |
PIEMONTE |
2 |
2 |
LIGURIA |
- |
1 |
LOMBARDIA |
2 |
3 |
VENETO |
4 |
4 |
TRENTINO SUD T. |
- |
- |
FRIULI VENEZIA G. |
1 |
1 |
EMILIA ROMAGNA |
2 |
5 |
MARCHE |
- |
- |
ABRUZZO |
- |
- |
MOLISE |
- |
- |
UMBRIA |
- |
- |
TOSCANA |
2 |
2 |
LAZIO |
1 |
1 |
CAMPANIA |
- |
- |
CALABRIA |
- |
- |
BASILICATA |
- |
1 |
PUGLIA |
- |
- |
SICILIA |
- |
1 |
SARDEGNA |
- |
- |
ITALIA |
14 |
22 |
Fonte: Nostra
elaborazione da "Notizie Radicali", n. 175,
10 gennaio 1973 e "Notizie Radicali", nn.
193-194, 10 aprile 1973.
In quel periodo sono
anche nati alcuni comitati promotori per la
costituzione di partiti regionali: furono sicuramente
formati in Veneto, Emilia-Romagna e Toscana. Nei
successivi tre mesi (aprile 1973) le sedi periferiche
erano diventate ventuno, quasi il doppio (vedi
tabella 4). Furono fondate le prime due sedi nel Sud,
a Palermo, ed a Policoro, in provincia di Matera,
centro rurale della riforma fondiaria lungo la parte
ionica della Basilicata. E' necessario precisare che
tra le sedi indicate una decina sono semplici
recapiti.
Le sedi periferiche
cominciarono ad attivarsi ed a promuovere delle
iniziative in proprio a partire dalla primavera del
1973, come risulta dai documenti pubblicati su
"Notizie radicali". A Torino, ad esempio,
inizia le pubblicazioni un "Notiziario
radicale", a cura della sede locale (134).
Intanto la presenza
del P.R. si allargava, anche grazie ai movimenti
federati che cominciavano a sorgere agli inizi degli
anni Settanta, e che muovevano attorno al partito
nuove energie. Questi movimenti davano voce ad
esigenze che, ormai mature nella coscienza del paese,
non trovavano, tuttavia, spazio nei partiti
tradizionali.
La mappa dei
movimenti, nel periodo iniziale '71-'73, presenta
contorni imprecisi. I dati disponibili sono scarsi,
non analitici. Le uniche notizie riscontrabili,
seppure in una fonte secondaria, si riferiscono
soltanto ad uno dei movimenti, quello
antimilitarista, il solo che si era dato una vera e
propria struttura.
Il movimento
antimilitarista era nato, informalmente, nel 1967, in
occasione della prima marcia organizzata dal P.R. sul
percorso Milano-Vicenza. Da quell'anno in avanti, in
contemporanea con i congressi radicali, si erano
svolti convegni antimilitaristi che poi sfociarono
nella costituzione della Lega Obiettori di Coscienza
il 21 gennaio 1973, in Roma. Conosciamo il numero
delle sedi della LOC (Lega Obiettori di Coscienza)
nel 1973: sono trentuno, sparse su tutto il
territorio nazionale, dal Nord al Sud, e possiamo
considerare questa struttura periferica anche
riferita al partito radicale (Tabella 5).
TAB. 5
Sedi L.O.C. 1973
REGIONE |
MARZO 1973 |
VALLE D'AOSTA |
- |
PIEMONTE |
3 |
LIGURIA |
2 |
LOMBARDIA |
6 |
VENETO |
2 |
TRENTINO SUD TIROLO |
1 |
FRIULI |
2 |
VENEZIA GIULIA |
2 |
EMILIA ROMAGNA |
2 |
MARCHE |
- |
ABRUZZO |
- |
MOLISE |
- |
UMBRIA |
1 |
TOSCANA |
2 |
LAZIO |
2 |
CAMPANIA |
3 |
CALABRIA |
- |
BASILICATA |
1 |
PUGLIA |
2 |
SICILIA |
2 |
SARDEGNA |
- |
ITALIA |
31 |
Fonte: "Notizie
Radicali", 8 marzo 1973, nn. 189-190. Tratta da:
M. GUSSO, "Il P.R.: Organizzazione e
leadership", pag. 44.
Sulle tematiche della
liberazione sessuale si costituirono due movimenti,
il MLD (Movimento di Liberazione della Donna) ed il
FUORI (Fronte Unitario Omosessuali Rivoluzionari
Italiani), (135).
Il primo, fondato da
militanti radicali, nasce nel 1970, già federato al
P.R. Fu lo strumento del partito per allargare il
consenso intorno alla battaglia abortista.
Il secondo, il FUORI,
fu costituito nel 1972, con l'appoggio materiale e
politico del PR; il promotore ne fu Angelo Pezzana,
iscritto al P.R. fin dal 1972, che faceva anche parte
della direzione del partito eletta al congresso di
Torino nel novembre '72. Il FUORI si federò al P.R.
durante il congresso di Milano, nel novembre 1974.
Nella costellazione dei movimenti, attorno al P.R.,
ebbe vita breve quello denominato Lega Italiana per
l'abrogazione del Concordato. Infatti, restò in vita
soltanto un anno, dal 14 febbraio 1971 all'ottobre
1972. Il motivo della scarsa presa del movimento
anticoncordatario è da ricercare nel fatto che il
fine che si proponeva non era sentito, alla base,
come sentimento popolare, contrariamente a quanto
accadeva per il divorzio. Inoltre la composizione
stessa della Lega, espressione dei partiti (P.L.I.,
P.S.I., P.R.I., indipendenti di sinistra) per ovvi
motivi di alchimie politiche e di opportunismi
(collaborazione governativa con la D.C.) era di per
sé un impedimento al suo sviluppo.
In questo stesso
periodo, e precisamente il 20 settembre 1973,
cominciò ad operare, seppure inizialmente in modo
sotterraneo, il CISA (Centro Italiano Sterilizzazione
e Aborto), che negli anni successivi darà un apporto
di grande rilievo ad una delle battaglie centrali dei
radicali (136). Era organizzato come una struttura
operativa, con lo scopo di fornire informazioni sulla
contraccezione e concreta assistenza per l'aborto, il
tutto gratuitamente.
Riguardo al numero
degli iscritti in questo periodo (novembre
1972/novembre 1973) non esistono fonti per rilevarlo.
Al Congresso di
Verona, nel novembre 1973, entrarono negli organi
centrali del P.R. nuovi elementi, provenienti dalle
diverse realtà territoriali. Per la prima volta il
partito radicale sembrava non caratterizzato dalla
prevalenza della componente "romana",
costante fin dalla sua fondazione. Diventò infatti
segretario nazionale Giulio Ercolessi, un ventenne di
Trieste. Nella stessa occasione, con una sortita
clamorosa, Marco Pannella, leader storico indiscusso
del P.R., dichiarò che non intendeva rinnovare
l'iscrizione al partito, affermando che "se
questo è il momento dello scontro, allora questo è
il momento più di ogni altro di andare alla lotta
con rigore e fiducia nelle nostre idee; di andarci in
formazione libertaria, cioè senza leaders, senza
tendenze sull'accentramento, senza conferimenti di
carismi, senza bandiere, senza nomi, senza simboli,
che non siano unicamente funzionali e tecnici
rispetto alle lotte" (137).
Fu soltanto una
dichiarazione di principio, perché anche da non
iscritto, nei momenti di crisi del partito, Pannella
intervenne ugualmente, col peso della sua esperienza
politica e del suo indiscusso carisma.
Sempre a Verona si
gettarono le basi del progetto degli otto referendum,
per il cui svolgimento sarebbero state raccolte le
firme nella primavera successiva (138).
3. Per i referendum:
col tavolo sulle spalle
Nel 1974 il partito
riversa le sue energie nelle piazze e sui
marciapiedi, dove sono urgenti i problemi del
divorzio e della raccolta firme per i referendum
appena decisi, per le lotte a favore dei detenuti,
per gli scioperi della fame, contro la
disinformazione della RAI-TV. Siffatto modo di far
politica condizionò il reclutamento di nuovi
iscritti, da un punto di vista formale. Perché, se
da una parte cresceva il consenso intorno al P.R.,
grazie ai comitati per i referendum ed alle
molteplici lotte in corso di svolgimento, dall'altra
veniva trascurata la campagna per il tesseramento
(139). Sicché si giunse al 14° Congresso di Milano
nel novembre 1974, con poco meno di duemila iscritti,
una cifra che riportiamo, anche se incerta (140).
