CAPITOLO
VII - VERSO IL PARTITO TRANSNAZIONALE
1. Il gruppo
`romano' e gli altri
Al successo
elettorale del 3 giugno 1979 non corrispose una
parallela crescita numerica ed organizzativa del
partito. Si era posto l'obiettivo di diecimila
iscritti, ma a malapena e con grande sforzo si
raggiunse la cifra di 3.500 (283). Per di più
continuavano, anzi si accentuavano le polemiche
interne, si era approfondita la frattura tra centro e
periferia, tanto che il Consiglio Federativo indisse
una serie di assemblee regionali degli iscritti per
chiarire il contenzioso che si era andato formando
tra la base ed il gruppo "di comando".
Un tema che aizzava
le polemiche, anche aspre, anche personali,
riguardava la gestione dei fondi del finanziamento
pubblico, ed i rapporti fra il partito ed i
"soggetti autonomi", cioè Radio Radicale,
Tele-Roma 56, il Centro Calamandrei (284). Nacque il
caso di Paolo Vigevano, il tesoriere del partito
nominato, perdurante la carica di amministratore
unico del "Centro di Produzione s.r.l."
delle radio radicali, e quindi investito di una
funzione privatistica in un ente "terzo"
rispetto al partito. In pratica Vigevano era accusato
di essere contemporaneamente controllore, come
tesoriere, e controllato, come amministratore della
Radio Radicale.
Le tensioni interne
di cui abbiamo già detto, da fatto assembleare, con
rampogne, accuse, contro-accuse, abbandoni, prendono
corpo in mozioni, nel corso del congresso del Partito
della Lombardia (Milano, 20-21 ottobre 1979) e del
convegno precongressuale di Firenze
(settembre-ottobre 1979). Nel documento approvato a
Milano sullo stato del partito, si chiedeva un
"ritorno" allo Statuto (285). Molti
militanti accusavano continue violazioni statutarie
che avevano determinato una diminuzione delle
iscrizioni (al congresso del partito radicale
lombardo, che aggregava il 3,6% dell'elettorato della
regione, erano presenti solo 263 iscritti) ed un
impoverimento delle iniziative di base. Si affermava
anche che gli organi federali
"criminalizzavano" il dissenso interno
(come ad esempio disse Laurini). Sul ruolo del P.R.,
la mozione approvata a Milano riteneva che il partito
dovesse "configurarsi come centro di servizi
politici per i cittadini, i gruppi, e le associazioni
che vogliono lottare su specifici temi con la
metodologia e la prassi libertaria dei radicali"
(286). Nel precongresso di Firenze, i militanti
definitisi "garantisti" lamentavano
l'esclusione degli iscritti, dei partiti regionali,
delle associazioni, dalle grandi decisioni politiche
"assunte in modo verticistico ed
autoritario". Ed il documento riferiva del
profondo malessere del partito, che si manifestava
con abbandoni, fughe nel privato, delusioni, e ben
giustificate contestazioni sulla conduzione del
partito. Si riferivano ripetuti episodi di
autoritarismo e di decisioni antistatutarie per
esempio nella formazione delle liste elettorali
nazionali, di interferenze nelle elezioni locali, e
si criticava la gestione dei fondi del finanziamento
pubblico. Ed infine l'accusa politicamente più
grave, che rovesciava la concezione stessa di un
partito basato sul non professionismo, era quella
della nascita di funzionari nel partito e nelle
strutture ad esso collegate. Di qui il garantismo
reclamato dal basso, cioè il ristabilimento del
modello autogestionario, federale, libertario,
disegnato nello statuto. Principi "a parole
sempre proclamati", ma spesso elusi. La mozione
di Firenze conteneva delle proposte concrete ed
operative sull'assetto del partito, non più
centralizzato, come di fatto funzionava, con la
prevalenza del "gruppo romano" sulle
formazioni periferiche. Si chiedeva l'attuazione
nell'imminente congresso nazionale di quelle norme
statutarie che prevedevano un congresso per delegati,
al fine di consentire a tutti gli iscritti, pur
assenti dal consesso, di partecipare alla formazione
delle sue decisioni. Si voleva così dare
rappresentatività, nel congresso, a tutti gli
iscritti, contrariamente a quanto avveniva nei
Congressi assembleari le cui decisioni
rispecchiavano, a causa delle massiccie assenze, la
volontà delle ristrette minoranze presenti. Queste
presenze, di solito, provenivano dalle città e dalle
regioni dove si tenevano i congressi, e poiché 14
congressi su 35, tra ordinari e straordinari, si sono
tenuti a Roma ne conseguiva la partecipazione
maggioritaria dei militanti romani o laziali, i
quali, formando un gruppo compatto ed omogeneo, erano
sempre presenti alle assemblee nazionali.
Dall'esame della
localizzazione dei congressi emerge un altro dato: si
sono sempre scelte le città centro-settentrionali, e
dall'ingresso in Parlamento in avanti, si accentua la
preferenza per Roma, il che caratterizza un partito
più centralizzato. Quanto alla informazione parlata
e scritta, la periferia, i partiti regionali
chiedevano che "Notizie Radicali" e Radio
Radicale diventassero accessibili a tutti gli
iscritti, simpatizzanti, e che non continuassero ad
essere luogo di dibattiti per le liste del partito.
Un altro tema di
discussione precongressuale riguardava le elezioni
amministrative che si sarebbero tenute nella
primavera successiva. I partiti regionali erano
favorevoli a partecipare alla competizione locale,
perché poteva essere un'occasione per il P.R. di
occuparsi dei problemi legati alla qualità della
vita nelle città e nelle comunità locali, nel
settore dell'ecologia, nei servizi di assistenza, e
collegarsi con movimenti e gruppi che operavano,
nelle regioni, sugli stessi temi.
