PREFAZIONE
Nel 1956 la sinistra
liberale, uscita dal P.L.I. in seguito alla svolta
moderata impressa al partito dalla segreteria di
Malagodi, aveva ridato vita al partito radicale, una
sigla e un'organizzazione che per un quarantennio
fino alla prima guerra mondiale avevano rappresentato
l'ala più avanzata dei movimenti democratici
italiani contribuendo in modo determinante ad alcune
svolte fondamentali, come l'adozione del suffragio
universale nel 1911-12. Nel primo dopoguerra, il
partito radicale era confluito nella Democrazia
Sociale, presto travolta, come gli altri partiti, dal
consolidamento al potere del fascismo. Né era rinato
dopo la seconda guerra mondiale.
La sinistra liberale,
e in particolare il nucleo attorno a "Il
Mondo" di Mario Pannunzio, lo avevano
ricostituito proprio per impedire che la tradizione
liberale italiana fosse identificata con il
moderatismo del P.L.I. e anzi per rivendicare la
forza della tradizione liberal-progressista. Era
stata un'esperienza importante e significativa, che
aveva accompagnato e secondato il graduale avvio
verso il centro-sinistra contrapponendosi
all'ostilità liberale, ma che era bruscamente
cessata di fronte alle ripercussioni sconvolgenti
delle polemiche sul caso Piccardi. Il partito
radicale si era dissolto.
Ne salvò e ne rilevò
la sigla l'ala estrema del partito, guidata da
Pannella, che vi impresse tuttavia finalità, spirito
e organizzazione totalmente diversi. Quanto il
precedente partito radicale era stato un partito
progressista ma tradizionale, proiettato ad inserirsi
nella lotta politica italiana, con intenti
progressisti ma effettivamente concretizzabili nello
schieramento e nelle prospettive
politico-parlamentari di allora, come l'apertura al
P.S.I. e l'avvio al centro-sinistra, e l'isolamento
del P.C.I., tanto il nuovo partito radicale si pose
fuori dagli schemi, definendosi "socialista,
laico e libertario", puntò ad una lotta a fondo
contro la D.C. e al contrario all'aggregazione di
tutta la sinistra compreso il P.C.I., alla difesa
strenua dei diritti individuali, all'antimilitarismo,
alla lotta contro il concordato, al divorzio, alla
liberalizzazione dell'aborto; il tutto basandosi su
un'organizzazione labile aperta all'aggregazione di
gruppi contestatori eterogenei.
Il partito radicale
che abbiamo visto negli ultimi decenni dal 1962 è
questo: lo è stato quanto meno fino agli scorsi anni
allorché inserendosi nel collasso dei regimi
comunisti dell'Europa centro-orientale ha avviato un
processo transnazionale; lo è stato soprattutto nel
decennio fra il '70 e 1980, in cui più rilevante è
stato il suo operato e il suo ruolo, di gran lunga
superiore alla limitata entità numerica ed
elettorale.
L'impostazione
originaria risente certamente della provenienza di
molti dei nuovi esponenti dall'esperienza delle
organizzazioni universitario-studentesche, dalla loro
esasperata vocazione laica al rapporto non
conflittuale con i settori comunisti, così il
rifiuto del centro-sinistra, in quanto
contraddittorio con il fine prioritario della
battaglia contro la D.C., e l'avvicinamento al
P.S.I.U.P. e al P.C.I. nelle amministrative del '66,
ma così anche più tardi - nei primi anni settanta -
il sostanziale isolamento via via che la crisi del
centro-sinistra portava alla solidarietà nazionale
anziché all'alternativa D.C. Tuttavia, proprio
l'impostazione "tematica" indicò presto al
nuovo partito radicale la via da seguire. Non la
grande prospettiva dell'impossibile coagulo di tutta
la sinistra italiana contro la D.C., data la
insuperabile divaricazione fra repubblicani e
socialisti da una parte, e comunisti dall'altra,
sulle tematiche interne e più ancora su quelle
internazionali; invece l'affrontare problemi
specifici sui quali i partiti di sinistra - e anche
altri - si trovassero concordi al di là della
contrapposizione fra maggioranza di governo e
opposizione; o meglio fossero sospinti - proprio e
anche dalla forte sollecitazione radicale - a
superare le reciproche posizioni. Si intende che
occorrevano tematiche che non toccassero i cardini
della contrapposte scelte politiche: i diritti
individuali più che altri si prestavano al questo
scopo tanto più dopo il '68, che pur con tutte le
sue estremizzazioni classiste portava anche una
ventata di rivendicazioni singole fino ad allora
misconosciute o contenute. Il principale problema su
cui i radicali puntavano per questa linea di
iniziative trasversali ai partiti fu il divorzio.