A questo si aggiungeva
che il funzionamento delle strutture era sempre
difficile. La scarsa circolazione delle informazioni
all'interno del partito, tra il centro e la
periferia, era certamente il nodo più importante da
risolvere.
"Notizie
Radicali" riporta infatti le lamentele delle
associazioni locali le quali, non riuscendo ad essere
informate per tempo delle iniziative del partito a
Roma, trovavano difficoltà ad orientarsi (141).
Pertanto, dopo il terzo congresso - il primo del
partito rifondato - si dette vita ad un periodico
"Notizie Radicali", che avrebbe avuto il
compito di collegare la direzione con le sedi locali,
di informare i militanti dei vari movimenti, ed anche
di essere luogo di dibattito e punto di riferimento
per tutti.
Nonostante che
l'impegno finanziario, in rapporto al bilancio del
partito, per questa iniziativa giornalistica fosse
notevole (il 24 per cento delle uscite, nell'anno
1973/74) (142), le pubblicazioni di "Notizie
Radicali" non rispettavano la periodicità, e la
distribuzione agli iscritti ed ai simpatizzanti non
era regolare.
La prima serie (67/72)
era ciclostilata ed ogni copia a stampa, anche
successivamente al '72, appare di formato, di
grafica, di impostazione sempre diversi; inoltre i
redattori non erano mai fissi. Il P.R. non aveva
certo la capacità finanziaria di dotarsi di un
giornale quotidiano. Comunque, per precisa scelta
ideologica, il messaggio da inviare all'opinione
pubblica non doveva passare attraverso un organo di
partito, ma doveva essere trasmesso attraverso i
mass-media, con lo scopo di raggiungere un pubblico
il più vasto possibile. "Notizie radicali"
era quindi uno strumento di mobilitazione e di
stimolo intorno a determinate battaglie politiche,
interno al partito, non un organo di propaganda e di
esternazione della linea ufficiale della dirigenza.
Le iniziative
giornalistiche radicali sono conseguenti a queste
scelte ideologiche: nel '63 la fondazione
dell'"Agenzia radicale", di cui già ci
siamo occupati (143) e, negli anni Settanta, gli
scioperi della fame e della sete per ottenere spazi
nelle reti della RAI-TV di Stato.
Ma anche "Notizie
radicali" non era immune da quei vizi che nel
partito si temevano: alcuni militanti locali,
infatti, lamentavano che il giornale veniva partorito
al centro, e a opera di pochissimi addetti ai lavori;
e quindi se non poteva considerarsi una fonte di
potere in senso proprio, comunque non era un idoneo
strumento di dibattito politico all'interno del
partito.
Negli stessi anni
uscirono altri due giornali del P.R., "La Prova
Radicale", trimestrale, ed il quotidiano
"Liberazione", che visse soltanto un anno,
dall'autunno '73 all'autunno '74. "La Prova
Radicale", uscito nel '71 al '73, e redatto da
un collettivo di collaboratori militanti, approfondì
i temi delle battaglie radicali fornendo
documentazioni. Nei primi numeri usò un linguaggio
narrativo ed informativo; mentre negli ultimi numeri
si occupò di saggistica politica. Il quotidiano
"Liberazione" nacque come supporto al
progetto referendario, e rappresentò il tentativo di
informare l'opinione pubblica sui temi politici dei
radicali.
La breve vita di
"Liberazione" non permise di colmare il
vuoto di informazione esistente sul P.R. Per supplire
alla mancanza di collegamenti fra centro e periferia
venne adottato l'invio, anch'esso molto
disorganizzato, di volantini e di opuscoli, nei quali
veniva spiegato il contenuto delle lotte radicali, ed
anche le tecniche di raccolta delle firme per i
referendum.
Comunque le sedi e i
recapiti periferici continuavano a moltiplicarsi: in
capo ad un anno passarono da ventuno e trentasette,
di cui sette nel Sud. Di sedi effettive, però, se ne
contavano 13; le restanti 24 erano semplici recapiti
(Tabella 6). Una più sensibile presenza il P.R. la
poté finalmente ottenere con la fondazione dei
comitati per gli otto referendum del 1974, come si
legge nella tabella n. 7. In totale vennero
costituiti centotrentacinque comitati, sparsi in
tutte le regioni, il 50 per cento dei quali fondati
dal P.R. e dai gruppi federati.
TAB. 6
Sedi e recapiti P. R.
1974
REGIONE |
MARZO 1974 |
VALLE D'AOSTA |
1 |
PIEMONTE |
3 |
LIGURIA |
1 |
LOMBARDIA |
3 |
VENETO |
4 |
TRENTINO SUD TIROLO |
2 |
FRIULI VENEZIA GIULIA |
3 |
EMILIA ROMAGNAò4 |
|
MARCHE |
2 |
ABRUZZO |
1 |
MOLISE |
- |
UMBRIA |
1 |
TOSCANA |
3 |
LAZIO |
2 |
CAMPANIA |
2 |
CALABRIA |
1 |
BASILICATA |
- |
PUGLIA |
2 |
SICILIA |
1 |
SARDEGNA |
1 |
ITALIA |
37 |
Fonte:
"Liberazione", n. 9 marzo 1974, cfr. M.
GUSSO, "Il P.R.: Organizzazione e
leadership", CLEUP, Padova, pag. 48.
Nel corso delle
campagne referendarie il P.R. trovò un sistema nuovo
per entrare in contatto con gli elettori impiantando
centri mobili, costituiti da tavoli nelle piazze e
nelle strade per la raccolta delle firme e
contemporaneamente per informare i cittadini delle
tematiche radicali, formare un indirizzario a cui
inviare giornali e volantini.
Sempre nel corso di
questa campagna si riuscì a reclutare un agguerrito
gruppo di nuovi militanti.
Infatti secondo alcune
ricerche condotte tra il '76 e il '79 sui
partecipanti ai congressi nazionali del P.R. (144),
ancora nel '77 il 27,8% degli iscritti radicali
risulta essersi avvicinato al partito durante la
campagna degli otto referendum.
Ancora nel '79 il 30%
circa degli iscritti radicali proviene dalla stessa
esperienza.
La campagna
referendaria, nonostante l'impegno dei radicali, non
ebbe un esito positivo: si riuscì a raccogliere
circa 150.000 firme per ciascun referendum, contro le
500.000 che, secondo la legge, sono necessarie per la
validità della richiesta. Tuttavia se si tiene conto
dell'esiguità del numero degli iscritti, meno di
2.000 (145), in confronto al 1.200.000 di firme
raccolte complessivamente il risultato, in termini di
potenziale aggregazione del consenso, fu rilevante.
TAB. 7
Comitati per gli
"8 referendum" del 1974 facenti capo al
P.R. e ad altri gruppi e movimenti. (Marzo 1974)
Fonte:
"Liberazione", n. 9, 28 marzo 1974,
elaborazione di M. GUSSO, "Il P.R.:
Organizzazione e leadership", CLEUP, Padova,
pag. 44.
Il fallimento della
campagna referendaria si ripercosse però su quei
dirigenti radicali che avevano puntato tutto sul
progetto contenuto nelle consultazioni: Giulio
Ercolessi, segretario nazionale, si disimpegnò dal
suo mandato, creando una vacanza nell'esecutivo.
Nella crisi si inserì Marco Pannella che iniziò un
digiuno il 3 maggio 1974 per chiedere l'accesso del
P.R. alla RAI-TV. In sostanza la protesta mirava a
far uscire il partito dall'isolamento. Dopo settanta
giorni di digiuno venne alla ribalta sulla stampa
nazionale il "caso Pannella". Molte
personalità politiche e intellettuali a questo punto
dichiararono la loro solidarietà ai radicali. Il
leader ancora una volta si rivelava, con il suo
carisma, un importante fattore di organizzazione, in
grado di supplire almeno in parte alle carenze
strutturali del partito con un'azione individuale di
indubbia efficacia.
Si giunse così al XIV
Congresso di Milano (nov. 1974), che confermò l'uso
del referendum abrogativo e si pose come obiettivo
politico il raggiungimento del 20% della componente
socialista e libertaria della sinistra italiana.
Durante i lavori del
congresso vi fu un duro scontro sulla mozione
organizzativa fra chi proponeva l'elezione di una
direzione nazionale da parte del congresso, in
aggiunta allo statutario "Consiglio
Federativo", e chi vi si opponeva perché
pensava che la direzione avrebbe finito con il
controllare la segreteria che, per statuto, doveva
rispondere solo al congresso.