Dal centro, contro
le istanze dei partiti regionali, intervenne il
tesoriere del partito, quel Paolo Vigevano accusato
di essere nel contempo controllore e controllato
delle casse radicali. Egli, esprimendo chiaramente la
posizione della dirigenza nazionale, sosteneva che
"non era possibile sancire per Statuto
l'esistenza di partiti regionali" (287), perché
tali organismi erano, in effetti, delle
"finzioni", in quanto non potevano, per
l'esiguità degli iscritti, incidere realmente sulle
istituzioni locali e nazionali. Perciò, Vigevano
proponeva di fissare un minimo di iscritti più alto
(superiore a cento), rispetto a quello previsto dalle
norme allora vigenti per la costituzione di un
partito radicale regionale. Una proposta siffatta
avrebbe determinato in un partito con pochi iscritti
come era il P.R. la fine della maggior parte delle
formazioni regionali ed impedito la nascita di nuove,
oltre a costituire un vulnus ai principi federalisti
dello Statuto radicale.
Le polemiche tra
"garantisti" e dirigenza, tra
"centro" e "periferia" trovarono
un terreno di scontro al XXII congresso (Genova, 31
ottobre-4 novembre 1979). E si consideri che questo
congresso non si apriva su di uno scenario
tranquillo, perché alcune settimane prima era stato
arrestato in Francia il segretario del Partito, Jean
Fabre, quale obiettore di coscienza. Marco Pannella
chiese la sospensione del congresso per organizzare
una protesta, contro l'arresto di Fabre, in Francia.
Ma i congressisti si rifiutarono, e Pannella
abbandonò l'assemblea.
Il congresso, da un
lato, riaffermò la validità e la necessità di una
nuova iniziativa referendaria sui temi qualificanti
(nucleare, ambiente, ordine pubblico) dall'altro,
nella mozione finale, s'impegnò a rafforzare i
partiti regionali ed arricchirne l'autonomia e la
capacità di espressione e di manifestazione (288).
Dunque, le istanze
dei partiti regionali, la periferia, vengono recepite
dalle mozioni generali, anche se a prevalere fu la
posizione Rippa-Bandinelli, filo-pannelliana (289).
Si aprì la questione statutaria, anche se poi venne
demandata la valutazione al Consiglio Federativo.
Venne eletto segretario Giuseppe Rippa, 29 anni, di
Napoli, sulla linea di Pannella, direttore della
rivista "Quaderni Radicali".
2. La seconda
rifondazione. La questione dei partiti regionali
Il nuovo decennio,
per il partito radicale, si apriva con aspre
polemiche interne, fino alla spaccatura, a causa di
una diatriba tra Pezzana ed Aglietta, del P.R.
piemontese. Lorenzo Strik-Lievers scriveva, a
proposito del clima all'interno del partito
all'inizio di quell'anno, che "piccoli
interessi, piccole questioni prendono il primo posto
ed assorbono attenzioni e passioni, con il rischio di
disperdere quella "diversità" che
costituisce la ragione d'essere e la forza del
P.R." (290).
Il XXIII Congresso
(7-9 Marzo 1980, Roma) venne convocato per definire
la linea del P.R. per le successive elezioni
regionali ed amministrative. La decisione
dell'assemblea su questo argomento interessava,
particolarmente, ai militanti e dirigenti dei partiti
regionali. Si decise la non presentazione delle liste
radicali. Molti dei partiti regionali, come quello
napoletano e delle Sicilia, mostrarono la loro
contrarietà a questa decisione, che fu definita
"preconfezionata a livello centrale".
La delusione della
componente cosiddetta "garantista" fu
forte, e si riannodò il dissenso ed il malcontento,
in un convegno a Bologna (26 aprile 1980) sul tema
"scelte politiche ed elettorali del P.R. di
fronte al dettato statutario ed all'impegno
collettivo per il successo dei referendum"
(291). Nel documento approvato, si invitava a votare
liste radicali e candidati radicali in altre liste, e
ove non fosse possibile, si consigliava di dare il
voto a liste e candidati della sinistra. Tuttavia
l'indicazione definitiva del Consiglio Federativo -
voto nullo e non impiego del simbolo radicale - non
fu contestata dalle realtà locali, che decisero di
non presentarsi, autonomamente. Il giudizio,
comunque, sulla non partecipazione, fu diffusamente
negativo da parte delle associazioni locali, anche se
mitigato dal successo della campagna di raccolta
delle firme per referendum.
Dal 27 marzo al 27
giugno fu effettuata la raccolta delle firme per i
dieci referendum decisi dal congresso di Genova:
caccia, centrali nucleari, legge Cossiga (contro la
quale i radicali avevano fatto un duro ostruzionismo
in Parlamento), codice Rocco, porto d'armi,
ergastolo, tribunali militari, depenalizzazione delle
droghe leggere, smilitarizzazione della guardia di
finanza, depenalizzazione dell'aborto.
I radicali
riuscirono a raccogliere 600.000 firme per ciascuna
richiesta grazie anche all'impegno politico del
partito socialista nelle ultime settimane di raccolta
(292). Un grande successo per un partito che si
trovava in difficoltà obiettive: sia interne sia di
isolamento politico. I referendum, per l'uso ripetuto
avevano una carica meno dirompente del passato; e
oltretutto, a parte l'intervento del partito
socialista che si concretò più che altro in un
appoggio politico, ormai si identificavano
completamente con il partito radicale, non riuscivano
a far presa su altri gruppi. Bisogna aggiungere il
motivo più importante che rappresenterà,
probabilmente, la ragione della sconfitta del P.R.
nell'81: i nuovi referendum chiedevano in realtà un
voto pro o contro il partito radicale che veniva
presentato come l'unico che si opponeva al
"regime dell'ammucchiata" (293).
In un certo senso
questo cambiamento di prospettiva riduceva i
referendum quasi ad elezioni politiche ed
inevitabilmente perciò la percentuale dei
"sì" sarebbe stata bassa.