Già nella seconda e
terza legislatura erano stati presentati i progetti
di legge per l'introduzione del divorzio
nell'ordinamento italiano, ma non erano arrivati al
voto; nella quarta, nel pieno del centro-sinistra di
Moro, il deputato socialista Loris Fortuna aveva
presentato un nuovo progetto, sul quale si accentrò
lo sforzo massimo del nuovo partito radicale, anche e
soprattutto mediante la Lega italiana per
l'istituzione del divorzio (L.I.D.), appositamente
creata del 1966. Anche in quella legislatura il
progetto non andò in porto, ma nella successiva
(1968-72) il nuovo progetto unificato Baslini-Fortuna
divenne legge dopo l'approvazione alla Camera alla
fine di novembre del '69, ed al Senato nell'ottobre
successivo. Quello che segui è ben noto: la D.C. -
isolata con l'M.S.I. - aveva consentito che il
problema non coinvolgesse i fragili legami della
maggioranza di centro-sinistra purché si desse
attuazione al dettato costituzionale del referendum
abrogativo: strumento del quale si servirono i
settori cattolici intransigenti, con la conseguenza
che per evitare la prova referendaria si giunse nel
'72 al primo scioglimento anticipato del Parlamento.
A questo si accompagnò la conversione del partito
radicale, che dall'iniziale opposizione alla prova
referendaria passò a sostenerla per evitare che in
sede parlamentare si addivenisse ad un parziale
stravolgimento della legge; e infine due anni dopo,
nel giugno del '74, lo svolgimento del primo
referendum della Repubblica italiana, e la vittoria
dei divorzisti.
La battaglia per il
divorzio provoca e ad un tempo esemplifica le
caratteristiche di fondo del partito radicale:
impegnarsi su una tematica di grande rilievo nella
società e su questa forzare l'adesione di partiti
fra loro contrapposti e magari restii ad affrontarla,
ma impossibilitati ad ignorarla se trascinati; e
proprio per questo tipo di battaglia trasversale
valorizzare organismi specifici, di volta in volta
creati per aggregare forze eterogenee di sostenitori,
a detrimento dell'organizzazione partitica; infine la
scoperta del referendum come strumento innovatore di
democrazia diretta, e soprattutto come strumento di
aggregazione di voti singoli su problemi singoli
scavalcando il prepotere partitocratico.
Ne emergono alcuni
punti fondamentali: la tendenza crescente e poi
consolidata a non puntare ad un'ascesa elettorale e
parlamentare tale da inserire il partito radicale in
un quotidiano gioco di maggioranze parlamentari, o
anche solo regionali e locali, ma al contrario farne
solo uno strumento di promozione di più partiti
diversi e contrapposti, e sul piano quotidiano di
sollecitazione di aggregazioni eterogenee e
momentanee su tematiche contingenti. Da qui la
carenza di una organizzazione stabile; la scarsa
attenzione a promuovere le iscrizioni (nonostante le
ricorrenti campagne per giungere a un minimo di
iscritti); il minore rilievo - rispetto agli altri
partiti - del segretario di volta in volta rieletto
dai frequentissimi congressi con lo scopo specifico
di impegnarsi in una certa battaglia; la
caratteristica federativa, la possibilità di essere
iscritti contemporaneamente al partito radicale e ad
altri partiti; la stessa partecipazione congressuale
aperta a tutti gli iscritti e non filtrata da
designazioni locali; un insieme di aspetti che ne
fanno un partito diverso degli altri, nelle finalità
e nell'organizzazione e che di fatto, per la
conduzione quotidiana, proprio per la labilità
organizzativa ha valorizzato l'originario gruppo
romano guidato da Pannella, la cui leadership d'altra
parte, indipendentemente dalle cariche di volta in
volta ricoperte ma senza continuità, è rimasta come
un punto fermo, sicuramente di massima rilevanza per
l'immagine stessa del partito.