Prevalse una soluzione
di compromesso che prevedeva la costituzione di una
direzione con compiti di coordinamento fra
segreteria, tesoreria, e consiglio federativo. Sempre
dalla mozione organizzativa si desume che i partiti
regionali, i quali avrebbero dovuto costituire il
nucleo principale del partito, non erano stati ancora
costituiti, probabilmente per mancanza di consistenza
numerica e di autonomia di iniziativa politica dei
centri periferici.
Era necessario
provvedere subito alla promozione dei partiti
regionali e, di conseguenza, anche ad una
ristrutturazione degli organi centrali. Quindi il
congresso deliberò di eleggere i membri del
consiglio federativo tenendo conto delle diverse
realtà territoriali; il presidente avrebbe dovuto
avere come compito prioritario assicurare
l'integrazione del consiglio stesso in base ad alcuni
criteri prefissati: elezione da parte di conferenze
territoriali degli iscritti convocate in base ad
aggregazioni interregionali stabilite (146). Tale
integrazione avrebbe dovuto realizzarsi entro il
febbraio 1975. Per assicurare la posizione dei
movimenti federati, quale parte integrante del
partito, venne stabilito che ciascun gruppo o lega
avrebbe avuto il diritto di designare due
rappresentanti in seno al consiglio federativo.
La composizione del
consiglio, per i membri eletti dal XIV Congresso,
rispecchia lo sbilanciamento già notato del partito
verso il Nord dell'ltalia: solo tre consiglieri su
venticinque provengono dal Sud.
Nella mozione politica
del XIV Congresso vi è un aspetto che riguarda
direttamente l'organizzazione del partito: si
prevedeva che, in deroga allo statuto, ogni decisione
di partecipazione alle elezioni a livello nazionale,
regionale e locale (147) avrebbe dovuto comunque
essere deliberata dal consiglio federativo con
criteri unitari. Questa decisione non poteva certo
rafforzare l'autonomia delle associazioni locali, ma
era giustificata dal particolare momento politico e
dallo stato del partito.
La mancanza di
informazione all'interno del partito appare cronica:
al centro mancano notizie sulle iscrizioni dalle sedi
locali (tranne da Milano e da Roma) le quali faticano
oltre tutto a trovare i soldi per pagare
anticipatamente le tessere da richiedere al partito
federale (148).
Ma ben presto gli
organi dirigenti del partito si trovarono di fronte
ad avvenimenti che assorbirono tutte le loro
attività.
Il 1975 è l'anno
della campagna per cinque referendum (aborto,
abrogazione del codice penale militare di pace,
abrogazione dell'ordinamento giudiziario militare,
concordato, norme del codice Rocco contro la libertà
di manifestazione del pensiero); e in particolare
quello per la depenalizzazione dell'aborto occupa un
posto centrale nelle lotte dei radicali, fino a
determinare, nel gennaio 1975, l'arresto del
segretario nazionale del partito Gianfranco
Spadaccia, per le attività legate al CISA. Per
questi motivi il 1975 fu ancora un anno di intensa
mobilitazione nelle piazze e nelle strade, dove i
radicali cercavano il consenso per le proprie
iniziative, piuttosto che attraverso un reclutamento
formale di iscritti. Vennero organizzati 463 comitati
per la raccolta delle firme, di cui il 60% promossi
dal solo partito radicale, che aumentava la propria
presenza di cinque volte rispetto al 1974 (da 67
comitati organizzati a 277) (vedi tabelle 8 e 9).
Venne curata più che altro la campagna pro-aborto,
che era sicuramente il problema più sentito a
livello sociale: si raccolsero 640.000 firme circa,
al di sopra del numero minimo necessario. Rispetto
all'anno precedente, i comitati per il referendum
erano sparsi più diffusamente in tutta Italia e non
solamente nei grossi centri urbani: circa il 800%
delle firme raccolte provengono dai comuni fra i
50.000 e i 450.000 abitanti (149).
TAB. 9
Comitati per i
referendum del 1974 e 1975
PARTITO O MOVIMENTO |
1974 n. comitati organizzati |
% |
1975 n. comitati organizzati |
% |
Partito Radicale (Gruppi
federati e simpatizzanti |
67 |
49,63 |
277 |
59,85 |
UIL |
29 |
21,48 |
15 |
3,24 |
PRI/FGR |
18 |
13,33 |
7 |
1,51 |
PSI/FGSI |
9 |
6,67 |
68 |
14,68 |
|
|
|
|
|
Circoli libertari e anarchici |
8 |
5,93 |
4 |
0,86 |
|
|
|
|
|
Comunità cristiani per il
socialismo |
2 |
1,48 |
- |
- |
|
|
|
|
|
PdUP, AO, altri ex.gruppi
femministi |
2 |
1,48 |
17 |
3,67 |
PLI/GLI |
- |
- |
3 |
0,65 |
PSDI |
- |
- |
2 |
0,43 |
PCI |
- |
- |
1 |
0,21 |
|
|
|
|
|
Gruppi sindacali e aziendali |
- |
- |
13 |
2,81 |
|
|
|
|
|
AIED, circoli culturali vari |
- |
- |
56 |
12,09 |
|
135 |
100,00 |
463 |
100,00 |
Fonte: Cfr. Tabella 8.
Ancora una volta
un'idea di Marco Pannella aveva favorito e affiancato
l'azione delle strutture del partito, che rivelava
peraltro una consistenza maggiore rispetto agli anni
precedenti.
Il leader radicale
inventò la "Lega XIII Maggio - Movimento
Socialista per i Diritti e le Libertà Civili"
per aggregare il consenso intorno all'aborto (150).
In effetti riuscì ad ottenere una pagina settimanale
dedicata all'argomento su "L'Espresso", che
appoggiò finanziariamente l'iniziativa. Il fatto di
rompere l'isolamento e l'ostilità attorno al P.R.,
collegando fra loro vaste forze (U.I.L., Partito
Socialista, P.R.I.) attraverso l'azione di un organo
di stampa contribuì all'esito favorevole della
raccolta delle firme.
Nel 1975 le sedi e i
recapiti del partito radicale aumentarono
considerevolmente: il 24 maggio erano 69, di cui 17
nel Sud (quasi tutti indirizzi privati) e
nell'ottobre arrivarono al numero di 82. Tranne che
nel Molise, in tutte le regioni ormai esisteva almeno
un recapito del partito (tabella 10). Per quanto
riguarda i partiti regionali, alla fine di agosto del
'75 ne risultarono formalmente costituiti 5 (151). In
questo periodo l'articolazione periferica poteva
anche contare sulla organizzazione locale dei
movimenti ad esso federati: la LOC aveva 52 sedi in
tutta Italia, anche in piccoli centri del Sud, e
quindi così potenziata assunse una maggiore
autonomia, pur mantenendo stretti legami ideali con i
radicali. Il movimento di liberazione della donna
aveva 18 sedi, e la sua presenza era influente nelle
regioni centro-settentrionali (152). A quest'ultimo
movimento si affiancava e in qualche località si
sovrapponeva il CISA, che dichiarava l'esistenza di
centri operativi per l'aborto e la contraccezione
nelle seguenti città: Cagliari, Firenze, Genova,
Milano, Roma, Torino, Ancona, Pisa, Sassari, Siena,
Mestre (153). Si può considerare un gruppo di
assalto: dichiarava pubblicamente di aver fatto
abortire dal febbraio al 30 dicembre '75 10.141
donne.
TAB. 10
Sedi e recapiti del
P.R. 1975
REGIONI |
MAGGIO 1975 |
OTTOBRE 1975 |
|
|
|
VALLE D'AOSTA |
- |
1 |
PIEMONTE |
6 |
6 |
LIGURIA |
6 |
6 |
LOMBARDIA |
5 |
6 |
VENETO |
5 |
7 |
TRENTINO SUD T |
3 |
3 |
FRIULI VENEZIA G |
4 |
4 |
EMILIA ROMAGNA |
8 |
8 |
MARCHE |
1 |
3 |
ABRUZZO |
- |
2 |
MOLISE |
- |
- |
UMBRIA |
3 |
3 |
TOSCANA |
8 |
7 |
LAZIO |
1 |
1 |
CAMPANIA |
3 |
5 |
CALABRIA |
2 |
1 |
BASILICATA |
1 |
2 |
PUGLIA |
3 |
4 |
SICILIA |
4 |
5 |
SARDEGNA |
4 |
4 |
ITALIA |
69 |
82 |
Fonte: Per il mese di
maggio, "Notizie Radicali", n. 34, 26
maggio 1975 e "Per un altro 13 maggio", a
cura del P. R., Savelli, 1975; per ottobre
elaborazione di MASSIMO GUSSO, "Il P.R.:
Organizzazione e leadership", CLEUP, Padova
1992, pag. 48.