Intanto la
componente "garantista" ancora una volta
riunitasi ad Ancona il 12-13 luglio 1980, decideva di
dare l'avvio ad una iniziativa "di informazione
politica che aggregasse sia i radicali che ritenevano
di continuare la loro militanza nel PR, sia quelli
che se ne erano allontanati a causa dei "criteri
verticistici ed antidemocratici" della direzione
centrale.
Il XXIV Congresso
(Roma 1-4 Novembre 1980) apparve alquanto
movimentato, perché emerse, in tutta la sua carica
dirompente l'intera questione statutaria, e può
essere definito storico perché assunse, come
preambolo allo Statuto, il testo proposto nel
precedente congresso. Nella stessa occasione, si
discusse sulla natura del rapporto tra partito e
gruppo parlamentare, dell'autonomia dei partiti
regionali e delle associazioni rispetto al momento
elettorale, del numero minimo di iscritti necessario
per costituire un partito regionale, dei criteri di
utilizzo dei fondi derivanti dal tesseramento. Il
Congresso, considerata la impossibilità di
affrontare, nel loro insieme, i problemi statutari, e
tuttavia ritenuta non più rinviabile la definizione
di alcuni punti fondamentali, decise di convocare per
l'agosto 1982 un Congresso straordinario di
rifondazione statutaria e quindi politica del partito
radicale.
Il preambolo allo
Statuto approvato dal XXIV Congresso venne da tutti i
militanti considerato come un manifesto
politico-programmatico sul valore assoluto della non
violenza e della disobbedienza civile. I termini
dell'azione radicale, fuori e dentro il partito
sembrarono totalmente innovativi.
Questo preambolo si
articolava lungo tre direttrici: la centralità della
politica internazionale, e il superamento, della
generica indicazione antimilitarista tradizionale,
con l'inserimento della battaglia contro lo sterminio
per fame in una visione complessiva; la
rivendicazione esplicita, nell'orizzonte laico del
P.R., dei valori propri della religiosità cristiana;
l'introduzione del diritto naturale come limite
all'azione dello stato, e di conseguenza il
diritto-dovere per il cittadino alla disobbedienza
civile (294).
La parte
politicamente più significante, più autenticamente
radicale ci sembra quella sulla definizione della
disobbedienza. Vi si proclama il dovere alla
disobbedienza, alla non collaborazione, alle supreme
forme di lotta non violenta per la difesa del diritto
inteso però come diritto naturale.
L'appuntamento per
la rifondazione del Partito era stato fissato per
l'agosto del 1982. A quasi metà del percorso, il 17
maggio 1981, si votò per i referendum (295).
L'esito, negativo per il P.R., accelerò i tempi
della rifondazione; in quel momento la sinistra
esultava per la vittoria, il disimpegno del P.S.I.,
che aveva lasciato liberi, sulla scelta del voto, i
suoi iscritti.
Intanto il partito
socialista sembrava aprirsi all'area radicale. Ma,
già alla vigilia del XXV Congresso (Roma, 5-7 giugno
1981) tale ipotesi appariva ormai irreale, perché i
due partiti perseguivano strategie diverse.
Ma l'argomento
scottante, molto sentito dai partiti locali, che
avrebbe dovuto affrontare questo congresso,
riguardava le prime direttrici della rifondazione
statutaria del partito. Ecco che, in questo clima di
attesa, sopraggiunse una dichiarazione di Pannella,
che esortava i militanti radicali a "liberarsi
dallo Statuto". Ed aggiungeva, tra lo sconcerto
dell'assemblea: "non facciamo finta di essere
quel soggetto plurale, fatto di tanti partiti che non
ci sono. Siamo un soggetto, 3/4/500 700 compagni che
hanno saputo assieme lottare bene" (296). Era la
condanna a morte dei partiti locali. Ma il leader
nella replica corresse il tiro affermando che le
autonomie statutarie (i partiti regionali, le
associazioni, le leghe) non solo non erano minacciate
dalla sua ipotesi di rifondazione del partito, ma
sarebbero state esaltate. Egli lanciava l'idea dei
partiti regionali con simboli propri, esclusivi; da
gestire in proprio. Una contraddizione tattica. La
minoranza "garantista", la quale si
raccoglieva intorno alla mozione a firma Bandinelli
ed altri non convinta dalle promesse di Pannella
ribadiva il suo impegno per l'attuazione dello
Statuto del PR, che tuttora rappresentava un modello
di aggregazione politica e sociale.
3. Referendum: Ciclo
compiuto. Comincia la diaspora. Fame e massacro della
natura
Intanto un'altra
pagina si chiudeva: il XXV Congresso, prendeva atto
che il progetto referendario "risultava
chiaramente compiuto con la prova referendaria del 17
maggio" (297); non nel senso che allo strumento
del referendum non si doveva più far ricorso, ma
soltanto che un ciclo di lotte politiche era
concluso; e che il partito, libero dagli impegni
referendari avrebbe potuto affrontare la lotta contro
lo sterminio per fame nel mondo, con le mobilitazioni
e le azioni dirette di sempre.
La classe dirigente
radicale non era più quella mobile, dispersa e
qualche volta disperata degli anni mitici; era
diventata, almeno dall'osservatorio dei gruppi
locali, un blocco compatto (in verità, lo era sempre
stato, a livello romano) con gerarchie, e tendeva ad
autoconservarsi, seguendo lo sperimentato meccanismo
della cooptazione. I nostalgici delle battaglie degli
anni '60, '70 lamentavano che anche la stessa parola
"radicale" non era più "immediata,
narrativa, ed affabulante" (298). Cominciava il
terzo tempo radicale, con nuovi strumenti e nuove
strutture.
Apparve sulla scena
politica una sorta di destra radicale, che, come
vedremo, di fatto, sarà fagocitata da Pannella. In
quel momento, sembrava a molti militanti della prima
ora che l'odiato "regime", la tanto
contestata partitocrazia avesse contagiato del suo
comportamento l'area radicale.