Intanto, la
conversione al referendum aveva aperto nuove
prospettive di azione, sospingendo il partito
radicale nel '73 a promuovere otto referendum, sulla
base di un'interpretazione estensiva dello strumento
non solo volto a sottoporre al diretto voto popolare
una nuova legge di recente approvazione parlamentare,
ma leggi o articoli di leggi o codici di lontana
emanazione; e cioè con l'intento di trasformare il
referendum abrogativo in un nuovo strumento di
progettazione normativa da sottoporre direttamente al
corpo elettorale. Si portava l'attacco ai patti
lateranensi o ai matrimoni concordatari,
all'ordinamento e al codice penale militare,
all'ordine dei giornalisti e ai limiti alla libertà
di stampa e alla libertà di trasmissione televisiva,
e ad alcuni aspetti particolarmente repressivi del
codice penale.
Ma il partito mancò
l'obiettivo non raggiungendo per nessuna richiesta il
minimo di firme indispensabili; due ne furono le
cause di fondo, la difficoltà di prendere
un'iniziativa da solo senza che i partiti ne fossero
preliminarmente coinvolti, o spontaneamente o perché
messi nell'impossibilità di dissociarsi da
iniziative altrui in sede parlamentare, come sarà
per l'aborto; e la situazione politica è dominata
sì dalla crisi del centrosinistra, ma anche dalla
prospettiva della solidarietà nazionale e quindi
dall'inserimento del P.C.I. in una nuova ampia
maggioranza con la D.C. e gli altri partiti del
centro-sinistra. Che era proprio quello che il
partito radicale negava strenuamente e che lo
sospinse ad un notevole miglioramento dei rapporti
con il P.S.I., che della nuova maggioranza si
palesava una componente critica.
La fine del
centro-sinistra e l'inizio della fase di solidarietà
nazionale ha coinciso con l'ingresso alla Camera dei
primi quattro radicali (che diventeranno diciotto nel
1979, e si assesteranno fra undici e tredici nel
decennio successivo). Ma anche quella piccola
iniziale pattuglia ha posto bene in evidenza gli
intenti istituzionali del partito radicale, o meglio
l'innesto fra difesa dei diritti civili e difesa del
ruolo del Parlamento. Entrati alla Camera proprio per
farsi sostenitori dei diritti individuali, si sono
soprattutto impegnati nella difesa delle istituzioni,
del loro ruolo di rappresentanti della sovranità
popolare contro lo strapotere partitico. Anche
approfittando delle possibilità ostruzionistiche
offerte dal nuovo regolamento della Camera del 1971
di così evidente impostazione consociativa e così
lontano dal prevedere la dissociazione di qualsiasi
gruppo, i radicali rivendicarono il ruolo del
Parlamento contro le commistioni fra una maggioranza
teorica e una opposizione di facciata, le
interferenze di potentati economici e di categoria. A
maggior motivo il partito radicale prese posizione
contro la solidarietà nazionale, che considerava
l'ultimo errato approdo di una linea politica che
esasperava il potere partitocratico e colpiva
l'aspirazione di larga parte dell'elettorato
progressista a un rinnovamento imperniato sul globale
e concorde ruolo di tutta la sinistra in alternativa
alla D.C.