Il 15° Congresso
(Firenze, novembre 1975) si svolse in un momento
particolarmente importante dal punto di vista
organizzativo per il P.R.: i sistemi di mobilitazione
popolare, la raccolta delle firme nelle piazze,
avevano fatto lievitare non solo l'interesse generico
dell'opinione pubblica verso il partito, ma anche
avevano provocato l'avvicinamento di nuovi militanti.
Tuttavia si poneva davanti ai congressisti il
problema di come gestire una struttura, anzi di come
costruirla, per rendere più efficace l'apporto delle
forze che dalla società stavano emergendo verso i
radicali, un movimento ritenuto, fino a qualche anno
prima, marginale.
Coerentemente, per
adeguare le strutture del partito a siffatta realtà,
la mozione organizzativa del XV Congresso impegnava
gli organi dirigenti del partito ad indire conferenze
organizzative periodiche degli iscritti al fine di
promuovere il dibattito e la discussione sul modello
di partito federale previsto dallo statuto e mai
attuato fino ad allora.
Nell'anno 1975
risultavano iscritte 1.635 persone (154), di cui un
terzo si era iscritto al partito per la prima volta e
soltanto un terzo rinnovava l'iscrizione per l'anno
successivo. Probabilmente l'alto ricambio dei
militanti era dovuto al fatto che molti di essi si
avvicinarono al partito per motivi contingenti,
legati alla campagna per il referendum per l'aborto.
La provenienza geografica degli iscritti si
presentava sempre sbilanciata a favore di Roma
(37,5%) e Milano (12,72%). Nelle altre città il
numero degli iscritti non arrivava a cento, anche se
si nota la presenza di radicali in quasi tutti i
capoluoghi. Se si osserva il dato complessivo di
ciascuna regione, emerge al primo posto il Lazio, col
38% e poi la Lombardia con il 18,22% (155).
4. Si contano i primi
soldi. I bilanci (1973/74/75).
E' interessante
seguire la crescita del partito dal periodo
successivo al congresso di rilancio del novembre 1972
fino al 1975, sulla scorta dei bilanci presentati dai
tesorieri federali ai congressi. Il bilancio del
periodo novembre 1972/novembre 1973, ammontava a
circa 33 milioni (156). Dati più completi si possono
ricavare dal bilancio provvisorio relativo al
semestre 16 ottobre/30 aprile 1973, che indica un
passivo di un milione di lire circa su sedici milioni
di uscite. Un bilancio raddoppiato rispetto a quello
dell'anno precedente (157), ma che dimostra sempre
l'apporto decisivo del volontariato
all'organizzazione: le spese di gestione erano di
soli 6.560.000 lire.
Il bilancio dell'anno
successivo (nov. 1973/nov. 1974), di 60 milioni
circa, indicava un introito doppio rispetto al 1973.
Se a questo risultato si aggiunge il dato relativo
alle sedi locali del quotidiano
"Liberazione" - un giornale autofinanziato,
come tutte le iniziative radicali - si tocca la somma
di 150 milioni di lire. Dunque il partito stava
acquistando una consistenza impensabile fino a pochi
mesi prima. Le spese di gestione sono sempre scarse:
23 milioni circa, di cui solo 5 di rimborso spese a
chi lavorava nella sede del partito. La maggior parte
delle uscite sono per l'informazione e per la
campagna referendaria.
Il bilancio presentato
al XV Congresso di Firenze (novembre 1975) riflette
il sensibile aumento del consenso intorno al partito
rispetto agli anni precedenti. La quota dei
simpatizzanti e dei sostenitori risulta raddoppiata.
Le entrate ammontavano a circa 160 milioni, una cifra
considerevole, se confrontata a quella ricavata nel
1974. Le due voci più importanti nel capitolo delle
uscite riguardano sempre le spese per la stampa di
partito e per la campagna referendaria. Un altro dato
interessante, nel capitolo delle entrate, è quello
sotto la voce "contributo del P.S.I.", 60
milioni, quasi un terzo del totale delle entrate:
l'autofinanziamento, costante negli anni passati, si
riduce o per lo meno non è più preminente rispetto
agli altri titoli di entrata. Problemi organizzativi
esistevano ancora nel partito, come risulta
dall'analisi delle quote versate dagli iscritti:
8.545.000 lire per 1.635 soci. Ciascun iscritto aveva
dunque corrisposto una media di 5.000 lire contro le
15.000 richieste per il tesseramento.
Per comprendere la
reale capacità finanziaria del P.R., è necessario
aggiungere ai dati ricavabili dalla lettura dei
bilanci del partito quelli relativi ai movimenti
federati e soprattutto quelli delle campagne
referendarie.
Per quanto riguarda i
movimenti, abbiamo reperito solo i dati relativi alla
LOC per il 1974 e al CISA per il 1975. La Lega per
l'Obiezione di Coscienza ha un bilancio di circa 6
milioni di lire, e dipendeva ancora economicamente
dal P.R. che contribuiva sia finanziariamente, sia
fornendo le proprie strutture: ad esempio lo spazio
su "Notizie Radicali" per la pubblicazione
del resoconto del congresso della lega (158).
Il CISA, nel 1975
(159), aveva un bilancio finanziario abbastanza
consistente: 79 milioni di entrate, provenienti per
il 90% da sottoscrizioni di donne; 73 milioni di
uscite, ripartite in: 44,5% per contributi ad
interventi abortivi, 30% per la gestione della sede e
per spese di organizzazione o acquisto di materiale,
il rimanente 25,5% per manifestazioni pubbliche.
Riguardo alle campagne
referendarie, è notevole il salto di qualità fra
quella del 1974 e quella dell'anno successivo. Il
bilancio consolidato della prima è di circa 22
milioni (160), totalmente autofinanziata con la
raccolta di contributi ai tavoli e con manifestazioni
pubbliche.
La campagna del 1975
invece contava su un bilancio di 316 milioni circa,
quattordici volte superiore a quello dell'anno
precedente 161. La differenza sostanziale era nel
metodo: nel 1975 sulle entrate contano soprattutto i
contributi del P.S.I. (60 milioni) e quelli de
"L'Espresso" (52 milioni) per il referendum
sull'aborto. Come sappiamo, l'iniziativa ebbe
successo, anche e soprattutto perché sostenuta da
una maggiore capacità finanziaria, e non dalle sole
e limitate forze del PR. Nuova, anche, l'impostazione
politica di questi referendum: un ritorno alla
strategia dell'U.G.I., cioè l'unità delle forze che
si richiamavano alla laicità dello Stato, per il
raggiungimento di un obiettivo preciso, senza
identificarsi sotto le insegne di un singolo partito.
5. L'Italia risponde.
Quattro radicali alla Camera.
Il 1976 per il partito
fu un anno di crescita straordinaria: si moltiplicano
le sedi, le associazioni, ed il numero degli iscritti
diventa triplo rispetto all'anno precedente, ma
soprattutto si avvicinano al P.R. nuovi militanti, in
occasione della campagna elettorale per le
"politiche" del 20 giugno 1976.
I dati del bilancio
provvisorio 15 ottobre '75/20 gennaio 1976 sono lo
specchio dell'eccezionale sviluppo del partito (162).
In tre mesi il bilancio segnava entrate per 45
milioni, 15 milioni al mese, un movimento di mezzo
milione al giorno, cifra impensabile fino ad un anno
prima. Si consideri che per la prima volta era
iscritto un disavanzo di 38 milioni, una somma molto
elevata per le dimensioni del P.R., ma tale sbilancio
testimoniava la vivacità del partito nell'affrontare
molteplici iniziative. Per ripianare il debito la
segreteria del P.R. lanciava una campagna di
tesseramento con l'obiettivo di almeno diecimila
iscrizioni nell'anno 1976, per garantire
l'autofinanziamento del partito (163). Ma le cose non
procedevano secondo la linea stabilita, se osserviamo
che al 20 marzo di quell'anno (164) gli iscritti
risultavano ancora soltanto 1174, e non del tutto in
regola con i pagamenti: ed alla fine di novembre,
alla chiusura del tesseramento, si contavano solo
3.827 iscritti (165). Il mancato raggiungimento
dell'obiettivo, in effetti, non pregiudicava del
tutto le finanze del partito. Se si esaminano,
analiticamente, i bilanci degli anni precedenti e
anche quello del '76 Si può notare che la quota di
autofinanziamento è costituita, in proporzione di
oltre il cinquanta per cento, da contributi di
sostenitori non iscritti e simpatizzanti.