Sta di fatto che lo
strumento messo in piedi dalla leadership per evitare
una sostituzione dei fini non impedì, come abbiamo
già notato, l'affermarsi di un certo professionismo
politico nel partito, e di contro uno scardinamento
dell'organizzazione periferica raccolta attorno ai
partiti regionali che furono, in sostanza, congelati,
dopo il 1 ottobre 1981 (299).
In secondo luogo,
l'allontanamento degli iscritti occasionali o
casuali, con l'aumento del costo della tessera
correlato al reddito (300), segnò la fine del
turnover, cioè di quell'aggregazione spontanea che
era stata la parte più amata nel periodo eroico del
partito. Infine arriveranno gli iscritti
"radiofonici", cioè reclutati attraverso
Radio Radicale, che avrebbero fatto
l'offerta-tessera, ma che resteranno quasi sempre
estranei alla militanza.
Col XXVI Congresso
(Firenze, 28 ottobre - 1 novembre 1981) tornava in
qualità di segretario Marco Pannella, che, di fatto,
non aveva mai cessato di essere "il
leader". In questo congresso si traduceva in una
esplicita, precisa ed incalzante mozione,
l'iniziativa radicale per la lotta allo sterminio per
fame nel mondo. Ecco perché Pannella, nel momento in
cui il partito assumeva questo fine straordinario e
totalmente coinvolgente, non poteva non impegnarsi
anche formalmente, in prima persona. Era l'unico
esponente capace di far diventare azione politica il
tema in cui si incentrava la crisi Nord-Sud del
mondo, la fame nei paesi sottosviluppati, il massacro
della natura, considerato l'olocausto dei nostri
giorni. Intorno a questo impegno, il P.R. poteva
richiamare la sua ventennale proposta di unità della
sinistra, in cui si sarebbero ritrovati "quei
democratici, quei comunisti, quei socialisti, quei
liberali e quei credenti in altro che nel potere per
i quali il diritto di ogni singolo alla vita e
perciò alla libertà, costituisca il valore
primario" (301).
La questione del
finanziamento pubblico, sulla quale si erano
scontrate, in passato, le varie componenti del
partito, venne decisa con una mozione, che in modo
molto articolato consentiva di separare la gestione
dei soldi pubblici da quella dei fondi del partito.
In particolare si stabilì: primo: il finanziamento
pubblico non doveva essere utilizzato, in nessun
caso, per far fronte alle spese relativa alla
organizzazione e alle attività del partito; secondo:
la corresponsione ai soggetti esterni al partito
veniva affidata alla responsabilità del tesoriere,
sulla base di progetti: dovevano servire, questi
soldi pubblici, prioritariamente, all'attuazione di
"una informazione autonoma al servizio dei
cittadini e del paese"; terzo: le eventuali
somme residue avrebbero formato un fondo di riserva
straordinario destinato a far fronte alle esigenze di
cassa per eventuali elezioni anticipate; quarto, le
quote di finanziamento che sarebbero pervenute negli
esercizi successivi, dovevano servire al ripianamento
dei debiti contratti dal partito fino al 1 novembre
1981. Ed in ogni caso il tesoriere era autorizzato a
far fronte ad improvvise esigenze di cassa con i
soldi pubblici.
La situazione del
bilancio del partito, all'inizio degli anni Ottanta,
si presentava apparentemente florida, rispetto agli
anni passati. I tesserati erano poco più di tremila,
e quindi le entrate, sotto la voce "quote degli
iscritti" segnava la cifra di 61 milioni, il
triplo in confronto all'anno 1979; a cui si
aggiungeva il "contributo di iscritti e
sostenitori", di 121 milioni, il tutto portava
la quota dell'autofinanziamento ad un livello molto
alto. Tuttavia, anche se cospicuo, il dato
dell'autofinanziamento era minoritario rispetto al
bilancio complessivo, che recava un deficit di circa
200 milioni. Per ripianare il passivo si ricorse
all'indebitamento bancario.
Il bilancio
dell'anno successivo (16-10-81/15-10-82) presenta un
deficit, enorme per le casse radicali, di 800
milioni, con una diminuzione dell'autofinanziamento a
meno di 120 milioni.
La crisi interna del
partito, di cui abbiamo già detto le motivazioni e
l'ampiezza, sfociò in una profonda lacerazione al
XXVII Congresso (Bologna, 28 ott. - nov. 1982).
La tensione tra le
due componenti cominciò su questioni procedurali.
Rippa e De Cataldo, dopo l'esito negativo per il loro
gruppo delle prime schermaglie sull'ordine del
giorno, abbandonavano il Congresso e rivendicavano la
rappresentanza e la difesa dei diritti fondamentali
del 40% degli iscritti, diritti che secondo loro
erano stati violati dalla maggioranza assembleare
(302). I due dissenzienti tentarono un
controcongresso in una saletta accanto, e nacque
così la prima scissione nella storia del P.R., a cui
parteciparono una quarantina di congressisti. Il
giorno successivo, anche i due deputati Pinto e Boato
abbandonavano il partito, motivando la loro decisione
col fatto che il P.R. aveva subito "una sorta di
mutazione genetica". Il congresso confermava
alla carica di tesoriere Marcello Crivellini e alla
segreteria Marco Pannella.
Infine, il XXVII
congresso approvò un dettagliato regolamento
finanziario per disciplinare l'uso dei fondi
pubblici, e per delimitare i poteri del tesoriere.
Nulla si dispose,
invece, sul controllo dei fondi gestiti dai soggetti
autonomi (radio radicale), (Tele-Roma), (Centro
Calamandrei) da parte degli organi esecutivi del
partito: di qui, successivamente, le polemiche sulla
destinazione dei fondi pubblici, ritenuta da qualcuno
non utile ai fini politici del partito.