Da questa amara
constatazione il partito mosse per riprendere le
iniziative referendarie, non più solo per tentare il
coagulo dei partiti o almeno dell'elettorato di
sinistra, ma per colpire la nuova alleanza
consociativa fra D.C. e P.C.I.: furono così riprese
le proposte avanzate e poi cadute negli anni
precedenti con in più quella di abrogare la legge
Reale sulla lotta al terrorismo e quella sul
finanziamento pubblico ai partiti; in tutto otto
richieste, delle quali solo queste due ultime saranno
ammesse al voto popolare. Esso sarà negativo per
entrambi, ma indicherà chiaramente nel caso del
finanziamento pubblico ai partiti, con il 43,6 a
favore della proposta radicale, la sfiducia larga e
crescente dell'elettorato nei confronti delle forze
politiche. Tre anni dopo, nell'81, un ulteriore
tentativo referendario fallì, unitamente peraltro a
quello promosso dai settori antiabortisti,
sospingendo il partito a riconsiderare le proprie
prospettive.
Di fatto, proprio
quando negli anni '80 il consociativismo ha ceduto di
fronte ad un primo avvio di recupero del tradizionale
ruolo del Parlamento, e quando comunque il problema
della salvaguardia delle istituzioni e della riforma
loro o dei meccanismi elettorali per meglio
rispondere alle esigenze degli elettori, e quando i
diritti civili, i diritti dell'uomo, sono diventati
un cardine ineliminabile per qualsiasi formazione
politica e la tematica fondamentale di qualsiasi
rivendicazione all'interno di tutti i paesi e sul
piano internazionale, è stato proprio allora che il
partito radicale ha perso incisività. Nel momento
del successo dei propri valori, la sua presenza è
diventata meno continua e dirompente del decennio
precedente. Certo il sogno di un coagulo della
sinistra parve perdersi nel futuro, così come la
possibilità di concretizzare in positivo le
aspirazioni di allargamento dei diritti e ad un tempo
di consolidamento delle istituzioni democratiche
parve irta di ostacoli. Ma è indubbio che il partito
abbia anche pagato lo sforzo immane di una volontaria
mobilitazione dal basso per l'organizzazione dei
referendum presto dissoltasi dopo la prova, tanto
più perché negativa, senza che la labile
organizzazione partitica potesse supplire. Forse
anche il mutamento delle tematiche, dalla fame nel
mondo alla recente proiezione transnazionale, sono
meno atte a suscitare lo spontaneismo della base.
Eppure proprio in quest'ultimo tema c'è
un'anticipazione del futuro europeo; la
consapevolezza del superamento dei limiti nazionali,
e che le forze politiche non devono portare solo
all'unificazione dei paesi dell'Europa ma devono
unificarsi esse stesse in nome dei diritti dei
singoli e dei popoli e delle istituzioni democratiche
continentali che di quei diritti devono essere
garanti.
Di tutta questa
complessa e così singolare vicenda, questo volume
vuole offrire una prima globale ricostruzione. Non
mancano taluni scritti sul partito radicale, talora
degli stessi protagonisti e di studiosi di storia
partitica o di scienza della politica. Ma con questo
studio nato come tesi di laurea nella Facoltà di
Scienze Politiche "Cesare Alfieri" di
Firenze, Lorenza Ponzone ha inteso ripercorrere il
travagliato iter del partito radicale, il suo
difficile porsi come partito anti-sistema e nello
stesso tempo garante delle istituzioni democratiche,
sostenitore strenuo dei diritti civili ma nel rifiuto
netto della violenza, senza organizzazione ma capace
di attraversamenti trasversali negli altri partiti di
ben maggiore consistenza; disancorato dalle
contingenze politiche e perciò estraneo alle
quotidiane vicende parlamentari ma di conseguenza
capace anche di affrontare battaglie e di subire
sconfitte senza esserne travolto; capace soprattutto
di anticipare gli altri nella difesa dei diritti dei
cittadini. Una forza politica anomala che l'autrice
ricostruisce con passione, ma con chiarezza e spirito
critico sulla base di una larghissima consultazione
delle fonti e di una vasta documentazione: nella sua
vita interna, così dibattuta, e nella sua proiezione
nazionale, certo molto più rilevante e influente
della sua forza numerica.
LUIGI
LOTTI (*)
(*) Professore di
Storia Contemporanea presso la facoltà di Scienze
Politiche dell'Università di Firenze.