Quest'ultimo dato
conferma la dicotomia già accennata tra iscrizione e
sostegno attivo, ma esterno, al partito. Per cui al
grande potere di richiamo del P.R. intorno alle sue
tematiche corrispondeva un nucleo operativo di
iscritti effettivi assai piccolo.
Altri dati
significativi sono quelli sul numero delle sedi e dei
recapiti, che erano già 125 nell'aprile del '76 ed
arrivarono a 249 nel luglio successivo, anche se
quest'ultima indicazione è da considerare con
riserva, tenuto conto che 206 su 249 risultano, ad un
esame più approfondito, non sedi di partito ma
indirizzi privati 166 (cfr. tabella 11).
TAB. 11
Sedi e recapiti del
P.R. 1976
REGIONI |
APRILE 1976 |
LUGLIO 1976 |
|
|
|
VALLE D'AOSTA |
1 |
1 |
PIEMONTE |
9 |
14 |
LIGURIA |
7 |
9 |
LOMBARDIA |
11 |
23 |
VENETO |
9 |
18 |
TRENTINO SUD T. |
3 |
4 |
FRIULI VENEZIA G |
4 |
4 |
EMILIA ROMAGNA |
9 |
15 |
MARCHE |
10 |
9 |
ABRUZZO |
5 |
12 |
MOLISE |
- |
3 |
UMBRIA |
2 |
6 |
TOSCANA |
13 |
24 |
LAZIO |
7 |
15 |
CAMPANIA |
4 |
22 |
CALABRIA |
1 |
2 |
BASILICATA |
3 |
4 |
PUGLIA |
9 |
25 |
SICILIA |
12 |
30 |
SARDEGNA |
6 |
9 |
ITALIA |
125 |
249 |
Fonte: "Notizie
Radicali", n. 6, 16 aprile 1975 e "Notizie
Radicali", 5, 6 luglio 1976; cfr. M. Gusso, op.
cit.
La prima iniziativa
politica lanciata dal P.R. nel 1976 è quella per la
raccolta delle firme per un progetto di legge di
iniziativa popolare, chiamato "carta della
libertà". Il primo aprile sono segnalati, su
"Notizie radicali" (167), 14 comitati
regionali per la raccolta delle firme, nonché
"i tavoli" sparsi, in tutta Italia,
dall'estremo Sud al Nord, sia nei piccoli che nei
grandi centri. Ma il progetto venne poi abbandonato
perché furono indette le elezioni anticipate.
Ad aprile, dopo il
rifiuto del P.S.I. alla proposta del P.R. di
federarsi, il partito decise di presentare proprie
liste per le vicine elezioni.
Ai primi di maggio il
P.R aprì la sua campagna elettorale, un po'
avventurosamente, con una esposizione debitoria
iniziale di 20 milioni (168). La mancanza di
finanziamenti suggerirà ai dirigenti radicali
fantasiosi espedienti per poter raggiungere
l'elettorato senza spese. Un campionario
propagandistico coerente con la storia del nuovo
partito. La gente viene coinvolta a partecipare non
perché spinta da emozione o da carica ideologica, ma
in quanto effettivamente interessata ai temi di cui
si fanno portatori i radicali. Di qui la
popolarizzazione di ogni iniziativa, anche la più
apparentemente stravagante, ma chiara a tutti nei
fini.
Si crearono occasioni
di contatto con la gente, comizi davanti alle
carceri, concerti e dibattiti improvvisati nei
mercati, nei quartieri delle città, con l'offerta di
rose ai passanti; nei pochi comizi tradizionali gli
oratori facevano passare i microfoni tra il pubblico
presente: tutti potevano prendere la parola per
parlare dei problemi di tutti i giorni; digiuni ed
occupazione delle sedi RAI in tutta Italia, sistemi
di protesta allora inusuali nel nostro Paese, e che
poi faranno scuola presso altre forze politiche
(169).
A tutte queste
iniziative sparse ed improvvisate si affianca la
fondazione di Radio Radicale, a Roma, il 20 marzo
1976 (170), un avvenimento che inaugurerà una svolta
nei sistemi di comunicazione: una nuova tipologia di
"media" non al servizio di un partito, ma
del cittadino come tale, posto così in condizione,
per la prima volta, di partecipare, cioè di essere
anche soggetto della comunicazione.
L'apporto di questa
radio è ritenuto determinante per il raggiungimento
del quorum, che consentì l'accesso al Parlamento di
quattro rappresentanti dei partito radicale: il
quoziente fu ottenuto a Roma, dove trasmetteva la
radio e dove, da sempre, operava il nucleo più
consistente.
Il P.R. ottenne nelle
elezioni del '76 l'1,1 per cento, alla Camera.
Dall'analisi del risultato elettorale, disaggregato,
emerge chiaramente la caratteristica urbana del voto
radicale (171). Infatti il voto ottenuto nei
capoluoghi era il 47,3 per cento del totale, mentre
il complesso dei voti validi dei capoluoghi assommava
il 30,8 per cento dei voti espressi in tutta Italia.
Il voto appare concentrato soprattutto al
centro-nord. Tuttavia il dato relativo alla
preponderanza urbana di questo voto è costante dal
Nord al Sud del Paese: in quattordici città
meridionali le percentuali del voto radicale superano
la media nazionale.
Dall'analisi di questi
risultati elettorali si rileva che, ormai, la
presenza radicale era diffusa in tutta Italia,
indipendentemente dalla consistenza della struttura
organizzativa del partito.
6. Dopo il successo
elettorale. La disorganizzazione scientifica. Nasce
la ribellione interna.
Dopo l'insperato
successo elettorale, il P.R. subiva una sorta di
sommovimento, che determinerà delle forti tensioni
interne. Fu sicuramente una crisi di crescita,
perché gli iscritti regolari passarono dai 1600 del
'75 ai 3.800 del '76; ma soprattutto si avvicinarono
al partito alcune migliaia di simpatizzanti dando un
notevole contributo alla campagna elettorale. Il dato
più significativo è però un altro: energie nuove
s'immettono nell'orbita del partito poiché su 3.827
iscritti ben 3.300, dunque una percentuale altissima,
sono nuovi militanti (172). Questo ricambio pose al
nucleo storico del partito il problema di come
valorizzare la nuova ingente militanza, senza
snaturare il carattere originario ed originale del
partito stesso.
I rifondatori del
P.R., in definitiva il "gruppo romano" che,
come abbiamo visto, cercava sempre di conservare una
forte identità ed omogeneità, si vide
improvvisamente, al di là da ogni aspettativa, quasi
assediato, assalito da persone che entravano per la
prima volta a contatto con i radicali e con metodi
propri: essi provenivano da altre esperienze
politiche, e quindi avevano aspettative diverse e
cercavano il partito tradizionale (sezioni
territoriali, organizzazione puntuale, finanziamenti
dal centro).
Questa nuova massa di
militanti, per lo più molto giovani, avevano alle
spalle un patrimonio teorico diverso rispetto ai
radicali: erano stati protagonisti e testimoni del
'68, molti erano ex appartenenti a gruppi
extraparlamentari, dunque portatori di esperienze
estranee alla tradizione radicale.
Le istanze proposte da
questa pluralità di persone dalle più diverse
matrici culturali e ideologiche non potevano essere
accolte da Pannella, Spadaccia e gli altri perché
l'organizzazione prevista nello statuto del P.R.
prefigurava quella società socialista e libertaria
che essi si ponevano come obiettivo. Sicché, per il
vecchio nucleo del partito ogni deviazione dal
modello federativo rischiava di far fallire il
progetto politico radicale.
In verità, questo
statuto, tanto esaltato e difeso dalla dirigenza
storica del partito, non era mai stato fino ad allora
reso operante: la mancata attuazione della carta
fondamentale del P.R. era dovuta, secondo la
segreteria, al perenne difetto delle condizioni
oggettive, quantitative e numeriche. Quindi, lo
statuto era inadeguato alla realtà del paese oppure
il P.R. non aveva fatto nulla per creare le
condizioni atte ad espandere la presenza radicale.
Una sorta di circolo vizioso che chiudeva in se
stesso questo partito, che pur aveva nella sua idea
costitutiva una enorme potenzialità.
Negli anni precedenti
il partito, formato da piccoli numeri, era stato
naturalmente più omogeneo; l'irrompere nella vita
del P.R. di tanti nuovi militanti, non chiamati,
trovò impreparati e forse anche perplessi quei
gruppi tra loro familiari per tante battaglie fatte
insieme e per comune matrice culturale. E questi
nuovi militanti non si accontentavano di una
partecipazione assembleare ed occasionale, ma
pretendevano di contribuire ad inventare un partito
sempre "in progress".