A questo punto è
necessario dire che la rifondazione del partito,
postulata in tutte le istanze, dai militanti, dai
simpatizzanti che gravitavano nell'area radicale, non
ebbe luogo, nonostante che la mozione approvata dal
XXIV Congresso (novembre 1980) prevedesse la
convocazione per l'agosto 1982 di un congresso
straordinario di rifondazione statutaria. Una
commissione appositamente creata non riuscì ad
esprimere nessuna ipotesi o proposta concreta.
Sicché la struttura del partito non subì alcuna
modifica, neanche nei successivi congressi.
Tutto questo
accadeva perché non si riusciva a trovare un nuovo
modello di organizzazione che sostituisse quello già
sperimentato negli anni passati, un modello che fosse
adeguato alle mutate condizioni politiche. In pratica
c'erano da affrontare le questioni del rapporto fra
il partito e gli eletti, partito e soggetti autonomi,
la partecipazione agli organismi amministrativi di
comuni e province, i delegati al congresso, i
funzionari di partito, la formazione delle liste
elettorali, i movimenti federati, i partiti
regionali.
Nella mozione
approvata dal XXVII congresso si rileva anche un
primo sforzo di approfondimento della situazione
politica determinatasi dopo la fine della
solidarietà nazionale. Si valutano ormai esili i
margini di democrazia esistenti nel nostro paese e si
ritiene che la partitocrazia abbia prodotto una sorta
di svuotamento costituzionale.
Sicché il P.R.
auspica "la difesa e l'attuazione della
Costituzione non proposte e progetti che interrompano
i meccanismi di lottizzazione delle istituzioni, a
cominciare da una grande petizione popolare per
l'insediamento di una commissione d'inchiesta sul
finanziamento pubblico dei partiti, sui loro bilanci
e sul loro stato patrimoniale".
A questo punto del
dibattito interno si delineò uno scontro, che
successivamente diventerà più lacerante tra la
concezione di Pannella, assai pessimistica, e quella
di altri, come per esempio Gianluigi Melega e
Roccella. La tesi pannelliana partiva dalla
considerazione che la partitocrazia era ormai
invincibile, per cui non rimaneva che il ricorso alla
disobbedienza civile, cioè agli originari metodi di
lotta radicali, improntati ad una dura azione non
violenta, individuale, tipo scioperi della fame e
della sete.
Intanto Pannella
convocò un congresso straordinario perché i
radicali decidessero se partecipare o no alle
elezioni politiche anticipate indette per il 26
giugno 1983.
Bisogna dire che il
P.R. da anni denunciava che in Italia era scomparsa
ogni traccia di legalità, nel senso della certezza
del diritto, e soprattutto lamentava una continua e
sempre più grave degenerazione partitocratica del
sistema costituzionale: a fronte di questo
"sfascio", tanto per usare un termine
consueto nelle invettive pannelliane, i radicali
promossero uno sciopero del voto nelle elezioni del
1983 e nelle successive tornate elettorali, come
manifestazione estrema di sfiducia verso gli altri
soggetti politici, tutti più o meno consociati nella
gestione del "regime" Italia. Un proposito,
questo, in evidente totale ed ineliminabile
contrapposizione con tutti gli altri partiti: il che
avrebbe determinato l'isolamento, nel Parlamento e
nel Paese, del partito radicale.
E' necessario dar
conto come il XXVIII congresso giunse alla grave
decisione di rifiutare la partecipazione alle
elezioni. Gian Luigi Melega si disse contrario
all'astensione dal voto, perché la presenza radicale
nel Parlamento avrebbe potuto assumere il valore di
testimonianza nelle istituzioni. Pannella dichiarò
invece che le elezioni così come congegnate erano
una truffa a danno del cittadino, che indirizzato da
una informazione lottizzata tra i partiti, non aveva
di fatto libertà di scegliere. La mozione Melega fu
respinta dall'assemblea congressuale con 400 voti
contrari e 341 a favore, mentre 68 delegati si
astennero. Il congresso si concluse con una non
decisione, comunque fu scartata l'ipotesi di una
presentazione automatica ed incondizionata del P.R.
alle imminenti elezioni.
Tuttavia, subito
dopo, il consiglio federale assunse un deliberato,
almeno apparentemente, contraddittorio. Decise di
dare agli elettori radicali l'indicazione dello
sciopero del voto contro la partitocrazia, ma anche
di presentare liste radicali allo scopo di assicurare
al partito degli spazi televisivi per propagandare
"il boicottaggio non violento di elezioni
truffa". Dunque una presa di posizione ambigua,
ma tatticamente utile, perché assicurava la presenza
radicale sui media nazionali, senza esporla ad un
eventuale insuccesso nel confronto elettorale.
I radicali
coglievano l'occasione elettorale per continuare a
battersi contro la legislazione di emergenza: venne
candidato e poi eletto Toni Negri, imputato al
"processo 7 aprile" per atti di terrorismo,
sottoposto a carcerazione preventiva per oltre 4
anni. Ancora una volta i radicali riuscirono a
suscitare un largo dibattito nel paese sui problemi
della giustizia. Il P.R. ottenne il 2,2% dei voti,
nonostante la campagna astensionistica, 11 deputati
ed un senatore. A differenza delle elezioni del '79,
nelle quali ci furono molti candidati esterni,
nell'83 gli eletti radicali sono tutti iscritti del
P.R., per precisa decisione del partito: i
parlamentari dovevano essere non i rappresentanti
della nazione ma militanti non violenti all'interno
delle istituzioni.
Abbiamo più volte
detto che la posizione del P.R. di totale
contestazione del sistema faceva entrare i radicali
in rotta di collisione con tutti i partiti, accusati
appunto di partecipare al "banchetto del
regime". Anche con quelli più vicini, per
comunanza di ideali, quali i partiti di sinistra in
particolare. I rapporti col P.S.I. sono stati sempre
contrastati nella lunga storia del partito radicale.
Le colpe del conflitto tra forze radicali e
socialisti non stavano da una sola parte. I
socialisti consideravano i radicali dei rivali alla
loro prossima sinistra, nella cui area avrebbero
potuto attingere nel serbatoio del loro elettorato. I
radicali da parte loro non riuscivano ad indurre il
P.S.I. su posizioni di alternativa e di abbandono del
centro-sinistra. Tuttavia i due partiti avevano
operato insieme, nel 1980 per la raccolta delle firme
per i 10 referendum. Ma il P.S.I. non dette il suo
appoggio alla proposta di legge radicale contro lo
sterminio per fame e nel 1982 cinque deputati
radicali passarono fra le file del P.S.I.
Ma dopo le elezioni
dell'83, presidente Craxi, il P.R. ed i socialisti si
avvicinarono perché il primo ministro del P.S.I.
nelle sue dichiarazioni programmatiche inserisce il
problema dello sterminio per fame.
Su questo scenario
politico si aprì il XXIX congresso del partito
(Rimini 29 ott.-1 nov. 1983). I radicali sembrano
disorientati, quasi sgomenti, senza prospettive, come
se si fossero infilati in un vicolo cieco. Pannella
descriveva la situazione politica senza sbocco.
Secondo il leader storico la crisi della democrazia
italiana non consente spazi, nelle istituzioni, per
una politica costruttiva di lotta da parte dei
radicali e denuncia il fallimento del P.R. anche
nella lotta contro lo sterminio per fame. Per questi
motivi Pannella prefigurava l'ipotesi di uno
scioglimento del partito, o comunque la sua
rifondazione, incentrata sulla non violenza,
disobbedienza civile e lo sciopero della fame,
insomma un partito di ispirazione gandhiana.
L'assemblea
congressuale si divise tra coloro che condividevano
la linea pannelliana (Cicciomessere, Spadaccia) e
quelli (Melega, Roccella) che prospettavano un
partito radical-democratico, con capacità di
incidere nel tessuto politico. Il congresso si
concluse con una mozione unitaria che ripropose
l'obiettivo prima mancato dei "tre milioni di
vivi" nel 1984 e determinò in tre miliardi di
autofinanziamento le risorse per conseguire tale
obiettivo. Si decise, infine, la partecipazione del
P.R. alle elezioni europee del 1984 per il preciso
fine di cercare alleanze utili per la lotta contro lo
sterminio per la fame nel mondo.
Un altro tema recato
dai radicali di fronte all'opinione pubblica fu
quello "per una giustizia giusta" e come
simbolo-vittima delle storture nelle leggi vigenti,
candidarono alle elezioni europee del 1984 Enzo
Tortora, accusato di spaccio di droga e altri gravi
reati.
I risultati nelle
elezioni furono soddisfacenti (3,4%). E' prevalente
il voto meridionale, soprattutto nei capoluoghi, con
punte a Catania del 10,2% ed a Palermo del 9,9%.
Il XXX congresso
(Roma 31 ottobre-4 novembre 1984) riconfermò la
linea proposta da Pannella: approvazione della legge
"Piccoli" contro lo sterminio per fame,
rinvigorimento dell'azione antimilitarista, proposte
di legge di iniziativa popolare nei settori
dell'ecologia, ambiente, sanità, informazione,
giustizia. Si decise la non partecipazione dei
radicali alle successive amministrative ma di
appoggiare autonome liste ecologistiche. Venne eletto
segretario Giovanni Negri, 27 anni, e tesoriere
Peppino Calderisi.
Intanto continuava,
con testarda tenacia la lotta radicale contro lo
sterminio per fame. Si era accumulata una notevole
quantità di consensi e di adesioni su questo tema.
Era stata
presentata, il 27 marzo 1984, da 150 deputati (D.C.
P.S.I., P.L.I., P.S.D.I.) un'apposita proposta di
legge, che prevedeva interventi straordinari per
salvare almeno tre milioni di vite umane, con uno
stanziamento di 3 mila miliardi da affidare ad un
alto commissario. Dopo scioperi della sete di Marco
Pannella, digiuni collettivi di centinaia di persone,
appelli di premi Nobel, una risoluzione de]
Parlamento Europeo, venne approvata dal Parlamento
italiano, nel 1985, una legge per gli interventi
contro lo sterminio per fame, che prevedeva lo
stanziamento di 1.900 miliardi per un periodo di 18
mesi.
Nel 1985 la lotta
politica si incentrò anche sulla questione della
"scala-mobile". Sul referendum, voluto dai
comunisti, per l'abrogazione del decreto Craxi sulla
scala mobile, i radicali proposero l'astensione. La
posizione del P.R. appare ragionevole tenuto conto,
come notò acutamente Norberto Bobbio, che "in
quella circostanza era da rifiutare non la decisione
che doveva risultare dal voto, ma la stessa procedura
adottata per prenderla"; trattandosi in
definitiva di interessi economici contrapposti, si
esigeva in tale materia una soluzione di compromesso.
In ogni caso la decisione del Governo sulla scala
mobile non doveva essere condizionata
dall'opposizione. Il partito comunista, abituato ad
un sistema di potere consociativo, pretendeva di
contrattare anche su questo, esercitando una sorta di
diritto di veto. I radicali invece reclamavano una
netta distinzione dei ruoli, maggioranza da una parte
e opposizione dall'altra, e quindi il diritto del
Governo di attuare il proprio programma.
Intanto i radicali
proseguivano la riflessione sullo stato del partito.
L'autofinanziamento dai 96 milioni del 1984 era
passato ai 2 miliardi e 200 milioni del 1985. Ma la
raccolta di queste somme, ingenti in rapporto alle
casse radicali, non era frutto di iscrizioni e
sottoscrizioni, ma di campagne politiche. Questo
fatto era il sintomo di una crisi nella
partecipazione militante, cardine della struttura
radicale da sempre. Oltretutto i conti rimanevano in
deficit per effetto dei bisogni crescenti dei
soggetti autonomi (radio radicale, Teleroma 56,
centro Calamandrei).