I nuovi arrivati
formulavano proposte insolite per la tradizione
radicale, per esempio volevano che il partito
cominciasse ad occuparsi di economia, e soprattutto
esigevano che nei congressi si dibattessero argomenti
di politica generale, ritenendo insufficienti a
definire la strategia di un partito gli obiettivi
concreti e limitati che si erano sempre posti i
radicali. A questo proposito Pannella osservò che
"se il congresso radicale avesse ceduto agli
istinti dei grandi dibattiti politici, se avessero
prevalso le irresponsabilità di certi aderenti che
vivevano il partito come sfogo ludico per le loro
capacità oratorie, il partito radicale sarebbe
diventato l'eco dei falsi dilemmi inoculati dal
sistema e dal regime" (173).
E riferendosi
all'impetuosa crescita del P.R., il leader storico
scrisse che si stava assistendo ad una nuova edizione
della vecchia favola esopiana: le rane sarebbero
scoppiate perché si sarebbero credute dei buoi
(174).
La segreteria
radicale, dopo le elezioni del 20 giugno 1976, si
trovò così ad affrontare, contemporaneamente, i
problemi derivanti dall'improvvisa crescita del
partito e quelli legati alla legge sul finanziamento
pubblico dei partiti. Il P.R. si era sempre opposto
alla legge che aveva autorizzato siffatto
finanziamento, anzi aveva cercato di raccogliere le
firme per un referendum abrogativo, nell'anno
precedente, ma non riuscì nell'intento.
Tutti i partiti
avevano potuto muovere le loro macchine organizzative
grazie a finanziamenti, pochi ed incerti, provenienti
dal tesseramento, e soprattutto da fonti occulte. Il
P.R., viceversa, sempre sgangherato, aveva
perennemente sbandierato la sua povertà, la mancanza
di mezzi, l'impossibilità di comunicare
convenientemente il suo messaggio all'opinione
pubblica nazionale.
Le invenzioni, gli
espedienti e le "trovate" propagandistiche
non potevano tuttavia sostituire una struttura
organizzativa, anche elementare, ma indispensabile
per rendere operative le scelte politiche.
Ecco perché la
decisione dei radicali sul tema del finanziamento
pubblico dei partiti non fu facile: da un lato essi
erano contrari per evidenti ragioni di principio,
dall'altro erano pressati da necessità vitali, di
sopravvivenza del partito. Una prima risposta a
questo dilemma, venne dal consiglio federativo del
P.R., che, riunitosi a Roma il 5 luglio 1976 (175),
decise di rifiutare il finanziamento pubblico, ad
eccezione della quota relativa al rimborso delle
spese elettorali, perché ritenevano quest'ultimo
tipo di spese utili "alla vita politica
collettiva". Cioè quel denaro pubblico avrebbe
consentito l'accesso alla politica a categorie fino
ad allora non rappresentate. Tuttavia la decisione
definitiva, se accettare oppure no il denaro dello
Stato, fu demandata ad un congresso straordinario,
convocato per il 16-18 luglio 1976, il quale sarebbe
stato anche chiamato a definire la questione
dell'organizzazione del partito.
Il congresso
straordinario si svolse in un clima particolarmente
acceso. I congressisti cominciarono col presentare
mozioni per modificare lo statuto. Angiolo
Bandinelli, uno dei rifondatori, propose invece di
"tornare" allo statuto, nella parte in cui
esso prevedeva l'attuazione del modello federativo,
per cui anche il congresso stesso non doveva essere
formato dall'assemblea degli iscritti ma dai delegati
delle singole associazioni (176).
Prevalse la linea di
Pannella, fatta propria anche dal segretario
nazionale Gianfranco Spadaccia, della
"disorganizzazione scientifica", un metodo
per evitare che il P.R. si trasformasse in un partito
tradizionale, burocratico e clericale (177). Pannella
argomentava la sua scelta rifacendosi alle
indicazioni libertarie, autogestionarie e federative
dello Statuto. Era dell'avviso che le strutture
nazionali del partito, e quelle locali già
costituite, avrebbero dovuto essere
"disordinate" nella prassi e negli
strumenti per consentire la organizzazione della
nuova realtà militante ed associativa presente nel
P.R. In concreto, egli auspicava che il partito
avrebbe dovuto essere strutturato nel seguente modo:
le strutture nazionali sarebbe diventate semplici
strumenti di informazione e di servizio; i partiti
regionali si dovevano concentrare su pochi obiettivi
comuni e per il resto svolgere compiti di
coordinamento e di servizio per le associazioni
locali. Anche queste ultime, che fino ad allora erano
costituite da associazioni territoriali, in contrasto
con lo spirito dello statuto, dovevano disaggregarsi,
sicché ogni militante avrebbe dovuto fondare una
nuova associazione che a sua volta doveva riunire i
suoi soci su di un tema e non per una comune
appartenenza territoriale.
Insomma si voleva
cancellare il sistema delle sezioni o cellule, luoghi
non di dibattiti originali, ma soltanto casse di
risonanza degli organi centrali. L'idea della nuova
organizzazione esposta da Pannella fu fortemente
contrastata dai congressisti, in particolare da
Giulio Ercolessi, ex segretario del partito, il quale
osservò che "la disorganizzazione
scientifica" propugnata dal leader storico
radicale era, in realtà, "l'organizzazione dei
vertici che estromettono la base" (178).
L'opposizione a Pannella non riuscì a prevalere: il
congresso si svolse a Roma, e quindi il gruppo romano
poté far sentire il suo appoggio a Pannella, la cui
mozione alla fine fu accolta, con una maggioranza
superiore ai tre quarti dei votanti.
I presenti alla
votazione erano soltanto 596 su circa tre mila
tesserati, e in larga parte, si può presumere,
provenienti da Roma e dal Lazio (179).
Sul delicato tema del
finanziamento pubblico ai partiti, il congresso si
pronunciò nel senso proposto dal consiglio
federativo, cioè di accettare il rimborso delle
spese elettorali da distribuire tra i partiti
regionali, e dava mandato di congelare la restante
quota di spettanza del partito radicale, in modo da
evitare che tale quota fosse assegnata agli altri
partiti (180). In pratica la decisione circa
l'utilizzo dei fondi pubblici fu rinviata sine die.
In coda al congresso,
la segreteria federale diffuse un proprio documento
sullo stato del partito (181), allo scopo di
giustificare le scelte organizzative dei primi dieci
anni di vita.
In questo documento si
ricordava che i costituenti radicali del '67
"non si preoccuparono di fare uno statuto che
regolasse la convivenza interna del fragile partito
appena rifondato, quanto di prefigurare un tipo di
organizzazione diverso ed alternativo rispetto a
quello sperimentato dalla sinistra".
Cosicché lo statuto
doveva essere considerato non un punto di arrivo ma
una base di partenza, e quindi un modello da
costruire.
La mancata attuazione
della carta fondamentale del partito, secondo la
dirigenza radicale, era motivato dalla scarsità
delle forze militanti. E, scendendo all'analisi della
struttura territoriale del partito, nel documento si
affermava che l'esperienza regionale doveva
considerarsi fallimentare. Perché gli unici partiti
regionali fino ad allora costituiti avevano avuto
semplicemente una funzione "promozionale"
(Lazio, Campania, Emilia-Romagna) oppure di semplice
coordinamento fra le diverse associazioni della
regione (Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia,
Toscana); in tutte le altre regioni il partito
regionale non esisteva.
L'effervescenza
interna del P.R. continuò, oltre la fase
strettamente congressuale, tanto da spingere Marco
Pannella a prendere una posizione precisa sulle tesi
che erano argomento di vivace dibattito e scontro nel
partito. Pannella espose la sua posizione in un
articolo pubblicato su "Prova radicale",
nell'ottobre del 1976, nel quale notava che molti di
quelli che si erano avvicinati al partito per la
prima volta non potevano non portarsi dietro il
carico di tutto il loro passato, "la zavorra
della cultura prevalente di regime e di
sistemi". Questa eredità culturale ed
ideologica dei nuovi militanti avrebbe potuto
trasformare il partito in un organismo diverso
rispetto a quello pensato dai rifondatori.
Pannella avverte che
il P.R. non è un partito "come lo si intende in
genere e si chiama partito proprio per contendere
agli altri partiti perfino il termine del quale si
sono storicamente e perniciosamente appropriati"
(172). La crescita impetuosa dell'opinione radicale,
e quella conseguente del movimento hanno trasferito
nel partito contraddizioni e situazioni dalle quali
il P.R. era immune. Il successo radicale non deve
essere speso per occupare posizioni di potere locale.