Il XXXI congresso
(Firenze, nov. 1985) si concluse con l'approvazione
di una risoluzione proposta da Pannella che affidava
agli organi statutari l'elaborazione di un progetto
di cessazione del partito.
4. Si chiude? Il
congresso di Budapest. Ma il partito non morirà.
Nel 1986 il P.R.
riprese la battaglia referendaria, questa volta non
più isolato, ma insieme al P.S.I. e al P.L.I. I
referendum avevano per tema la responsabilità civile
del magistrato anche per colpa, la commissione
inquirente, la riforma elettorale del CSM (303). La
comunanza di queste lotte referendarie metteva in
tutta evidenza quel rapporto speciale tra P.S.I. e
P.R., rapporto che si era rinsaldato con la
segreteria Craxi. La Corte Costituzionale dichiarò
illegittimi tre degli otto referendum che erano stati
richiesti da diversi comitati promotori (quello sulla
riforma elettorale del CSM e i due contro la caccia).
Si andò al voto sui 5 rimasti dopo le elezioni
politiche del giugno 1987, circostanza che vanificò
la portata dirompente dei referendum. L'80% circa
dell'elettorato si pronunciò a favore
dell'abrogazione per tutti e cinque i referendum.
Ma i radicali
continuavano a porsi il dilemma se continuare o
cessare la loro attività. Al XXXII congresso (Roma,
nov. 1986) Pannella prospettava lo scioglimento del
partito. L'80% dei partecipanti si esprimeva invece a
favore della sopravvivenza. Alessandro Tessari
affermava che "la cessazione non significava
sbarramento, ma imboccare la strada giusta per
reinvenzione di quella che è stata chiamata la cosa
radicale" (304). Il congresso decideva di porsi
l'obiettivo di dieci mila iscritti entro il 1986,
pena lo scioglimento. Rinviava, comunque, il problema
della rifondazione del Partito ad un altro congresso,
da tenersi nel febbraio del 1987. Entro il 31 gennaio
1987 il P.R. raccoglieva 5 mila iscrizioni. Il dato
più rilevante è quello delle doppie tessere, che
taglia, secondo noi, trasversalmente, il mondo
politico italiano. La singolare iniziativa della
doppia militanza fu fortemente contrastata dagli
apparati dei partiti di sinistra, che temevano un
indebolimento della loro presa ed anche perché si
profilava il pericolo di intese fuori dagli accordi
di vertice, tra i singoli esponenti politici sui temi
di lotta dei radicali. La doppia militanza poneva al
P.R. il problema della ricerca di una nuova forma
organizzativa, che teneva anche conto delle
iscrizioni internazionali.
Nella seconda
sessione dello stesso congresso venne decisa la
sospensione delle norme dello stesso Statuto, e si
affidava il compito della rifondazione del partito al
Primo Segretario, Giovanni Negri, ed a otto segretari
federali (305). Ora non si parla più di
scioglimento, anzi i radicali sperano di rafforzarsi
a livello internazionale, con l'obiettivo di alcune
migliaia di iscritti da reclutare fuori d'ltalia,
"perché si creino le premesse per fare del
partito radicale il partito internazionale e
internazionalista, laico e nonviolento, dei diritti
umani, degli Stati Uniti d'Europa". Si insiste,
inoltre, per il rafforzamento del carattere
"transpartitico", di secondo partito, che
il P.R. è venuto assumendo grazie alle doppie
tessere. Sul piano politico interno vi è la proposta
alle forze socialiste ed ecologiste di un accordo
politico elettorale per la presentazione di liste
separate alla Camera e di candidature comuni al
Senato, attraverso la costituzione di un "fronte
per la riforma federalista e repubblicana". Se
queste liste avessero conseguito il 30% dei voti, vi
sarebbe stata la proposta di riforma elettorale per
l'introduzione del sistema uninominale all'inglese.
Vennero sospese le
norme dello statuto riguardanti i partiti regionali.
I radicali presero definitivamente atto del
fallimento del federalismo come organizzazione
interna del partito. Rimane solo i federalismo
esterno: la possibilità di adesione di associazioni
non radicali. Già dal 1982 il Consiglio Federativo,
che doveva essere l'organo della federazione dei
partiti regionali, aveva mutato nome e composizione:
si chiamò Consiglio Federale, composto solo di
membri eletti dal Congresso. Per il 1987 il C.F.
sarebbe stato composto da cinquanta membri
sorteggiati tra gli iscritti.
Il XXXIV congresso
(Bologna, 2-6 gennaio 1988) sancisce definitivamente
l'identità transnazionale del partito, nella
convinzione che i problemi attuali non possono essere
risolti solo in una dimensione nazionale, e la
rinuncia a presentarsi a tutte le elezioni politiche
nazionali.
Pannella avrebbe
voluto imporre una clausola che prevedesse
l'automatica cessazione del partito se non fossero
stati raggiunti gli obiettivi fissati dalla mozione:
4 miliardi di lire di autofinanziamento e 3 mila
iscritti fuori d'Italia.
La proposta di
Pannella non fu accettata, e per la prima volta,
nella storia del P.R., il gruppo dirigente si è
trovato unito e compatto in contrapposizione col suo
leader.
Il Congresso approva
le modifiche dello Statuto, che ridisegnano
l'organizzazione del partito.
Il dibattito sulla
cessazione del partito è continuato per tutto il
1988, fino al Congresso di Budapest (XXXV, 22-26
aprile 1989), dove è stata affidata la sorte del
partito ad un quadrumvirato composto dal segretario,
dal tesoriere, dal presidente del partito e dal
presidente del Consiglio Federale.
Il partito,
rifondato nel 1962, non è morto sulle rive del
Danubio, ma è sopravvissuto sotto altre forme: molti
esponenti sono trasmigrati in nuove e vecchie
formazioni politiche, dai verdi, agli
antiproibizionisti al PSDI, ma le idee, i metodi
originari sembrano ancora vitali.
TAB. 13
ANDAMENTO NEGLI ANNI
DELLE ISCRIZIONI
PROGRESSION ANNUELLE
DES INSCRIPTIONTS
YEARLY PROGRESS OF
MEMBERSHIPS
Anno-Annè-Year |
1981 |
1982 |
1983 |
1984 |
1985 |
1986 |
1987 |
1988 |
1989 |
Italia-Italie-Italy |
2.959 |
2.223 |
3.707 |
3.412 |
2.987 |
10.862 |
11.645 |
5.006 |
1.112 |
Altri paesi-Antres pays-Other
countries |
|
|
|
|
34 |
149 |
171 |
828 |
247 |
Totale-Totale-Total |
2.959 |
2.223 |
3.707 |
3.412 |
3.021 |
11.011 |
11.816 |
5.834 |
1.359 |
Fonte: Relazione al
XXXV Congresso (Budapest, 22-26 aprile 1989) di Paolo
Vigevano, tesoriere del P.R.
NOTE
(283) Cfr. Documento
del Consiglio Federativo in vista del XXIII Congresso
del PR (31 ott.-4 nov. 1979), "Notizie
radicali", n. 148,15 ottobre 1979.
(284) Fondazione di
studi giuridici, istituita dal gruppo parlamentare
del PR nel 1978, con i fondi del finanziamento
pubblico.
(285) Mozione
politica approvata dal 5ø Congresso del P.R. della
Lombardia (2021 ottobre 1979, Milano), in "Il
Radicale", n. 2, novembre 1979 - Nello stesso
numero della rivista milanese del PR, il Documento
conclusivo dei due convegni pre-congressulai di
Firenze.
(286) Mozione
politica 5ø congresso PR d.l., ibidem.
(287) PAOLO
VIGEVANO, "Alcune proposte per il Congresso di
Genova", "Notizie radicali", n. 147,
10 ottobre 1979.
(288) Mozione
politica XXII Congresso.
(289) Vennero
presentate e messe in contrapposizione due mozioni:
una a firma Rippa-Bandinelli e l'altra
Ercolessi-Ramadori. La votazione delle mozioni, nei
congressi radicali avviene per alzata di mano, con
possibilità di chiedere verifica e contro-verifica.
Tali verifiche costituiscono in effetti nuove
votazioni, con la possibilità di cambiare la propria
volontà. Infatti nel XXIII Congresso vennero
effettuate tre votazioni sulle mozioni contrapposte,
che diedero risultati opposti.
(290) LORENZO
STRIK-LIEVERS, "Il nuovo patto radicale",
"Argomenti radicali", n. 19.
febbraio-maggio 1980, p. 16.
(291) Cfr. RENATO
VIVIAN, "Dentro il P R. - Analisi diacronica dei
rapporti dei militanti radicali con lo Statuto del
partito", a cura dell'Associazione radicale di
Udine, 1982 pp. 40 e ss.
(292) M. TEODORI,
"Elezioni, referendum, prospettive
politiche", "Argomenti radicali", n.
15, febbraio-maggio 1980.
(293) "Fermali
con una firma", opuscolo a cura del PR, Roma,
1980.
(294) Vedere anche
la mozione politica approvata dal XXIII Congresso del
PR, che costituisce il manifesto politico del nuovo
PR, insieme al preambolo.
(295) La Corte
Costituzionale, nel febbraio del 1981, aveva bocciato
cinque dei dieci referendum radicali: quelli sulla
caccia, centrali nucleari, codice Rocco,
depenalizzazione droga, smilitarizzazione guardia di
finanza. Veniva approvata una legge nel 1981 che
modificava la composizione dei tribunali militari,
impedendo il relativo referendum.
Così il 17 maggio
1981 si votò sulla legge Cossiga, l'ergastolo, il
porto d'armi, l'aborto. Si aggiunse il referendum
abrogativo della legge 194 richiesto dal
"Movimento per la vita".
(296) Marco
Pannella, Relazione pronunciata il 5 giugno 1981, nel
corso del 253 congresso straordinario del PR, Roma,
5-7 giugno pubblicata a cura di Quaderni radicali.
(297) Mozione
politica approvata dal XXV congresso del PR.
(298) ANGIOLO
BANDINELLI, "Il partito radicale è morto, viva
il partito radicale", "Referendum, quali,
come, perché", a cura di Grazia Passeri e
Silvio Pergameno, Roma 1981.
(299) Il XXIV
congresso (Roma, novembre 1980) aveva approvato una
mozione di attuazione dello Statuto nella quale di
stabiliva il numero minimo degli iscritti per
costituzione di un partito regionale in funzione
della popolazione residente nella regione e fissare
il 1ø ottobre 1981 come termine per adeguarvisi
("Notizie radicali", n. 37, 1 dicembre
1980).
(300) Nel 1982
Pannella decise di aumentare nettamente la quota di
iscrizione portandola a minimo "200 lire al
giorno".
(301) Cfr. Mozione
politica approvata dal 25ø congresso.
(302) Cronaca del
XXVII congresso in Notizie radicali, n 32, 20 agosto
1982.
(303) I radicali
raccolsero le firme anche per altri referendum: tre
sul nucleare con D.P., Il Manifesto, la FGCI e i
verdi; due sulla caccia con i verdi.
(304) Cfr. N.
BERTOLONI MELI, "Nasce il partito di
continuisti", "Il Messaggero", 31
ottobre 1986.
(305) Aglietta, De
Stefano, Spadaccia, Stango, Vesce, Valcarenghi,
D'Elia, Dell'Alba.