Insomma, affermava
Pannella, "bisogna capire che il partito
radicale non è che uno strumento centrale di
servizio, di coordinamento, di esecuzione dello
scontro con le istituzioni". Le grandi
battaglie, secondo Pannella, si devono svolgere nel
territorio. Sicché, se i partiti regionali fossero
più adulti ed attivi, il momento nazionale sarebbe
meno oppressivo, e non sarebbero necessarie quelle
assunzioni centrali di responsabilità, come digiuni
sempre più rischiosi, arresti più frequenti e
lunghi, che poi servono per trasmettere segni di
"esistenza e di raccordo alla gente nei momenti
cruciali di battaglie altrimenti perse in
partenza". Pannella concludeva rendendo noto il
suo proposito di abbandonare il partito e di
ricominciare da solo, da capo, se il Congresso avesse
avuto un esito inadeguato alle necessità
irrinunciabili delle lotte politiche allora presenti.
Al 17° congresso
(Napoli, novembre 1976) emersero, per la prima volta,
contrasti all'interno del "gruppo romano",
fra Pannella e Spadaccia da una parte e Teodori
dall'altra. Teodori si era fatto portatore di quei
settori che reclamavano una riorganizzazione del
partito, sull'onda del successo elettorale che aveva
rivelato al Paese l'esistenza di una consistente
opinione radicale. Egli voleva che questo consenso
non fosse disperso e per mantenerlo chiedeva che
finalmente si ponesse mano ad una sia pure elementare
organizzazione (183).
Il congresso si chiuse
con una mozione organizzativa (184) che rispecchiava
le posizioni di Pannella e Spadaccia. I punti
salienti della mozione non facevano che ribadire la
filosofia organizzativa originaria del partito,
connessa, necessariamente, con quella politica,
sempre finalizzata alla strategia dei referendum per
i diritti civili. Si prendeva atto della costituzione
di 13 partiti regionali e della presenza di sette
gruppi federati.
Finalmente si decise
per una più articolata organizzazione tra i vari
organismi centrali, territoriali e gruppi federati,
una più ampia circolazione di informazioni interne a
mezzo di "Notizie Radicali" (agli iscritti)
e dell'agenzia radicale da inviare ai partiti
regionali. Si deliberò di costituire un comitato
nazionale di coordinamento per la realizzazione degli
adempimenti tecnici in occasione dei referendum. Si
decise, infine, di attivare in ogni regione
manifestazioni secondo la specifica tradizione del
P.R.; di chiedere l'accesso alla TV di Stato, usando,
dove possibile, le radio e televisioni libere
(commerciali); di cercare accordi con quotidiani e
periodici. Una gamma di iniziative finalizzate ad
uscire dal silenzio che i "media" legati ai
partiti ed al conformismo clericale allora imperante
avevano usato contro il P.R.
Il 17° congresso
delibera formalmente di sostituire (di fatto era già
avvenuto alle elezioni politiche) nello statuto il
simbolo del partito "testa di donna con berretto
frigio con la dicitura partito radicale, con il
simbolo rosa nel pugno, sempre con la dicitura
partito radicale". Da allora in avanti i
radicali saranno identificati presso l'opinione
pubblica come il partito della rosa nel pugno.
Dopo le elezioni
politiche del 20 giugno '76, a Roma in via di Torre
Argentina, sede del P.R. nazionale, nascono sette
nuove organizzazioni che "Notizie radicali"
definisce "non sigle, ma lotte" (185).
I fatti, invece,
diranno che questi nuovi comitati, avranno vita solo
sulla carta, tranne il CARM (Comitato abolizione
regolamenti manicomiali) ed il FRI (Fronte radicale
invalidi). Le finalità del CARM erano l'abolizione
dei regolamenti manicomiali e la gestione degli
istituti di igiene mentale da parte degli stessi
pazienti, e la lotta contro ogni forma di repressione
all'interno degli istituti psichiatrici. Due tra
queste organizzazioni, pur rimaste sigle, sono
rilevanti, perché individuarono, con un anticipo di
dieci anni, alcuni fondamentali bisogni civili per la
cui difesa sono sorti dei movimenti di opinione
soltanto alla fine degli anni Ottanta. Ci riferiamo
al MLB, Movimento Liberazione dei Bambini ed al
BRAVA, "Battaglia radicale contro la violenza
sugli animali", costituito per combattere ogni
forma di violenza praticata sugli animali, a
cominciare dalla vivisezione.
In occasione del
Congresso di Napoli fu condotta una prima indagine
sulla composizione sociale e sugli atteggiamenti
politici dei militanti radicali. Questa ricerca
costituisce uno spaccato abbastanza approfondito e
attendibile su di un partito che, pur nato e
cresciuto fuori della tradizione politica italiana,
raccoglieva già un consenso ed una militanza
notevoli (186).
Da questa indagine
risulta che il 64,9 per cento dei soggetti
intervistati risiedeva in città superiori ai 150
mila abitanti, confermando quel dato che abbiamo già
rilevato circa la caratteristica prevalentemente
urbana del P.R. Apparve che il 61,4 per cento dei
militanti avevano un'età al di sotto dei trent'anni;
quanto all'occupazione, gli iscritti radicali
risultarono per il 28 per cento studenti
universitari, per il 14,7 per cento impiegati e poi
il 13,6 per cento professori di ogni ordine e grado.
Quindi una militanza proveniente dai ceti medio-alto
borghesi, giovanile ed urbana, e di residenza nel
triangolo industriale. Tra i tesserati al di sotto
dei 25 anni, si allargava la base sociale al
proletariato, un dato che si spiega con la carica
libertaria delle lotte radicali.
Un altro aspetto di
questa indagine riguardava la ricerca sui motivi
dell'iscrizione al P.R.: il 75 per cento degli
intervistati dichiarò di essersi avvicinato al
partito radicale per contribuire alle battaglie sui
diritti civili; il 56,1 per cento perché riteneva il
P.R. una organizzazione libertaria ed
antiburocratica, il 40 per cento perché
privilegiava, nelle lotte politiche, i metodi non
violenti, il 42 per cento perché era d'accordo con
la strategia dell'alternativa di sinistra. Come si
vede si trattava non di una adesione orientata su di
un tema specifico, ma di una scelta
"ideologica", come approvazione del
progetto politico del partito radicale.
Nel questionario
adottato per l'indagine si chiedeva agli intervistati
se l'iscrizione al movimento federato aveva preceduto
o seguito l'iscrizione al P.R., con lo scopo di
verificare se i movimenti funzionassero concretamente
da canale di reclutamento per il partito. Le risposte
non danno una indicazione sicura, perché una
percentuale molto simile si era iscritta al P.R. sia
dopo che prima dell'ingresso nel movimento federato.
Comunque, dato che il 55,3 per cento del totale degli
iscritti ai movimenti federati si iscrive
contemporaneamente al partito, si poté supporre che
i movimenti federati non costituivano un canale di
reclutamento del partito; e ciò è confermato dalla
motivazione ideologica che determinava la più parte
a militare nel P.R.
Quanto alle
prospettive strategiche del partito, un dato
importante uscì fuori da queste risposte: il 29,9
per cento degli intervistati indicò che allo
sviluppo delle lotte radicali doveva corrispondere
esclusivamente il rafforzamento del P.R. e la sua
crescita. Da altre coppie di domande affiorò la
volontà, da parte del 70% dei militanti, di una
maggiore organizzazione, insomma il desiderio di
porre mano ad una struttura, sia pure non burocratica
ed accentratrice.
A questo punto di
svolta il P.R. si pose il dilemma fra crescita
organizzata oppure accettazione di una diminuzione
del consenso. Ma la crescita organizzata avrebbe
urtato contro i principi informatori originari del
P.R., improntati al rifiuto del professionismo della
politica ed al conseguimento delle aspirazioni
libertarie e socialiste, da attuare con metodi
eretici e fino ad allora non adottati nel nostro
Paese.
In verità i numeri
avevano sorpreso la dirigenza radicale, non del tutto
convinta che il proprio messaggio potesse avere una
rispondenza così ampia.
E, inspiegabilmente,
per gioco politico o reazione psicologica, come del
resto accadrà anche in successivi momenti di
successo, nascerà nei leaders una tendenza
"suicida"; e cioè il rimpianto nostalgico
dei tempi in cui erano pochi, malpresentati, isolati
e sconosciuti alle masse, e con il desiderio di
ricominciare tutto da capo. Una tattica? Un fatto
emotivo? Un pessimismo che forse veniva dai
progenitori "amici del Mondo", diffidenti
per cultura verso i partiti di massa? E' difficile
rispondere con certezza alla luce dei quasi
trent'anni di storia del P.R., il cui filo conduttore
qualche volta pare indecifrabile all'indagine
storica, quantomeno in mancanza di documentazioni
sufficientemente precise.
NOTE
(124) MARCELLO
CRIVELLINI, "Rapporto sul partito
federale", ottobre 1982, Ciclostilato,
(125) Cfr. pp. 53-56.
(126) Cfr. MASSIMO
GUSSO, "Il partito Radicale, Organizzazione e
leadership", CLEUP, Padova, 1982, pp. 88-89;
ANGIOLO BANDINELLI, "Sul federalismo radicale.
Ricordando Giuliano Rendi", "Quaderni
Radicali", n. 7, ottobre-dicembre 1979, pp.
58-74.
(127) M. PANNELLA,
"E' ora di decidere con o senza il Partito
Radicale", "La prova radicale", n. 1
autunno 1971, PP. 48-50.
(128) "Notizie
radicali" n. 173, 20 ottobre 1972, ciclostilato.
(129) Vedere Appendice
p. 225.
(130) Fino all'82
venivano considerati iscritti anche coloro che non
avevano versato l'intera quota d'iscrizione, in
contrasto con lo Statuto del partito. Cfr.
"Rapporto sul partito federale" - 82, cit.,
pag. 32.
(131) Cfr. TEODORI,
"I nuovi radicali", cit. p. 138.
(132) Vedi appendice
p. 216 e ss.
(133) ANGIOLO
BANDINELLI, "Il partito e le lotte",
"Notizie radicali", n. 1, N. 5., 10 gennaio
1973, p. 1 e p. 8.
(134) Cfr.
"Notizie radicali" nn. 193-194, 10 aprile
1973.
(135) TEODORI, "I
nuovi radicali", cit. pp. 344-354 - Per la
storia dei primi cinque anni di lotta del MLD:
MLD-PR, "Contro l'aborto di classe", a cura
di M. A. Teodori Savelli, 1975.
(136) TEODORI, OP.
cit., Ibidem.
(137) MARCO PANNELLA,
"Il PR ha deciso: otto referendum",
"Liberazione", n. 34 9/11/1973.
(138) Cfr. p. 137 e
ss.
(139) Cfr.
"Notizie radicali", n. 334, 30 novembre
1974, p. 8.
(140) La cifra è
riportata in "Notizie radicali", n. 334,
Ibidem. Secondo MASSIMO GUSSO, "Il PR:
Organizzazione e leadership", cit. p. 45, gli
iscritti sarebbero in realtà meno di milleduecento.
(141) Cfr.
"Notizie radicali", n. 151, 28 novembre
1975.
(142) Cfr. appendice
p. 226.
(143) Cfr. pp. 43-44.
(144) PIERO IGNAZI,
"I radicali dal 1976 al 1979: tre ricerche a
confronto", "Argomenti radicali", n.
16, giugno-ottobre 1980, p. 63.
(145) Cfr. pp. 137-141
(146) Le aggregazioni
previste sono le seguenti: 1) Piemonte-Liguria (meno
La Spezia)-Valle D'Aosta; 2) Lombardia; 3)
Veneto-Trentino Sud Tirolo; 4) Friuli Venezia Giulia;
5) Emilia Romagna-Marche; 6) Lazio-Abruzzo-Molise; 7)
Toscana-Umbria-La Spezia; 8) Campania-Calabria; 9)
Puglia-Basilicata; 10) Sicilia, 11) Sardegna. cfr.
"Notizie Radicali", n. 334, Ibidem.
(147) Nel 1975 c'era
la scadenza delle elezioni amministrative.
(148) Cfr.
"Notizie radicali", n. 265, 18 gennaio
1975.
(149) Cfr. MASSIMO
GUSSO, "Il PR organizzazione e leadership",
Padova 1982, p. 49.
(150) In effetti la
Lega XIII Maggio si identificava con la persona di
Marco Pannella: era solo una sigla da imprimere alle
iniziative, forse per suscitare una maggiore
credibilità.
(151) Risultano
costituiti i partiti regionali in Lombardia,
Piemonte, Lazio, Emilia Romagna e Veneto.
"Notizie radicali", 10/10/79, p. 7 tavola
VII.
(152) Per la LOC:
Contro il servizio militare, Savelli, 1975. Per il
MLD: CISA-MLD, "Aborto: facciamolo da noi",
Roma, 1975.
(153) CISA-MLD,
"Aborto...", Ibidem.
(154) "Notizie
radicali", 10/10/79, p. 7, Tavola VII.
(155) Nostra
elaborazione da "Notizie radicali", n.
42,13/10/76.
(156) TEODORI, op.
cit., p. 138.
(157) Cfr. pp. 82-83.
(158) "Necessaria
l'autonomia finanziaria", "Notizie
radicali", n. 625,18 gennaio 1975, p. 5.
(159) CISA,
"Bilancio di un anno di disobbedienza
civile", "Notizie radicali", n. 4, 3
marzo 1976, p. 3.
(160) Cfr.
elaborazione di M. GUSSO, op. cit.
(161) Cfr.
elaborazione di MASSIMO GUSSO, op. cit.
(162) Bilancio
pubblicato su "Notizie radicali", n. 2, 7
febbraio 1976, p. 4.
(163) "Notizie
radicali", n. 2, Ibidem.
(164) "Notizie
radicali", n. 5, 1° aprile 1976, p. 3.
(165) "Notizie
radicali", n. 42, 13 aprile 1976, p. 4.
(166) L'elenco è
stato pubblicato in Notizie radicali, n. 15, 6 luglio
1976.
(167) "Notizie
radicali", n. 5, 1° aprile 1976, p. 2.
(168) "Cronache
elettorali, una campagna radicale", "Prova
radicale", n. 2 luglio - agosto 1976, p. 13.
(169) La campagna
descritta, con un certo compiacimento, dai
protagonisti, nel giornale "Prova
radicale", "Cronache elettorali",
cit., Ibidem.
(170) "Notizie
radicali", n. 5, 1° aprile 1976, p. 4.
(171) Per l'analisi
del risultato elettorale abbiamo consultato
"Prova radicale" che, nel n. 2 cit.,
pubblica alcune tabelle e disaggregazioni, ad opera
di GIANFRANCO SPADACCIA (pp. 16-22). Ci siamo basati
anche su un saggio sul voto radicale che appare nel
volume "I nuovi radicali", redatto da
Angelo Panebianco con la collaborazione di Massimo
Teodori.
(172) "Notizie
radicali", 10/10/79, p. 7, tavola 7.
(173) MARCO PANNELLA,
"E se smettessimo di fare i radicali",
"Prova radicale", n. 2, ottobre 1976.
(174) PANNELLA,
ibidem.
(175) "Notizie
radicali", n. 17, 26 luglio 1976.
(176) ANGIOLO
BANDINELLI, "Torniamo allo statuto",
"Notizie radicali", n. 15, 6 luglio 1976,
p. 3.
(177) Cfr.
"Notizie radicali", n. 17, 26 luglio 1976.
(178) Giulio
Ercolessi, citato da RENATO VIVIAN, "Dentro il
PR: Analisi diacronica dei rapporti dei militanti
radicali con lo statuto del partito", a cura
dell'Associazione Radicale di Udine, 1981, p. 28.
(179) "Notizie
radicali", n. 18, luglio 1976, inserto speciale
"atti 16° congresso straordinario", p. 2.
(180) Mozione del 16°
congresso.
(181) "Documento
postcongressuale della segreteria sullo stato del
partito", pubblicato in "Notizie
radicali", n. 13, ibidem.
(182) MARCO PANNELLA,
"E se smettessimo di fare i radicali?",
cit.
(183) Cfr. GIANFRANCO
SPADACCIA, "Con i referendum contro il
regime", "Prova radicale", n. 5,
dicembre 1976, p. 10.
(184) Mozione
organizzativa, 17° Congresso ordinario del PR,
novembre 1976 "Notizie radicali", n. 182,15
nov. 1976.
(185) "Notizie
radicali", n. 17, 26 luglio 1976, p. 2.
(186) PIERO IGNAZI,
ANGELO PANEBIANCO, "I militanti radicali:
composizione sociale e atteggiamenti politici",
in AA.VV., "I nuovi radicali", Mondadori,
MI, 1977, pp. 213-262.